(1798) Addizioni alla Storia critica de’ teatri antichi et moderni « PARTE I — TOMO I. LIBRO I » pp. 12-33
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(1798) Addizioni alla Storia critica de’ teatri antichi et moderni « PARTE I — TOMO I. LIBRO I » pp. 12-33

TOMO I. LIBRO I

ADDIZIONE I*
Verseggiare anteriore alla prosa.

Ciò ne suggerisce un giusto raziocinio sostenuto dalle antichissime tradizioni e dalla storia, che che ne abbiano pensato in contrario Ludovico Castelvetro nella Poetica, Le Batteux e l’autore dell’articolo Prose nel Dizionario dell’Enciclopedia.

ADDIZIONE II*
Canzoni ne’ sepolcri d’Iside e di Osiride.

In versi erano le memorie dei defunti scolpite nelle colonne Egiziane; ed intorno alle urne lagrimali poste ne’ sepolcri d’Iside e di Osiride vedevansi incise alcune canzoni, come può leggersi in Diodoro Siculo nel libro 1.

ADDIZIONE III**
Per le leggi de’ Barbari in versi.

Aristotile nel 1 de’ Politici. Può anche vedersi su di ciò l’opera di Goguet de l’origine des loix, tom. 1, part. 1, lib. 1.

ADDIZIONE IV*
Brasiliani verseggiatori.

I Brasiliani, gli abitanti della Florida e del Mississipi.

ADDIZIONE V**
Sacontala dramma Orientale.

L’Ultima opera del celebre Guglielmo Robertson perduto da non molto, sulla conoscenza che gli antichi ebbero dell’India, ci presenta nell’Appendice la notizia di un altro dramma orientale scritto intorno a cento anni prima dell’era Cristiana. S’intitola Sacontala tradotto dalla lingua Sanskrit in inglese dal Sig. Jones.

Sacontala è una principessa allevata da un eremita in un sacro boschetto, la quale, dovendo andare a nozze alla corte di un gran re, prende congedo dall’eremita chiamato Cano, dalle pecorelle sue compagne, ed anche da un albuscello, da una gazella e da un caprio. V’intervengono le pastorelle, un coro di ninfe del bosco, Cano eremita e Sacontala.

Le pastorelle indirizzano la parola alle piante del boschetto, mostrano l’affezione ed il rispetto che ha per esse avuto Sacontala, la quale parte per andare al palazzo dello sposo. Le ninfe del bosco l’accompagnano con augurj di felicità. Sacontala intenerita esce dal bosco, e si congeda dall’eremita Cano. Giova trascrivere uno squarcio del loro dialogo:

“Sacon.

Permettete, o padre, che io consacri questo madhacu, i cui fiori rosseggianti fanno comparire questi boschi tutti di foco.”

“Can.

O Figlia, già so il tuo affetto per quest’albuscello.”

“Sacon.

O cara pianta di tutte la più risplendente ricevi i miei amplessi, e dammi i tuoi piegando le tue braccia, lontana ancora io sarò a te divota. O Padre, abbine cura come faresti di me stessa.”

Sacontala continua a caminare, indi ripiglia:

“Sacon.

Deh Padre mio, poichè questa cara gazella, che ora pel peso che porta nel ventre, camina con tanta pena, avrà partorito, ti prego di mandarmene il dolce avviso e di farmi sapere lo stato di sua salute. Nol dimenticare.”

“Can.

No, mia cara, nol dimenticherò.”

Sacontala si ferma, e dice:

“Sacon.

Ma chi si attacca alla falde della mia veste, e mi trattiene?”

“Can.

E’ il tuo figlio adottivo, il cavriuolo, che feritosi in bocca colle acute punte del cusa, venne da te curato stropicciandovi l’olio salutare dell’incudi; non vuole abbandonare la sua benefattrice”.

“Sacon.

Perchè ti affliggi, o caro, alla mia partenza? Io ti allevai allorchè perdesti la madre, poco dopo del tuo nascere. Il caro padre che mi ha rilevata, prenderà di te cura nella guisa che io ho fatto, poichè ci saremo separati. Torna indietro, noi partiamo”.

E qui Sacontala prorompe in un pianto dirotto.

Convien confessare che questo innocente, semplice, patetico congedo, desti in chi legge una tenera commozione; e pur si tratta di un congedo da un cavriuolo! Deh perchè certi autori manierati e svenevoli non apprendono l’arte di commuovere in simili semplici naturali e delicate espressioni?

ADDIZIONE VI*
Rappresentazioni in Ulietea ed altre Isole.

Il re O-Too padrone di tutta l’isola di O. Taïti essendosi portato in Oparre il sopranomato capitano Cook nel 1777 nel terzo suo viaggio, volle fargli godere nella propria casa un Heevaraa spettacolo pubblico, nel quale le tre sue sorelle rappresentavano bellamente i principali personaggi, seguito da alcune farse che riuscirono di maggior diletto al numeroso concorso. In un altro giorno il re per trattenerlo piacevolmente fè rappresentare una specie di commedia, di cui furon pure le attici le tre sue sorelle vestite bizzarramente con abiti nuovi ed eleganti1.

Oltre a diversi giuochi ginnici, come lotte, pugilati &c. eseguiti in Wateeoo per onorare e divertire il nomato Inglese, ed a’ concerti e alle danze accompagnate da musica stromentale e talvolta anche vocale, s’intrecciarono alcune carole di venti ballerine. Formando esse un circolo intorno a’ musici givano cantando alcune arie molto tenere, alle quali rispondeva il coro. Esse accompagnavano la voce co’ movimenti delle mani che portavano vezzosamente verso il volto, ed al petto, slanciando nel tempo stesso un piede innanzi e ritirandolo indi a poco a poco con grazia e restando l’altro piede immobile. Fecero esse due giri sopra se stesse saltando e battendo le mani l’una contra l’altra. Il movimento della musica aumentando sempre più verso la fine, le danzatrici spiegarono nelle loro attitudini una forza e destrezza maravigliosa, che in certe posizioni parvero indecenti, ma che forse non aveano altro oggetto che di manifestare la loro agilità estrema. Fuvvi parimente una danza grottesca eseguita da’ principali personaggi dell’isola, la quale singolarmente consisteva nel movimento delle loro teste con tal forza che faceva dubitare agli astanti Inglesi che non avessero a rompersi il collo, battendo intanto le mani e mettendo acutissime grida. Si avanzò poi alla testa degli attori situati in uno de’ lati del mezzo cerchio un personaggio principale, e declamò alcune parole alla maniera de’ nostri recitativi accompagnandole con gestire assai espressivo, il quale agl’Inglesi parve superiore a’ più applauditi attori del proprio paese. Il primo degli attori dell’altro lato corrispose della stessa maniera. Si recitarono parimente alcuni passi, e di poi il semicerchio si avanzò sul teatro, rispondendo in coro le persone di ambo i lati, e terminarono cantando e ballando.

Da queste danze e scene recitate di Wateeoo non sono dissimili quelle delle isole degli Amici e le altre degli abitanti delle isole Caroline del Mar Pacifico del Nort.

Nelle isole dette da Cook di Sandwich vi sono eziandio danze pantomimiche accompagnate da musica, le quali si approssimano più a quelle della Nuova-Zelanda che a quelle di O. Taiti o degli Amici. Precede una canzone di movimento lento e grave, alla quale tutte le ballerine prendono parte movendo le gambe e battendosi dolcemente il petto con attitudini graziose rassomiglianti a quelle delle isole della Società. Si accelera poscia il tempo sino al punto che le ballerine (che sole figurano in tal genere di danza) non possono più seguirlo, e colei che si dà maggior moto e resiste più, passa per la danzatrice più eccellente. Vuolsi ancora osservare che i naturali delle isole di Sandwich hanno una specie di maschera con buchi per gli occhi e pel naso, alla cui parte superiore appongonsi picciole bacchette verdi che da lontano pajono piume ondeggianti, e dall’inferiore pendono pezzi di stoffa che si prenderebbero per una barba. Coloro che se ne coprono, vanno ridendo e facendo gesti istrionici, che indicano di esser maschera ridicola. Anche in Nootka gli abitanti in certe straordinarie occorrenze si adornano in una maniera grottesca, e talora copronsi il volto con maschere di legno scolpite, le quali sono di grandezza eccedente la naturale, e figurano ora la festa o la fronte umana con ciglia, barba, e capegli, ed ora teste di uccelli, e specialmente di aquile, o di pesci, o di quadrupedi. Que’ selvaggi mostrano per tale mostruoso abbigliamento una passione particolare.

Si vede adunque nelle surriferite farse e danze di Ulietea, e delle altre isole nominate quello spirito imitatore &c.

ADDIZIONE VII*
Carattere di Prometeo in Eschilo.

Prometeo dopo averlo ascoltato vede balenare e strisciare il fulmine senza abbassare nè pur gli occhi. La sua magnanimità sveglia nello spettatore una sublime idea del nobil suo carattere. Egli prevede ancora il rimanente della minacciata sventura &c.

ADDIZIONE VIII*
Scena in Tralles dipinta da Apatario.

Vitruvio nel libro vii, c. 5 fa menzione dell’antico pittore teatrale Apatario, il quale dipinse acconciamente la scena nel teatro di Tralles. Ciò che di lui si dice, indica l’intelligenza degli antichi nella prospettiva, mentre la veduta dipinta in quella scena compariva bella insieme e naturale a cagione delle diverse tinte che davano risalto a tutte le parti dell’architettura in essa espresse.

ADDIZIONE IX**
Detto di Eteocle nelle Fenisse.

Ad Eteocle appartiene il famoso detto che Giulio Cesare soleva avere in bocca, e per cui si risolse a regnar sopra della sua patria. Cicerone (de Officiis lib. iii) così lo tradusse:

Nam si violandum est jus, regnandi caussa
Violandum est: aliis rebus pietatem colas.

ADDIZIONE X*
Callimaco anche poeta drammatico.

Il celebre Callimaco Cirenese autore degl’Inni ed Epigrammi e di altri pregiati lavori, dee contarsi tra coloro che fiorirono nella poesia rappresentativa, e specialmente nella tragica sotto Tolommeo Filadelfo sino all’Evergete, che cominciò a regnare l’anno secondo dell’Olimpiade CXXVII. Suida rammemora tralle poesie di Callimaco drammi satirici, tragedie e commedie. Al medesimo poeta si dee la cura di descrivere i poeti drammatici secondo l’ordine de’ tempi sin dal loro principio1.

ADDIZIONE XI*
Traduzioni di alcuni frammenti del comico Alesside.

Ciò rilevasi da’ frammenti che se ne sono conservati, de’ quali stimiamo quì addurne alcuni. Nelle Cene di Ateneo leggesi un bel passo di Alesside in cui si esprime il lusso de’ Sibariti, de’ Siciliani e de’ Tarentini nelle tavole. Eccolo secondochè l’abbiamo noi tradotto:

Piè innanzi piè senza pensar m’inoltro,
E giungo a caso, ove dell’acqua i servi
Recavan per le mani. Altri la mensa
Imbandir, non di cacio nè di ulive,
E non di piane putenti scudelle
Colme di trivial spregevol cibo.
Nobile, ampio recar, splendido piatto
Che profumando gìa l’aria d’intorno
Di grati odori, e a’ commensali intanto
L’ore indicava e le stagioni e gli anni;
Poichè di tutto il ciel mezzo esprimeva
Il globo con quanti astri vi risplendono.
Là i pesci scintillavano e i capretti,
E scorreva fra lor lo scorpione,
Manifestando l’asinel lucente.
Bello fu allor veder tutte rivolte
Le mani a saccheggiar tali e tanti astri.

E’ notabile in questo frammento la splendidezza dell’apparecchio, la delicatezza e l’abbondanza de cibi. Si dà una sontuosa immagine di un piatto descritto come una mettà del globo celeste colle sue costellazioni. Vi si ammirano quelle che anche in terra sono pesci, animali e volatili; lo scorpione p. e. esprime la costellazione ed il pesce scorpione; l’asinello non solo fa sovvenire di quello trasformato in cielo, ma del pesce chiamato ονον o dell’uccello detto οιωνον.

Giova riferire l’altro passo citato da Ateneo nella favola Mandragorizomena, ossia lo Stupido per l’uso della soporifera pianta mandragora, che si addusse nella nostra opera delle Sicilie. Ecco in qual guisa vi si deridono le contraddizioni degli umani desiderj secondo la nostra traduzione:

Strana oltremodo a voi la razza umana
Forse non sembra, che di opposti voti
Solo si pasce? I forestieri acclama,
E i patriotti poi sprezza e i congiunti:
Fasto e ricchezza in povertate ostenta:
Con scarsa mano, o con maligno oggetto,
Spinto da vanità, non da virtute,
Grazie l’uom versa e doni. In quanto al cibo
Nel medesimo dì bianchi i brodetti
Indi neri gli vuol: se l’acqua è fredda,
Tempesta e grida, e poi vuol ber gelato,
E che apprestin la neve a’ servi impone.
Il vin raspante d’acidetto gusto
Co’ primi labbri ei delibar disdegna,
Poi mattamente barbare bevande,
Acetose, fumose, agre, putenti,
Birra, cervogia, e ponce, e rac tracanna. 1
Ab non senza ragion dissero i saggi,
Bello è non esser nato, o tosto almeno
Uscir d’impacci e abbandonar la vita.

Ci si permetta aggiungere da noi recato in italiano l’altro frammento rapportato da Sozione Alessandrino, che pure trovasi in Ateneo della favola Ασωτιδασκαλος, ossia Magister luxuriae, che può equivalere in certo modo all’Homme dangereux del Palissot, o al Mechant del Gresset:

Non lasci tu di rompermi la testa
Col nominar sì spesso Odeo, Liceo,
Congressi di Termopile, e cotali
Filosofiche ciance, ove di bello
Nulla si scerne e d’increscevol molto?
Beviam, torniamo a bere, e insin che lice
Senza noja viviam: d’inutil cure
Non si opprima la mente. Ah non vi è cosa
Più del ventre gioconda. Ei sol ci è padre,
Ei madre, ei tutto. La virtù, il dovere,
Eccelsi gradi, ambascerie, comandi
Di eserciti, vocaboli pomposi,
Vanità, fasto, nulla han di reale,
E dopo un velocissimo romore
Passano, al par de’ sogni, in sen del nulla.
L’ora fatal sopravverrà bentosto;
E t’avvedrai che, del mangiare e bere
Tranne il diletto, nulla al fin rimane.
Cimon, Pericle, Codro oggi son polve.

ADDIZIONE XII*
Passo di Filemone seniore tradotto.

Noi recammo nell’opera delle Sicilie uno squarcio del comico Filemone il maggiore tratto dalla commedia del Soldato da noi tradotto, e quì fia bene riferirlo, perchè non s’abbia a rintracciare altrove. Appartiene a un cuoco che si applaude del proprio mestiere e della delicatezza usata in arrostire un pesce:

Vivo ancora parea benchè arrostito.
Non si può concepir con qual misura
Gli sottoposi il foco! E che ne avvenne?
Che, come, se rapisce un buon boccone
Correndo in giro cerca la gallina
Dove sicura il becchi, e intanto celere
La segue un’ altra, ed essa più si affretta,
Non altramente chi si avvenne il primo
Nella delizia del prezioso pesce
Ghiotto saltella col bel tondo stretto,
E fugge intorno e ’l van seguendo gli altri.

ADDIZIONE XIII*
Frammento di Filemone giuniore tradotto.

Non increscerà vedere anche di Filemone il minore un curioso frammento rimastoci della sua commedia il Mercatante tradotto da Grozio in latino, e da noi volgarizzato:

A. Questa legge fra noi regna in Corinto.
Se alcun veggiam che prodigo banchetti,
Gozzovigli alla grande, interroghiamo
Tosto chi sia, che ordisca, di che entratæ
Ei si mantenga. Se avvien che fornito
Sia di mezzi da spender senza modo,
Lasciam che a suo piacer tripudj e spenda.
Se poi troviam, che oltre il poter profonda,
Ben tosto gli si vieta; e se al divieto
Non obedisca, gli s’impon la multa.
Chè se nulla ei possegga, e così splendida
Vita pur meni, incontanente al boja
E’ consegnato, e posto alla tortura.
B. Alla tortura? A. Senza dubbio. E parti
Che a quel modo colui senza delitti
Viver potrebbe? Intendimi tu bene?
Egli o di notte ruba, o fa la vita
De’ vagabondi, o di cotal genìa
Complice è certo, o giuntatore, o vende
L’opera sua per attestare il falso.

ADDIZIONE XIV*
Sul Teatro Siracusano ed altri.

Singolarmente pregevoli si reputano i ruderi esistenti nel teatro di Siracusa chiamato massimo da Cicerone contro Verre, cui a giudizio di Diodoro Siculo cedeva anche il teatro di Agira sua patria che egli appellò il più bello della Sicilia1. Leandro Alberti vide nel sito ove era Acradina e Tica alcuni pochi rottami di questo superbo teatro tagliato nel sasso2. Il dottissimo conte della Torre Gaetani ne distingue con più esattezza le parti che ne sopravvanzano, ed il sito. Vedevasi (dice quest’insigne letterato3) situato in parte eminente, donde si scoprivano le città di Napoli, Ortigia ed Acradina bassa, i due porti, i fiumi, i fonti, i laghi, le campagne adjacenti; ed era lavorato ed incavato nel macigno naturale. Di figura semicircolare arriva il suo diametro a quaranta canne Siciliane; e si scorge dagli avanzi chiaramente che era diviso in tre ordini tagliati da otto cunei equidistanti. Nè della scena, nè delle colonne e de’ fregi che l’adornavano, rimane verun vestigio.

Merita tralle reliquie di questo teatro particolare attenzione il più basso scalino della gradinata di mezzo. Vi si erano osservate queste lettere greche ... ΚΛΕΟΣ .. ΡΑΤ ... ΦΡΟΝ, logore e guaste, e perciò non mai si curarono. Riuscì al prelodato conte Cesare Gaetani nel 1756 di scoprire nella parte opposta in faccia al levante quest’altre lettere belle ed intere, ΒΑΣΙΛΙΣΣΑΣ ΦΙΛΙΣΤΙΔΟΣ (Reginae Philistidis) che non improbabilmente potrebbe credersi una regina che dominò in Siracusa, e forse a suo tempo si eresse il teatro1. L’esistenza di al regina de’ Siracusani si compruova con un gran numero di medaglie registrate nell’edizioni della Sicilia Numismatica fatta dall’Agostino, dal Majer, dall’Avercampio. Il co: Gaetani molte ne ha vedute di argento, e solo alcuna di rame. Il Torremuzza (nelle Medaglie antiche di Sicilia del 1781) altre ne reca tutte di argento, che rappresentano Filistide in varie età, giovanetta, matura, vicino alla vecchiezza, e vecchia affatto e rugosa.

Oltre de’ teatri di Siracusa e di Agira, abbiamo con qualche particolarità rammentato altrove* quelli di Palermo, di Agrigento, di Catania, di Messina, di Segesta, di Taormina.

Similmente degni sono di ricordarsi i teatri di Taranto, di Crotone, di Reggio e di altre città della Magna Grecia. E soprattutti memorabili sono gli antichi teatri di Capua, di Nola, di Pozzuoli, di Minturno, di Pesto, di Pompei, di Erculano e di Napoli. Si è fatto pur menzione nell’opera medesima e nella seconda parte del Supplimento del teatro di Venosa, secondo l’Antonini, sacro ad Imeneo, di quelio de’ Marsi in Alba Fucense, e di quelli di Baja e di Alife e di Sessa.

Vuolsi dagli eruditi Lancianesi che in Ansano, oggi Lanciano, si eresse un teatro su di un colle all’occidente in un trivio non lontano dal Tempio di Apollo, che poi verso il 1227 si convertì in una chiesa dedicata a Maria Vergine sotto il titolo dell’Assunta. Essi ci attestano che in una orazione di mons. Sebastiano Rinaldi, e nelle opere inedite di Giacomo Fella e di Pietro Polidoro se ne fa sicura menzione, aggiungendo che anche nel secolo XVI n’esisterono varj rottami. Tralle ruine di un tempio dedicato, come si crede a Bacco, il medesimo Polidoro assicura di aver trovata la seguente iscrizione:

Q. Aurelius Mitranus C.F.P.N.
Porticum restituit Gradus fecit,

la qual lapida verisimilmente appartenne ad Ansano1.

[Errata]

In fine delle riferite Aggiunte al Tomo I libro I uopo è soggiungere i seguenti errori corsi nella prima edizione napoletana colle correzioni.

ERRORI CORREZIONI

Pag. ix, lin. 6. colui che non paventa

colui che ne paventa

Pag. x. lin. 12. comprese in cinque volumi oltre di un’ appendice

comprese in sei volumi

 

Pag. xvi lin. 3. per non eccedere i cinque volumi

 

 

per non eccedere i sei volumi