(1798) Addizioni alla Storia critica de’ teatri antichi et moderni « PARTE I — LIBRO IV » pp. 55-66
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(1798) Addizioni alla Storia critica de’ teatri antichi et moderni « PARTE I — LIBRO IV » pp. 55-66

LIBRO IV

ADDIZIONE I*
Coro del Ciclope del Martirano.

Non increscerà che quì si trascriva il coro dell’atto I del Ciclope del Martirano da noi tradotto, perchè non abbia a cercarsi altrove:

Itene al fonte, o capre, ite agli ascosi
Folti recessi de le ombrose selve.
Alto già il sol saetta, e secca i fiori.
Deh qual nume m’invidia i freschi spechi,
E il verde prato del fiorito Pindo?
Lungo un ruscello, o in valle opaca assiso,
Cinto le tempia di frondosi rami
D’alta quercia o di pino, io giacerei.
Mira di qual caligine il fumoso
Etna l’aere riempie, e il dì ne invola:
Quai sassi avventa . . . Ove fuggite? O insane
Bestie, forse del tutto è spento il giorno?
Ancora? . . . Ite pel lido . . . oh maledette:
Precipitose per scoscese balze
Cadranno in mare! . . Cisseta, sei pure
Nato di docil padre e da le mamme
Di generosa capra al fin pendesti:
Perchè gli stolti impauriti armenti
Degenere non segui, e lasci il prato,
E in tondere ti perdi irsuti dumi?
Oh come, o ninfe, per le minacciose
Fiamme rosseggia il mare! ..... E questo pazzo
Gregge va pure errando! E chi potrebbe
Travalicar si paludoso campo?
Ancora? ancor? .... Chè sí che un piè gli spezzo
Con questo ciotto. Io spargo al mar le voci
Vedi l’onde, Cimeta, ecco gli scogli . . .
No? per dio ti avvedrai, s’io dormo, o selci
Mancano in queste rupi . . . Ove il cornuto.
Irco s’è rintanato? E’ stato sempre
Suo vezzo antico il gir lontan dal gregge.
Caparbio! in ver non sei da te diverso.
Il favor del padron gonfio ti rende;
Perchè ti liscia, ti vezzeggia, e pettina,
Perchè di propria man ti lava al fonte.
Ma via, se punto hai di pudor, discendi,
Mostrati al fin: te seguirà l’armento.
Alte son quì l’erbette, un’ aura grata
Agita, lievemente susurrando,
I fronzuti arbuscei: d’alto discende
Spicciando l’acqua, e un roco mormorio
Lascia al passar da un sassolino a l’altro.
Ma quai latrati ascolto? su, Melampo,
Mastini, al monte . . . oimè! lupo proterve
Insanguina la bocca in qualche capra,
E la rapisce . . . Ahi! me l’empio Ciclope
Divorerà di poi, o in mezzo a l’onde
Mi scaglierà da la più eccelsa balza.
Deh qual parca crudel noi sventurati
Di sì spietato mostro a l’ira espone?
O Bacco, o dolce nume, ove ti aggiri?
In qual valle satollo il fianco adagi
Lasso dal carolare? Il tuo corteggio
Certo obbliasti, e già dal cuor ti cadde,
Se del crudo al furor tal l’abbandoni,
Se soffri che di pelli ricoperto,
Scalzo le piante, guardian di capre,
Prema de l’Etna le taglienti selci.

ADDIZIONE II*
Traduzione del lamento di Elettra del Martirano.

La trascriveremo per non rimandare il leggitore ad un’ altra nostra opera:

Urna diletta e cara, ahi! scarse troppo
Reliquie, amate ceneri d’Oreste;
Tal, germano, a me riedi, e tal ti veggio?
Tolto a le insidie del paterno tetto
Per me tu fosti, e vigoroso e forte
Fuor ti mandai, polve or quì torni ed ombra!
Chè non moristi allor pria ch’al materno
Minaccevol sembiante io t’involassi,
Comune almen col genitor l’avello
Avuto avresti; or dal mio grembo lungi,
Lungi dal patrio suol, misero, cadi!
Nè lice a me da la squarciata spoglia
Tergere il sangue, od ungerla, o l’errante
Ombra invocare a’ freddi marmi intorno,
E l’onda nera de le stigie rive
Varchi non pianto! Oh mal vegliate notti,
Oh cure vane! Io ti educai più pronta,
Gelosa più di chi suggesti il latte;
Non che germana, io ti fui balia e madre.
Or sì bei nomi un giorno sol m’invola!
Tu tramontasti qual del mare in grembo
Cade nel verno astro propizio, e tutto
In tetro orrore, in atri nembi involvi.
Perduto il padre, ora in te perdo il giorno.
Tu cadi, e lieve pondo in vase angusto
Di te rimane, e al mio dolore insulta
L’empio nemico, e gongola di gioja
La madre, ah non mai madre! al fin sicura,
Nè più ti teme. Ah vindice io sperai
Che venir tu dovessi: un nume avverso
Di te mi rende un’ ombra, un sogno, un nulla.
O stelle infauste! O dolce Oreste, accogli
Ne l’urna tua la desolata Elettra,
Già volta in nulla, che a te vien, che agogna
Teco abitar tra l’ombre lievi e nude.

ADDIZIONE III*
Giudizj sulle commedie del Machiavelli.

Apparisce dalla censura del sig. Andres sulle commedie del Machiavelli di aver voluto egli parlare (stò per dire) di una provincia che non avea visitata. Più grazioso ancora è il giudizio che delle medesime commedie volle dare il sig. Bettinelli “Ben è curioso (egli dice) il legger le lodi date da molti a queste commedie, come se fosser l’ottime del teatro italiano, essendo in vero lor primo merito lo stil fiorentino colle più licenziose e triviali profanazioni del costume onesto”. Curioso sentimento, non profferito però dal tripode delfico. Non hanno dunque le commedie del Machiavelli altro merito che lo stil fiorentino? E perchè mille o duemila altre commedie col medesimo merito dello stil fiorentino fanno sbadigliare, o giacciono sepolte sotto la polvere delle biblioteche? Ma di grazia incresce al censore l’oscenità? E perchè egli parlando della rappresentazione che fecesi in Roma della Calandra del cardinal da Bibiena (assai più licenziosa della Mandragola) dice quasi scusandola, che “i papi, i cardinali e i prelati non si facevano scrupolo d’assistere a quelle licenziosità di gusto antico, perchè consecrate quasi da’ Greci e da’ Latini”? Il profano Machiavelli non poteva entrare a parte di questa medesima indulgenza? E lasciando da banda l’oscenità comune ad entrambe, pensa egli mai che il merito della Calandra sorpassasse quello della Mandragola? Oh di quanto s’ingannerebbe, se ciò pensasse! L’arte, la condotta e la forza comica dell’azione, l’energia e la vivacità del colorito de’ caratteri tratti bellamente dal vero, una grata sospensione, una piacevolezza non fredda, non insipida, non istentata, ma spiritosa, naturale, salsa, obbligano gl’imparziali a distinguere le commedie del Machiavelli dalle intere biblioteche teatrali, ed a collocarle tralle ottime del teatro italiano di quel secolo. Lo stesso sig. ab. Bettinelli, per rendergli giustizia, ciò non dee ignorare; ma egli può noverarsi tra certi eruditi, i quali censurano tal volta più per singolarizzarsi allontanandosi dall’avviso comune, che per intimo senso e per amor del vero e del bello che gli determini ne’ loro giudizj letterarj.

ADDIZIONE IV*
Asserzione del sig. Denina su i drammi de’ Commedianti.

L’Ab. Carlo Denina (Discorso della letter. part. 1, art. 26) afferma che dalla schiera de’ commedianti sogliono per l’ordinario uscir fuori i migliori poeti drammatici; la qual cosa a me sembra che non vedasi verificata in verun paese. Lasciamo stare i Greci, de’ quali non avrà egli certamente preteso parlare, perchè tra questi non vi fu schiera di commedianti, nella quale non entrassero gli stessi poeti, confondendosi gli uni negli altri nel libero popolo ateniese, quando gli autori non mancavano, come Sofocle, di voce e di abilità per rappresentare. Nè anche si verifica la sua asserzione ne’ Latini. Si ha memoria per ventura che i comedi e i tragedi, Roscio, Esopo, Ambivione &c. avessero sulla scena latina prodotte commedie e tragedie eccellenti, superando nelle prime Cecilio, Lucilio, Nevio, Plauto, Afranio, Terenzio, e nelle seconde Cesare, Ennio, Pacuvio, Accio, Varo, Mecenate, Tito Vespasiano, Germanico, Ovidio, Stazio, Seneca? Quanto a’ moderni molto più lontana dal vero parrà la sua proposizione. Quale commediante in Francia (ove se n’eccettui il solo La Nue che compose il Maometto II) ha composte tragedie stimabili? quale che possa porsi in confronto de’ due Corneille, del Racine, del Piron, del Crebillon, del Voltaire? Per le commedie non vi fu tra tanti e tanti commedianti che ne composero eccellenti, se non che il celebre Moliere che colse palme nella scena comica, ed il Dancourt assai debole attore, che pur dee contarsi tra’ buoni autori; là dove contansi fuori di quella classe tanti degni autori di prima nota, come il Des Touches, il Regnard, il DuFreny, il Saint-Foi, il Piron, il Gresset, e cento altri. Qual commediante nelle Spagne (senza eccettuarne Lope de Rueda che fu il Livio Andronico di quelle contrade) si è talmente accreditato che contar si possa tra’ migliori autori al pari del Vega, del Calderon, del Moreto, del Solis, del Roxas &c.? Nella Gran Brettagna si ammirano i due pregevoli autori Shakespear e Otwai che si distinsero pur come attori; ma le loro tragedie e commedie piene di bellezze ugualmente che di mostruosità debbono forse reputarsi migliori di quelle del Dryden, dell’Adisson, del Congreve, di Stèele, di Van Broug, di Wycherley? Garrich che fu l’Esopo dell’Inghilterra come attore, può per li suoi drammi gareggiare co’ nominati? Certo è poi che fra gl’Italiani la decisione del Denina, che sì franco decreta in tutto quel suo discorso, è molto più manifestamente lontana dalla verità. La storia che abbiamo tessuta degli autori tragici e comici del XVI, e de i due seguenti, dimostra l’immenso spazio che separa Ariosto, Bentivoglio, Machiavelli, Bibiena, Trissino, Rucellai, Tasso, Manfredi, Torelli, Bonarelli, Dottori, Caro, Oddi, Porta, Ambra, Secchi ed altri molti, dal Calmo, dal Ruzzante, dal capitan Coccodrillo, dal Lombardo, dallo Scala, i quali o non mai osarono porre il piede ne’ penetrali sacri a Melpomene, o vi entrarono strisciando pel suolo come l’Andreini, e nella stessa commedia consultarono più la pratica scenica e i sali istrionici, che l’arte di Talia ed i passi dati da Menandro e da Terenzio, contenti del volgare onore di appressarsi alle farse e alle Atellane.

ADDIZIONE V*
Imposture nelle edizioni de’ libri.

Due edizioni così vicine inducono a sospettare che le dedicatorie fossero state due, ed una sola l’edizione. A’ nostri dì abbiamo noi pur veduto più di un esempio di simili giuochetti, nè solo in cose letterarie dilettevoli, ma in libri dida scalici e serii. Non vedemmo una parte delle copie impresse di un primo tomo di giurisprudenza feudale dedicata ad un personaggio che dimorava in Palermo, ed un’ altra parte di esse copie indirizzata ad un altro in Napoli? Non si è altra volta procurato di dare ad intendere al pubblico, col cambiare il solo frontispizio di un libro, di essersene multiplicate l’edizioni?

[Errata]

Si aggiungono gli errori tipografici del tomo III colle correzioni.

ERRORI

 

CORREZIONI

pag. 54 Menestrier

 

Menetrier, e così sempre si corregga

pag. 209 fia

 

sia

Occorrendo di reimprimersi questo tomo III si supprima l’avviso segnato nelle pagine 310, 311, e 312, dovendosi ne’ luoghi notati inserire le Addizioni surrisetite.