(1783) Discorso storico-critico da servire di lume alla Storia critica de’ teatri « DISCORSO STORICO-CRITICO. — ARTICOLO XI. Se il Ch. Poeta Cesareo Metastasio imitò, o poteva imitare le Opere di Pietro Calderèn de la Barca. » pp. 140-148
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(1783) Discorso storico-critico da servire di lume alla Storia critica de’ teatri « DISCORSO STORICO-CRITICO. — ARTICOLO XI. Se il Ch. Poeta Cesareo Metastasio imitò, o poteva imitare le Opere di Pietro Calderèn de la Barca. » pp. 140-148

ARTICOLO XI.
Se il Ch. Poeta Cesareo Metastasio imitò, o poteva imitare le Opere di Pietro Calderèn de la Barca.

Un Letterato Spagnuolo mio amico anni sono mi diceva in Madrid, che Metastasio avea imitato alcuna cosa di Calderòn. A me così non pareva, nè egli me ne adduceva prova veruna. Replicai che ciò non appariva dalle Opere del nostro Poeta, e soggiunsi, che sebbene avesse egli succiato qualche mele dagli Antichi, da’ Francesi, e dagl’Italiani, nulla poteva aver tratto da Calderòn. Tale proposizione ch’io feci poi entrare nella Storia de’ Teatri, increbbe allora all’Amico, e vedo che oggi incresce eziandio al Signor Lampillas (p. 232.). Risposta netta alla maniera Spartana. Additatemi quel che ne imitò. Così dissi all’Amico, e così ripeto all’Apologista. Scartabellate pure, Signor D. Saverio, a vostro bell’agio e Calderòn e Metastasio, e rinfacciatemi quelchè il Poeta Italiano imitò dallo Spagnuolo. Non è questa la più diritta via per convincermi? Ma Voi vi dilettate anzi delle tortuose che delle diritte vie, Voi volete conseguirlo per mezzo delle vostre celebri congetture. Vi fondate in un fatto rilevantissimo. Metastasio, dite, conserva nella sua Libreria le Opere di Calderòn. Dunque Signor Lampillas? Dunque le ha imitate? E se vi ci trovaste l’Opere di Lutero, Zuinglio, Melantone, direste che ne siegue la dottrina? Nè anche Zenone formerebbe di sì inestricabili raziocinj.

Ciò basterebbe su tale articolo. Ma il Signor Lampillas mi fa una dimanda, a cui vò soddisfare, imitando

“La gran bontà de’ Cavalieri antiqui.”

“Mi dica, Signor D. Pietro; Non confessa ella, che il Calderòn in certi suoi componimenti, che si appressano più alla Tragedia, ha molti tratti patetici, e degni di attenzione”? Sì bene, Sig. D. Saverio, io il dissi; e perciò? “E perchè (ripiglia l’Apologista) non poteva il Metastasio ricavar questi tratti da Calderòn”? M’ingegnerò di appagarvi. Ma prima che io dica questo perchè, convenite Voi meco in pensare, che da genere a genere corra la proprietà delle due linee che prolongate infinitamente non mai si toccano? Non sono comparabili p. e. Virgilio e il Monaco Berceo, Pindaro e Don Diego de Torres, Anacreonte e l’Autore della Propalladia, Cicerone e Gongora, Tibullo e Vasco de Fregenal, Orazio e la Encina, anzi nè anche Racine e Moliere, Voltaire Tragico e Marivaux Comico. Calderòn e Metastasio si avvicinano come Drammatici in un punto, da cui partendo, a misura che s’innoltrano nel loro cammino rispettivo, si discostano scambievolmente. Quali componimenti ha scritto Metastasio pel Teatro? Opere Eroiche, Serenate, Oratorj sacri, tutte cose musicali. Calderòn ha forse coltivato questo medesimo genere? Non era dunque la miniera, in cui dovea travagliare il nostro Metastasio.

In fatti in che consistono i Drammi Calderonici? In Autos Sacramentales, in Vite di Santi, in Favole Istoriche, in Commedie di Capa y Espada.

I primi, lungi dall’esser fatti per imitarsi, il nostro gran Monarca, ha stimato proibirne la rappresentazione per le buffonate che si mischiavano con sì augusto Mistero, e per le proposizioni assurde, e che sentono qualche temerità, che all’Autore cadevano innocentemente dalla penna1. Converrà il Sign. Lampillas, che il Poeta Italiano mai non avrebbe perdute le ore in tai rifiuti del Teatro Spagnuolo.

Le Vite de’ Santi ripiene di stranezze, di apparenze, di miracoli finti2, di demonj che vi compariscono a stuoli, soggiacquero al destino degli Atti Sacramentali1, nè più si è veduto in iscena El Diablo Predicador, el Purgatorio de San Patricio &c. Volete che da queste Sacre Farse, che contro le Bolle Pontificie narrano prodigj immaginarj, e mettono in bocca del Demonio mille bestemmie contro il Creatore, volete che in questo torbido fonte beva un Metastasio? E per quale inopia di buone acque?

Rimangono le Favole Istoriche. In queste che cosa avrebbe potuto imitare il nostro Poeta? l’arte d’avviluppare e sciogliere, o la locuzione? Calderòn in tali sue favole espone tutta la filastrocca de’ fatti, alterandone bensì le circostanze ad arbitrio, confondendoli con frequenti anacronismi, e colorendo i caratteri, secondochè glie li presenta la propria immaginazione. Egli seguace di Lope o non conobbe, o conoscere non volle i Greci originali, pago di piacere al volgo. Metastasio Allievo di un Gravina ne avea apprese due sane dottrine sceniche, l’una, seguire l’insinuazione Oraziana,

. . . . . . Vos exemplaria Græca
Nocturna versate manu, versate diurna,

l’altra, detestare le irregolarità Lopensi, e Calderoniche, riprese dal suo gran Maestro da per tutto, e specialmente in una delle Lettere Latine scritta nel 1716. al dottissimo Decano di Alicante1. Or come avrebbe il di lui grande Allievo cercato imitare ciò che chiamavasi dal Maestro peste teatrale? Quanto alla locuzione Voi sapete quale essa siasi. Lirica, ampollosa, metaforica, gigantesca, diametralmente opposta alla verità, e alla sublime, sobria, leggiadra, maestosa, graziosa, appassionata delle Opere Metastasiane. La migliore delle Commedie Istoriche di Calderòn è il Mayor Monstruo los zelos. Questa Gelosia produce varie scene tra Mariane, ed Erode, le quali Voltaire, che su tale argomento compose una Tragedia, punto non si curò d’imitare, tuttochè nomini l’Eraclio di Calderòn per rinfacciare al Corneille l’averne tratto il suo. E volea imitarle Metastasio? e seguire ne’ timori di Mariane, e negli argomenti di Erode per dissiparli la loro dialettica, che converte questi due personaggi reali in due discepoli degli Arabi, che pugnano in un Circolo? Avrebbe Metastasio imitata la locuzione della Commedia Las Armas de la Hermosara, ove trovasi deturpata la storia, il carattere di Coriolano, e la Romana gravità? o quella della Favola mostruosa intitolata Fineza contra Fineza? Per non insultare cesso dall’esemplificare più oltre.

E non son questi (dirà già fra se il Sig. Lampillas) i Drammi Calderonici, che si avvicinano alla Tragedia? In questi non trovansi quei tratti patetici da voi accennati? Non potea Metastasio imitarli? non trarne un sentimento, un verso almeno che non fosse mostruoso? Ecco, Signor Apologista, s’io sono ingenuo (checchè vi sforziate far pensar di me alla Nazione). Sì, poteva: vi si veggono di tempo in tempo alcuni lampi d’ingegno, alcune buone pennellate patetiche degne d’osservarsi. Ma Voi che per congruità partecipate alquanto delle miniere Americane, non avete inteso dire, che alcune ve n’ha sì scarse che si abbandonano? Il diligente Bowles non accenna l’istesso di alcune miniere di Spagna? Trovansi in Napoli miniere di argento, che per non fruttificare quanto bisogna alla spesa, si lasciano sotterra. E volete che Metastasio, grande sopra tutti i Calderoni possibili, svolgesse nove gran Volumi di Favole Calderoniche, e sei altri di Autos, per trovarvi qualche verso imitabile? Il fate voi sì povero? il credete un accattatore? Vi pare poi che quei tratti ch’io dico, sieno sì proprj di Calderòn, che altrove, e con molto minor fatica nello scavarli, non si rinvengano? Vò recarvene ancora una ragione più individuale. La lingua, e lo stile necessario a’ componimenti musicali richiede precisione e succintezza, ed esclude lo sfoggio di un’ armonia diffusa lussureggiante. Il Recitativo astretto a posarsi non può seguire l’esuberante fluidità di Calderòn, che spazia per molti versi, quelle rettoriche espolizioni, quelle amplificazioni ridondanti, che costituiscono la di lui gala. Metastasio dunque nulla avrebbe potuto ricavarne, quando anche Calderòn si contenesse nella sobrietà Drammatica, e non cadesse, non dico in pensieri, ed ornamenti Lirici ed Epici, ma in metafore disparate, di cui mi sovviene un certo esempio dell’Auto intitolato la Vacante General,

“Con la pluma de ese remo
 “en el papel de las ondas
 “dexarás tu nombre impresso.”

Arrestato da queste meschinità secentiste, che fanno di un remo una penna, di un mare un pezzetto di carta, in somma che avviliscono gli oggetti proprj con traslati poverissimi, chi si curerà di pescare in uno stagno fangoso, lasciando il vasto mare, e tanti copiosi fiumi ricchi di abbondante saporosa pescagione? Ecco gli ostacoli, che, ad onta de’ tratti patetici che io ammiro nel vostro Poeta, avrebbero impedito il nostro dal trarre mele da questi favi.

E quello spirito elettrico (sento dirvi ancora), quel perchè, che voi, Sig. Napoli, riconoscete in Calderòn, dov’egli è ito? non poteva ravvisarlo Metastasio? Questo spirito, questo perchè, Signor Lampillas mio, consiste singolarmente in una prodigiosa varietà di accidenti accumulati un sopra l’altro, in modo che lo spettatore ne rimanga incessantemente sorpreso. E questo artificio (ne siano poi bene o male preparati gli ordigni) non può convenire a patto veruno a un’ Opera musicale limitata a un’ azione, a un giorno, a un luogo, benchè variato per alcune particolari vedute di esso. L’Opera esige una Poetica differente dalla Calderonica e Lopense, che che voglia l’Apologista insinuare nomando alla rinfusa Tito, Sesto, Annio, Vitellia, Servilia, come se tanti nomi provassero una moltiplicità d’azioni.

E dalle Commedie di Spada e Mantello non poteva il Poeta Italiano ricavar dolce veruno? Quivi poi molto meno. Compone forse Commedie Metastasio, che abbisogni imitare il vostro viluppo romanzesco? Le ammantate, le case con diverse uscite e col comodo di un’ altra contigua, gli amanti nascosti, e simili molle de’ Drammi Calderonici, non si ammettono in un’ Opera Eroica. Molto meno una locuzione bassa o mediocre, qual si permette alle Commedie, poteva essere l’oggetto dell’imitazione del nostro Poeta.

Ma l’Avvocato Linguet non afferma, che se Calderòn fosse Greco, non si nominerebbe senza venerazione? Se Calderòn fosse Greco, soggiacerebbe alla disamina de’ Critici Filosofi, come vi soggiacquero tanti altri Greci, oggi che più non si giura sull’autorità. Ma il Signor Linguet non favella punto degli altri mostri Calderonici, bensì delle Commedie di Capay Espada, che ancor io concorro a lodare, tutto che per lo più gli accidenti si rassomiglino in quasi tutte. Questo però non appartiene alla questione, se Metastasio potesse trarne vantaggio. Oltre a ciò non so come vi possa inspirare tanta fiducia un Letterato terris jactatus, & alto vi superum, intento a corteggiare una potentissima Nazione, la quale per altro ricchissima di vere glorie non cura per risplendere nelle armi nella polizia, e nelle Lettere, di vanti immaginarj, presunti, o stiracchiati a forza di congetture apologetiche. Or che vi pare, Sig. Abate? Le Opere di Calderòn vedute nella Libreria scelta del nostro Poeta Imperiale bilanciano nella vostra illuminata testa le prove riferite?

Resta tuttavia un altro mal passo da travalicare, quello di Pier Jacopo Martelli citato dall’Apologista (p. 234.). Nel Dialogo sulla Tragedia l’Impostore loda i caratteri sforzati della Commedia Spagnuola, i quali hanno elevati (aggiugne) i sentimenti de’ vostri Attori, ed avviliti col paragone quelli de’ nostri. Questi caratteri Spagnuoli quì lodati mettono in brio l’Apologista. Ma egli o s’infinge, o non si avvede, che questo sagace Impostore non dice già de’ vostri Poeti, ma de’ vostri Attori. Ed invero gli Attori pubblici, che non sogliono essere i più delicati rappresentatori, abbisognano di caratteri caricati, sforzati, di tinte forti, per trionfare della naturale rappresentazione de’ Neottolemi, de’ Satiri, de’ Poli, ed altri eccellenti Attori Greci. Questo dice il dotto Impostore, ma voi, Signor Apologista, falsificate l’espressione nelle conseguenze, e in vece di dire Attori, scrivete hanno elevati i moderni Tragici. Dovevate dire Tragedi, cioè Attori Tragici. In oltre questo Filosofo mascherato comincia il suo discorso dal mostrare, che la semplicità amata da’ Greci, da’ Francesi, e da’ buoni Italiani, non si amò dalla Nazione Spagnuola, che si fondò nel viluppo romanzesco. “E siam d’accordo (soggiugne nella Sessione I.) che un tal viluppo ha il suo pregio intero nelle Commedie . . . . ma non l’ha nelle Tragedie, il cui viluppo dee esser semplice, e naturale... Lodiamo dunque il genio Spagnuolo negl’intrecciamenti maravigliosi, purchè com’è ingegnoso il viluppo, lo scioglimento sia naturale, e questa è la spina, che per lo più guasta la fioritura delle loro vaghe invenzioni”. Non concede dunque agli Spagnuoli il pregio di avere elevati i sentimenti de’ Tragici moderni (come con un colpo di penna franca cambia il Sign. Lampillas), ma de’ moderni Attori; e di più rigetta il viluppo delle Favole Spagnuole per le Tragedie. Or come volete, caro Sig. Abate, che Metastasio impari da esse a ravviluppare, inviluppandosi nelle vostre spine?