(1764) Saggio sopra l’opera in musica « Saggio sopra l’opera in musica — Introduzione »
/ 1560
(1764) Saggio sopra l’opera in musica « Saggio sopra l’opera in musica — Introduzione »

Introduzione

[Intro.1] Di tutti i modi che, per creare nelle anime gentili il diletto, furono immaginati dall’uomo, forse il più ingegnoso e compito si è l’opera in musica. Niuna cosa nella formazione di essa fu lasciata indietro, niuno ingrediente, niun mezzo, onde arrivar si potesse al proposto fine. E ben si può asserire che quanto di più attrattivo ha la poesia, quanto ha la musica e la mimica, l’arte del ballo e la pittura, tutto si collega nell’opera felicemente insieme ad allettare i sentimenti, ad ammaliare il cuore e fare un dolce inganno alla mente. Se non che egli avviene dell’opera come degli ordigni della meccanica, che quanto più riescono composti, tanto più ancora si trovano a guastarsi soggetti.

[Intro.2] E però non sarebbe maraviglia se cotesto ingegnoso ordigno, fatto di tanti pezzi com’egli è, non sempre rispondesse al fin suo, ancorché a ben unire e a congegnare insieme ogni suo pezzo, venisse posta da coloro che il governano tutta la diligenza e tutto lo studio. Ma di tanti pensieri, quali a ben ordinare un’opera in musica sarebbono necessari, non si danno gran fatto malinconia coloro che seggono presentemente arbitri de’ nostri piaceri. Anzi se vorremo por mente come pochissimo travaglio ei sogliono darsi per la scelta del libretto, o sia dell’argomento, quasi niuno per la convenienza della musica colle parole, e niuno poi affatto per la verità nella maniera del cantare e del recitare, per il legame dei balli con l’azione, per il decoro nelle scene, e come si pecca persino nella costruzione de’ teatri, egli sarà assai facile a comprendere qualmente una scenica rappresentazione, che dovrebbe di sua natura esser tra tutte la più dilettevole, riesca cotanto insipida e noiosa. Colpa dello sconcerto che viene a mettersi tra le differenti parti di essa, d’imitazione non resta più ombra, svanisce in tutto la illusione che può nascer solamente dall’accordo perfetto di quelle; e l’opera in musica, una delle più artifiziose congegnazioni dello spirito umano, torna una composizione languida, sconnessa, inverisimile, mostruosa, grottesca, degna delle male voci che le vengon date e della censura di coloro che trattano il piacere da quella importante e seria cosa ch’egli è40.

[Intro.3] Ora chi ponesse l’animo a restituire all’opera l’antico suo pregio e decoro, gli converrebbe, prima di tutto, metter mano a una impresa non so se più difficile a riuscirne o a pigliarsi più necessaria. E questa si è regolare con buoni ordini lo stato musicale, a parlar cosi, e porre i virtuosi, come erano negli andati tempi, sotto disciplina e governo41. E di vero, quand’anche sensatamente scritto e composto fosse un dramma, come verrà egli eseguito dipoi, se non è per niente ascoltata la voce dei capi? E come potrà egli essere sensatamente composto e scritto, se quegli che dovrebbono ubbidire sono pur essi che dettan leggi e comandano? Qual cosa in somma si può egli aspettare che riesca di buono da una banda di persone dove niuno vuole stare nel luogo che gli si appartiene, dove tante soperchierie vengon fatte al maestro di musica, e molto più al poeta, che dovrebbe a tutti presiedere e timoneggiare ogni cosa, dove tra’ cantanti insorgono tutto dì mille pretensioni e dispute sul numero delle ariette, sull’altezza del cimiero, sulla lunghezza del manto, assai più mal agevoli ad esser diffinite, che non è in un congresso il cerimoniale, o la mano tra ambasciadori di varie corone? Somiglianti abusi converrebbe innanzi tratto toglier via, onde al poeta singolarmente fosse ridato quel freno che gli fu tolto ingiustamente di mano, e co’ più vigorosi provvedimenti saria mestieri ogni cosa riordinare e correggere. Che già niun legislatore non si metterà a dar nuove leggi in uno stato sconvolto, se prima i magistrati non vengano rimessi in autorità; né si accosterà un capitano al nemico, se non abbia prima dal suo esercito sbandita la licenza e il disordine. Ma chi si farà capo di tale impresa? Altre volte presiedeva al teatro un corago o un edile, e ogni cosa vi procedeva con quell’ordine che si conviene, quando le antiche repubbliche intendevano per via delle sceniche rappresentazioni di accendere il popolo alla virtù o di tenerlo almeno divertito per la quiete dello stato. Al presente il teatro è in mano d’impresari che non altro cercano se non trar guadagno dalla curiosità e dall’ozio di pochi cittadini, non sanno il più delle volte ciò che fare si convenga, o atteso i mille rispetti che sono forzati di avere, nol possono mandare ad effetto. Sino a tanto che non mutino le cose inutile è ogni discorso, ogni desiderio è vano. E come mutar potriano, salvo se nella corte di un qualche principe caro alle Muse presiedesse al teatro un abile direttore, in cui al buon volere fosse giunta la possa? Allora solamente saranno i virtuosi sotto regola e governo; e noi potremmo sperare a’ giorni nostri di veder quello che a’ tempi de’ Cesari e de’ Pericli vedeano Roma ed Atene.