(1783) Discorso storico-critico da servire di lume alla Storia critica de’ teatri « DISCORSO STORICO-CRITICO. — ARTICOLO XV. ed ultimo. Conchiusione con pochi Avvisi amorevoli agli Apologisti. » pp. 214-236
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(1783) Discorso storico-critico da servire di lume alla Storia critica de’ teatri « DISCORSO STORICO-CRITICO. — ARTICOLO XV. ed ultimo. Conchiusione con pochi Avvisi amorevoli agli Apologisti. » pp. 214-236

ARTICOLO XV. ed ultimo.
Conchiusione con pochi Avvisi amorevoli agli Apologisti.

E quì termina per me l’ultimamente uscito Volumetto del Saggio Apologetico, di cui la maggior parte s’impiega contro la Storia de’ Teatri, al quale rispondendo credo di non aver dato occasione all’Apologista di lagnarsi, come ha fatto degli altri Italiani, che abbia dissimulate le di lui ragioni. Pare ch’egli prepari un altro Volumetto per il secolo trascorso, e forse anche un altro ne destinerà al XVIII. Io che ho replicato presentemente, per quanto prevedo me ne asterrò per l’avvenire, sicuro della mia retta intenzione, e de’ fatti scenici che riferisco, contro de’ quali, per la conoscenza che tengo del vostro modo di disputare, son certo che voi non opporreste, che congetture cavillose, e passi particolari rubacchiati quà e là, o stiracchiati, o troncati. Prendo dunque da voi commiato. Ma poichè con tanta garbatezza v’ingegnaste di dissipare certi miei Pregiudizj con un ben lungo paragrafo, e mi correggeste gl’importantissimi errori di Critica, e di Storia, cioè l’aver chiamati Colloquj Pastorali tutte le favole del Rueda, quando egli fece anche alcune commediole, e l’avere collocato nel secolo XV. Luis de la Cruz, io che mi pregio di esser grato, non potendo in altra guisa, vi ricambierò con alcuni pochi Avvisi amorevoli. Fornito come siete di tanta dottrina, erudizione, e buon gusto, e sopratutto di ottima morale, forse non ne abbisognerete punto. Ma voi a guisa de’ gran Signori gli accetterete con benignità popolare, come i doni villeschi di fiori, e frutta. Il superbo Serse non gradì pure un poco di acqua, non in altro vaso che nelle mani presentatagli da un Villanello? E quando non fossero per voi di uso veruno, potranno essi per avventura giovare a qualche altro, che si sentisse inclinato a scrivere Apologie. Felice se potrò far con essi, o che voi sempre con più vigore assaltiate, ed esterminiate i vostri avversarj, formando della Letteratura Spagnuola un’ Apologia da essere un monumento della vostra sapienza ære perennius; o se potrò almeno rimettere nel buon cammino qualche altro futuro Apologista traviato, sendo questo uno de’ benefizj chiamati innoxiæ utilitatis, che la Natura c’insinua di praticare, Ἐις ὀδὸν ἀλὐοντα ἀγε.

AVVISI AMOREVOLI.

I.

Volete sbaragliare senza riscatto i vostri Emuli? Fornitevi pria di ogni altra cosa di fatti antichi, e moderni. Ciò costa, è ben vero, molto travaglio: ma Sofocle faceva dire ad Elettra, πόνου τοι χωρις οὐδὲν ἐυτυκεῖ, Niuna cosa succede felicemente senza fatica. E che possono mai giovare a un Apologista certe sottigliezze, certe illazioni arbitrarie, che sogliono sostituirsi alla verità istorica, soggette a mille eccezioni, a mille risposte? Ma (dirà qualche Apologista) quando scarseggiano i fatti istorici favorevoli, che mi farò io? Abbandonar l’impresa non parrebbe viltà? Anzi a me parrebbe onoratezza. Del resto fate voi, consigliandovi colla vostra onestà. Vi so dire però, che la mina sventata produce strepito senza far danno. La malicia conocida pocas fuerzas tiene, diceva il Maestro Perez di Oliva.

II.

Volete uscire sempre vittorioso dallo steccato? Non entrate mai a cimentarvi su certe materie, che forse non vi sarete curato di coltivare per tempo, e che oggi vi riescono straniere:

Scribendi recte sapere est & principium, & fons, diceva Orazio. Perdonatemi questa insinuazione; ma siate certo, che il Mondo è persuaso della verità del motto Virgiliano: Non omnis fert omnia tellus. Se io quì parlassi a dirittura all’Autore del Saggio, gli direi così: Sovvengavi, per non aver tenuto presente questo Avviso, a quanti equivoci soggiaceste su i Teatri Greci, e Romani a proposito del Saguntino: sulla immaginaria Drammatica de’ Moro-Ispani: sulla creduta mancanza d’invenzione nella Sofonisba del Trissino: sul negare che fossero Traduzioni le Tragedie del Perez: sulla infelice difesa che imprendeste della Isabella dell’Argensola: sulla vostra novella foggia di conteggiare, che io ho chiamata apologetica, a cagione delle Mille Tragedie del Malara, delle azioni dell’Ecuba &c.: sul giudizio che portaste di Rapin: sugl’inventori della Pastorale: su i Pregiudizj attribuiti al Signorelli, che in fatti sono vostri errori di Storia di Critica: sulla sognata decenza delle favole Lopensi, e Calderoniche: sulla possibile imitazione di un Metastasio delle Opere di Calderòn: sul vostro falso modo di ragionare dell’Opera Italiana: sulle Tragedie divine della Caverna di Salamina: sul passo di Orazio, in cui prendeste per rappresentazioni teatrali difettose l’Orso, l’Elefante bianco, i Pugili, i Gladiatori, la pompa de’ Trionfi, e tutti i Giuochi del Circo, e dell’Anfiteatro. Meglio adunque riuscirete, attenendovi a quelle materie, che conosceste di buon’ ora, e coltivaste per lungo tempo.

III.

Volete evitare di compromettervi (dico ad ogni Apologista)? Non ispedite di leggieri patenti di eruditissimi a certuni, di cui o non ben conoscete il fianco debole, o conoscete bene, che non meritano tanto. Questa condotta vi pone fra due scogli, o di parere adulatore interessato, o di accreditarvi per ignorante. Nel primo caso vi chiuderanno la bocca col verso di Boileau:

“La verité n’a point cet air impetueux:”

nell’altro vi mireranno con occhio di pietà, cantando l’altro verso del medesimo Critico:

“Un sot trouve toujours un plus sot qui l’admire.”

IV.

Volete, che i vostri scritti acquistino autorità e rispetto? Non fondate punto le vostre speranze nel dissimulare i fatti, sopprimere le ragioni contrarie, scambiare i termini delle questioni, tradire l’onestà, conculcare la buona fede. Appigliatevi in somma alla verità, non all’astuzia. Agesilao famoso Re degli Spartani, secondo che scrive Senofonte nell’Orazione in di lui lode, “giudicava cosa conveniente, che l’autorità de’ Re dovesse essere notabile per bontà, non per astuzia”. Or quanto più ciò conviene a’ privati, i quali altro capitale non posseggono, che l’onestà? E lasciando a parte i rimproveri della propria coscienza, e il deterioramento della riputazione presso il pubblico, si dee poi riflettere, che parlando in tempo, che gli avversarj vivono, e mangiano, e beono, e agiscono, essi per diritto di difesa non ometteranno di notare le vostre petizioni di principj, ignorazioni dell’elenco, i circoli viziosi, le anfibologie, e in oltre i fatti soppressi, i passi degli Autori stiracchiati, le congetture sofistiche, e allora il credito va tutto in fumo, e cadono al piano le apologie, e gli Apologisti.

V.

Volete dar mostra di vero patriotismo? Compatite i difetti nazionali, ma non gli sostenete; altrimenti farete due mali, scemerete a voi stesso il credito o per parte dell’intendimento, o per parte della volontà, e perpetuerete gli errori nazionali. In fatti se p. e. i vostri migliori Letterati, a forza di scrivere e declamare, hanno svegliati i compatrioti a comporre a’ nostri dì più di una Tragedia ragionevole, perchè volete voi raffreddarne l’ardore col difendere gli spropositi degli altri secoli? E che importa a voi che si dica, che i vostri paesani abbiano cominciato tardi a risorgere, purchè comincino e prosieguano bene? Dalla metà del passato secolo solamente cominciarono i Francesi, ma con tal felicità, che sono diventati i modelli, e la misura de’ voti degli altri Popoli. Dal 1730. e non prima, hanno cominciato gli Alemanni, e sì bene, che già se ne ammirano molti felici frutti teatrali. E per qual crudeltà, per qual capriccio voi solo vorreste, che il Teatro patrìo continuasse nell’antico stato?

Una Nazione non abbisogna nè di stupidi panegiristi, nè di satirici esageratori: questi la irritano, quegli l’addormentano. Palliare le di lei necessità letterarie, economiche, politiche, militari, alimentarne i volgari pregiudizj, perpetuarne il letargo, è lo stesso che volerne essere a bello studio piaggiatore, cioè nemico tanto più pernicioso, quanto più occulto. Mostrarle acconciamente i proprj bisogni, cercarne le sorgenti, proporre le vie di minorarli, è prestarle uffizio di vero Amico. In tutte le Nazioni, che si sono rendute illustri, si sono in tal guisa condotti i loro Filosofi, i veri amatori della Patria. Se non si manifestano le piaghe, come volete che si curino? Così hanno fatto i gran Letterati, i buoni Cittadini, i Filosofi Spagnuoli. Questo è lo studio del Segretario dell’Accademia di San Fernando. Un pajo di Tomi del suo Viage de España valgono più di ventimila Volumi Apologetici: dapoichè questi (bisogna confessarlo) sono totalmente inutili, anzi dannevoli, perchè fomentano la desidia; quelli inspirano ne’ paesani l’amore dell’Agricoltura, la conservazione de’ Boschi, la piantagione degli alberi tanto necessaria e tanto abborrita dalla nazione, lo spirito d’industria, l’abbellimento delle Città, il vero gusto delle Arti. Qual prò è ridondato alla Spagna dalle lusinghiere Apologie? Il Mondo si stà come stava. Ma il Viage de España, riprendendo, motteggiando, additando gli errori, inculcando l’emenda, ha saputo destare la nazione, stimolare i Parochi, e i buoni Prelati a piantare, a coltivare, a cominciare la guerra contro la cattiva Architettura degli Altari di legno dorato pieni di stravaganti fogliami, di hojarascas, di mamarrachos, i quali in vece di adornare le Chiese, v’introducono una specie di ridicolo. Così si mostra amore nazionale, e spirito di patriotismo. Sieguano dunque gli Apologisti sì belle scorte, in vece di proteggere los mamarrachos, le barbarie teatrali.

Se Filippo V. avesse costantemente conservato il sistema seguito nel Commercio, riguardo all’America, sotto il II. il III. e il IV. Filippo, e sotto Carlo II. avrebbe potuto animarlo in parte, e vedere non più le monete di cuojo, ma le specie de’ metalli preziosi circolare per la Spagna? Se nel di lui Regno Bernardo Naranjo, Bernardo Ulloa, Geronimo Ustariz, dotti Filosofi Economisti Spagnuoli, avessero composte Apologie della condotta tenuta sotto i Monarchi Austriaci, in vece di mostrarne gli errori, e d’indagare le origini della decadenza delle manifatture, del Commercio, della Marina, sarebbero stati i forieri degli odierni utili stabilimenti?

Se il gran Carlo III. avesse continuato, seguendo le orme degli antecessori, a tener chiusa la communicazione dell’America colla Spagna: se non l’avesse aperta sin dal 1764. con i pachebotti, o vascelli corrieri, che si spediscono ogni primo giorno del mese colle lettere dalla Corugna all’Avana e a Porto-ricco, e quindi con altri piccioli legni alla Vera-Cruz, e a Porto-bello, e poi colla Posta a’ Regni di Terra-ferma, Granata, Perù, e Nuova-Spagna, potrebbe mai aver luogo il piano di ampliare il Commercio Spagnuolo? Se l’istesso nostro Monarca non avesse secondata questa prima felice operazione colle altre, p. e. permettendo a’ suoi Vassalli un libero Commercio alle Provincie Americane, alleggerendo varj gravosi dazj posti su i generi portati in quelle Contrade, e stendendo la corrispondenza, e il traffico parimente di una Colonia coll’altra, e della Nuova-Spagna colle Filippine, si sarebbe ad occhi veggenti scorto il miglioramento del Commercio Spagnuolo1?

Se la Spagna fosse stata da qualche Apologista animata a conservare l’antica inazione per i fondi commerciali, l’Agricoltura e le Manifatture, vi si vedrebbero ora tanti oggetti di stupore, e tanti motivi d’immortali applausi per il glorioso MONARCA che oggi la felicita? Vi fiorirebbero tante Società dirette principalmente a promuovere la coltivazione e l’industria, come la Vascongada, quella di Baeza, e l’Economica di Madrid sotto il dolce nome de los Amigos del Pais, come altresì le Accademie, che riguardano al medesimo oggetto, cioè quella di Siviglia, di Barcellona, di Vagliadolid, e di Galizia? Vi si sarebbero construtti i Ponti superbi e necessarj, i pubblici camini comodi e magnifici, non solo da Madrid al Pardo, ad Aranguez, e all’Escoriale, ma quello stupendo di Sierra-Morena, ed altri di Alaba, Guipuscoa, e Biscaglia, e delle Provincie di Valenza, Galizia, e Catalogna: opere degne della Umanità, opere che assicurano, non che i beni, le vite de’ Popoli per tanti anni distrutte dall’intemperie dell’inverno, dalle inondazioni de’ fiumi e torrenti, e dalla frequenza degli assassini? Vi si vedrebbero per real determinazione sin dal 1767. popolati i feraci pingui territorj di Sierra-Morena tra la Mancia, e l’Andalusia colla fondazione di undici Villaggi, e cinque Casali, di cui la Capitale è la dilettosa Carolina che rallegra i Viaggiatori con tante verdi ricchezze della terra, che ora vi abbondano; vi si vedrebbero popolati ancora i terreni, che dividono i Regni di Cordova, e Siviglia, co’ quattro Villaggi e quindici Casali, che prendono il nome di Popolazioni di Andalusia, de’ quali è capitale la Carlotta?

Secondando queste Reali mire il celebre Conte Campomanes, Autore del noto Giudizio imparziale, e di altre dotte produzioni, ha arricchita la Spagna dell’Opera preziosa sulla Industria Popolare. Per altra via intento a dissipare l’antico letargo, concorse co’ suoi scritti a migliorare, e rischiarare i paesani il celebre Don Jorge Juan, ed oggi veggiamo con piacere aperte per la Spagna Scuole non rare di Matematiche pure e miste, di Nautica, di Astronomia, di Architettura Militare per le Accademie de’ Cadetti situate in Barcellona, nel Ferol, in Cartagena, e in Segovia.

Un Gabinetto di Storia Naturale stabilito in Madrid sotto gli auspicj del medesimo Sovrano Regnante, oggi ricchissimo, e da divenirlo ognora più colle produzioni vegetali, minerali, e animali del Nuovo Mondo per la maggior parte soggetto all’Ispana Monarchia, qual guerra non è per fare a’ pregiudicati lodatori temporis acti, qual nuova, qual varia ricchezza di giuste idee non isveglierà nella Nazione?

Un Giardino Botanico, che da Migascalientes mezza lega distante da Madrid, dove era situato, oggi si và trasportando a gran passi nel famoso Passeggio del Prado per farvi nobile vago spettacolo, e insieme per saziare con minore incomodo la bella curiosità degli studiosi, quanti vantaggi non recherà alle Mediche ricerche?

L’entusiasmo per le belle Arti del Disegno, che oggi serpeggia per la Nazione, e l’accende di amore pel vero gusto, non si debbe alla Reale Accademia di S. Fernando, e a’ generosi clamori del di lei Segretario? E senza le ostilità, che incessantemente essa pratica contro gli ornati spropositatissimi e i ghiribizzosi fogliami e le triterie ridicole, quando spereremmo di vedere totalmente atterrate le reliquie della barbara Architettura? E potrebbe ciò sperarsi se un Apologista ignorante di Architettura prendesse a difendere la facciate dell’Ospizio, della Chiesa di San Sebastiano, del Quartiere delle Guardie del Corpo di Madrid, figlie della matta fantasia di Churriguera, che fu il Lope de Vega dell’Architettura?

Sopratutto qual gloria non accrescono al Regno del GRAN CARLO III. gli studj severi riformati sulle novelle scoperte, esperienze, e osservazioni fatte sotto altro Cielo più puro, alle quali si attraversavano sul cammino tuttavia le vestigia delle Arabe Scuole? Ecco aperta la scientifica strada con una Università, che sino a questi dì era stata infruttuosa sin dalla sua fondazione avvenuta nel secolo passato. Ecco che già se ne veggono nobili frutti in tanti ragionatori rischiarati, de’ quali oggi trovasi così gran numero in sì famosa Corte.

Ed ecco il modo di accreditarsi di benemerito della Nazione: secondare le sublimi vedute di sì benefico Monarca, e de’ patriotici zelanti Ministri, che con tanta alacrità e prontezza le mandano ad esecuzione, e de’ Filosofi nazionali, che non cessano dall’indagare sempre più utili sorgenti della ricchezza della Patria nel miglioramento dell’Agricoltura, e del Commercio, donde provengono le forze dello Stato.

VI.

Ma quando pure la vostra vocazione è dichiarata per le Apologie, che ad altri sembrano per ogni banda infruttuose, studiatevi almeno di comporne delle migliori, che dar si possano. E come ciò si conseguisce? Prendendo a trattar buona Causa in ciascuna parte di esse. Per esempio, volendo asserire, che vennero i Greci nelle Spagne, non vi curate di mettere avanti la ignoranza, e la rozzezza de’ primi tempi della Città di Roma per averli discacciati. Roma guerriera non discacciava la Greca Sapienza, della quale cercò anzi di approfittarsi nella compilazione delle XII. Tavole delle Leggi Decemvirali; bensì volle scansare la doppia cavillosa eloquenza di Carneade, che, aringando ora a favore, ora contro della Giustizia, mostrava ingegno, e non sapienza, esempio stimato saviamente da Catone pernicioso pel Popolo Romano. La Sapienza è posta nel Vero che rischiara, non nel falso, e nelle sofisticherie che gettano gl’incauti nelle tenebre. Adunque Roma discacciò ne’ Retori, e ne’ Carneadi la doppiezza, e non, come sinistramente pensa il Signor Lampillas1, la Filosofia, la quale sin dal primo secolo di lei tralusse in Numa Pompilio, ammirato da’ Posteri al pari de’ Soloni, de’ Licurghi, de’ Zaleuci, per aver saputo ingentilire un Popolo feroce co’ riti religiosi, coll’ordine, e colle Leggi. Coloro che rilevano la primera rozzezza de’ Romani non riflettono, che essa non l’impedi di gettare stabili fondamenti per divenire una Nazione grande, e possente?

In oltre quando voi parlate di una sola Città Spagnuola, comparatela con una sola Italiana; ma se vi stendete a tutta la Spagna, dovete riguardare a tutta l’Italia, e non alla sola Città di Roma. Con questo giusto metodo calcolando voi troverete, che mentre i Greci passavano ad alcune Provincie di questa Penisola, e Roma discacciava i Sofisti, più della metà dell’Italia diventava infatti, e non immaginariamente, Greca. E tante furono e sì illustri le Colonie, che dalla Grecia vennero ad abitare i nostri paesi, che Strabone mentova moltissime Città Greche Italiane, così nel continente, come nella Sicilia, le quali erano a’ suoi tempi tutte perite, rimanendone solo le reliquie materiali, e poche Città, come Napoli, Regio, Taranto, le quali per qualche altro secolo continuarono a conservarsi Greche. Con tutto ciò delle celebri Città Italo-Greche ci rimase qualche cosa più preziosa, cioè a dire la memoria gratissima della dottrina di tanti Filosofi, Oratori, Matematici, Musici teorici, e Poeti, ed anche non pochi avanzi de’ loro aurei Libri. Or se, come dice l’Apologista, la Spagna divenne Greca, e crede che potesse dirsi Nuova Grecia, come poi non si sono conservati in tali paesi gli stessi monumenti della Sapienza Greca? Quali Libri si ha notizia, che componessero i Greco-Ispani? Convengo, che allora fioriva nelle Spagne l’Agricoltura, e l’Industria, sapienza volgare pregevolissima. Ma dopo di questi bei passi le Nazioni procedono oltre e coltivano le Lettere, e le Scienze, delle quali ora discorriamo. E benchè non parmi da rivocarsi in dubbio, che avessero gli Spagnuoli dato in essi alcun passo, anche prima del dominio Romano nella Penisola, non perciò si può mostrare, che questo vantaggio ricevuto avessero dal commercio co’ Greci, mancandone i documenti.

Da questo esempio in somma si vuol dedurre, che il buono Apologista dee favoreggiar la Patria nella Buona Causa, in vece di ostentare nelle incertezze, e ne’ punti svantaggiosi un trionfo chimerico col vano suono delle parole. Queste non saranno mai nobili figlie della vera Eloquenza, quando manca loro il sostegno della verità. E come parlare, o scrivere eloquentemente col torto manifesto? Ambiste mai di passare pel Carneade de’ nostri giorni? Ma i Carneadi cavillosi si rigettano, si detestano dove si ragiona. Buona Causa dunque, o Signori Apologisti, se volete fare ammutolire gli avversarj. Oh quanto conferisce una Buona Causa a somministrare agli uomini discorsi eloquenti!

. . . Βροτοῖσιν ώς τα χρηςα πραγματα
Χρηςῶν ἀφορμὰς ένδιδωσ᾿ ἀεὶ λογων;

diceva il piu eloquente Poeta Filosofo, lo Scrittore Tragico della Caverna di Salamina.

VII.

Volete voi tributare alla vostra Nazione un vero omaggio? Mettete sempre alla vista le glorie effettive da lei acquistate, e non mai quelle incerte ed equivoche, che voi le attribuite. Ne darò qualche esempio. Il Signor Lampillas va ruminando1 i materiali della Storia Letteraria di Spagna intorno alla venuta de’ Fenici alle Coste di Andalusia da tempo anteriore a quello di Salomone, e dice: “E’ certo, e incontrastabile il commercio, e lo stabilimento de’ Fenici nella Spagna anteriore assai all’epoca di Salomone; e perciò abbiamo questo non dispreggevole argomento a provare il valore degli Spagnuoli nelle Scienze”. Riflettiamo alquanto su di ciò.

Primieramente conviene osservare, che chi va a mercatare, non è sicuro, che vada ugualmente a comunicare le proprie cognizioni; il che si potrebbe provare con moltissimi esempj. Udite come a tal proposito giudiziosamente discorre un dotto Spagnuolo Regio Professore di Poetica in Madrid1: “Sono inutili tutti i Libri, in cui la Storia Letteraria si dilata per verificare i fatti, e la Letteratura de’ Celti, de’ Greci, e de’ Cartaginesi; imperciocchè l’oggetto di tal travaglio altro non essendo, se non che il mostrare le Scienze acquistate dagli Spagnuoli per mezzo di quelle nazioni, non provandosi che ce le comunicarono, si dura una fatica inutile. E che mai sappiamo noi, che esse c’insegnarono? Nulla in sostanza. De’ Celti dicono gli Autori della Storia Letteraria, che, lungi dall’averci insegnato, è verisimile, che da noi avessero imparato. I Cartaginesi dominarono in Ispagna per ben poco tempo, e sempre con inquietudini e turbolenze; nè poi costa, che c’insegnassero cosa veruna. L’istesso è da dirsi de’ Greci. Or perchè non si afferma il medesimo de’ Fenici? Perchè la venuta di questi si ha da riguardare come l’epoca della istruzione Spagnuola, se non possiamo determinatamente dire, che ci avessero eruditi? Pruove e fatti positivi si ce cano. Non vagliono per nulla, non sono sufficienti a contentarci le deboli congetture, le illazioni volontarie. Vennero, poterono ammaestrarci; ne siegue perciò che in fatti c’instruirono nelle Scienze, e nella Religione?”

Venghiamo ora ad osservare il poco fondamento dell’arrivo sì remoto de’ Fenici nella Spagna. Se questo non si potesse diffinire, se gli Scrittori lo stimassero assai più moderno, il Signor Agologista con troppa sicurezza, senza avere riscontrati gli originali, sulla fede de’ compilatori Cordovesi della Storia Letteraria, par che affermi esser certo, incontrastabile il commercio Fenicio in Ispagna anteriore all’epoca di Salomone. Non si dubita, che i Fenici vi trafficassero: ma non è certa, non è incontrastabile tanta antichità. Il passo di Appiano addotto nella Storia Letteraria è stato tratto dalle traduzioni, e perciò si attribuisce a questo Scrittore l’aver detto, che i Fenici vennero in Ispagna sin da’ primi tempi; là dove egli dice soltanto ἐξ πολλοῦ, o come diremmo in nostra lingua da gran tempo, e come dice nella sua l’Autore della Lettera citata mucho tiempo ha.

Dice poi l’Apologista (p. 7.), che nel Libro del Marchese di Mondejar intitolato Gades Phæniciæ “vien fissata l’epoca della venuta de’ Fenici nella Spagna, verso l’anno 1500. prima dell’Era Cristiana”; che così pensano ancora gli Autori della Storia Letteraria, benchè M. Goguet la ritardi sino al 1250. indi cita M. Paris, M. Pluche, M. Freret, M. Fourmont &c. citazioni ammonticate nella Storia Letteraria. Ora rifletta il Sig. Apologista di quai soccorsi si valga in sì remota antichità! Autori illustri, laboriosi, eruditi; ma Autori di jeri l’altro. E perchè non ricorrere a’ passi originali degli Antichi? Allora sorgerebbero nella di lui mente i dubbj medesimi nati in quella del prelodato Autore della Lettera. Donde son las pruebas (Num. 73.)? que Autor lo afirma? de que hecho se infiere? L’istesso Autore accumula tutte le pruove recate nella Storia Letteraria, indi ne dimostra la debolezza, e le contraddizioni. Si vuole, che Cadice nel tempo sopraccennato fosse stata fondata da’ Fenici Commercianti; si dice poi, che i Fenici venuti in Ispagna furono alcuni Cananei fuggiti dall’usurpatore Giosuè, poveri, raminghi, miserabili, secondo l’Iscrizione di una Colonna trovata in Tanger. Ma se tale Iscrizione è genuina, ci dice che si fermarono in Africa, e non Ispagna; nè quindi si ricava la fondazione di Cadice. Si dubita parimente, che Cadice sia fondazione Fenicia, per quel che dice Sallustio ne’ Frammenti, cioè che non la fondarono, ma le mutarono il nome di Tarteso in quello di Gadir. Tarteso (aggiugne il citato Professore di Poetica) la chiama ancora Erodoto, il quale asserisce che i Samj furono i primi ad approfittarsi delle Fiere di Tarteso. Ora se i Samj furono i primi, se queste Fiere, questi Emporj non erano sfiorati, o frequentati da altri, come dinotano le parole ἐμπόριον ἀκήρατον, i Fenici furono posteriori alla venuta de’ Samj, e così la loro venuta di 1500. anni prima di Cristo va a rovinare. Di più, oltre a Cicerone, e Valerio Massimo, dice Appiano, che regnava in Cadice Argantonio in tempo, che tal Città si chiamava Tarteso, e non Gadir come poi la dissero i Fenici. Ora se vi regnava Argantonio, e secondo Erodoto questi vi ammise i Focesi, forza è che la venuta de’ Fenici in Ispagna, e il possedere nella Costa di Andalusia alcuni paesi, come dice Appiano, siano cose assai più moderne, e che quel numero d’anni 1500. prima di Cristo diminuisca di due terzi, e diventi almeno 550. Giustino poi non ammette tal dominio Fenicio, e scrive, che i Cartaginesi furono i primi, che dopo i Re naturali ottennero l’imperio di quella Provincia, introducendovisi con motivo di soccorrere i Gaditani oppressi da’ loro vicini. Da ciò risulta, che più recente ancora fu lo stabilimento de’ Fenici in quella Costa, mentre i successi narrati de’ Cartaginesi coincidono col III. secolo, prima dell’Era Cristiana.

Poste tali cose, e riflettendo che nella stessa Storia Letteraria si confessi, che gli Autori profani non determinano il tempo, in cui i Fenici fecero in queste Coste i loro primi viaggi, come mai dice il Signor D. Saverio Lampillas, che è certo, è incontrastabile, che essi vi vennero 1500. anni prima di Cristo1? Di poi da qual fatto, da qual monumento, da quale Autore si deduce, che verisimilmente le Colonie Fenicie stabilite in Ispagna vi portarono l’amore delle scienze, e delle arti, e lo comunicarono agli Spagnuoli divenuti Fenici? E se verisimilmente soltanto egli il congettura (ad onta pure di tante incertezze), come poi repentinamente muta stile, e linguaggio, e con asseveranza conchiude con queste parole (p. 9.): “Non hanno certamente gli Etruschi pruove cotanto autentiche dell’antichità della loro Letteratura”. E donde gli nasce ora quel certamente? quella Letteratura? quell’autenticità? quelle pruove? Ne ha egli addotta alcuna? Se ne adducono nella Storia Letteraria? Quanto all’Apologista non vi s’impegna, contentandosi di declamare: quanto a’ Cordovesi ci dicono, che gli Spagnuoli appresero da’ Fenici il sistema degli Atomi. Ma ecco su di ciò come ragiona l’erudito Autore della Lettera, che ci risparmia il travaglio di far quì delle riflessioni: “Quello che più mi fa stordire è l’ammasso di supposizioni aeree, dalle quali si deducono asserzioni positive. Non è cosa ben ridicola il supporre a quei tempi sì remoti gli Spagnuoli informati del sistema degli Atomin, sol perchè vi fu un Filosofo Tirio, che insegnò essere gli Atomi principj delle cose? imperocchè qual altra pruova se ne porge? Mosco Filosofo Fenicio (si dice) inventò quel sistema; or se regnava tra’ Fenici questa dottrina, se vennero a Spagna alcuni Filosofi . . . . . i nostri ebbero occasione di apprendere il sistema degli Atomi. Questo (soggiungono gli Scrittori Cordovesi) è anteriore quasi di mille anni al sistema Peripatetico . . . . e la Spagna lo ricevè da’ Fenici molto prima della Grecia, e di Roma. Infelice gioventù” (ciò riferito esclama l’ingenuo Autore della Lettera lodata) “che impari Critica da tale Storia capace di corrompere i più solidi, e acuti ingegni! . . . . Queste illazioni false, questi discorsi viziosi, fallaci, abituano gl’ingegni a fabbricare spropositi, a ragionare con leggerezza, e a risolvere con inganno e precipitazione. Qual rozzo principiante Summolista ignora, che da condizioni non verificate non possono dedursi conchiusioni positive, e assolute? Poterono venire, vennero, insegnarono; gli Spagnuoli dunque ricevettero il sistema degli Atomi molto prima della Grecia, e di Roma? Stavano scritte con questa Logica le Scienze de’ Turdetani?” In questa guisa ragionano i veri dotti Spagnuoli, i veri amatori della propria Nazione. Vogliono lodi che provengano da’ fatti non dubbj, non falsi, non fondati nell’arena, e nelle aeree congetture.

E che bisogno ha la Spagna di lodi false, mendicate da’ sofismi, da imposture in fine? Ha bisogno delle glorie immaginarie della Letteratura Fenicia, Celtica, Greca, Cartaginese, una Nazione generosa difenditrice della propria libertà per tanto tempo contro le forze più poderose della Romana Repubblica, che tante pruove di eroico invincibile valore diede nella Guerra Numantina, e nella Portoghese sotto Viriate? Una Nazione non vinta, ma tratta dalle divisioni delle sue membra, sotto il dominio Romano? Valorosa non meno nelle armi, che nelle Lettere, allorchè divenne Romana, come dimostrano i Magistrati, i Capitani, gli Scrittori insigni che vi fiorirono? Una Nazione Madre, non che di Adriano, che pur fu un dotto Imperadore, di un Trajano eccellente modello degli ottimi Principi? Temuta e gloriosa sotto i Visigoti, finchè disarmata da Vitiza, dalle lascivie di Rodrigo tradita, da Opa, e Giuliano venduta, non rimase preda de’ Barbari? Una Nazione, che annichilita sotto gli Arabi seppe nelle montagne Asturiane conservare i semi della Libertà, donde sursero i Regni Cristiani, che al fine spezzarono il giogo Saracino? Divenuta sotto i Re Cattolici potentissima Monarchia, conquistatrice in Europa, e padrona di un nuovo Mondo intero a’ loro giorni, e sotto i loro auspicj scoperto? Temuta, e corteggiata da tutti i Principi Cristiani sotto Carlo V.? In quel secolo principalmente Legislatrice illustre, Politica, Letterata, Scientifica in più di un genere, produttrice di gran Metafisici, di celebri Teologi, di sommi Filosofi, di gran Giureconsulti? che può a ragione pregiarsi di contare tra’ suoi figli un Vazquez, un Suarez, un Cardinal Cisneros, un Melchior Cano, un Arias Montano, un Antonio Agostino, un Barbosa, un Vives, un Mariana? Che anco ne’ tempi di decadenza gareggiò sotto il IV. Filippo colla più potente Monarchia Cristiana, e che, si può dire,

“ . . . . Nelle avverse
“Fortune fu maggior, che quando vinse?”

Che seppe per amore e zelo della Religione sacrificare eroicamente un milione di Vassalli? Una Nazione in tutte l’epoche degna dell’ammirazione universale, ma singolarmente a questi aurei giorni de’ PRINCIPI BORBONICI fiorentissima? Ha bisogno sì gloriosa Nazione di far quasi Spagnuolo l’Africano Annibale, e di pregiarsi della Lingua Greca che costui sapeva, per averla appresa in queste terre da Sosilo Spartano, quasi che gli Spagnuoli fossero mai stati Spartani o Cartaginesi? Ha bisogno tal Nazione, che per onorarla si ricorra ad ostentare la Gramatica che sapeasi nella Betica, e il verseggiare accennato da Strabone nel III. Libro della Geografia? e che per giunta si conchiuda, che intanto che gli Spagnuoli erano Gramatici e Verseggiatori, i Romani rozzi duravano nella loro ignoranza, quando che ciò è contrario al vero, mentre i Romani ben per tempo furono ne’ due primi secoli Gramatici e Verseggiatori, come è chiaro da’ Versi Saliari, e nel terzo secolo furono gran Legislatori, di che sono prova evidente le nominate famose xii. Tavole delle Leggi, delle quali il dottissimo Cicerone nel Libro dell’Oratore diceva, ch’egli era di parere essere a tutte le Biblioteche de’ Filosofi da preferirsi, che che del suo giudizio potesse fremere il Mondo intero? Ha bisogno la Spagna di chiamarsi Provenzale, o di convertire i suoi Popoli in Provenzali, per participare dell’efimera anticipazione nel verseggiare che ebbe quella Provincia Francese? Ha bisogno, Dio buono! di pregiarsi di un Atto della Celestina, che ne ha più di venti, e su questa ventesima parte di una Novella fondare la di lei perizia nella Poesia Rappresentativa? Di sì meschine gloriole, di queste apologetiche petitesses, per dirla alla Francese, ha bisogno la Madre de’ Garcilassi de la Vega, degli Errera, de’ Leonardi di Argensola? Ha bisogno la Spagna, per finirla, di un Tomo Apologetico per sostenere i mostri teatrali del Vega e di Calderon, quasi dovesse alla loro caduta vacillare l’Ispana Monarchia? Nò, Signori Apologisti, troppo di soda gloria è ricca la vostra Nazione per aver bisogno di accattare da’ vanti spregevoli e frivoli o da immaginarie lodi, il suo trionfo. Lodi sostanziose, non meschine, non equivoche, non false, vogliono essere, Signor Abate Lampillas. Storia, Signor D. Saverio, Storia; non congetture ed arzigogoli. Essa sola copiosamente fornisce ai veri amatori della Spagna glorie reali, patenti, innegabili: e queste unicamente sono l’incenso Sabeo grato ed accetto ad ogni odorato. Uditelo dal Principe degli Oratori Italiani nel 11. Degli Uffizj: Vera gloria radices agit, atque etiam propagatur: ficta omnia celeriter, tamquam flosculi decidunt; nec simulatum potest quidquam esse diuturnum. Mi accommiato.