(1777) Storia critica de’ teatri antichi et moderni. Libri III. « Libro III — Capo V. Teatro Francese nel medesimo Secolo XVIII. » pp. 355-388
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(1777) Storia critica de’ teatri antichi et moderni. Libri III. « Libro III — Capo V. Teatro Francese nel medesimo Secolo XVIII. » pp. 355-388

Capo V
Teatro Francese nel medesimo Secolo XVIII.

Ne’ primi lustri del corrente secolo si é coltivata in Francia la poesia drammatica con ardore e felicità quasi non inferiore al precedente; ma da quarant’anni in circa si vede sensibilmente negli scrittori mancar per gradi la lena, e vacillar il gusto, e finalmente si trovano a’ nostri giorni confusi i giusti principi con alcune novelle massime dettate dalla debolezza e dal capriccio, e mescolati insieme e corrotti e adulterati stranamente i generi drammatici230.

Non spirò con Comeille e Racine la buona tragedia, mentre vari componimenti di M. Crébillon e del signor de Voltaire l’han serbata in vita e sostenuta in trono, facendole forse di più acquistar qualche carattere di grandezza che le mancava. Se Corneille eleva l’anima, e Racine l’intenerisce, Crébillon spaventa maneggiando nuove molle per inspirare il vero terror tragico, e Voltaire facendo un misto di quelle tre maniere, e segnalandosi particolarmente per gli sentimenti di umanità, di cui sono piene tutte le sue tragedie, e per la nobiltà ed eleganza con cui gli porge, sembra spesso eguale, e più d’una volta superiore ai precedenti.

M. Crébillon, nato in Digione nel 1674, e morto in Parigi nel 1761, non poche volte si esprime con una robustezza, un’energia, e un calore tutto suo imitator de’ greci, senza esserne schiavo pedantesco, converte in succo le loro bellezze e se le appropria. Le sue favole veramente sono assai più complicate delle greche di modo che talvolta stenta a rinvenirvi l’unità dell’azione; ma vari suoi caratteri son pennelleggiati con maestria e vivacità. Radamisto ha tutte le condizioni richieste in un carattere fortemente tragico da presentarsi alle scene moderne e passarvi per eccellente. Il suo Pirro apparisce più grande ancora del Pirro della storia. I caratteri di Atreo e Tieste, di Palamede, e di Farasmane, son vigorosamente dipinti. Catilina é grande, feroce, malvagio, e politico profondo. L’Oreste della sua Elettra, a mio credere, é ben delineato; e tutto quello che appartiene alla vendetta di Agamennone é maneggiato con vigore. L’amor d’Oreste, e quello d’Elettra mi sembrano il fianco debole di tal componimento, mentre essi con pena del leggitore lo distolgono da un oggetto che tutto lo debbe occupare, e accrescono circostanze che gli rendono penosa l’attenzione senza aumentar l’interesse dell’azione principale. Il Triumvirato é mirabile per esser produzione di un uomo già di ottant’anni. La Semiramide non parmi la migliore delle sue tragedie. Belo non é un traditor senza discolpa che si annunzia come virtuoso? Egli non sapendo se Ninia vive, macchina la ruina della propria sorella, cui in mancanza del figliuolo apparterrebbe il trono. Questa Semiramide poi mal rappresenta l’attività maschile attribuita dalla storia alla famosa regina degli assiri. A vista della manifesta ribellione de’ suoi é così inetta, che non sa prender niun partito per la sua sicurezza. Nella tragedia di Serse si desidera ancora, che vi fosse meglio osservato il decoro e l’uguaglianza de’ caratteri. Serse par che avvilisca il monarca e ’l padre, quando si adopera a favor d’un figlio favorito per sedurre una principessa innamorata dell’altro ch’egli non ama. Artaserse é un carattere incerto, e a taluno sembrerà stolto o maligno, quando giudica suo fratello. Stolto o maligno si dimostra ancora il consiglio di Persia che lo condanna a morte senza sospettar d’Artabano, il quale per tanti indizi risulta reo della morte di Serse al pari di Dario. Questi nei non possono scemar la riputazione di ottimo tragico con tutta giustizia acquistatasi dal robusto M. Crébillon; dimostrano bensì la somma difficoltà di toccar la perfezione nella drammatica poesia.

Niuno meglio di M. de Voltaire si é difeso dalla galanteria, dall’elegie, dalla mancanza di azione, e dagl’intrighi troppo romanzeschi della maggior parte delle tragedie francesi. Con sufficiente proprietà ha ritratti i costumi stranieri, evitando l’altro difetto nazionale di abbigliare alla francese greci, romani, tartari, ed africani. Quindi il ben marcato carattere dell’arabo impostore, l’interessante Orosmano, la candida Alzira, Edipo, Cesare, Bruto, così fra loro diversi e con tanta energia ed eleganza espressi. Apparisce nelle di lui tragedie pieno di tutto il lume quel contrasto di debolezza e di virtù che costituisce le vere persone tragiche. Mai non perdendo di mira quel punto fin dove può ascendere il sublime tragico senza pericolo di cader nella durezza, ha maestrevolmente animati gli eroi senza renderne pesante il portamento, e senza agghiacciare la sensibilità naturale con una ferrea indifferenza stoica presa per eroismo da’ romanzieri e da’ tragici dozzinali. Fin nel severo Bruto ha conservato il padre:

Proculus, à la mort que l’on méne mon fils.
Léve-toi, triste objet et horreur et de tendresse.
Léve-toi, cher appui qu’espérait ma vieillesse.
Viens embrasser ton pére y il t’a du condamner,
Mais s’il n’était Brutus, il t’allait pardonner.
Mes pleurs, en te parlant, inondent ton visage.
Va, porte à ton supplice un plus mâle courage,
Va, ne t’attendris point, sois plus romain que moi,
Et que Rome t’admire, en se vengeant de toi.

Non regolandosi il giudizio delle tragedie di Voltaire pel loro evento prospero o sinistro avuto in teatro, il quale rare volte dipende dal vero merito de’ componimenti, e spesso da’ maneggi de’ fautori e degli’ avversari del poeta, possono caratterizzarsi per buone, ad onta di qualche neo, l’Edipo, l’Oreste, la Merope, l’Orfano Cinese, e la Semiramide, e per eccellenti l’Alzira, Maometto, la Zaira, il Fanatismo, il Bruto, l’Olimpia, la Morte di Cesare. Tutte le altre, come i Guebri, i Pelopidi, gli Sciti, Erisile, le Leggi di Minos ec., colorite senza dubbio dal medesimo pennello maestro che incanta e seduce i cuori, dimostrano, tutta volta che non sempre l’istesso genio vigila, e produce Alzire e Maometti. Queste due, come altresì l’Olimpia, hanno di più il vantaggio di esser soggetti nuovi e inventati dall’autore, là dove pressoché tutte l’altre contengono argomenti trattati da’ predecessori. Fu prevenuto tante volte nell’Edipo e nell’Oreste da’ greci e da’ moderni italiani e francesi. Shakespear sembra aver preparata la materia della Zaira colla tragedia di Othello, mentre un eccesso di amore forma l’azione dell’una e dell’altra tragedia, la gelosia ne costituisce il nodo, e un equivoco appresta ad entrambe lo scioglimento; Othello s’inganna con un fazzoletto, Orosmane con una lettera; Otello ammazza la moglie, e poi disingannato si uccide, e Orosmane fa lo stesso. Dal medesimo inglese trasse la Morte di Cesare, che il nostro abate Antonio Conti avea pur maneggiata spogliandola de’ difetti dell’originale, ma seguendo la storia dipinse per modo i caratteri di Cesare e Marco Bruto che l’interesse resta diviso fra i due. Voltaire seppe evitare il difetto dell’italiano, e gli errori dell’inglese. Più simili al Giunio Bruto del medesimo Conti, e alla Merope del Maffei, sono il Bruto, e la Merope di Voltaire. Il Tetrarca di Gerusalemme di Calderòn forse dié motivo a Tristan di produrre la sua Marianna, e l’uno o l’altro determinò Voltaire a maneggiar quest’argomento. Il Triumvirato, Atreo, e Semiramide di Crébillon e l’Astrate di Quinault, fornirono la materia de’ Pelopidi, di Roma salvata, e della Semiramide di Voltaire. Ben di rado dunque l’autor dell’Erriade si é innoltrato per sentiero non battuto231.

Non poche cose di questo gran tragico verrebbero acremente censurate da un M. de la Lindelle; ma un tranquillo e ingenuo osservatore si spazia con più piacere nelle bellezze, difficili da percepirsi da chi non ha l’occhio fino, che ne’ difetti, messe riserbata alla critica comunale. Tuttavolta perché la gioventù non creda di scavar da questa ricca miniera incessantemente oro puro, osserveremo, che il difetto caratteristico di M. Voltaire si é di fare i suoi personaggi troppo ragionatori, e di mostrare in essi assai frequentemente se stesso232. Nulla più nocevole all’illusione. La passione rarissime volte rende generali l’idee, e la natura si spiega con più semplicità. Nell’invenzione degli argomenti, e nella condotta del viluppo, e nella regolarità, forse egli rimane al di sotto di più d’un tragico. Nell’Edipo, sua prima tragedia rappresentata nel 1718 avendo l’autore 24 anni, non evitò il gelo dominante allora nel genere tragico degli amori subalterni, e l’istesso Voltaire si rimprovera con tutta ragione la galanteria della vecchia Giocasta con Filottete. La Semiramide rappresentata nel 1748, benché meno complicata di quella di Crébillon uscita al pubblico nel 1717, fu censurata per l’intervento dell’ombra di Nino, macchina prediletta di tutti gli spagnuoli del secolo pallaio. Non per tanto, qualora venisse adoperata con profitto, ella ci sembrerebbe degna di discolpa avendo riguardo ai pregiudizi volgari ricevuti da tante nazioni; ma l’ombra di Nino cede di gran lunga all’ombra di Dario di Eschilo. Qual interesse mai risveglia quell’ombra del re degli assiri? Ma quanto non ne risulta dalla persiana! Oltracciò da qual necessità obbligata Semiramide entra nel Mausoleo? Non ha essa altri mezzi e più certi e più efficaci per liberare il figlio e punire Asur? L’evento tragico che ne siegue, non sembra ben fondato, non persuade, e non produce l’effetto bramato dal poeta. L’ingegno consiste nel concatenar sì aggiustatamente i pensamenti de’ personaggi nelle circostanze in cui si trovino, che gli eventi sembrino fatali, e lo spettatore possa pensare che posto egli stesso nella loro situazione, si appiglierebbe al medesimo partito, e non fuggirebbe l’istesso destino. I caratteri di Catilina, Cesare, e Cicerone son bene espressi in Roma Salvata; ma una finzione ad ogni passo smentita dalla storia certa e conosciuta, non fa nascere l’illusione cercata con tanto studio. Non piacquero gli ultimi due atti della Zulima, e infatti essi deludono le speranze concepute ne’ primi ec. ec.

Poche altre tragedie di questo secolo son da porsi tra le bene accolte in teatro, e pochissime tra le applaudite con giustizia. L’abate Nadal, M. le Miére, M. Marmontel, M. Colardeau, M. de la Harpe, M. Saurin, M. Sauvigny, e vari altri verseggiatori di simil fatta, hanno veduto spirare sotto gli occhi loro stessi le proprie tragedie. Benché manchino a M. Belloy certe qualità che annunziano l’uomo di buon gusto e d’ingegno, e benché si osservi ne’ di lui versi molta durezza e negligenza, e uno stile poco naturale e pieno di altri difetti notati con laudevol cura e magistrale intelligenza dal fu M. Freron in vari fogli del suo Giornale letterario, tuttavolta l’Assedio di Calais e Gabriela di Vergy ebbero un incontro stupendo, ed avranno sempre molti leggitori a cagione dell’interesse che anima queste due tragedie, e de’ costumi nazionali che rappresentano. Il Gustavo di M. Piron, tragedia scritta con molta vivacità, contiene varie situazioni assai sorprendenti e interessanti, per le quali ha con ragione ricevuti tanti applausi su vari teatri, e passerà alla posterità tralle buone tragedie francesi. Il Maometto II di M. La-Noue, l’Ifigenia in Tauride di M. Guymond de la Touche, la Briseide di M. Poinsinet de Sivry, le Troiane di M. de Chateaubrun, e Venezia Salvata di M. de la Place, son pur tragedie meritevoli d’esser separate dalla folla delle mediocri o cattive di questo secolo. Francesco-Maria d’Arnaud de Baculard é autore di alcuni componimenti tragici di un genere troppo lugubre e tetro alla maniera degl’inglesi233. Nel di lui Conte di Cominge, che non é stato mai rappresentato in Parigi, si vede un ben espresso contrasto di passione e di religione, molto calore e molta sensibilità animata da somma energia. Solo quella serie di avvenimenti romanzeschi accumulata nella narrazione de’ fatti preceduti all’azione, e ’l troppo lungo ragionamento della fanciulla moribonda, potevano abbreviarsi senza detrimento del terrore e della compassione tragica che si vuole eccitare. Il Merinval del medesimo autore é pure un dramma che spira un patetico fatto per lacerar l’anime sensibili.

Ma queste tragiche avventure, cittadinesche ci menano insensibilmente lungi dalla vera tragedia. Le avventure delle persone eroiche chiamano sempre l’attenzione delle nazioni intere; dove che negli avvenimenti de’ cittadini prendono parte solo i particolari; quindi é che la tragedia detta cittadina, sì cara ai francesi di questi ultimi tempi, riesce meglio su’ piccioli teatri delle società private che sui pubblici. Peggio poi quando quella, ch’io chiamo picciola tragedia, é scritta in prosa, come d’ordinario avviene in Francia. Pessimo quando per sì piccola cosa si offende in tante guise il verisimile, si accumulano eventi l’un sopra l’altro senza maturarli, senza digerirne le circostanze, e si salta ora in un luogo, ora in un altro. Per sì piccolo oggetto tante esenzioni, privilegi, e franchigie? Ma (si dirà) se io desto la vostra curiosità, se vi esprimo dagli occhi un torrente di lagrime con questa picciola tragedia, ciò non basta per imporre silenzio agl’intelligenti? No (risponderanno costoro, se faran di quelli che a un cuor sensibile congiungono una mente che ben concepisce); perché il patetico é sì bene una delle parti importantissime della tragedia, ma non é tutto; e voi che ricusate il rimanente del gran peso che porta seco la grande, la reale, la vera tragedia, confessate la vostra insufficienza per un poema che per gravità sovrasta ad ogni altro, e che da Platone fu riconosciuto per più faticoso dell’istessa epopea.

Parimente la commedia dopo aver sino alla metà del secolo, o poco più oltre, prodotto più d’un buon componimento in prosa e in verso, cangiando oggetto col divenir capricciosa prende in prestanza le spoglie della tragedia cittadinesca, e in lei si perde e si confonde234. In tal guisa mescolandosi si allucinano a vicenda, fanno uso promiscuamente de’ medesimi caratteri e affetti, o più non si riconoscono, né si distinguono dall’occhio più acuto. Né ciò ballando, come se avessero sotto gli antichi nomi commesso gran forfatti, per non essere ravvisate si annunziano sotto nomi novelli, facendo un uso totalmente improprio e speciale de i generici titoli di dramma e di rappresentazione.

Appena possiamo contare tra’ veri poeti comici di questo secolo Dufresny, Destouches, Fagan, e Piron. Il primo, nato nel 1648, e morto nel 1724, dopo d’aver travagliato per l’antico teatro italiano di Parigi insieme con Regnard, diede al francese altre diciotto commedie. Si osserva nella Riconciliazion Normanda, nello Spirito di Contraddizione ec. ben maneggiata una spezie di ridicolo sfuggito al pennello di Molière235. Ma ne’ componimenti di quest’autore vedesi uno studio assettato (ch’é pur generale in Francia) di mostrarsi spiritoso, che fa sovvenire spesso del poeta, e perder di vista i personaggi236.

M. Destouches, le cui commedie cominciarono a rappresentarsi nel 1710, possiede arte e giudizio, e spirito comico, e ritrae gli uomini al naturale nel Dissipatore, nel Vanaglorioso e c. benché nell’Uomo singolare copia dalla sua fantasia, o da qualche originale particolare nulla importante pel pubblico; e nel Filosofo maritato e nell’Irresoluto avrebbe Molière forse scelti meglio i lineamenti speciali per renderli veri e chiari, e per conseguenza piacevoli237.

M. Fagan, nato in Parigi nel 1702, e morto nel 1755, avea nel genere comico, secondo che ci attesta M. Palissot, molta naturalezza e faciltà; ma troppo ha scritto per soccorrere a’ suoi bisogni. Se gli editori del teatro di M. Fagan curati si fossero della di lui riputazione, non ne avrebbero stampato quattro volumi, ma bensì uno soltanto, che sarebbe stato prezioso ad ogni uomo di gusto; e questo dovea contenere le tre belle commedie intitolate la Pupille, l’Etourderie, e le Rendez-vous, alle quali avrebbonsi potuto aggiugner due altre, cioé l’Inquiet, e les Originaux.

M. Piron, nato in Dijon nel 1669, fé rappresentare nel 1725 la sua ottima commedia intitolata la Metromania o il Poeta, componimento ingegnoso, piacevole, giudizioso, e falso. Il piano é disegnato con pratica e accorgimento: l’azione semplice interessa divertisce: i caratteri vi son dipinti con colori vivacissimi: i sali sono tutti urbani e piacevoli: lo stile elegante, e spiritoso, ma senza che ne apparisca lo studio, e senza che si tradisca la natura: é finalmente la versificazione armoniosa e dilettevole per quanto comporta la monotonia del verso alessandrino. L’argomento consiste in un giovane ben nato, il quale sacrifica alla smania di poetare la propria fortuna. Egli é bene annunziato prima che comparisca in iscena, cosa che importa assai, perché lo spettatore prenda interesse al personaggio principale. La serva domanda notizie distinte di lui a un servidore, e questi risponde:

Oh! C’est ce qu’il n’est pas facile à peindre! Non.
Car selon la pensée où son esprit se plonge,
Sa face à chaque instant s’élargit ou s’allonge:
Il se néglige trop, ou se pare à l’excès.
D’état il n’en a point, ni n’en aura jamais.
C’est un homme isolé, qui vit en volontaire:
Qui n’est bourgeois, abbé, robin, ni militaire:
Qui va, vient, veille, sue, et se tourmentant bien
Travaille nuit et jour, et jamais ne fait rien etc.

Tralle scene dell’atto I é graziosa e caratteristica la IV nella quale Dami si trattiene col servo sui suoi amori per una pretesa letterata provinciale, ch’egli non conosce se non per le di lei poesie recate dal Mercurio. E prevede che nasceranno da questo matrimonio.

Des pièces de théâtre et des rares enfants.

ei già ne conta almeno tre, e destina al primo la poesia comica, al secondo la tragica, e all’ultimo la lirica, riserbando per se di pubblicare, in ogni anno un mezzo poema, e per la moglie un mezzo romanzo; tratti individuali del carattere che subito danno, al ritratto la vera fisonomia. La Dulcinea di questo Don Chisciotte poetico allude all’avvenimento di M. Maillard poeta brettone, il quale avendo pubblicate varie poesie di poco momento sotto il nome di Mademoiselle de Malcrais, ne ricevé gli elogi de’ più celebri poeti francesi, e varie dichiarazioni d’amore in versi; ma gli elogi e gli amori si convertirono in dispregi tosto che l’autore ebbe l’imprudenza di smascherarsi. Trasparisce nella VI scena dell’atto III la grazia comica di Molière oggidì perduta totalmente in Francia. L’incontro di Arpagone e del figliuolo, si é in certo modo rinnovato in quello di Balivò, e di Dami suo nipote, al di cui vero stupore, da Francaleu creduto effetto dell’arte da essi posta in rappresentare una scena, grida attonito:

Comment diable! à merveille! à miracle! courage!
On ne saurait jouer mieux que vous du visage.

Sommamente comica ancora é la scena IV dell’atto IV, nella quale Francaleu, che ha dato la sua parola a Balivò, di far carcerare il di lui nipote, prega l’istesso Dami, di cui si tratta, a volersi adoperare per questa carcerazione. Dami se n’era scusato sulla difficoltà che ha un poeta di farli luogo nella corte, dove, al suo dire,

Nous sommes éclipsés par le moindre minois,
Et là, comme autre part, les sens entrainent l’homme,
Minerve est éconduite, et Venus a la pomme.

Ma avendo di poi inteso che si trattava di lui stesse, si ripiglia dicendo,

Oh! Je le servirai si ce n’est que cela.

Francaleu ricusa, avendo pensato di valersi d’un altro; Dami insiste, e le sue premure piacevoli, per lo spettatore animano egregiamente la scena. Lepida é pur la scena VI di Lisetta, che destramente fa confessare a Dami di esser l’autore anonimo della commedia, che poi si dice fischiata in Parigi. La VII é ancor più vivace e piena di sale comico, nella quale Dorante ingannato dagli abiti di Lisetta, la crede Lucilia, e la rimprovera per averla sorpresa nell’atto che Dami le baciava la mano. Lo scoglimento corrisponde alle grazie di quest’eccellente commedia, nella quale si motteggia con tanto garbo su di un ridicolo comune a tutte le nazioni colte, il quale infelicemente fu maneggiato dal signor Goldoni nella commedia de’ Poeti.

M. le Sage, nato a Ruys in Brettagna nel 1677, e morto a Boulogne sur-mer nel 1747, diede al teatro francese l’eccellente commedia di Turcaret, e la bellissima commediola di Crispin rival de son Maître.

Giambatista Rousseau, nato in Parigi nel 1669 e morto nel 1740, compose anche due commedie, le Flatteur e le Capricieux. Queste, mal grado de i loro difetti, non sono da dispreggiarsi e debbono per certo antiporsi, siccome dice benissimo il signor Palissot, «a tutte le rapsodie romanzesche, colle quali i commedianti francesi hanno avvilito il loro teatro da alcuni anni in qua».

Dopo questi soprallodati autori comici M. de la Chaussée, nato in Parigi nel 1691, e morto nel 1754, ha maneggiato un genere di commedia tenera nel pregiudizio alla moda, qual genere, se si fosse contenuto ne’ giusti limiti, sarebbe a’ giorni nostri senza giustizia proscritto dal giudizioso abate Sabatier de Castres nel suo Dizionario di Letteratura tom. I pag. 266 seqq. e ne’ tre Secoli letterari de’ francesi238, perché il tenero dee far molti passi prima di pervenire al tragico, e la commedia può bene aver le sue lagrime senza cangiar natura. Ma la commedia tenera ha degenerato sin nelle mani del signor de la Chaussée in un’azione totalmente larmoyante e difettosa, come sembrami la Melanide, e l’Amor per Amore, dove é ricorso anche alle fate e trasformazioni239.

Mentre questo genere vizioso prendeva voga, M. Gresset dipingeva mirabilmente un malvagio spiritoso, che sotto un esteriore polito nasconde il cuor più nero e l’empietà più raffinata, carattere poetico che mostra in un individuo la malvagità di un grandissimo numero di persone che compongono le società culte240 Tale é il suo Méchant, commedia di carattere ammirabile, verseggiata eccellentemente, e rappresentata la prima volta nel 1740. Per un atto intero, prima che si vegga, Cleone é annunziato e dipinto con quanta maestria possano avere le moderne scene. A gran tratti é marcato nella scena II da Lisetta:

S’il n’avait de mauvais que le fiel qu’il distille,
Ce serait peu de chose, et tous les médisants
Ne nuisent pas beaucoup chez les honnêtes gens;
Je parle de ce goût de troubler, de détruire,
Du talent de brouiller, et du plaisir de nuire,
Semer l’aigreur, la haine, et la division,
Faire du mal enfin, voilà votre Cléon.

E verso la fine della medesima:

Il animait Madame, en l’approuvant tout bas:
Son air, des demi-mots que vous n’entendiez pas,
Certain ricanement, un silence perfide.

Cleone stesso perfeziona il proprio ritratto nell’ottima scena I dell’atto II:

Quand je n’y trouverais que de quoi m’amuser,
Oh! c'est le droit des gens; et je veux en user.

La scena III dell’atto II é piena di dipinture naturali del gran mondo di Parigi; e bene artificiosa é la VII dell’abboccamento di Valerio con Cleone. La IX del III contiene un bel giuoco di teatro: Cleone da una parte anima Valerio a comparire uno stordito, un dissenato, e dall’altra sotto voce rileva con Geronte tutte le di lui sciocchezze e impertinenze; Valerio s’industria per riuscire a screditar se stesso; Geronte s’impazienta, freme, si pente, risolve di rompere ogni trattato. Una delle più belle é la IV dell’atto IV, nella quale Aristo, ch’é un personaggio virtuoso imitato dal Cleante del Tartuffo, cercando tutte le ragioni per distaccar Valerio dall’amicizia di Cleone, fa varie dipinture sommamente vivaci e naturali de’ malvagi che affettano di dare il tuono negli spettacoli, di quei che prendono l’aria beffarda, di quei che vogliono parer gravi e laconici. Non può terminar sì vaga scena con una osservazione né più vera, né più gloriosa per l’umanità. Valerio temendo di parer singolare per troppa bontà, asserisce che tutto il mondo é malvagio, ed Aristo distrugge quest’opinione ingiuriosa:

Tout le monde est méchant? Oui, ces cœurs haïssables,
Ce peuple d’hommes faux, des femmes, d’agréables
Sans principes, sans mœurs, esprits bas et jaloux,
Qui se rendent justice en se méprisant tous.
En vain ce peuple affreux, sans frein et sans scrupule,
De la bonté du cœur veut faire un ridicule.
Pour chasser ce nuage, et voir avec clarté
Que l’homme n’est point fait pour la méchanceté,
Consultez, écoutez pour juges, pour oracles
Les hommes rassemblés, voyez à nos spectacles
Quand on peint quelque trait de candeur, de bonté,
Où brille en tout son jour la tendre humanité,
Tous les cœurs sont remplis d’une volupté pure.
Et c’est là qu’on entend le cri de la nature.

L’ultima scena dell’atto IV contiene presso a poco lo stesso stratagemma usato da Elmira nella V del IV atto del Tartuffo, sebbene l’arte comica che campeggia nella scena di Molière, é più risentita, più vivace, più maestrevole. Lo scioglimento del Méchant avviene felicemente senza violenza, e senza sforzo per mezzo d’una lettera di propria mano di Cleone.

Dieci anni dopo della commedia di M. Gresset madama de Graffigny produsse la sua Cénie, che intitolò Pièce Nouvelle, la quale, benché non lasci d’interessare, é assai vicina alla viziosa ommedia lagrimevole241.

M. de Voltaire é mal riuscito nel genere comico, tutto che fiavisi provato tante volte. Le sole sue commedie applaudite sono il Figliuol Prodigo, la Scozzese, e la Nanina; e pur son piene di negligenze e difetti visibili, spezialmente la seconda, tratta da un dramma inglese del ministro scozzese Hume.

Qualche buona commediola si é prodotta ancora in mezzo all’inondazione delle tragedie bourgeoises e delle commedie larmoyantes, come Les Mœurs du temps del Sig. Saurin, Les Adieux du Goût di Claudio-Pietro Patu, Les Hommes del sig. di Saint-Foix, L’Impertinent di M. Desmahys, Le Français à Londres di Luigi de Boissy242 , L’Anglais à Bordeaux etc.; ma molto più pregiate e veramente degne di gran loda sono le seguenti commedie, cioé Le Retour de l’ombre de Molière, La Coquette fixée, Les Mariages assortis del signor abate de Voisenon, La Double Extravagance, Le Faux Généreux di Antonio Bret, e massimamente la commedia de’ Filosofi moderni francesi di M. Palissot, scritta con istile comico, e con libertà aristofanesca, e imitata in parte dalle Donne Letterate di Molière. L’Homme Dangereux, altra dì lui commedia impressa, ma non rappresentata per le solite sorde macchinazioni e cabale della potente setta enciclopedica, contiene l’istessa materia e l’istesse grazie de’ Filosofi. Ecco come in essa si favella de’ cattivi drammi francesi de’ giorni nostri:

Je ne saurais souffrir ces bourgeoises douleurs,
Dont on veut profaner la scène de Molière…
Je ne me pique pas de ce ton emphatique,
De ce style imposant, lugubre, magnifique;
Mais j’ose maintenir que vos drames bourgeois
Outragent Melpomène et Thalie à la fois;
Que c’est mal à propos embrouiller les deux scènes;
Que tous ces lieux communs, et ces peintures vaines
De crimes révoltants, d’incroyables vertus,
Ces traits exagérés et toujours rebattus,
Aussi loin du bon sens que loin de la nature,
Sont du plus mauvais goût la preuve la plus sûre.

Egli ancora é ben degno di mettersi sotto gli occhi della gioventù il seguente squarcio della medesima commedia, nel quale con una felicissima ironia si numerano le perniciose conseguenze della filosofia de’ moderni deisti e materialisti francesi. «Il secolo, dice Dorante filosofo, ha fatti tanti progressi, che ormai può bravare e l’odio, e l’invidia»; e Valerio risponde:

Sans doute, et l’on ne vit jamais tant de génie,
Tant de productions charmantes, plus de mœurs!
Eh! quoi de plus sensé que nos jeunes seigneurs?
Quel usage admirable ils font de leurs richesses!
Quel goût dans leurs plaisirs! Quel choix dans leurs maîtresses!
De nos femmes surtout l’honneur n’est point suspect,
Aussi je m’interdis d’en parler par respect.
J’admire nos savants. Que leur philosophie
A répandu de fleurs, d’agréments sur la vie!
Grâces à leurs travaux, nous sommes dégagés
Du fardeau des devoirs et des vieux préjugés.
D’agréables pédants tous nos cercles foisonnent.
À leurs soupés divins nos financiers raisonnent.
Nos abbés sont décents, nos robins studieux:
Je suis de votre avis, le siècle est merveilleux.

Goldoni avea scritto in Italia una commedia intitolata il Padre di Famiglia non molto felice, e M. Diderot ha voluto trattar quello stesso carattere con maggior cura. Goldoni é più comico; ma Diderot riesce bene nella dipintura dell’innamorato. «Elle pleure (dice Saint-Albin): elle soupire: elle songe à s’éloigner, et si elle s’éloigne, je suis perdu». É ben vago il pronome Elle posto prima di aver nominato Sofia; ed a qual altra penserebbe Saint-Albin? Delicato é ancora ciò ch’egli dice nella scena VIII dell’atto II «Si on me la refuse qu’on m’apprenne à l’oublier… L’oublier! Qui? Elle? Moi? je le pourrais? je le voudrais? Que la malédiction de mon père s’accomplisse sur moi, si jamais j’en ai la pensée». E allorché il commendatore di lui zio vuole atterrirlo, dicendogli, che se ’l padre l’abbandona, appena gli resteranno per vivere mille cinquecento lire di entrata, l’innamorato con leggiadria ne deduce una conseguenza contraria, dal zio non aspettata: «J’ai quinze cents livres de rente? Ah Sophie, vous n’habiterez plus sous un toit. Vous ne sentirez plus les atteintes de la misère». Un giovane studioso ne osserverà i riferiti pochi tratti naturali e felici, e fuggirà d’imitar l’autore nel carattere d’un padre di famiglia, che piange a tutte le ore, e filosofa vanamente: d’un padre, cui non manca buon cuore e tenerezza per gli figli, ma si bene una prudenza attiva nelle circostanze scabrose: d’un padre ricco, che invece di far la figura principale in ciò che maggiormente importa, si riduce a rappresentare il secondo personaggio dopo il commendatore, che colle sue maniere, co’ suoi pregiudizi, colle sue stravaganze mette la casa in iscompiglio, e ridusse alla disperazione il nipote243. Si é dunque a quelli tempi tentato due volte di mostrar sulla scena un padre di famiglia, e non pertanto questo carattere attende ancora un pennello felice che lo colorisca a dovere in un quadro comico. Il Figlio naturale del medesimo autore é tolto in gran parte dal Vero Amico del Goldoni; ma per dirla vi si vede peggiorata la favola italiana, e annegata fra varie situazioni semi-tragiche prese in prestito altrove; e soprattutto vi si trova cotal assettata ristucchevole saviezza in tutti i personaggi, e specialmente nel figlio naturale e in Costanza, che farà sempre sbadigliare chi, pensando di leggere una produzione comica, si trova per le mani un noioso componimento serioso.

Tutto che dal soprannominato autore dei tre Secoli della Letteratura Francese venga annoverata fra le altre viziose commedie lagrimevoli l’ingannata sensibile Eugenia di M. Beaumarchais, pure l’intrigo appartiene puramente alla commedia, e i caratteri senza dubbio son comici, e gli affetti delicati. Dice ella nella II scena dell’atto I: «Il m’avait caché ces bruits dans la crainte de m’affliger…… Comme il m’a regardée en répondant! Ah ma tante, que je l’aime!» Questa delicatezza, questa maniera di esprimersi, non appartiene al genere comico simile a quello della Perintia, dell’Andria, dell’Hecira? La V e l’VIII scena dell’atto III son belle e teatrali. La III del IV é ben patetica, e v’é a maraviglia espresso un padre virtuoso oltraggiato, il quale pieno del suo dolore si lusinga di trovar in corte giustizia e pietà: «J’ai pris mon parti. J’irai à la cour… Oui, je vais y aller… Je tombe aux pieds du roi; il ne me rejettera pas… Et pourquoi me rejetterait-t-il? Il est père… Je l’ai vu embrasser ses enfants… Je lui dirai… Sire, vous êtes pére, bon pére, je le suis aussi etc.» Questa locuzione conviene alla commedia, ed é nel tempo stesso naturale e piena di calore. Tutto poi cede alla delicatezza dell’esclamazione di Clarendon, «Elle me pardonne», colla quale nel fine previene le parole di Eugenia già intenerita. I due Amici é un’altra commedia del medesimo autore, che ha gli stessi pregi della precedente, ed i caratteri sono ancor più propri del genere comico. Ma perché quell’ingegnoso autore di due commedie siffatte ha avuto riguardo a non dargliene il titolo, contentandosi di quello di Rappresentazione? Poteva ben lasciar questo e l’altro di dramma al Fabricante di Londra, all’Umanità, all’Indigente, e simili componimenti anfibi, ne quali per altro spicca uno spirito d’umanità e di virtù, che dovrebbe, invece delle grossolane buffonerie e laidezze, riempiere per tal modo tutto il teatro, che non potesse lasciar di riflettere sugli animi degli spettatori, e diffondersi per la società.

Carlo Collé, nato in Parigi nel 1709, segretario ordinario e lettore del duca d’Orleans, é autore di un Teatro di Società «nel quale (secondo che ci attesta il signor Palissot, critico acuto, e giudice espertissimo de’ componimenti teatrali) trovansi eccellenti scene comiche. La di lui commedia di Dupuis e Defronais, benché desti qualche volta la tenerezza ed anche le lagrime, é assai lontana per la verità dei caratteri e per la semplicità degl’incidenti, da que’ drammi romanzeschi, così poco degni di stima sotto il nome di tragedie cittadinesche, e di commedie piangolose, pel cui cattivo genere il signor Collé ha non di rado manifestato il suo disprezzo. Dupuis et Desronais é veramente una commedia nel gusto di quelle di Terenzio. I sentimenti ne sono veri, i caratteri ben sostenuti, e ’l dialogo naturale e tal quale deve essere». Nell’altra commedia di M. Collé, intitolata La Partie de Chasse d’Henri IV che noi abbiamo letta, i caratteri son dipinti con tutta la maestria comica, e la locuzione é molto falsa e felice. Ma il soprallodato autore dei tre Secoli della Letteratura Francese la pone nella classe delle riprovate commedie piagnevoli; e perché mai? Vuol egli tener per commedie viziose tutte quelle che si allontanano dalle farse e dalle commedie basse? Restringerebbe in troppo angusti confini la comica giurisdizione244.

Il teatro lirico é stato coltivato da La-Mothe, Danchet, Menesson, La Roque, Pellegrin; e poi da Fuselier, Cahusac, Roy, e Bernard, de’ quali due ultimi molto pregiasi dagli odierni francesi l’opera di Calliroe, e di Castore e Polluce. Ma una novità musicale degna dello spirito singolare di Gian-Giacomo Rousseau si é veduta in Lione a questi tempi rappresentandosi il suo Pigmalione. Per dare un saggio della declamazione teatrale e della melopea de’ greci, egli ne fece recitar senza veruna fonte di canto le parole; e la musica, esprimendo gli affetti del personaggio, secondandone i movimenti, dipingendone la situazione, riempiva soltanto gl’intervalli e le pause della declamazione. Molti pezzi di musica furono composti dall’istesso Rousseau, e ’l rimanente da M. Coignet. Questo saggio ben riuscito in Lione dovrebbe eccitare qualche altro paese, non dico a rinunziare ai propri spettacoli nazionali, ma almeno ad accrescerne la varietà con ripetere l’invenzione del filosofo ginevrino. Un altro dramma musicale di Gian-Giacomo Rousseau merita che sia commemorato qui, ed é la di lui graziosa pastorale, intitolata Le Devin de Village, opera assai pregiata per la sua delicatezza e semplicità tanto nelle parole, quanto nella musica composta dall’autore stesso245.

Per l’opera comica hanno lavorato Le-Sage, morto nel 1747, Pannard morto nel 1760, Fuselier, Collé, Piron, Orneval, Carolet, etc. fino al 1745, quando tale spettacolo fu proibito ne’ teatri delle fiere. Concesso poi questo al teatro italiano di Parigi, vi si é sopra tutti segnalato Carlo Simone Favart, particolarmente colla sua Chercheuse d’esprit che viene riputata la più ingegnosa e perfetta opera comica che si abbia la Francia.

Quanto alla Commedia Italiana, essendo stata licenziata la compagnia antica, non ve ne fu per diciannove anni fino al 1716, quando il Duca d’Orleans regente vi fé venire la nuova compagnia di Luigi Riccobboni. Questi nuovi attori da prima s’intitolarono Commedianti di S. A., e morto poi questo principe, conseguirono il titolo di Commedianti del Re e una pensione di quindicimila lire nel 1723. I componimenti da loro rappresentati ne’ primi anni nell’idioma italiano furono quasi tutti dell’arte, ripieni di apparenze, incantesimi, e buffonerie. Per le quali cose si vide ben presto il lor teatro spopolato. Sperarono in vano di richiamare il concorso col ripetere i componimenti francesi de’ loro predecessori, e perciò erano già determinati a uscir di Parigi; ma il pubblico, benché poco contento delle loro rappresentazioni, era però pago della condotta, urbanità, e rispetto di questi attori forestieri, e gli vedeva partir con pena. Ciò mette alcuni poeti nazionali a scrivere pel loro teatro varie favole francesi, nelle quali s’ingegnarono di accoppiar la ragione e la novità colle grazie dell’Arlecchino. E quindi nacque una commedia che partecipava della francese e dell’italiana istrionica; nel qual genere tra’ francesi si sono contraddistinti i signori Autreau, Le Grand, Fuselier, Boyssi, Marivaux, e sopra tutti il delicato Saint-Foix, il fecondo e ingegnoso Favart, e ’l grazioso e spiritosissimo abate de Voisenon, e tra gl’Italiani Domenico, Romagnesi, e Riccoboni. Quanto alla maniera di rappresentare di quell’italiani fu molto bene accolta in Parigi. Alcuni eruditi francesi a vista della compagnia di Riccoboni han rimproverato a’ loro paesani l’affettazione e la durezza. «Io preferisco (si dice nell’ Anno 2440 di Voltaire) quest’italiani a’ vostri insipidi commedianti francesi, perché essi rappresentano più naturalmente, e per conseguenza con maggior grazia, e perché servono il pubblico con più attenzione». «I nostri commedianti italiani (dice M. Diderot) rappresentano con più franchezza de’ francesi… Nel loro gestire apparisce un certo non so che d’originale e facile che mi diletta, e diletterebbe ognuno, se non venisse sfigurato dal loro dialogo insipido e dall’intreccio assurdo». Con giusta ragione afferma dunque il signor D. Antonio Eximeno nel suo libro dell’Origine e delle Regole della Musica etc. uscito in Roma nel 1774, che «nonostante la riforma del teatro francese, vi é rimasto da tempi antichi l’atteggiamento, il quale, quantunque a’ nazionali non paia strano, a’ forestieri sembra stravagante e ridicolo. I commedianti paiono energumeni, che ad ogni atteggiamento vogliono staccar le braccia dal corpo, ed esprimono un affetto di pena colle contorsioni, con cui potrebbe un ammalato esprimere un dolor colico». Non so se il signor Eximeno sia stato testimonio oculare dell’atteggiamento de’ commedianti francesi; ma lo fu certamente il bolognese Pier Jacopo Martelli, il quale ne ragiona con conoscimento nel suo Dialogo sopra la tragedia Antica e Moderna. «Osservo (egli dice tralle altre cose nella sessione VI) ne’ francesi piuttosto un poeta, il quale recita le sue poesie, che un attore, il quale esagera le sue passioni, mentre non solamente essi alzano in armonioso tuono le voci ne’ grandi affari, ma ne’ bei passi e nell’enfasi de’ gran sentimenti; di modo che par che non solo essi vogliono rilevare la verità dell’affetto naturalmente imitato, ma anche l’artificio e l’ingegno del tragico». Difetto é quello veramente da non perdonarsi a un attore, il quale non dee pensar né a se stesso, né al poeta, né allo spettatore, ma unicamente all’affetto ch’esprime e al personaggio che imita. «Parlano (dice ancora il Martelli) gli attori francesi a voce bassa borbottando quando compariscono dal fondo della scena, e declamano più sonoramente quando si accostano al proscenio». Ciò per altro potrebbe essere giustificato dalle circostanze de’ pensieri e dell’espressioni, sempre che si avesse cura, senza inoltrarla, di non far patire chi ascolta. «Si situano male (prosiegue) mostrando il profilo all’uditorio, e la voce va in un angolo del teatro». Errore di tutti gli attori grossolani, i quali non fanno l’arte di accomodarti e alla verità del favellare cogli altri personaggi, e alla decenza teatrale, e al comodo dell’uditorio. Negli attori spagnuoli osservo due difetti rimarchevoli derivati dalla poca destrezza in conciliare quelli due riguardi; l’uno si é il parlar di profilo, come i francesi; l’altro il mettersi dirimpetto all’uditorio a declamar le loro relaciones con una incessabile gesticulazione, non che delle braccia, delle dita, facendo consistere l’abilità in accompagnar ciascuna parola con un atto che la denoti; ma di ciò e di altro nel mio Sistema Drammatico. «Sogliono, continua il Martelli, voltare le spalle all’attore mentre gli sta parlando; vizio frequente di Bouhour» nel quale, e nel di lui imitatore Quinault, censura il soverchio vibrar di braccia. Si ride poi del tormento che danno al povero cappello, e riprende il vestito di ballerino, che sogliano dare ad Agamennone. «Ecco Agamennone (ei dice) col cappello e colla parrucca francese fino al collare; dal collo poscia in giù in giubbone e in brache dintornate da gioielli, ricamate d’oro, snello, ridevole, né francese, né greco, né di nazione che si sappia finora scoperta nell’universo. Quando arriviamo alle gambe, eccolo divenir greco in un tratto, ecco applicati alla calzetta di seta i tragici maestosi coturni, di modo che parmi appunto quella figura d’Orazio, Humano capiti etc.». Non parlano diversamente de’ loro commedianti alcuni francesi ancora. «L’arte della declamazione (dice ironicamente un di essi) si é fra noi alzata a un punto sublime. Una principessa irritata impiega tant’arte per esprimere il suo furor convulsivo, che lo spettatore teme per l’attrice. Un bel principe le risponde con un atteggiamento geometricamente misurato. Gli abiti, i popoli, le damigelle, le guardie, e le macchine vi fanno tutta l’azione». «Io avrei (scrive M. Clement nelle sue Osservazioni critiche sul Poema della declamazione teatrale di M. Dorat) coperti di ridicolo i nostri attori ossessi, i quali caricano tutto, e non sanno parlare se non per convulsioni, i quali ci fanno patire per gli loro strani sforzi di voce e pel dilaceramento del loro pettoetc.».

I pantomimi francesi di questi giorni han superato i passati. M. de Noverre é uno de’ ballerini moderni che hanno rimessa in piedi l’arte pantomimica, rappresentando con molta verità per gesti favole intere eroiche e comiche. M. Le-Picq é uno de’ pantomimi più celebri odierni, il quale ha meritato d’essere encomiato in Napoli in un’anacreontica dell’illustre poeta D. Antonio di Gennaro Duca di Belforte.