(1813) Storia critica dei teatri antichi e moderni divisa in dieci tomi (3e éd.). Tome VII « STORIA CRITICA DE’ TEATRI. LIBRO VII. Teatri Oltramontani del XVII secolo. — CAPO III. Teatro Inglese. » pp. 143-156
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(1813) Storia critica dei teatri antichi e moderni divisa in dieci tomi (3e éd.). Tome VII « STORIA CRITICA DE’ TEATRI. LIBRO VII. Teatri Oltramontani del XVII secolo. — CAPO III. Teatro Inglese. » pp. 143-156

CAPO III.

Teatro Inglese.

Una potente convulsione nel cominciar del secolo XVII giva agitando gli umori del corpo Britannico sempre disposti a ribellarsi, e minacciava un prossimo sconvolgimento nella costituzione. La corte moveva diverse molle per allargare i confini della prerogativa reale, ed i parlamentarii pieni di grandi idee di libertà e di uguaglianza presbiteriana, ambivano di annientarla. Crebbe il male in guisa che si vide con orrore un buon re sentenziato da’ rei vassalli passar dal trono al palco, e lo stato che soffrir non volle nel re legittimo una soverchia autorità, si trovò effettivamente schiavo sotto gli speciosi nomi di repubblica e di protezione. Cromwel cassò con insolenza il parlamento, e ne convocò un altro composto de’ suoi parziali scelti fra il popolaccio, detto per derisione il parlamento di barebone, cioè osso spolpato. Tra gli atti di tal parlamento trovansi dichiarati inutili e d’istituzione pagana le scienze e le università dove s’insegnavano.

Quanto al teatro la nazione sin dal regno di Carlo I avea cominciata una guerra letteraria che durò dieci o dodici anni, altri sostenendo gli spettacoli scenici, altri contro di essi scagliandosi. I Puritani volevano estirparli. Pryne gli perseguitò col suo Histriomastix, mettendo alla vista le mostruosità e le indecenze de’ teatri inglesi. Queste contese e la grande rivoluzione avvenuta nella costituzione dello stato, impedirono il progresso della drammatica sino al ritorno di Carlo II. Fiorì qualche scrittore nelle intermissioni delle pubbliche turbolenze.

Beniamino Johnson nato verso il 1575 e morto nel 1673, occupò il posto di poeta regio, benchè per qualche tempo avesse esercitato il mestiere di muratore. Il genio che l’inclinava allo studio ed alla poesia, gli tolse di mano la cazzuola, e lo trasportò al teatro colla protezione di Shakespear. Scrisse tragedie e commedie; e tra le prime si tennero in gran pregio la Caduta di Sejano rappresentata nel 1601, e la Congiura di Catilina pubblicata nel 1608; e tralle commedie si ammirarono il Chimista e la Volpe. Ogni uomo ha il suo carattere può dirsi che sia piuttosto una raccolta di ritratti che una commedia ben tessuta. Vi si trova fra gli altri dipinto un geloso che non vuol parerlo. Johnson riuscì più nelle commedie, a segno che si ebbe pel più eccellente comico dell’Inghilterra. Nelle tragedie nè osservò le regole del verisimile nè si guardò dalla comica mescolanza. Egli a differenza del di lui protettore aveva una profonda conoscenza degli antichi, e gli copiava con molta franchezza, il che si osserva nel Sejano e nel Catilina; ma secondò il carattere degli spettatori, e trascurò l’esattezza degli antichi, contento (come disse nella prefazione del Sejano) di rispettar la verità della storia, la dignità de’ personaggi, la gravità dello stile e la forza de’ sentimenti. Egli non meno del Shakespear scrisse molti drammi poco degni de’ suoi talenti; con questa differenza che a Shakespear anche nelle cattive composizioni scappano fuori certi tratti inimitabili; ma Johnson dove cade, non mostra traccia veruna di sapere o d’ingegno.

Guglielmo d’Avenant successore di Ben Johnson coltivò parimente la poesia tragica; ma essendosi ricoverato in Francia, dove osservò lo spettacolo dell’opera in musica, volle introdurla nel teatro nazionale. A tal genere appartiene la Circe componimento del di lui figliuolo per nome Carlo. Giacomo Shirly cattolico scrisse più di un dramma. Lo storico Guglielmo Abington pubblicò una tragicommedia. Il famoso Milton diede al teatro Licida ed il Sansone Agonista che non uscì alla luce prima del 1671, e che poi si convertì in oratorio musicale con qualche cambiamento. Prima però verso il 1634 avea egli composta la famosa Maschera, intitolata Comus, produzione bizzarra che a guisa dell’opera dava luogo in un tempo al ballo ed al canto, di cui parla Paolo Rolli nella Vita di Milton, esponendone l’argomento, e commendandone la sublimità, di che non ci fa dubitare la vastità del suo ingegno. È però strana cosa che egli avesse voluto accozzare in un sol componimento personaggi allegorici, Angeli, Najadi, Bacco, Giove, Eufrosine, in somma le divine e le umane cose, la religione cristiana ed il gentilesmo, la sublimità e la bassezza.

Dal 1660 nella corte brillante di Carlo II amante della poesia e de’ piaceri cominciarono gli spettacoli teatrali a coltivarsi con novello ardore. Illustrò allora le scene inglesi l’eccellente attore ed autore tragico e comico Tommaso Otwai morto nel 1685 d’anni trentaquattro. Passano per le migliori sue tragedie Venezia salvata e l’Orfana. Nella prima però i caratteri più importanti sono alcuni ribelli e traditori, i quali fanno vedere le più belle qualità per affrettare la ruina del loro paese, là dove nell’imprenderne la difesa gli avrebbero fatti ammirare come grandi uomini. Raccontasi che la famosa attrice madamigella Barry rappresentando la parte di Monima non mai pronunziava senza piangere queste parole, ah povero Castalio! Tutti in effetto riconoscono in Otwai un’arte sopraffina di esprimere le passioni nella tragedia, e dipingerle con tutta naturalezza, e sovente di eccitare la più viva commozione. Il credito di lui pareggiò quello di Shakespear; e gl’Inglesi vollero in questo ravvisare un Cornelio per la sublimità, ed in Otwai un Racine credendo di vedere in lui pari tenerezza ed eleganza, titoli , come pur dice l’abate Andres, dispensati con troppa prodigalità . Voltaire confrontò alcuni passi della mentovata tragedia l’Orfana con quelli del Mitridate del Racine, e ne mostrò la gran distanza svantaggiosa all’Inglese. Riuscì Otwai più nel tragico che nel comico; ma non fu meno irregolare degli spagnuoli nell’uno e nell’altro genere, e non meno di loro gli confuse.

Anche Giovanni Dryden nato di una famiglia cospicua nel 1631, il quale divenne cattolico sotto Giacomo II, e morì nel 1701, ebbe il titolo di Racine dell’Inghilterra senza meritarlo meglio di Otwai. Il mentovato Andres a somiglianza del Voltaire, ha confrontate alcune scene della Giovane Reina del Dryden con altre simili della Fedra del Racine. E l’istesso Voltaire paragonò alcune tenerezze vere e decenti del Racine colle iperboli rettoriche e colle indecenze che si osservano nella Cleopatra del Dryden a Quanto a me Dryden sembrami più simile a Lope de Vega tanto per la varietà, la copia e l’irregolarità de’ componimenti, quanto per avere al pari di Lope ben compresa la delicatezza dell’arte senza seguirla. E sebbene egli ceda di gran lunga al poeta spagnuolo per fecondità, non per questo diventa minore ne’ punti additati la loro rassomiglianza. Egli meritò gli elogii del celebre Alessandro Pope. Voltaire affermò ancora che Dryden autore più fecondo che giudizioso avrebbe goduto di un credito senza eccezione scrivendo la decima parte delle opere che lasciò, e se le avesse scritte (poteva aggiugnere) più a seconda dell’arte che non ignorava, che del gusto del suo paese che volle secondare. Niuno certamente meglio del Dryden comprese allora tutta la delicatezza della drammatica, e niuno la neglesse più di lui. Scrisse commedie e tragedie ed anche una specie di opera intitolata la Caduta dell’Uomo, nella quale pose in azione il Paradiso perduto.

Il traduttore di Giovenale Tommaso Shadwell morto nel 1693 compose pel teatro comico dopo di aver letto Moliere. Il di lui Avaro è una traduzione libera e ampliata dell’Avaro francese, in cui Shadwell non trovava azione sufficiente per le scene inglesi. Egli volle distenderla con fatti e personaggi episodici, e la rendette meno rapida, e ne fe sparire l’unità. Moliere (egli scriveva millantandosi) nulla ha perduto passando per le mie mani. Ma i lineamenti forti e grossolani del suo Goldingam accozzati colla finezza de’ tratti d’Arpagon formano veramente una dipintura assai men bella della francese, e men naturale di quella di don Marcos Gil dello spagnuolo La-Hoz. L’azione dell’Avaro inglese passa in Londra, ma in luoghi diversi. Secondo il gusto della nazione Shadwell introduce meretrici, ruffiani, dissoluti; e nell’imitarli la sfacciatezza è posta in tutto il suo lume. La satira e l’oscenità sono le note caratteristiche de’ poeti comici inglesi.

Le commedie più graziose di tutto il teatro inglese, per avviso del Voltaire, sono quelle che scrisse il cavaliere Van-Broug architetto grossolano, e poeta comico delicato morto nel 1704. Egli non meno che Congreve vollero opporsi, ma con poca riuscita al Collier, che nel 1698 produsse contro il teatro inglese il suo Quadro dell’empietà, e dell’irreligione.

Ma il celebre Wycherley sì caro alla duchessa di Cleveland favorita del re, e marito della contessa di Drogheda, il quale morì l’anno 1715, fu senza contrasto il miglior comico di quel tempo nell’Inghilterra. Uomo d’ingegno, osservator sagace, e spiritoso dipintore, ritrasse al naturale i costumi di quella corte, copiandone le ridicolezze e le bassezze con forti colori. Le sue commedie hanno invenzione, interesse, e stile proprio per la commedia. Sono ancor regolari, e se la scena non è rigorosamente stabile, si circoscrive ne’ luoghi della città di Londra. È da notarsi, che a’ suoi dì già sulle scene inglesi si satireggiavano i nobili e i titolati. Nell’atto II della sua Donna di Contado così favella un nobile sciocco che ha timore delle sferzate comiche: ”Si contentavano prima gli autori drammatici di trarre i loro personaggi ridicoli dal ceto de’ servi; ma questi baroncelli oggidì cercano i loro buffoni fra’ gentiluomini e cavalieri; di modo che io da sei anni vò differendo di prenderne il titolo per timore di esser posto in iscena, e di farvi una figura ridicola”. Seguendo l’indole della commedia inglese, le pitture del Wycherley sono forti, oscene, e satiriche. Nell’atto V della medesima commedia un cavaliere dissoluto dice a una dama: ”Grande era in me l’appetito delle vostre bellezze, ma grande altresì il timore che mi cagionava la vostra riputazione. La nostra riputazione (ripiglia Miledy)? Dovevate anzi pensare che noi altre donne al pari degli uomini ci serviamo di questa maschera per ingannare il pubblico. La nostra virtù, amico, è come la buona fede di un politico, la promessa di un quakero, il giuramento di un giocatore, e la parola e l’onore de’ grandi”. Questa commedia è ben condotta; ma il suo argomento che consiste in un cavaliere dissoluto, che per ingannare i mariti di Londra fa correr voce di essere stato in una malattia fatto eunuco da’ cerusici; i di lui progressi con tal salvocondotto; Lady Fidget che nell’atto IV esce fuori col catino di porcellana guadagnato; le azioni e i discorsi dell’atto V: tutto ciò, dico, convince che la commedia inglese punto non cede in oscenità alla greca commedia antica, e talvolta la sorpassa. Per la qual cosa non ebbe torto il signor di Voltaire in asserire, che questa singolare e troppo ardita commedia tratta dalla Scuola delle Donne di Moliere, se volete non è scuola di buoni costumi, ma sì bene di spirito e di buon comico. Le altre commedie di Wycheley più pregiate, sono l’Amore in un bosco rappresentata in Londra nel 1627, il Gentiluomo maestro di ballo, e l’Uomo franco tradotta e imitata dal Voltaire nella Prude o Gardeuse de cassette. Il carattere dell’Uomo franco rassomiglia al Misantropo del Moliere, cui però cede in finezza e decenza, benchè lo superi in movimento e interesse. A questa commedia chiamata in inglese Plain Dealer molto dovette l’autore. Giacomo II uscendo soddisfatto dalla ripetizione di questo dramma composto sotto Carlo II, richiese di colui che l’avea scritto; ed intendendo che da sette anni si trovava in carcere per non aver modo di soddisfare i suoi creditori, spontaneamente ordinò che si liberasse, se ne pagassero i debiti, e si provvedesse con una pensione alla di lui sussistenza. Bello e consolante esempio se non fosse così raro.

I soprallodati comici inglesi, parlando in generale, non mancano nè d’invenzione, nè di fantasia, nè di forza, nè di calore, nè di piacevolezza. Si desidera però in essi scelta e venustà, e la decenza richiesta nella dipintura de’ costumi, per cui Terenzio tanto sovrasta a’ suoi posteri, l’unità di disegno nel tutto, e la verità, l’esattezza, e la precisione nelle parti: un motteggiar lepido e salso, pungente ma urbano alla maniera di Menandro che ammiriamo in Ludovico Ariosto: le grazie e le pennellate franche di Nicola Machiavelli che subito caratterizzano il ritratto: la vivacità ed il brio comico di Agostino Moreto: finalmente il gusto, l’amenità, e l’inarrivabile delicatezza nel ritrarre al vivo i caratteri e le ridicolezze correnti che danno al Moliere il principato tra i comici antichi e moderni.

Ma vediamo in quale stato questo gran comico trovò in Francia la commedia, ed in quale la tragedia il maggior Cornelio.