(1813) Storia critica dei teatri antichi e moderni divisa in dieci tomi (3e éd.). Tome IX « STORIA CRITICA DE’ TEATRI. Tomo IX. LIBRO IX. Continuazione de’ Teatri Oltramontani del XVIII secolo. — CAPO VII. Opera musicale nazionale ed italiana. » pp. 195-212
/ 150
(1813) Storia critica dei teatri antichi e moderni divisa in dieci tomi (3e éd.). Tome IX « STORIA CRITICA DE’ TEATRI. Tomo IX. LIBRO IX. Continuazione de’ Teatri Oltramontani del XVIII secolo. — CAPO VII. Opera musicale nazionale ed italiana. » pp. 195-212

CAPO VII.

Opera musicale nazionale ed italiana.

I.

Opera Spagnuola.

Cominciò l’opera nazionale sin dal secolo XVII. Sotto Filippo IV l’infante don Fernando di lui fratello formò due leghe distante da Madrid verso il settentrione in mezzo a un querceto una casa di campagna che denominò Zarzuela a. Egli soleva in essa trattenere il re e la famiglia con magnifiche feste singolarmente teatrali ricche di macchine e decorazioni, nelle quali accoppiavasi alla recita nuda di tutta la favola il canto di certe canzonette frapposte che diremmo arie. Tali rappresentazioni dal luogo ove eseguironsi trassero il nome di Zarzuelas, ed ora così seguitano a chiamarsi in Ispagna i drammi nazionali cantati. La Nazione poco prima disposta ad ascoltare tutto un dramma cantato, accolse più favorevolmente le proprie Zarzuelas, benchè in esse il canto riesca più inverisimile che nell’opera vera. Non ne hanno però gli Spagnuoli un gran numero. Di quelle del tempo di Filippo IV più non si favella nè anche. Le ultime sono pur poche. Io ho vedute ripetersi quasi sempre le medesime sarsuole composte per lo più da Ramòn La Cruz, cioè las Segadoras (mietritrici) de Vallegas, las Foncarraleras, la Magestad en la Aldea, el Puerto de Flandes, e qualche altra, cui danno il titolo di folla. Oltre a queste si sono tradotte e accomodate a foggia di sarsuole alcune opere buffe italiane, cioè rappresentandosi senza canto il recitativo e cantandosi le sole arie e i duetti e i cori ed i finali. Così vi si rappresentarono la Buona Figliuola, le Pescatrici, il Filosofo di Campagna, il Tamburro notturno.

Si tentò nel 1768 aprir camino ad un’ opera eroica spagnuola originale, rappresentandola alla maniera delle sarsuole. Il peso di comporne la poesia si addossô al La Cruz, il quale scrisse Briseida zarzuela heroica in due atti posta in musica da don Antonio Rodriquez de Hita maestro di musica spagnuolo. Essa però fu così mal ricevuta e derisa, specialmeate in alcune Lettere graziose e piene di sale scritte da don Miguèl Higueras sotto il nome di un Barbero de Foncarral, che Briseida fu la prima e l’ultima opera seria spagnuola. Essendo quasi impossibile agli esteri curiosi imbattersi in tal fanfaluca, e ben difficile a’ nazionali che se ne curino, diamone qualche contezza. Essa contiene l’intiera sostanza de’ diciannove libri dell’Iliade in compendio, perchè incomincia dal contrasto di Achille ed Agamennone per far rimandare Crisia al padre, nè finisce se non dopo l’ammazzamento di Patroclo, per cui Achille torna a combattere contro i Trojani. Tutto ciò si racchiude in due piccioli atti divisi in dodici scene. Ebbe dunque tutta la ragione del mondo il sig. La Cruz di declamar tanti anni contro i compatriotti che inculcavano le moleste unità; e non ebbi io torto in affermare ch’egli rannicchia e pone in pessimi scorci le altrui invenzioni soggettandole al coltello anatomico di Procruste.

Ma ciò sarebbe il minor male, se col misero sacrificio della poesia si servisse almeno alla musica. Egli però ignorando i punti del dialogo più opportuni per le arie, ed altri pezzi musicali, nè sa valersene a rendere meno ristucchevole il recitativo, nè sa con questo interromperne la frequenza, ed evitar la sazietà che si produce anche coll’armonia quando è perenne. Per esempio la prima aria dell’atto I si canta dopo centoventisei versi recitati, e soli trentadue versi poi sono seguiti da due arie; nell’atto II si recitano cento cinquanta versi prima di udirsi un’ aria, e poi settanta versi soli danno luogo a ben cinque pezzi di musica, cioè tre arie, una cavatina ed un recitativo obbligato, ed altri novantotto versi in seguito precedono un’ altra aria. Con tale pessima economia e distribuzione trovansi nella Briseida incastrati dodici pezzi di musica quasi tutti parlanti, e senza affetti.

Cinque scene compongono l’atto I, in cui deliberata la restituzione di Crisia, Agamennone comanda che si tolga Briseida ad Achille, il quale irato si allontana dal campo greco. Nella prima scena mille pensieri sublimi, ed espressioni nobili energiche e poetiche possono notarvisi. Agamennone chiamato re de’ mortali (titolo per altro dato nella poesia greca e latina al solo Giove) Ioda Achille e dice con poetica bellezza che il di lui nome solo è definizione degna di Achille. Di Agamennone si dice che gli eroi della Grecia si gloriano di essergli soggetti, nivelando su conducta por su prudencia , livellando la sua condotta dalla sua prudenza. De’ Greci si dice,

separamos los brazos de los cuellos
de las esposas,

volendosi spiegare che si distaccarono dagli amplessi delle consorti, benchè separar le braccia da i colli, può parere piuttosto esecuzione di giustizia o di erudeltà. Di un reo che involge gl’innocenti nella propria ruina, dicesi con felicità, proprietà, ed eleganza, hizo partecipantes del castigo gl’innocenti. La Cruz dà braccia ad una pecora , dalle quali il lupo strappa gli agnelli. Per dirsi che Agamennone nè vuol cedere Criseida, nè permettere che sia riscattata, si dice con proprietà castigliana ni cederla quiere ni redimirla . Or tocca al La Crux o al Sampere, e a tutta la turba che lo encomia, a conciliar tutto ciò colla propria lingua, colla poesia, e col senso comune. Si conchiude l’atto con un’ aria, in cui Calcante profetizza che il sole irritato convertirà en temor nuestras alegrias : ma di grazia quali allegrie sono nel campo greco, di cui Achille ha descritta la mortalità onde l’ha coperto la peste ? Si aggiugne un’ altra aria di paragone di un fresco rio , che coll’ umor frio feconda le piante, ma se poi è trattenuto da un pantano vil altivo , questo rivo annega quanto incontra. Veramente un rivo che sbocca in un pantano, altro non fa che impantanarsi anch’esso, e nulla può sommergere prima di vincere l’ostacolo che si oppone al suo corso; ma passi ciò. Non si capisce però dagli spagnuoli, come un pantano possa dirsi vil altivo.

Dopo alenni soporiferi discorsi di Briseida e Crisia, Achille partecipa a questa la di lei libertà, ed ella grata gli augura una corona di lauro che Apollo idolatra; ma immediatamente poi nell’aria gliene augura un’ altra di mirto, nè le basta, se non vede su i di lui capelli fiorire i rami di tal mirto, e nella seconda parte di essa (che conviene alla prima come il basto al bue) si dice :

Y de nuestras vidas
con afectos nobles
aprehendan los robles
à permanecer.

Achille nella scena quarta dice a Briseida,

Al beneficio de los ayres puros
Nuestras naves y tropas veràs luego
A su primer vigor restituidas.

Che cessando la peste la gente riprenda vigore, ben s’intende; ma le navi sono anch’esse soggette al contagio? ed in qual vigore esse ritornano coll’aria pura? Che Achille non solo voglia chiamarsi figlio, ma primogenito di Teti, è buona scoperta genealogica per gli antiquarii. Lasciamo la sintassi irregolare di quel no se acuerda de quien soy y quanto ec. ; lasciamo quel suppongo yo mas , espressione castigliana, sì, ma troppo famigliare per un dramma eroico. Disconviene però al carattere del magnanimo Achille quel gettar motti maligni e cavillosi contro di una verità notoria dell’elezione di Agamennone, con dirsi che forse sia stato eletto per capo dell’esercito da pocos hombres. Graziosa è la di lui determinazione di non voler suscitare una guerra civile contraddetta dall’aria tutta minaccevole, nella quale paragona se stesso al mar tempestoso, e medita vendetta, e nella seconda parte, che non ha che fare col primo pensiere, si dice,

Sin tus perfecciones
serà à mis pasiones
dificil la calma,
quando à mi alma
la quietud faltò.

Ciò in castigliano si direbbe una pura quisicosa, ed in francese un galimathias.

Agamennone nella scena quinta domanda a Taltibio, se abbia eseguiti i suoi ordini, quando pur co’ suoi occhi vede in quel luogo Briseida ed Achille; ed il servo, contro l’indole de’ Taltibii, disubbidiente dice che gli ha enunciati, ma non è passato oltre per compassione, e canta un’ aria al suo re di un tronco che cede alla forza, ma mostra colla resistenza il proprio dolore , sentenza che quando non fosse falsa, impertinente, ed inutile per la musica, sarebbe sempre insipidamente lirica e metafisica. Termina l’atto con un terzetto di Achille, Briseida, ed Agamennone (restando per muti testimoni Patroclo e gli altri) i quali tutti e tre cantano questi versi :

Dioses que veis la injuria, vengadme del traidor.

In prima in quest’azione niuno de’ tre può dirsi traditore; e l’istesso Agamennone col togliere Briseida ad Achille usa una prepotenza una tirannia, ma non un tradimento. Pure quando voglia concedersi agli amanti un’ espressione men misurata per soverchio sdegno, come mai Agamennone che offende Achille col togliergli la donna, che per diritto di guerra e di amore gli appartiene, può per soprappiù lagnarsi di essere ingiuriato e tradito da Achille?

Stancherò io i leggitori con una circonstanziata analisi dell’atto II? Contentiamoci di accennare che pari meschinità di concetti, trivialità di espressioni, abuso ed improprietà di termini si trova nel rimanente. Ne servano di esempio soltanto le seguenti poche formole; sospender el animo con dones , per ispiegare di vincere con regali; chiamare argonautas marinari che non navigano sulla nave Argo, nè si distinguono almeno per eccellenza; concretar las gracias per esprimere l’accumular le grazie; il borrar triunfos y escribir tragedias, metafora di controbando, ed antitesi puerile attribuito all’ira del guerriero Achille; l’idiotismo di advitrio per arbitrio o alvedrio ec. Aggiungiamo solo alla sfuggita che tutte le arie sono stentate, inarmoniche, difettose nella sintassi, e contrarie o distanti dal pensiero del recitativo; che si trova in quest’atto secondo uguale ignoranza delle favole, ed invenzioni Omeriche, e degli antichi tragici; che Briseida augura ipocritamente ad Achille che giunga

à gozar del amor de su Ifigenia;

ignorando che la sacrificata figlia di Agamennone per miracolo di Diana ignoto a’ Greci si trova viva trasportata nel tempio della Tauride; che l’istessa Briseida la prega di volersi intenerire,

y no qual fuerte hierro à tu Briseida
aniquiles, abrases y consumas;

colle quali parole attribuisce al ferro che non è rovente, le proprietà del fuoco di annichilare, bruciare, consumare; che Achille vuole che gli augelli loquaci siano muti testimoni, los pajaros parleros sean mudos testigos  che lo stesso Achille dice di avere appreso da Ulisse

â despreciar la voz de las sirenas,

la qual cosa dimostra di possedere uno spirito profetico, perchè Ulisse si seppe preservare dalle sirene dopo la morte di Achille e la distruzione di Troja; che l’istesso Achille pure profeticamente indovina che l’uccisore di Patroclo sia stato Ettore, perchè nel dramma del La Cruz niuno glie l’ha detto; che Agamennone dice ad Achille che vedrà al campo il corpo di Patroclo

pasto fatal de las voraces fieras,

bugia che contraddice al racconto di Omero che lo fa venire in potere de’ Mirmidoni; nè poi Achille potrebbe mai vedere una cosa già seguita, purchè le fiere a di lui riguardo non vogliano gentilmente differire di manicarselo sino al di lui arrivo; in fine che La Cruz dovrebbe informarci perchè Briseida di Lirnesso, cioè Frigia di nazione mostri tanto odio contro le proprie contrade a segno di desiderarne l’annientamento anche a costo di dover ella rimaner priva di Achille? È mentecatta questa insipida figlia del frigio Briseo, ovvero La Cruz che le somministra sì strani affetti ed espressioni?

E questa è la Briseida di Ramòn La Cruz Cano y Olmedilla ecc. ecc. I critici nazionali decideranno qual siesi più scempiato componimento del secolo XVIII, se questa Briseida o il Paolino di Añorbe y Corregel. Essi investigheranno ancora chi sia quel poetilla ridiculo autor de comedias goticas, todas aplauditas en el teatro, todas detestables à no poder mas, y todas impresas por suscripcion, con dedicatoria y prologo a.

Il teatro spagnuolo ha un’ altra specie di rappresentazione musicale, cioè la tonadilla e la seguidilla narrazioni in musica che tal volta si distendono a più scene, e si cantano anche a due, a tre ed a quattro voci. Ecco come le diffinisce nel poema della Musica Tommaso Yriarte :

Canzoneta vulgar breve y sencilla,
Y es hoi a’ veces una escena entera,
A veces todo un acto,
Segùn su duracion y artificio.

Negli ultimi anni del XVIII secolo è passata dalle grazie naturali delle venditrici di aranci, di frutta e di erbaggi, all’elevatezza della musica più seria, ai gorgheggi, alle più ardite volate; di maniera che con mala elezione ha cangiato il proprio carattere, e sovente nella stessa tonada si congiunge l’antico ed il moderno gusto, la musica nazionale e l’Italiana. Odasi il nominato Yriarte :

Pues uno eleva tanto
El estilo en asuntos familiares,
Que aun suele para rusticos cantares
De heroicas arias usurpar el canto 
Otro le zurce vestidura estraña
De retazos ni suyos ni de España.

Riguardo alla poesia l’insipidezza, i delirii, la scempiaggine delle ultime tonadas è pervenuta alle più viziose estremità. In una di esse si personificarono ed introdussero a confabulare le due statue di Apollo e Cibele, e fin anco l’istesso Passeggio del Prado; in un’ altra si personificò la Cazuela e la Tertulia, due palchettoni de’ teatria.

II.

Opera Italiana.

L’Opera Italiana non tradotta si è in diversi tempi interrottamente rappresentata nella penisola. Nel real palazzo del Buen Retiro di Madrid sotto Ferdinando VI si cantarono le più famose opere di Metastasio e qualche serenata di Paolo Rolli da’ più accreditati attori musici e dalle più celebri cantatrici dell’Italia, senza balli ma con alcuni tramezzi buffi, dirigendone lo spettacolo il riputato cigno napoletano Carlo Broschi detto Farinelli, che quel Cattolico Sovrano dichiarò cavaliere. La Nitteti del Cesareo poeta Romano, in cui il viluppo interessante, e le patetiche situazioni vengono arricchite da maravigliose decorazioni tutte ricavate dalla natura, su espressamente composta pel teatro ispano a richiesta del suo amico Farinelli. Ma questo spettacolo veramente reale, cui si ammettevano gli spettatori senza pagarne l’entrata, terminò colla vita della regina Barbara e di Ferdinando VI.

Nel teatro detto de los Caños del Peràl di Madrid fin dal 1730 si rappresentarono opere comiche, ma dopo alquanti anni vi si recitarono commedie spagnuole, le quali erano pur cessate nel 1765 quando io giunsi in Madrid. Qualche concerto ed opera buffa vi si eseguì di passaggio l’anno stesso, in cui si sospesero le rappresentazioni de’ siti reali. Di bel nuovo poi dal 1786 vi si tornarono per qualche altro anno a rappresentare opere musicali italiane.

In Aranjuez, nell’Escorial, in San-Ildefonso, e nel Pardo dimorandovi la corte dal 1767 s’introdussero le opere buffe con balli, le qualí alternavano colle rappresentazioni francesi tradotte in castigliano eseguite da une compagnia di commedianti Andaluzzi. Ma l’uno e l’altro spettacolo cessò nel 1776 per sovrano divieto.

In Cadice, in Barcellona, in Saragoza, in Cartagena, e talvolta nel Ferol, si è rappresentata eziandio per alcuni anni l’opera italiana. Anche in Bilbao se n’è cantata alcuna, ma tradotta in castigliano. In Lisbona sotto il padre della regina Maria Francesca, l’opera italiana fece lungamente le delizie di quella corte.