(1787) Storia critica de’ teatri antichi e moderni (2e éd.). Tome I « LIBRO PRIMO — CAPO III. Teatri Orientali. » pp. 17-27
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(1787) Storia critica de’ teatri antichi e moderni (2e éd.). Tome I « LIBRO PRIMO — CAPO III. Teatri Orientali. » pp. 17-27

CAPO III.
Teatri Orientali.

I precedenti fatti principali variamente modificati dalla diversità de’ costumi, de’ tempi e de’ gradi di coltura, compongono la storia de’ teatri di tutta la terra. Ma quali sono queste modificazioni? a qual punto di eccellenza essi pervennero? come caddero, e dove? quando risorsero? sotto qual cielo acquistarono la forma più perfetta, cioè più dilettevole e più instruttiva? Tutto ciò si deduce agevolmente dalle storie particolari di ogni teatro. Cominciamo dagli Orientali.

Prima che altrove gli spettacoli scenici inventaronsi nel vasto antichissimo imperio della China. Sembra che non interrottamente abbia in essi dominato lo spirito religioso primitivo, da che sino a questi tempi la commedia si considera da alcuni Cinesi come antico rito del patrio culto. In Bantàm, che è la capitale dell’isola di Giava, ed è divisa in due gran parti, delle quali una è abitata da’ Cinesi che le danno il nome, qualunque sacrifizio si faccia nelle pubbliche calamità o allegrezze, è costantemente accompagnato da un dramma, il quale si riguarda come rito insieme e festa pubblica. Nel Tunkin si rappresentano ne’ tempj azioni teatrali, che formano una parte del culto di que’ popoli verso i loro idoli22.

Verun teatro pubblico e fisso non si trova nella China, ma sonovi assai frequenti le rappresentazioni, dovendo formare una parte indispensabile di ogni festa e convito scambievole de’ Mandarini23. Girano perciò continuamente i commedianti Cinesi di casa in casa, innalzano in un attimo i loro teatri portatili, e recitano ne’ cortili o nelle piazze.

Parimente di città in città scorrono nel Giappone alcune compagnie comiche composte quasi interamente di donne schiave di un Archimimo, a conto del quale rappresentano. Donne tali schiave, abjette ed infami si prostituiscono a i nobili Giapponesi i quali le sprezzano e le incensano, le arricchiscono vive, e soffrono che appena morte vengano strascinate per le vie con una fune al collo, e lasciate insepolte in preda ai cani24. Nella stessa abjezione vivono le commedianti della China, avvegnachè non manchino ne’ fasti di questa nazione esempli di regnanti, che vinti da i vezzi delle sirene teatrali giunsero all’eccesso di prenderle per consorti, come fece l’Imperadore Kingn che regnò quaranta anni in circa prima dell’Era Cristiana25.

Ma se la prostituzione, la dissolutezza de’ costumi, e la schiavitù rendono infami i commedianti nell’Oriente, non si lascia di ammirare la loro abilità di rappresentare, e sono in pregio gli attori eccellenti, e si encomiano soprattutti quei del Tunkin26. Vedesi ancora comunemente in alcune corti orientali un Sovrano rappresentar sulla scena. Nel reame di Firando appartenente al Giappone si è veduto più di una fiata comparire in teatro il re colla real famiglia e co’ suoi ministri politici e militari27. Ed è tale l’esattezza che si esige nell’ imitazione de’ caratteri, ovvero il timore di avvilirsi rappresentando una parte inferiore, che ciascuno sostiene nella favola il medesimo carattere che lo distingue nello stato. Il re rappresenta da re, i suoi nipori o figliuoli da principi, da capitani o consiglieri i veri consiglieri o capitani, da servi i servi. Quindi è che, siasene qualunque la cagione, essi in tal modo avvivano la finzione co’ veri colori del costume che ne risulta la tanto desiderata incantatrice illusione che tiene sospesi ed attaccati alla favola gli ascoltatori.

I Cinesi non distruggono questa bella imitazione colle maschere sempre nemiche della vera rappresentazione. Essi le usano soltanto ne’ balli come i Francesi, e ne’ travestimenti di ladro. Gl’ interlocutori delle favole Cinesi sogliono essere otto o nove; ma i commedianti non sono più di quattro o cinque, e ciascuno di loro rappresenta due o tre parti. Ed affinchè lo spettatore non confonda i varj personaggi, che sostiene lo stesso attore, nel presentarsi in teatro dice alla bella prima il nome che porta in quella scena. Ecco come si dà a conoscere il protagonista del dramma intitolato Tchao-Chi-Cu-Ell, o sia l’ Orfano della famiglia Tchao, tradotto dal P. Prèmare e tratto da una collezione di un centinajo di drammi scritti nella dinastia di Yuen: “Io sono Tching-poei, mio padre naturale è Tungan-cu; io soglio la mattina esercitarmi nelle armi, e la sera nelle lettere; ora vengo dal campo per veder mio padre naturale”.

Non si conosce nella China, nel Tunkino e nel Giappone la divisione Europea delle favole teatrali tragiche e comiche. Si cerca solo di copiare in un dramma le azioni umane col fine d’insinuar la morale, e vi si adopera indistintamente il ridicolo e il terrore. I casi più terribili, le riflessioni più sagge, le circostanze più serie, le situazioni più patetiche, rare volte vengono scompagnate da bassezze e motteggi buffoneschi. Ogni favola è divisa in più atti senza numero determinato, e il primo di essi, che equivale a un prologo, chiamasi Sie-Tse, e tutti gli altri Tche.

Quanto alla musica trovasi da tempo remotissimo nella China introdotta, essendo stata inventata da Hoang-ty, e coltivata dallo stesso Fo-hi inventore del Kin dolcissimo stromento di trentasei corde o secondo altri di ventisette. In sì vasto impero essa avea luogo in tutte le occasioni più solenni. Se Pitagora co’ suoi discepoli disponeansi alla contemplazione e all’esercizio colla musica, anche Chun uno de’ più celebri Imperadori Cinesi, che secondo gli storici della nazione regnava intorno a 22771 anni prima dell’Era Cristiana, col suono del Kin si accingeva a trattare gli affari dell’impero. E perchè ogni dinastia ebbe una musica particolare, quella di Chun si chiamò Chao-yo, e si usava principalmente ne’ sacrifizj, e nella venuta di ambasciadori stranieri. Nel primo e nell’ultimo giorno dell’anno, quando l’Imperadore presedeva all’amministrazione della giustizia, si eseguiva una musica chiamata Tchoung-hochao-yo, cioè che inspira concordia verace. Nel leggerglisi qualche elogio a lui indirizzato usavasi la musica detta Tao-yng, eccitatrice. Festeggiavasi colla musica più solenne la celebre cerimonia o festa di primavera del lavoro della terra fatto pubblicamente dall’Imperadore. I varj stromenti della coltivazione sostenevansi allora da venti musici, ed altri cinquanta rimanevano in guardia degli stendardi di cinque colori. L’Imperadore forma coll’ aratro un solco, ed è imitato da’ Regoli e Mandarini, indi monta in sedia per ritornare al real palazzo, ed allora incomincia la gran musica, la quale poi cessa nè si ripiglia se non giunto ch’egli sia presso a un grande altare nell’interiore della reggia, e di bel nuovo assiso che sia nella sala del trono. Oltre a ciò vengono dalla musica accompagnate tutte le cerimonie fatte negli appartamenti delle Imperatrici. Eseguivasi da prima in tali luoghi la musica da 24 donne sotto la direzione de’ maestri della campana e del tamburo, ma ne furono dopo alcuni anni escluse, e sottentrarono 48 eunuchi; e benchè passati altri venti anni fussero le donne richiamate, alfine sessanta anni dopo si decise che quivi più non si ammettessero se non musici eunuchi. Si fanno ancora nella China alcuni concerti di musica e quando si presenta all’Imperadore un libro novellamente impresso, e quando i Mandarini d’armi e di lettere si uniscono per gli esami, e quando il Capo de’ discendenti di Confugio ed il Generale de’ Bonzi vengono alla corte, e quando si costruisce qualche nuovo edifizio28.

Ora se tali cerimonie, solennità e affari venivano quivi dalla musica accompagnati, non doveva essa entrare negli spettacoli teatrali? Non solo ha fatto parte del dramma Cinese, ma essendo negli ultimi tempi caduta in disistima29 (siasi ciò avvenuto per l’ introduzione della musica Europea che pretese fare nel paese l’Imperadore Kam-hi per mezzo del Portoghese Pereira e del P. Pedrini, siasi per qualunque altra cagione) in appresso appena nella sola scena fu tollerata da’ nobili. Ma in qual modo vi ha luogo? Parte del dramma si recita semplicemente, e parte si canta; e quella parte se ne canta, in cui le passioni si trovano nel maggior calore e trasporto. Si annunzia ad un personaggio la notizia di essere stato condannato a morte? medita egli qualche grande impresa? si sdegna? minaccia? si dispera? Tutte queste passioni vivaci si esprimono cantando (Nota II.): il rimanente si recita senza musica.

Il dramma Cinese non si spazia in episodj estrinseci all’azione, perchè tutti prende a rappresentare i fatti rilevanti di una lunga storia. Passano poche scene, in cui non si uccida alcuno. In tre ore di rappresentazione si espongono gli evenimenti di trent’anni. Comparisce fanciulla, amoreggia e si marita una donna, la quale ha da partorire un bambino, che dopo quattro lustri si enuncia come il protagonista della favola. Mancano adunque i Cinesi d’arte e di gusto nel dramma che pur seppero inventare sì di buon’ ora; e con tanto agio non mai appresero a scerre dalla serie degli eventi un’ azione verisimile e grande atta a produrre l’illusione che sola può trasportare gli ascoltatori in un mondo apparente per insegnar loro a ben condursi nel vero30.

Oltre alle rappresentazioni riferite hanno gli Orientali coltivati da gran tempo i balli pantomimici. Alcuni de’ commedianti Cinesi si sono addestrati a rappresentar senza parole seguendo le leggi della cadenza musica. In tale esercizio segnalansi singolarmente le ballerine di Surate nella penisola Guzurate posta fra l’Indo e il Malabar, chiamate da’ Portoghesi bayladeras. Vengono esse allevate in alcuni collegj e destinate a danzare ne’ Pagodi ed a servire ai piaceri de’ Brami. Ma varie compagnie di codeste cortigiane consacrate girano per divertire i ricchi Mori e Gentili sotto la direzione di alcune vecchie. Un solo musico di età avanzata e per lo più il più brutto di tutti gli uomini le segue e le accompagna con uno stromento di rame chiamato nell’India Tam. Mentre esse ballano, il brutto musico ripete questa parola con una vivacità continua, rinforzando per gradi la voce e stringendo il tempo del suono in maniera che egli palesa il proprio entusiasmo con visacci e strane convulsioni, e le ballerine muovonsi con una maravigliosa agilità, la quale accoppiata al desiderio di piacere e agli odori de’ quali tutte sono esse sparse e profumate, le fa grondare di sudore e rimanere dopo il ballo pressochè fuori di se. I balletti di tali donne voluttuose abbellite dal vago loro abbigliamento (descritto leggiadramente dal chiar. Ab. Raynal 31) e dall’arte di piacere che posseggono in grado eminente, sono quasi tutti pantomimi amorosi, de’ quali il piano, il disegno, le attitudini, il tempo, il suono, le cadenze, respirano unicamente l’amore e n’esprimono i piaceri e i trasporti.