(1789) Storia critica de’ teatri antichi e moderni (2e éd.). Tome V « LIBRO VII. Teatro Francese ne’ secoli XVII e XVIII — CAPO VI. Tragedia Cittadina e Commedia Lagrimante. » pp. 134-143
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(1789) Storia critica de’ teatri antichi e moderni (2e éd.). Tome V « LIBRO VII. Teatro Francese ne’ secoli XVII e XVIII — CAPO VI. Tragedia Cittadina e Commedia Lagrimante. » pp. 134-143

CAPO VI.
Tragedia Cittadina e Commedia Lagrimante.

Sulle tracce segnate dagl’ Inglesi, come vedremo appresso, è cominciata a comparire sulle scene Europee una picciola tragedia che non si eleva agl’ interessi delle intere nazioni e de’ personaggi eroici, ma si spazia entro le famiglie private, ed è chiamata Cittadina. Non è questo un dramma da gareggiar punto colla grande e vera tragedia reale da Platone tenuta per più malagevole della stessa epopea, e fatta per ammaestrare ugualmente i principi e i privati. Ma essa anche può ammettersi in grazia della varietà, e per servire al diletto e all’istruzione della parte più numerosa della società, e a produrre il bel piacere delle lagrime; specialmente quando non si distragga lo spettatore con tratti troppo famigliari ed atti ad alienarlo dall’impressione del dolore e della pietà. I Francesi in questi ultimi tempi hanno avuto varj scrittori di tragedie cittadine ora più ora meno ingegnose e composte più spesso in prosa che in versi.

Franceso Maria d’Arnaud de Baculard nato nel 1709 si è esercitato in simil genere. Il suo Fajele contiene l’ argomento stesso della Gabriela del Belloy, cui il marito dà a mangiare il cuore dell’amante, trattato colle medesime molle ed atto come quella a partorir piuttosto orrore che terrore tragico. Più lugubri, benchè meno sanguinose, sono il Conte di Cominge e l’Eufemia. Nell’uno si rappresentano le avventure del conte divenuto religioso della Trappa che geme tra i cimiterj e le teste de’ morti; nell’altro una religiosa disperata, la quale nel proprio confessore ravvisa l’antico suo amante che vuole obbligarla a seguirlo fuori del convento? Più interessante è il Cominge, più nojosa l’Eufemia. Nell’una e nell’altra favola si tesse una serie di evenimenti romanzeschi che si narrano come preceduti all’azione. Il Merinval è pure un’ azione tragica del medesimo scrittore avvenuta tra persone private, in cui si scorge la medesima energia nella passione e la medesima tinta lugubre e cupa. Un’ altra religiosa disperata che si avvelena per essere stata dal padre astretta a monacarsi, ha dipinta M. de la Harpe nella sua Melania. Manca ancora a’ Francesi l’arte d’inseguire col sale comico e colla sferza del ridicolo questa vanità ed ingordigia de’ capi delle famiglie che astringono le donzelle a seppellirsi per conservare a’ maschi intere le patrie ricchezze. Il Socrate dramma in prosa che Voltaire diede al pubblico nel 1755 come una traduzione di quello di Tompson alunno di Adisson, dee collocarsi nella classe delle tragedie cittadine per la mescolanza del patetico e del famigliare. Senza qualche tratto troppo comico e malizioso ne’ caratteri di Anito, Melito e Drixa, e de’ pedanti Grafio, Como e Bertillo giornalista, sarebbe questo dramma il modello di tale specie di tragedia.

Dalla tragedia cittadina, la quale, ove si preservi da colori comici e si contenti di cedere i primi onori al sublime continuato della tragedia grande, potrebbe tollerarsi anche in un teatro di buon gusto, si discende ad un dramma senza contrasto riprensibile, cioè ad una commedia lagrimante, nella quale s’imbratta con pennellate ridicole un quadro tragico. Sedaine, Falbaire e Mercier hanno coltivato questo genere comicolugubre con singolare felicità, il primo nel Disertore, il secondo nell’Umanità, il terzo nell’Indigente, drammi interessanti, ne’ quali però il gusto non si riposa interamente. Non eccedono la natura gli scherzi comici dell’uffizialetto nel Disertore, ma non si accordano colle situazioni patetiche che vi sono. Commuove nell’Umanità l’angustia ove si vede ridotto un padre di famiglia che esce a rubare per sostentare i suoi, ed è condannato alla morte. Ma una ipotesi troppo rara discopre lo studio dell’ autore di mettere in tali circostanze un uomo virtuoso, che a stento si rinvengono ne’ processi criminali più famosi. Or qual pro dal rappresentare queste atrocità non comuni? L’esperienza ne convince che il patetico per lo più si risveglia con un tratto semplice ma vero ricavato dal fondo del cuore umano; a che dunque caricar le tinte a sì alto segno? Nell’Indigente il sig. Mercier ha confuse le tinte de’ caratteri comici colle tragiche, dando al suo dramma un’ aria di somma tristezza senza bisogno. Spogliandolo dell’affettazione pantomimica e delle azioni scimiesche e della lugubre dettatura del testamento, l’azione e il carattere dell’Indigente prenderebbe il portamento di una delicata tenerezza che meglio si adatterebbe col comico utile disviluppo della favola e col cangiamento di M. de Lys affrettato bellamente dal Notajo. Ma gli altri drammi del Sedaine, il Filosofo senza saperlo, la Scommessa, Maillard o Parigi salvato, non sono stati così applauditi come il Disertore. Le Roi & le Fermier del medesimo autore dee collocarsi in una classe men tetra della commedia piangente. Nè anche gli autori dell’Umanità e dell’Indigente ne hanno composti altri ugualmente riusciti; specialmente il Mercier sembra di aver degenerato nell’Abitante della Guadalupa. In quello che intitolò Natalia rappresentato la prima volta in Parigi nel 1787, si notano molti difetti, benchè non lasci d’interessare.

Altri drammi piangolosi non molto riusciti nel pubblico teatro, e meno nella lettura, per chi non ama la confusione de’ generi, si sono veduti sulle scene francesi. M. Louvais fe rappresentare nel 1773 l’Adone scritto in prosa; l’Orfano Inglese parimente in prosa uscì nel 1769; M. Fenouillot dal 1767 sino al 1771 ha pubblicato il Delinquente onorato in versi, il Fabbricante di Londra in prosa, e il Beverley in versi; M. Dudoyer è autore del Vendicativo in versi.

In alcuni drammi di Diderot, di Beaumarchais e di qualche altro dee riconoscersi una specle di rappresentazione men lamentevole e perciò men difettosa della pretta lagrimante, ma però ben lontana dal pregio della nobile commedia tenera. Nel Padre di famiglia del primo, nell’Eugenia del secondo, nel Figliuol prodigo del Voltaire non si vedono moribondi per mancanza di pane, testamenti, sentenze di morte, esecuzioni di disertori, nè un padre che si getta a rubar sulla pubblica via vicino ad essere impiccato. Le passioni vi sono vive ma meno tragiche e più proprie della commedia nobile, o come dicono i Francesi, du haut comique, sebbene se ne vorrebbero correggere diversi eccessi. Osserviamone qualche particolarità.

Dionigi Diderot filosofo di molto nome morto nel 1787 vide il suo Padre di famiglia nel 1761 rappresentato in Parigi con felice successo ed applaudito eziandio su’ teatri stranieri, principalmente perchè sin dalla prima scena il pubblico s’interessa per Sofia e per Saint-Albin, la cui passione è toccata con ottimi colori. Ecco come quest’innamorato si esprime con naturalezza e calore: Elle pleure, elle soupire, elle songe à s’éloigner, & si elle s’ éloigne, je suis perdu. É ben vago questo pronome elle posto prima di nominar Sofia ad imitazione di Terenzio. Delicato è pure ciò che dice nell’atto II: Si on me la refuse, qu’ on m’apprenne à l’oublier . . . L’oublier? Qui? Elle? Moi? je le pourrois? je le voudrois? que la malediction de mon père s’acomplisse sur moi, si jamais j’en ai la pensée. E allorchè il Commendatore vuole atterrirlo, dicendo che se il Padre l’abbandona, gli rimarranno appena per vivere 1500 lire di entrata, l’innamorato vivacemente ne deduce una conseguenza contraria e non attesa da suo zio: J’ ai quinze cents livres de rente? Ah Sophie, vous n’habiterez plus sous un toit. Vous ne sentirez plus les atteintes de la misère. Sono assai vaghi questi tratti, e lo studioso giovane l’osserverà, l’imiterà, se ne abbellirà alle occorrenze; ma si terrà lontano da’ difetti del dramma. La dipintura del carattere del Padre di famiglia non corrisponde alle accennate bellezze. Egli non sa far altro che piangere a tutte le ore, e filosofar cicalando mentre è tempo di operare: non manca nè di buon cuore nè di tenerezza pe’ figli, ma di prudenza e di attività nelle circostanze scabrose: è ricco ed indipendente, e pure si contenta di rappresentare in sua casa il secondo personaggio dopo del Commendatore suo fratello, che colle sue maniere e stravaganze mette tutto in iscompiglio. L’ invenzione di questa favola appartiene al nostro Goldoni, il quale scrisse in Italia il Padre di famiglia commedia per altro non poco difettosa. Diderot la volle imitare e correggere, e ne snaturò il genere formandone una favola tetra, poco men che lugubre quanto una commedia larmoyante. Tolse egli ancora dal medesimo Goldoni la sostanza del suo Figlio naturale dramma serio privo di ogni carattere comico. Questa favola discende dal Vero Amico dell’Italiano, il quale mal grado di varj difetti vale assai più del Figlio naturale, benchè Diderot nel tempo che se ne valeva volle chiamarlo farsa senza averne veruna caratteristica. Non si vedono nel Figlio naturale se non che situazioni semitragiche prese in prestito altronde ed attaccate al piano del Vero Amico, e vi regna tale affettata nojosa saviezza in tutti i personaggi e specialmente nel Figlio naturale ed in Costanza, che farà sempre sbadigliare sulla scena.

Il disprezzo che avea Beaumarchais per l’eccellente comico maneggiato da Moliere, congiunto alle minutezze su gli abiti e all’affettata descrizione pantomimica de’ personaggi muti, poco danno indizio di un ingegno investigatore de’ grandi lineamenti della natura e ricco di vero gusto. Nondimeno non parmi che si debba coll’ autore de’ Tre Secoli collocare senza veruna riserba la di lui Eugenia tralle favole viziose e contrarie alla scena di Talia. Confesso che egli dovea meglio contenersi nel recinto prescritto alla commedia nel toccare le passioni tenere: che vi si scorge qualche difetto di verisimiglianza nel piano: che i colpi teatrali di tutto l’atto IV prodotti dalla vendetta meditata da madama Murer, sembrano più proprj di un’ opera musicale eroica che di una commedia. Ma la dilicata Eugenia non merita punto l’oltraggioso disprezzo che ne mostrarono alcuni. L’intreccio, l’ argomento, i caratteri del Barone e di Murer appartengono alla commedia. Gli affetti di Eugenia son dilicati, e sebbene eccedano alquanto passando oltre de’ limiti concessi alla commedia tenera, non hanno però la nota abbastanza furiosa qual si richiede nella tragedia. Il m’avait (dice Eugenia nella 2 scena dell’atto I) caché ces bruits dans la crainte de m’affliger . . . Comme il m’a regardée en repondant! Ah ma tante que je l’aime! Questa delicatezza che pur si rinviene nelle favole Terenziane, non isconviene alla commedia, e nocerebbe alla tragedia. La quinta e l’ottava scena dell’atto III sono belle e teatrali. È patetica ma non terribile la terza scena del IV, ed interessante la deliberazione del Padre di Eugenia, il quale si lusinga di trovare in corte giustizia e pietà. Delicata infine è l’esclamazione di Clarendon, Elle me pardonne, colla quale per trasporto di gioja egli previene le parole di Eugenia già intenerita. Beaumarchais pubblicò anche i Due Amici del medesimo colorito dell’ Eugenia; ma si astenne di chiamarle commedie, contentandosi d’intitolarle rappresentazioni. Fecero lo stesso altri autori di drammi semilugubri. Con miglior consiglio sacrificando qualche espressione, o colpo teatrale troppo tetro senza diminuirne l’interesse, si sarebbero meglio contenuto ne’ giusti confini senza bisogno di nuove voci. Beaumarchais ha composte altre due commedie lontane dalle tinte lugubri delle rappresentazioni, cioè il Barbiere di Siviglia, e la Giornata pazza ovvero il Matrimonio di Figaro. Esse sono tratte da’ costumi spagnuoli ed abbondano di colori teatrali, di piacevolezze e di tratti satirici.

Ad accreditar questo genere che si allontana da’ tristi eccessi del comico larmoyant, ma che per qualche tinta soverchio tetra si diparte dalla buona commedia tenera, ha contribuito ancora il Voltaire con due buone favole malgrado di alcun difetto, cioè col Figliuol Prodigo rappresentato nel 1736, e col Caffè ovvero la Scozzese. Mirabile nella prima è la dipintura de’ costumi. Toccati con maestria e con pennello comico sono i caratteri di Fierenfat, Rondon, la Baronne. Solo qualche riflessione troppo seria di Eufemone il giovane sembra trascendere il confine della commedia. Nel Caffè dipingesi la natura con sagacità. Polly, Friport, Mylady Alton hanno tutta la vaghezza comica. Frelon giornalista basso, venale, impudente, maledico e malfacente, fra’ tratti ridicoli che l’avviliscono ne ha alcuno che muove a sdegno per la troppa malvagità che manifesta senza rimorso. Fabrizio cafettiere di ottimo cuore è copiato dalla Bottega del Caffè del Goldoni. Il carattere della Scozzese è nobile, delicato, interessante. Non v’ha che Monrose il quale pieno de’ suoi spaventi e pericoli porta nella favola la propria tristezza quasi tragica. Voltaire pubblicò di aver tradotto questa favola da una di M. Hume fratello del celebre Hume storico e filosofo Scozzese.