(1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « [A] — article » pp. 118-139
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(1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « [A] — article » pp. 118-139

Andreini Giovan Battista. Figlio dei precedenti, nacque a Firenze il 9 febbraio del 1576.

Antonio Valeri (Carletta) nel suo pregevole studio (Un palcoscenico del seicento, Roma 1893) fu il primo, col soccorso del ritratto che è innanzi alla Florinda, a stabilire erronea la data di nascita dell’Andreini (1579) accettata sin quì da i più. L’oroscopo che tolgo da un codice della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, per gentile comunicazione dell’egregio sig. Baccini, e che riproduco in fine, taglia ogni discussione in proposito.

Passò Giovan Battista la prima giovinezza a Bologna ove si diede allo studio delle scienze. Invogliato poi di continuar l’arte dei genitori, entrò con essi nella Compagnia di Flaminio Scala, recitando con molto successo le parti d’innamorato sotto il nome di Lelio. Sposò in Milano nel 1601 Virginia Ramponi, giovane e bella milanese, la quale sotto la direzione del marito, diventò in breve rinomatissima attrice col nome di Florinda. Quando la madre Isabella morì in Lione, egli era colla moglie in Firenze, ove compose per essa la tragedia Florinda, la cui prima edizione fu da lui abbruciata per gli errori ond’era piena zeppa. Fu l’Andreini capocomico e direttore della Compagnia dei Fedeli, ch’ egli volle emula in tutto della celebre, allora estinta, dei Gelosi.

Oggi ancora il mondo
risuona de’ Gelosi il nome eterno,
che fra palme et honor spiegaro a l’aura
virtuoso vessil cui seguon lieti
(emuli professor) quei che Fedeli
Comici appella l’uno e l’altro polo….

(Saggia Egiziana, pag. 33). Di codesta Compagnia fecero parte la moglie Virginia, Eularia Coris, Giovan Paolo Fabri, Niccolò Barbieri, Domenico Bruni, Diana Ponti, Niccolò Zecca, Girolamo Garavini, ed altri. (Cfr. A. Bartoli, Introduz. agli scenarj).

Recatosi a Parigi la prima volta, pare, nel 1613 per invito di Maria de’ Medici, che aveva accettato la dedica dell’Adamo, vi ebbe onori non più uditi : questa volta però in qualità di amoroso e amministratore ; il direttore vero e proprio della Compagnia, dopo un fuoco ben nutrito da ambe le parti di raccomandazioni, proteste, suppliche, ecc., fu l’Arlecchino Tristano Martinelli, del quale il Baschet (Les Comédiens italiens à la cour de France sous Charles IX, Henri III, Henri IV, et Louis XIII, Paris, Plon, 1882) riporta i contratti.

La prima recita ebbe luogo il ventiquattro di novembre all’Hôtel de Bourgogne, ove le cose non andaron nè bene, nè male : e la Compagnia si trattenne a Parigi fino alla fine di luglio, recitando ora al Louvre per il Re, ora all’Hôtel de Bourgogne per il pubblico. Da una ricevuta del Martinelli rilasciata al signor di Beaumarchais, consigliere del Consiglio di Stato di S.M., abbiamo che alla Compagnia furon pagate 1800 lire, in ragione di 600 lire mensili.

Altra volta però, l’otto aprile 1614, non per rimunerazione reale delle recite fatte a Corte, ma per contratto privato fra i proprietari e reggenti dell’ Hôtel de Bourgogne e la Compagnia, non si riconobbe per contraente il Martinelli, ma l’Andreini, detto Lelio, accettante così per lui come per Tristano Martinelli detto Arlecchino e pei comici italiani loro compagni. Il contratto durò dall’otto aprile al sette giugno, e fu poi rinnovato per altri due mesi col corrispettivo di dugento lire mensili : ma il termine del secondo contratto non fu compiuto, poichè pare che la Compagnia tornasse in Italia sul finire del luglio, come si può vedere da una lettera della Regina a sua nipote la Duchessa di Lorena, concernente appunto Lelio e Florinda. L’Adamo che l’Andreini fece stampare in Milano, illustrato dal pittore bolognese Carlo Antonio Procaccini, oltre al valore intrinseco ha un valore istorico, poichè vuolsi da alcuno che ad esso e non ad altro pigliasse Milton l’ispirazione pe ’l suo Paradiso Perduto. (Vedasi per questo il citato studio di Enrico Bevilacqua che analizza largamente e magistralmente le due opere).

Dalla Florinda — Edizione di Milano, Gerolamo Bordone, m.dc.vi.

Veramente riaffacciatasi la questione delle date, quella della rappresentazione dell’ Adamo e quella dell’età del Milton, potrebbe cader dubbio sul fatto della prima ispirazione. Che il Milton abbia conosciuto l’Adamo dell’Andreini pare fuor di dubbio ; ma dal leggere un’ opera e magari seguirne poi le traccie, più qua allargandone il disegno, più là attenuandone le tinte, al riceverne la prima ispirazione ci corre : forse l’ha avuta da una rappresentazione della Scena tragica d’Adamo e d’Eva estratta dalli primi tre capi della Sacra Genesi, et ridotta a significato morale da Troilo Lancetta Benacense ? L’opera, dedicata alla Serenissima Maria Gonzaga, duchessa di Mantoa, di Monferrato, ecc., fu stampata a Venezia dal Guerigli il m.dc.xliv. La stessa data ha la lettera dedicatoria, e il Milton venne in Italia sul’38….

Forse, chi sa, il Voltaire confuse i due Adami ? Fra le tante sciocchezze snocciolate al proposito dell’opera andreiniana, poteva mettere anche questa. V’ è chi è andato a tirar fuori l’Angeleide del Valvasone, e la Strage degli Innocenti del Marini, ed altro. Sappiamo che il Milton aveva appreso l’ebraico e il siriaco all’intento di poter legger la Bibbia nei testi originali, e sappiamo ch’ ebbe, giovanissimo, il pensiero di farsi prete. Non poteva dunque dalla Genesi stessa, col mistico fervore del suo spirito, accogliere l’idea del poema che doveva poi farlo immortale ?

Comunque sia, tornando all’Andreini, senza tener troppo dal Maroncelli che alza iperbolicamente al cielo la forte creazione dell’ Adamo, senza tener troppo dal D’Ancona che lo stile dell’ Adamo chiama noioso documento di secentismo, a me pare che cose veramente belle e buone in questo vasto dramma non manchino. Qui, come in tutta la produzione letteraria dell’Andreini, è gusto per tutti i palati : chè a dare un’occhiata alle sue opere, si potrebbe affermare non essere in alcuna di esse l’espressione ben chiara dell’ animo suo, tanto son esse d’indole svariata. Accanto ad opere di un ascetismo oserei dire ridicolo, alle solite difese del teatro virtuoso, alle lacrime, alle penitenze stemperate in versi più o meno barocchi, troviamo commedie, nelle quali sono frasi e parole da far arrossire il più spregiudicato. Adolfo Bartoli, citando nella sua dottissima introduzione agli Scenarj inediti della Commedia dell’Arte, certe oscenità che sono in bocca al Magnifico nella Ferinda dell’Andreini, aggiunge : « figurarsi quel che scrivevano gli altri, se lo scriver questo sembrava possibile al devoto (?) Andreini. »

La La scena si finge nelle foreste di Scozzia.

(Dalla Florinda — Edizione di Milano, Gerolamo Bordone, m.dc.vi).

Di Francia tornò la Compagnia nel luglio del’14. Troviamo l’Andreini, nel’16, al servizio di don Alessandro Pico, principe della Mirandola, al quale dedica la rappresentazione sacra della Maddalena, ch’egli aveva scritta in Francia, a istigazione della Regina Maria ; e che fu musicata, nel’18 — secondo scrisse il Canal — dal Monteverdi insieme con Salomone De Rossi, con Muzio Effrem, maestri della ducale Cappella, e con Alessandro Ghivizzani, lucchese. La ristampa nel’20, poi ancora nel’52, il settantatreesimo dell’età sua, tagliata, ridotta in tre atti, rimpolpettata secondo le esigenze della scena. Di questa ci serviremo come breve esame alla fine di questo studio ; poichè se in alcune parti essa può parere il più bel pasticcio comico-drammatico-tragico-melodrammatico-mimo-danzante che sia mai stato visto sulla scena a chi piuttosto la guardi un po’ superficialmente, in altre, senza dubbio, dopo un’ accurata analisi si manifesta opera fortissima, ricca di originali bellezze.

Per intercessione di suo padre, Giovan Battista ebbe l’onore nel 1618 di esser fatto comico ai servizi del serenissimo Francesco Gonzaga II ; e fece con magnificenza di allestimento scenico recitare in Casal Monferrato la sua Turca, in occasione delle nozze di esso Duca con Margherita di Savoja, primogenita del Duca Carlo Emanuele.

Troviamo poi l’Andreini a Brescia e a Venezia nel 1619 ; nel’20 a Milano, ove recita con grande successo la parte del protagonista nel suo Lelio bandito, nuovissima tragicommedia boschereccia, che vediamo dedicata al Nerli, ambasciatore del Duca di Mantova a Milano, colla data del 5 agosto 1620. Finalmente, dopo inaudite difficoltà, la Compagnia, e questa volta sotto la direzione di Lelio, si decide di tornare in Francia, ove, a Parigi e a Fontainebleau, gli affari vanno a gonfie vele, e Lelio e Florinda, la moglie, festeggiatissimi, ricevono regali in danaro, vestiti e gioielli ; e ove pubblica per le stampe del Delavigne (1622) le nuove commedie La Sultana, La Ferinda, L’Amor nello specchio, I due Leli simili e La Centaura.

Dalla Veneziana, Comedia di G. Batta Andreini sotto nome di « Sior Cocalin De I Cocalin da Torzelo » Academico Vizilante detto el Dormioso. (Venezia, Aless. Polo, 1619).

Ma eccolo di nuovo in Italia nel 1623, e precisamente a Torino nella stagione di Pasqua ; poi di nuovo a Parigi nel’ 24, ’25 e parte forse del’26 ; poi di nuovo in Italia (a Cremona sul finire del’26, a Venezia sul principio del’27, ove pubblica pei tipi del Salvadori la nuova commedia la Campanaccia) ; poi nel 1628 a Praga, ove dedica il poemetto La Maddalena all’arcivescovo Cardinal d’Arrach, divenuto il suo protettore, e a Vienna. Recatosi a Bologna nel’30, anno in cui infieriva la peste, l’Andreini, rimastone illeso, compose in ottava rima Il Penitente alla SS. Vergine del Rosario : a codest’ epoca probabilmente, e probabilmente di contagio, gli muore la moglie Florinda.

Ma eccolo di nuovo a Verona, Vicenza e Venezia nel’33, a Mantova nel’34, poi a Bologna, ove (stesso anno) pubblica pei tipi di Giacomo Monti e Carlo Zenero la nuova commedia boschereccia I due baci, ch’egli dedica in data dell’ 11 giugno ai coniugi Odoardo e Maria Pepoli : in quest’ epoca (cfr. F. Bartoli) egli si unisce in seconde nozze a un’attrice della sua compagnia per nome Lidia. Lo troviamo nel’38 a Pavia e nel’39 a Bologna. Là, stampatore Giovanni Andrea Magri, pubblica altra commedia boschereccia La Rosa — ch’egli dedica al governatore spagnuolo di Milano Don Diego Filipez Guzman ; qua, stampatore Nicolò Tebaldini, l’Ismenia, opera reale e pastorale, com’egli la chiama, dedicata a Monsignor Giov. Battista Gori Panellini, vicelegato in Bologna, ultimo de’lavori scenici andreiniani. A Bologna, nel 1642, pubblica per Nicolò Tebaldini, e dedica a Ferdinando II, Granduca di Toscana, un poemone in 25 canti, che vorrebbe essere comico, intitolato l’Olivastro, o vero Il Poeta sfortunato, a proposito del quale apprendiamo dal Bartoli (Introd. cit., pag. cxiv n.), come il marchese Ferdinando Cospi scrivesse al principe Mattias de Medici da Bologna il 5 agosto 1642 : « M’ onorò V. A. S. a questi mesi passati di comandarmi ch’ io servissi il sig. Gio. Batista Andreini detto Lelio comico, com’ in effetto ho fatto com’ho potuto, e come V. A. S. dal medes. sentirà. Egli se ritorna in Toscana per presentare al ser.mo Gran duca il Poema che le dedica, finito e stampato qui in Bologna. Questo è molto piaciuto e parso bello, che però ne riporta laudi l’autore. »

Quando e dove l’Andreini morisse non sappiamo : sappiamo solo (cfr. F. Bartoli) che recitava a settantatre anni nella stessa guisa che facevalo venti anni prima, e che viveva ancora a settantaquattro anni. Egli prese il posto nella Compagnia de’ Gelosi di Domenico Bruni, Fulvio, il noto autore delle Fatiche Comiche, e fu il primo che pare assumesse in commedia il nome di Lelio. Lo stesso Bruni dice di lui : « Di Gio. Battista Andreini, degno figlio di così degna madre, non si può dire a bastanza, poichè se Cleante mendicava la notte il vivere per potere poi il giorno impiegarlo nell’ udire i filosofi di Atene ; questo ne’ travagli della sua gioventù, tra le maggiori avversità, tenendo sempre in pronto la penna, ha fatto con le sue opere chiaro che il vero comico deve affaticarsi, se vuole giungere al termine d’onoredove egli è arrivato. »

Dall’Adamo-Edizione di Milano, Gerolamo Bordone, 1617.

Parlando il Beltrame (op. cit., pag. 21) degli onori fatti a’ comici, dice : « Il Signor Gio. Battista Andreini detto Lelio in Commedia, quegli che ha tante opere spirituali alle stampe, fu accettato tra’ Signori Accademici spensierati, ed è stato favorito da’ Principi in molte occasioni, ed in Mantova ebbe fino titolo di Capitano di Caccia di certi luoghi in quello Stato. »

Tra’versi in lode dell’Andreini, metto qui il sonetto dell’Agitato, Vincenzo Panciatichi, il quale tolgo dal Bartoli ; un sonetto inedito di Giovanni Caponi, che è in un Codice Morbio ampiamente descritto all’articolo seguente su Virginia Andreini, e due madrigali del fratello Domenico.

Quel che d’ogni virtù sublime e rara
e più sublime e raro alto furore,
che disceso dal ciel solleva un core
da questa valle alla magion più chiara ;
per cui felice errante il mondo impara
come si perde e si guadagna onore,
come s’ammenda il giovenile errore,
come diviene ogni dolcezza amara ;
in te così, saggio Andreini, ha regno,
che non potendo più chiuderlo in seno,
di Florinda nel duol lutto si mostra.
Onde ben creder puoi che nobil segno
sen voli altero il nome tuo sereno,
sprezzator d’eternarsi in mortal Chiostra.
Qualhor tentate sotto nome finto
spiegar su l’alta et honorata scena
forti concetti d’amorosa pena,
l’animo han tutti a mirar Lelio accinto ;
ma quando poi dalla sant’aura spinto
sciolto d’ogni mortal cura terrena
notate in carta con feconda vena
carco di laude, e gloria ornato, e cinto,
prepongon tanto Gian Battista a quello,
per cui cinque cittadi a garra foro,
quanto è di quell’ il suo miglior soggetto.
Onde ben posso ad un istesso oggetto
dar lode doppia, e per lo stil nouello
dir Lelio ammiro, e Gian Battista honoro.

Il Signor Capitano

DOMENICO ANDREINI

fratello dell’AVTORE per la

MADDALENA in

Milano rappresentata.

Tu che’l piè su Teatri, il capo in cielo
ANDREINI ogn’or tieni,
veridico ti svelo
che nascesti più a Pulpiti che a scene.
Le pindariche or tu smover Sirene
carmi a ’ntuonar di Santità ripieni,
già fanti al tasteggiar di nobil CETRA
il ROSSIO teatral, l’ORFEO de l’Etra.

MILANO

A Comici Fedeli la Maddalena

Lasciva, e Penitente, rappre-

sentando, fizzione dello

stesso Signor

Capitano Domenico Andreini

Di lagrime ondeggiar l’orchestre piene
vider gl’Insubri allora
che MADDALENA in su FEDELI Scene
e lasciva, e pentita,
Or Satan, or GESU segue, ed adora.
A dedalea cotanta alta salita
poggiaste or voi, o RECITANTI industri !
Qui in su i vanni de’Lustri
dir s’udrà (vostre glorie a’Poli in seno)
di drammatici CIGNI è ’l Ciel ripieno.

Tra quelli dell’Andreini, per dare un saggio del suo scrivere, e come poeta e come autore drammatico, oltre al sonetto in lode di sua madre (V.), e ai madrigali in lode di Eularia Coris e della seconda moglie Lidia (V.), metto qui il monologo di Lucifero nell’Adamo, atto I, scena II, e il breve esame della Maddalena lasciva e penitente, della quale è trascritta una scena per intero.

Lucifero

Chi dal mio centro oscuro
mi chiama a rimirar cotanta luce ?
Quai meraviglie nove
oggi mi scopri, o Dio ?
Forse se’stanco d’albergar nel cielo ?
Perchè creasti in terra
quel vago Paradiso ?
Perchè riporvi poi
d’umana carne due terreni Dei ?
Dimmi, Architetto vile,
che di fango opre festi,
ch’ avverrà di quest’ huom povero, ignudo,
di boschi abitator solo e di selve ?
Forse premer co ’l pie’ crede le stelle ?
Impoverito è il Ciel, cagione io solo
fui di tanta ruina, ond’ or ne godo.
Tessa pur stella a stella ;
v’aggiunga e Luna e Sole ;
s’affatichi pur Dio
per far di novo il Ciel lucido, adorno ;
ch’al fin con biasmo, e scorno,
vana l’opra sarà, vano il sudore.
Fu Lucifero sol quell’ampia luce
per cui splendeva in mille raggi il cielo,
ma queste faci or sue son ombre e fumi,
o de’ gran lumi miei bastardi lumi.
Il ciel che che si sia, saper non voglio ;
che che si sia quest’ uom saper non curo :
troppo ostinato e duro
È il mio forte pensiero
in mostrarmi implacabile e severo
contra’l ciel, contra l’uom, l’angelo e Dio ! !

La Maddalena

Dopo di aver dato l’elenco dei personaggi che sono una trentina, senza il coro, l’autore descrive l’

APPARATO

L’apparato tutto esser dovrà mare e scogli ; e nel lontano dello stesso mare, alcuna barchetta vedrassi, prima però che apparisca il Prologo, come parimente guizzare varj pesci ; ma poi non mai questi pesci vedransi, se non quando le sinfonie risuoneranno ; ma però di rado. Dovrà tutto il cielo essere stellato, e ’n mezo alle stelle esser dovrà la Luna in plenilunio situata ; e ’n così fatta congiuntura apparirà il Favor Divino in Prologo, sovra carro luminoso in eccesso, e tutto a stelle ornato ; retto il carro da nubi e d’oro e d’argento ; e le nubi parimente sostenute saranno da duo angioli ; e qualora il Prologo, tra questi tre musicalmente al fine sarà per ridursi, così a poco a poco spariranno le stelle, e dal mar sorta l’aurora, e poi dopo l’aurora il Sole, partito il Prologo all’usanza di sinfonie melodiose, l’apparato che marittimo tutto era, rappresenterassi dalle parti in Palazzi sublimi, e nel mezzo poi la residenza di Maddalena, superbissima al possibile.

E dopo le poesie in lode dell’autore e delle attrici che rappresentaron Marta e Maddalena è stato aggiunto a queste indicazioni un

AVVERTIMENTO NELL’APPARENZA DEL PROLOGO,

CHE DATO NON S’ERA

(Subito alzata l’antitela, si dovrà sentir da tutte parti del teatro, uccelletti garrire, quaglie, cucchi ; e queste voci imitate da quelli istromenti di terra, che d’acqua s’empiono da quagliaruoli e cucchi di terra ; e sempre dovran suonare, sin che la nuvola dov’ è il Favor Divino sia discesa, accompagnando li suoni di questi uccelli, l’armonia delle sinfonie ; e cosi, finito il Prologo, allorchè la nube ascenderà, pur delle sinfonie al suono, dovransi gli uccelli sentire).

A questo avvertimento si aggiungono le note per le sinfonie e i mutamenti di scena a vista che dànno un’idea ben chiara di quanto l’Andreini fosse padrone degli effetti teatrali. Dopo che il Prologo ha recitato le prime quattro quartine, « al suono di concerto melodioso di varie trombe » scende dal Cielo la Ghirlanda, poi, cessate le trombe, continuano le sinfonie e ’l canto. Il Prologo recita ancor due quartine, poi i due Angioli che reggon le nubi cantano un verso per uno, replicando a due voci l’ultimo verso con accompagnamento di piena orchestra (a tutto coro d’istrumenti). Cessato il canto degli Angioli, il Favor Divino canta un a solo composto di tre strofette a ottonarj e quadrisillabi tronchi, di cui l’ultimo verso è ripetuto tra ’l Favor Divino e i due Angioli, con ischerzi musicali, due volte, poi, una volta, a tutto coro di voci e di strumenti, in compagnia degli Angioli e del Favor Divino.

Ma più notevole di tutte per effetto teatrale deve essere stata la scena nona del terzo atto, l’ultima cioè del lavoro, nella quale Maddalena ha modo davvero di mostrar tutta la potenza sua in un monologo, che, se ne togli il fraseggiare gonfio e bislacco, portato naturale del tempo in cui fu scritto, a me pare teatralmente perfetto.

Maddalena entra « di cilicio vestita, a piè nudo, scapigliata, cinta di nodosa e grossa fune, nella sinistra mano una testa di morte portando ; » lamenta la vita disordinata, invoca i martirj tutti della Passione di Gesù, e finalmente, affranta dal dolore, si sviene. Allora vien subito « sollevata da terra con ingegno sotterraneo alquanto in alto » sostenuta dai lati da due Angioli : e nello stesso tempo la scena si muta in asprissimo deserto. Qui i due Angioli cantano due strofe a solo alternate, invitandola a riaversi, poi scompaiono ; e Maddalena si riscuote infatti, prima come insensata, poi con tacita ammirazione contemplando per ogni parte il deserto. A un dato punto si apre un antro, ove è immensità di luce, poi in essa luce un Crocifisso, davanti al quale Maddalena s’inginocchia e prega ; poi presoselo fra le braccia « e a capo chino rimirandolo, al suon d’un flebil Miserere passeggiato il teatro per un poco, parte ; e qui al suon di trombe s’apre la Gloria, dove si vedono molti Angeli, Maddalena altamente nello stil musical recitativo lodando. » Finita la gloria, « spiccheransi a volo il Favor Divino e l’arcangelo Michele, su’ l Palco discendendo, e cantano i seguenti versi, congedo all’ Auditorio donando. » E aggiunge l’Andreini in nota che « conforme il solito, li duo versi segnati di stella (che sono gli ultimi), il Favor Divino, e Michele Arcangelo anderan quelli con ischerzi musicali iterando ; poi tutti gli Angeli a tutto coro di voci ed istromenti replicando gli stessi versi, l’opera sarà finita a gloria di tal Santa Penitente. »

Date alla grandiosità della situazione una artista che renda tutti i dolori e tutte le gioie del personaggio !… Aggiungetevi una musica e un allestimento scenico non meno grandiosi ; e non dobbiamo stupirci se il pubblico di due secoli e mezzo fa andava in visibilio. Quanto alla recitazione, ammettiam pure dal contesto del lavoro e delle note stesse che vi fosse alcun che di convenzionale a declamazioni e a passi in cadenza ; ma io non sono alieno dal credere che tale specie di recitazione musicale dovesse assai più convenire al lavoro che una recitazione parlata ; quanto alla musica, il nome del Monteverdi è tale da non far dubitare del valore di essa ; e quanto all’allestimento scenico, si può esser certi come nulla vi avesse di esagerato nelle scene indicate dall’Andreini, le quali saranno state sfarzosamente e con ogni fedeltà eseguite.

Scena dell’ Atto primo del Solimano, tragedia di Prospero Bonarelli.

Basti prendere la scena della Florinda (pag. 121) o della Veneziana (pag. 123) di esso Andreini, o tutte le scene inventate e disegnate dal Callot sia pe ’l Solimano del Bonarelli, sia per altro (pagg. 131, 137) ; basti dare un’occhiata al libro dell’ Arte rappresentativa del Perrucci, o al quarto dialogo del De Somi, nel quale appunto, si tratta delle conditioni de gl’aparati et scene di tutte le sorti, et de gl’ ordini et diuersità de gl’ intermedij, per farsi un’idea ben chiara di quel che fosse l’allestimento scenico a’tempi dell’Andreini.

Il Perrucci dice a pag. 137 :

Perchè poi gli Antichi non videro come ha potuto l’arte inventare le metamorfosi in scena di trasformarsi in aquila, leone, serpente, ed altro, avendolo per impossibile, l’esclusero, benchè avessero le loro macchine tra le regole de’ teatristi antichi. Oggi che l’ arte è giunta a tanta eccellenza, che ci fa vedere ciò che appena l’occhio può credere, e si fa con tanta sollecitudine e destrezza, che sembra farsi per arte magica ; io queste belle stravaganze non escluderei da’ teatri, essendo fatte usuali e tanto comuni che fanno stupire lo stesso stupore : anzi l’arte supplitrice della Natura, tante ne va di giorno in giorno inventando, che per tante stravaganze può dirsi l’Arte della Natura più bella.

E a pag. 53, al proposito dell’allestimento scenico dei grandi teatri di Venezia, dice :

La Serenissima e bellissima città di Venezia…. ha invitato tutto il mondo in quella patria, ad ammirarne gli stupori. Stravaganti mutazioni di scena, macchine, voli non solo d’uomini ma di cavalli vivi han fatto vedere ciò che forse non avrebbe potuto operare la stessa Magia. Attonito è rimasto ognuno in veder fatto possibile l’impossibile ; poichè, quanto le chimere poetiche han saputo inventare, tutto si è veduto porre in opera dall’arte, più che imitatrice, superatrice della Natura. Or vada meravigliandosi qualche antiquario, come avesse saputo Sofocle dare il modo di far volare sopra un carro di Dragoni pennuti Medea, quando su i teatri dell’Adria si sono veduti volare gli Eserciti !!!

E il De Somi, dopo di aver parlato della sontuosità degli apparati antichi e di altri non men sontuosi, fatti per le nozze del Duca di Mantova ; dopo di aver parlato, solleticando al sommo la curiosità del lettore, della origine de’ lumi sui tetti delle scene, e degli specchi su certi luoghi del fondo, sui quali riflettendo i lumi, celati ad arte, si veniva a ottener la scena più luminosa e allegra ; dopo di aver parlato con molto acume del bujo della sala necessario al risalto maggiore della scena ; dopo di aver descritto con interessanti particolari e gli apparali pastorali e gli apparati marittimi, venendo a discorrer degl’intermedj e della loro attinenza colla favola, fa dire a Massimiano :

Dallo Schiavetto- Edizione di Venezia, Gio. Battista Ciotti, m.dc.xx.

La più parte delle fauole, et molte historie si possono rappresentare ageuolmente : come in Bologna vid’ io già molt’ anni introdur per intermedio uno Amphione, al suono et al canto del quale, uenivano i sassi a porsi l’ uno sopra l’ altro, tanto che ne fabricauano le mura a Thebe ; ne l’altro intermedio comparue un’ aquila a rapire un Ganimede ; vennero poi per interuallo del terzo atto deucalione Et pirra, li quali gettandosi sassi dietro alle spalle d’indi surgeuano a poco a poco fanciullini ignude. Et il quarto intermedio fu un gigante, che portaua una grandissima palla, et postola in mezo alla scena, con darli alcuni colpi con una sua mazza, la palla si aperse, et ne uscirono quattro satiri che fecero una moresca uaghissima. In una tragicomedia poi nella città nostra, vidi non ha molto, rappresentar la battaglia delli tre horatij, con li tre curiatij, con tanto arteficio condotta a tempo di moresca, con arme da filo ; che fece un superbissimo vedere.

Ma tornando all’Andreini e alla sua Maddalena, dove a me pare ch’egli abbia raggiunto relativamente al suo tempo il bello dell’ arte comica, è nella scena quinta dell’atto secondo, quando la vecchia Marta tenta la conversione di Maddalena. Le parole di Marta piene di soavità, quelle di Maddalena piene di sarcasmo,… la canzone di questa e il disprezzo di quella…. poi di quella il ritorno all’ attacco,… sono resi con solidità e varietà di colorito, singolarissime….

Trascrivo la scena intera.

Marta, Maddalena

Marta

Non so s’ arretri il passo, o s’ io l’ avanzi,
miserabile avanzo
di doglia inusitata.

Maddalena

Venga Donna Beata
a convertir la peccatrice ebrea.
Venga terrena Dea
entro sua celsitudine svelata
cognita e lucicante
nel Cielo a tragittar Donna dannata.

Marta

Ecco pur, ch’ a te avante
pallida e sospirosa,
timida e lagrimante
sorella a te si piega,
e qui tutta s’impiega
perchè l’accogli e ascolti.
Maddalena infelice,
dimmi, dimmi, deh, quando
se’ per volger dal Mondo al Cielo il passo ?
Oh tuo’ lunghi desiri, oh tempo corto !
lassa me, tutto riede
di stagione in stagion, fuor che la Vita,
ch’altro non è ch’una caduca fronda,
che’ n l’autunno di Morte
scossa dal ramo suo, più non rinverde.
Al tremoto di Morte
ch’edificio mortal ritto se n’stia,
non v’ è ch’ abbia tal sorte :
chi ’l crede è frenesia.
Da quelle rose appunto,
che t’ infiorano il sen, furanti il senno,
simboleggia tuo stato.
Sappi : come tra i fiori
è la rosa sol bella,
cosi ancor d’ ogni fiore ella è più frale :
Ma qual rosa più vaga e porporata
è della vita umana ?
Ma chi di lei più tosto
nell’ apparir sparisce ?
In su ’l fiorir sfiorisce ?
Quindi ha che ’n segno breve
di questa fragil vita, altri spargea
in sepolcro di rose ?
Ma se non ponno i fiori
trar quel frutto ch’ io bramo ;
movati almeno a’ generosi affari
de’ tuoi grandi avi il sangue,
de’ genitori il vanto
di cui siglie noi siam, Lazaro insieme ;
Ma se per mia sventura e per tuo danno
nulla val memorar fatti sublimi
a cui l’ orecchia hai sorda,
movati almen del gran rigor di Dio
giusto castigo eguale,
a tua colpa mortale.
Pensa qualor sotto superbi tetti
in mille vanità l’ ore trascorri,
ch’ hai sovra e Luna e Sole e tante stelle,
il mar dell’ acque infra le nubi accolto,
e le saette ardenti,
per affogar, per abbruciar ogni empio.
E benchè agli occhi altrui
t’ assembri esser celata,
sappi, misera, sappi,
che non t’ ascondi al gran saver di Dio,
il qual con occhio terno e sempre desto,
vigila, mira, e vede ;
e non pur che pareti e tetti, i monti
penetra, passa il mar, giunge a gli abissi,
verissima del Ciel perpetua Lince.
Chiudi gli occhi a le pompe,
l’ orecchio a le Sirene !
Fuggi, deh, fuggi omai
morbidezza terrena,
caligine d’ onor, venen di fama,
e peste al fin de l’ alma.
Pensa, pensa, infelice,
ch’ ogni alba ha sera, e ch’ ogni vita ha fine,
a tuttora ella stando
de la caducitate in su’ l confine.
Misera, se’ nel mar di sirti ignote
navicella sdrucita ;…
mira, che già t’ affondi.
(Due volte Marta dirà l’ ultimo verso)

Maddalena

Il consigliare è dote
di chi a canizie giunto,
perduto ha già di giovinezza il gusto.
O vedi che bel fusto !
Tu pur giovin già fosti, e come tale
col fanciullin di Gnido
star bramasti accoppiata entro un sol nido.
Or che se’ vecchia e vizza,
nè d’ amor hai la pizza, (la bizza ?… o….)
macera e convertita,
vuoi che da terra al ciel faccia salita.
Gioventù nol consente,
poichè al volar tant’ alto
punger d’ ali le penne appena io sento.
Prima il fior ; poscia il frutto
dassi il mirar su Pianta !
Io qui son su’ l fiorire,
di giovinezza in ramo, ond’ è ben vano
che nel fior spicchi il frutto in un la mano.
Quinci fastosa in cumulo di vanti,
pindareggiando, cosi avvien ch’ io canti.
Quando vecchia i’ mi sarò,
ben saprò
indefessa,
genuflessa,
graffiar gota e sveller crine ;
convertita poscia, al fine,
a tutte albe, a tutte sere,
dirò teco il miserere !

Marta

Ah, superbo pavon, vatten, va gonfio
d’ occhiuta piuma e d’oro
d’alto fasto fugace ;
che se l’orrida base avvien che miri
che sostiene il tuo fasto,
(misera) allor vedrai
di beltà, di bruttezza in sul confine,
ch’ogni superbia ha lagrimoso il fine.
Ma poi ch’ io parlo e piango
all’aspide, alla Talpa,
dispero il caso, e taccio.
Sol rivolgomi a Dio,
pietà per te chiedendo, ah, pria che scenda
fulmine al danno tuo, che ti disperda.
Cruda, rimanti ; io parto,
partomi in un momento,
portando agli occhi pianto,
a la bocca sospiri, al cor spavento.
(Quando Marta sarà vicina all’entrare, addietro
ritornerà piangendo e così dicendo) :
Guarditi, Maddalena,
guarditi il Ciel da l’orivol fatale,
che per sabbia di Morte
un’ora sol di suo languor t’apporte :
non finirà giammai,
poichè laggiù ne’ sotterranei affanni,
i momenti son anni :
e gli anni dell’ inferno
son lustri in sempiterno.

E questa è un’ andata via a effetto assolutamente moderna, e di riuscita sicura. Pieno di comicità è poi il personaggio del beone Mordacai il quale anche nei momenti più seri riesce a gettare una sprazzo di umore gajo e giocondo, come nella scena sesta dell’ atto secondo, in cui racconta la rissa tra’ pretendenti di Maddalena, e nella scena nona del primo atto in cui descrive a Sanson, uno degli amanti di Maddalena, il suo trasporto pel vino. Codesto bel tipo di assetato eterno è gittato là tutto di un pezzo, saldo come blocco di granito, e son certo che farebbe anch’ oggi la fama d’ un artista e la felicità de’ pubblici. Notevole è anche il soliloquio dl Baruc, paggetto scaltrito di Maddalena, per le aperte oscenità che vi dominano, e che farebbero arrossire il più spregiudicato pubblico del mondo. Si è detto e si è scritto, come più a dietro accennai, che codesta Maddalena è una specie di pasticcio senza capo nè coda : non oserei affermarlo. Non oserei nemmeno accanto a quello dell’ Andreini pronunciare sia pur di sfuggita il nome di Shakspeare, come ad altri piacque ; ma è certo che per la pratica della scena, per la conoscenza profonda degli effetti, per una certa naturale indipendenza nella condotta, Gio. Batta Andreini si è colla Maddalena lasciva e penitente levato molto al disopra degli altri scrittori comici italiani del suo tempo.

« Se avesse seguito lo stile d’ Isabella sua madre — esclama Francesco Bartoli — oh quanto migliori sarebbero gli scritti dell’ Andreini ! Grazie tante !… Ma allora la madre non c’ era più ; e c’ erano invece gl’ imitatori strampalati del Cav. Marino : e però io credo che relativamente più esatto sia il giudizio che ne dà Luigi Riccoboni, il grande erede del nome teatrale dell’ Andreini, il quale nel suo Teatro italiano (pag. 71) dice : « Gio. Battista Andreini (mi servo della traduzione di Francesco Righetti, pag.  107-108) compose egli solo 18 commedie, secondo la raccolta della Drammaturgia dell’ Allacci ; ma tutte sanno della decadenza del gusto, ed alcune sono oltremodo oscene. Che che ne fosse, Giovanni Battista Andreini era un uomo di spirito e di lettere ; e sono d’ avviso che s’ egli avesse vissuto cinquant’ anni prima avrebbe calcata la strada degli altri, ed avremmo di lui qualche buona commedia ; ma egli era autore e comico : quindi non poteva scrivere che come gli autori del suo tempo scrivevano, e come lo consigliava il suo interesse. » Anche qui, come si vede chiaro, c’ è un po’ l’ odore di codino. Che la cassetta entrasse per qualche cosa io credo : ma non veramente ch’ egli scrivesse come gli autori del suo tempo. A ogni modo, a parte la forma, la Maddalena e l’ Adamo sono, pare a me, assai superiori alla Mirtilla della madre, all’ Ingannata Proserpina, e all’ Alterezza di Narciso del padre.

Quanto alla parte dell’ innamorato ch’ egli « faceva — dice il Bartoli — parlando con spiritosi e nobili concetti, frutti del suo colto e ben educato talento » ecco quel che ne scrive il comico Cecchini (loc. cit.).

Fot. di Cesare Spight.

sopra la parte dell’innamorato

Sogliono questi, che si compiaciono di recitare la difficil parte dell’ innamorato, arrichirsi prima la mente di una leggiadra quantità di nobili discorsi attinenti alla varietà delle materie, che la scena suol apportar seco. Ma è da avvertire, che le parole susseguenti all’ imparate, vogliono hauer uniformità con le prime, acciò che il furto paja patrimonio, et non rapina ; onde per far ciò non mi pare auiso sprezzabile una frequente lettura di libri continuamente eleganti, poi che rimane a chi legge una tale impressione di amabilissima frase la quale ingannando chi ascolta, vien creduta figlia dell’ ingegno di chi fauella.

Debbe insieme chi legge operar, che l’ intelletto comandi alla memoria che dispensa il Tesoro de’ premeditati concetti nello spacioso campo delle continue occasioni, che la Comedia porge, in quel modo, ch’ egli possa pretender di mieter applauso, et non di raccoglier odio, come fanno certi, che trattano con un servo sciocco, od una femina vile, con quelle forme di dottrine, che solo vanno adoperate con huomini saggi, et di eminente conditione. Conoschino adunque la differenza de gl’ huomini, et anche la natura de’ casi che maneggiano, che al sicuro comprenderanno non esser tutt’ uno il trattar con diuerso, che la loro qualità non sia tutt’ una, secondo gl’ accidenti, che succedono debbono caminar la scena con l’ istesso ordine, che scorrono il mondo.

Io so che molti professori del ben parlare troueranno molti luoghi dove ne men’ io debbo dir bene, si come anche mi accorgo, che quelli, che non sanno parlar bene non conosceranno s’ io dica bene, o male ; onde anderanno sempre dicendo peggio, si che da questi non desiderarei altra sodisfatione se non che si dichiarassero di non saper ciò ch’ io mi habbia detto.

Per altre cose concernenti la vita dell’ Andreini come at tore e capocomico, pettegolezzi di palcoscenico, invidie di mestiere, seccature e…. fedeltà di marito, vedi gli articoli seguenti sulle mogli Virginia, la rinomata Florinda, e Lidia (la Rotari) ; e quelli sul celebre Arlecchino Tristano Martinelli e i coniugi Cecchini Fritellino e Flaminia.