(1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « [B] — article » pp. 266-272
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(1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « [B] — article » pp. 266-272

Barbieri Niccolò. Più noto sotto il nome di Beltrame, da Milano, si recò nel 1600 a Parigi con Flaminio Scala e Isabella Andreini, al servizio di Enrico IV. Scioltasi la Compagnia dei Gelosi, Beltrame, ripartito per l’ Italia, entrò in quella dei Fedeli. Nel 1613 tornò a Parigi con G. B. Andreini, e vi restò fino al 1618. Vi tornò ancora nel 1623 ; e ancora, nel 1625, se ne tornò in Italia, salendo in grande rinomanza non solamente come attore e capocomico, ma anche come scrittore. Fu uomo piissimo ; e dice Francesco Bartoli che a’compagni suoi

inculcava con tutto il zelo d’essere modesti negli atti e nelle parole, e se talvolta sentiva alcuno oltrepassar anche di poco i termini della modestia, dolcemente da principio lo ammoniva, ma non giovando l’ammonizione, sgridavalo poi acremente ; e trovandolo incorreggibile, cacciavalo finalmente dalla sua Società.

Un documento della contabilità reale di Parigi reca che i tre principali comici italiani in Francia nel 1624 e 1625, furono Giovanni Battista Andreini, Francesco Gabbrielli, e Niccolò Barbieri, ai quali con atto del Re 17 dicembre 1624 fu ordinato si dèsse la somma di Lire 2400, in rimunerazione delle commedie recitate colla Compagnia in Sua presenza, nei mesi di settembre e ottobre, in ragione di 1200 lire al mese. E il Re aveva in grande pregio non soltanto l’ingegno del Beltrame, ma anche la sua persona.

Stampò in Torino nel 1629, e ristampò in Venezia nel 1630 una commedia intitolata L’inavvertito, ovvero Scappino disturbato, e Mezzettino travagliato, che dedicò « alla sereniss. Madama Christiana di Francia, principessa di Piemonte. » (Cristiana, o Cristina di Francia, Madama Reale, seconda figlia di Enrico IV e di Maria de’ Medici, sorella di Luigi XIII, nata al Louvre il 10 febbraio 1606, maritata a 13 anni nel 1619 a Vittorio Amedeo, primo del nome, principe di Piemonte, che diventò duca di Savoia, dopo la morte di suo padre Carlo Emanuele I o il Grande, il 26 luglio 1630). L’ Inavvertito è la Commedia da cui Molière trasse veramente il suo stordito ; benchè i Commentatori suoi gli voglian dar per esemplare l’Emilia di Luigi Groto Creco d’Adria. Eugenio Despois nella sua edizione di Molière (Les grands Ecrivains de la France) trova che il carattere del servo è identico nell’una e nell’altra commedia : Molière ne avrebbe solo mutato il nome, facendo dello Scappino, maschera, mascheretta, mascherina italiana, il suo Mascarillo. Questa l’opinione di Hermann Fritsche ; se bene il Boubaud, in una nota de’suoi nuovi sinonimi francesi accenni a un opuscolo, che però non si trova, intitolato : Le opere del Marchese di Mascarillo, stampato a Lione nel 1620, antecedente alle Preziose ridicole. Molière soggiornò a Lione, dunque probabilmente il nome di Mascarillo prese da quello già esistente. Comunque sia, lo Stordito è più che ispirato all’opera italiana, la quale ebbe tanto favore che restò nel repertorio lungamente, modificandosi poi coll’andare del tempo nelle improvvisazioni de’ comici più o meno intelligenti. Zanuzzi, per esempio, – dice Cailhava ne’ suoi studî su Molière – sosteneva la parte di Fulvio, non come amante turbato dal suo amore, ma come un matto fuggito dall’ospedale. Recava in testa un cappello a nastri svolazzanti, e aveva una calza rossa e una verde. In sul principio L’Inavvertito fu uno scenario, e Beltrame dovette veramente all’ingegno de’suoi comici, in gran parte, il successo di esso ; ma le libertà che si pigliaron poi le nuove compagnie, tali da ridurlo pressochè irriconoscibile, fecer prendere all’autore la risoluzione di spiegarlo per iscritto, seguendo in tutto le traccie lasciate dai comici egregi che lo recitaron prima. Anzi, sotto questo rispetto ancora, è interessantissima più che ogni altra, la Commedia del Beltrame, chè, a detta di lui medesimo, possiam quivi trovar trascritti fedelmente i lazzi, i motti, le tirate, il giuoco scenico insomma, de’singoli attori….. L’Innamorato, per esempio, pare non avesse che uno studio : quello di recar sulla scena tutto un repertorio di immagini achillinesche, di cui abbiamo avuto un largo esempio nell’orazione funebre di Adriano Valermi per la Vincenza Armani ; mostrando così, come la fama di un attore serio, e sopratutto amoroso, avesse una solida base nella strampalata ampollosità del fraseggiare.

Eccone un saggio. Cintio dice a Fulvio :

Nel crociuolo della fede l’oro della nostra amicizia a fiamme d’amore è stato molte volte copellato, et i sophistici moltiplicamenti di sdegni o disgusti si consumeranno mai sempre a si pure fiamme. Ma perchè in cosi affinat’oro d’amicizia non si deve legare mentita gioja, ma candida margarita di verità, io v’assicuro che non è la bellezza di Lavinia il primo mobile che conduca la sfera de’ miei pensieri a mover i passi per questi contorni. E se ben amore semina nel mio cuore abbondantissime granella de’suoi meriti, e che i raggi de’ suoi begli occhi, quasi vivi soli, faccino il loro officio di generare, non havend’io già mai con l’acqua del mio consenso inaffiato questo cuore, il seme non ha potuto concepire vegetativo germoglio….. (Atto I, Scena I).

Più notevoli nell’ Inavvertito sono le tirate sul modo di giudicar le azioni della plebe e de’signori !…. Potrebber passare come tirate da dramma domenicale per solleticare l’amor proprio offeso della povera gente, e reclamarne, conclusione indispensabile, urli e applausi in segno di protesta. Chi ci sa dire se al tempo del Beltrame accadeva lo stesso ? Dato l’incalzar delle frasi nell’ Inavvertito, è da crederlo. Nel prologo, a voler sostenere la sua tesi, che le commedie cioè sono la più moral cosa del mondo, e chi ne dice male un fior d’ignorante, egli conclude :

…. Nella comedia ogni vizio vien detestato, i furti ne i servitori puniti, i lenocinii gastigati, l’avarizie, i sciocchi amori ne i vecchi, e’ mali governi di casa derisi ; et ogni cosa si tira a buon fine. Ma perchè i documenti sono portati da’ comici, questi dalle sentenze miniate d’oro e conteste di credito non gl’accettano : disgratia della parte debole ! Il mondo va cosi, e l’autorità cuopre i difetti, o che gli muta il nome. Se un gentilhuomo dice alcune cose ridicolose, si dice ch’egli è faceto ; ma ad un pover huomo senz’altro è un buffone. S’un Signore dice un motto satirico, vien tenuto per arguto ; ma il poverello è stimato mala lingua. Se un nobile dà noja ad un povero compagno, è riputato un bell’ humore ; ma s’egli è di bassa lega, è tenuto per insolente. S’un huomo d’eminenza va a mangiare sovente a casa di questo e di quello, vien detto ch’egli è affabile ; ma s’è un meschino, è un scroca. S’un huomo di qualità si piglia qualche licenza ad una mensa tra convitati, passa per huomo senza cerimonie ; ma un poveretto per scrianzato. In somma, i brilli in mano a cavaglieri sono stimati diamanti, e i diamanti in mano a povere persone sono tenuti brilli.

E nella Scena X dell’Atto I tra Lavinia e Scappino :

Lav. …. Io ho inteso ; ma quel dar commodità ad un giovine che meni via una sua morosa, che ufficio si chiama ?

Scap. Ad un par mio si direbbe di ruffiano ; ma se ciò facesse un gentil’ huomo, si direbbe un servizio, et ad una par vostra si dice ajuto. Il ruffianesmo è come il furto : in un grande è agrandimento di stato, ad un mercante è ingegno, et in un disgraziato è latrocinio.

Altra cosa degna di nota nell’ Inavvertito è il personaggio di Spacca ; il quale, mentre può essere, talvolta Capitano, come vediamo nei Balli di Sfessania del Callot, da cui poi lo Spaccamonti, rimasto nell’uso a significare uno che le spara grosse, talvolta Dottore col nome di Spacca Strummolo (V. Aniello Soldano), quì, chiamato Spacca Strombolo, è amico di Scappino, e mariuolo, per giunta, del peggiore stampo. Quando Scappino gli dice : « vorrei che tu facessi una cosa contra a l’uso tuo, » Spacca risponde : « O, t’intendo : tu vorresti ch’io facessi qualch’opera buona. »

La Commedia, a parte il gusto del tempo, è ben fatta, e tale, forse, da poter essere riprodotta anche oggi con lievi modificazioni ; e si capisce come restasse viva sulla scena oltre un secolo. Nullameno l’opera che diede al Beltrame maggior grido, alla quale dobbiam tante notizie particolareggiate di comici del suo tempo, fu la Supplica, della quale vedasi il frontespizio, pag. 267, a illustrazione della maschera del Beltrame. Che cos’è la Supplica ? Una risposta alla solita sentenza : essere le commedie un passaporto per andar diritti all’ inferno ; essere dannati chi le scrive, chi le recita, chi le ascolta, ecc. ecc…..

E Beltrame comincia in poche parole di prefazione :

Chi non sente l’offese è morto. La difesa è scudo di giustizia e non spada di vendetta. Lo schermirsi è naturale fino ne’bruti. Le bocche delle ferite, senza favellare chiedono con la pietà rimedio. L’acqua intenerisce le dure glebe, ed assoda la liquefatta cera, l’umiltà dispone gli animi gentili, ma improterva le rustiche nature.

I primi passi nell’arte furon fatti con un ciarlatano, come accadde al Bissoni (V.) e ad altri. Lascio raccontare a lui stesso l’aneddoto, che ha per noi un valore storico non lieve, per quanto concerne anche le zannate che vedrem poi largamente descritte al nome di Bocchini Bartolomeo (Zan Muzzina).

Partendomi da Vercelli mia patria l’anno 1596, mi accompagnai con un mont’inbanco sopranominato il Monferino, e passando per Augusta, o sia Aosta, città del Serenissimo di Savoja, questo Monferino chiese licenza di montar in banco al Superiore ; ma perchè non era in uso il montar in banco in quei paesi, il Superiore non sapea come deliberarne : però quello mandò da un Superiore spirituale, il qual negò la licenza collericamente, dicendo che non voleva ammettere le Negromanzie in quei paesi : il Monferino stupefatto, gli disse (come era vero) che non sapeva manco leggere, non che saper di Negromanzia : il Superiore gl’impose che non altercasse con parole ; che egli ben sapeva come si fa, e che in Italia aveva veduto ciarlatani prender una picciola pallotta in una mano, e farla passar dall’altra ; che un picciolo piombo entra da un occhio, e per l’altro salga, tener il fuoco involto nella stoppa buona pezza in bocca, e farlo uscir in tante faville, passarsi con un coltello un braccio, e sanarsi per incantesimi subito, ed altre cose del Demonio ; e non voleva che il Monferino parlasse, e da sè scacciollo, minacciandolo di carcere. Ora dicami adunque alcuno : chi avrebbe potuto mai persuader quel buon Superiore a credere che quelle cose stimate da lui Magie, fossero destrezze di mano, e delle minime ancora che i giocolatori facciano ? Niuno al certo. E così sarà vissuto con tal credenza. Si trovano uomini che hanno massime in capo tanto abbarbicate, che non vi è ragione che le possa svellere. Quel Superiore era Teologo, ma non era addottrinato nelle scaltritezze mondane ; e cosi quei benedetti Dottori che hanno detto contro le Commedie, Dio sa se mai avevano veduto Commedie ; o se pur, ne videro alcuna che non fosse qualche Farsa, o qualche Zannata oscena, e che la stimassero Commedia : poichè vi è taluno che dice Commedia alle bagattelle che fanno i bambocci de’ Ciarlatani. (Cap. LV).

Ancora :

Il sentir nominar Istrioni, non sapendo l’etimologia d’Istrio, nè la derivazione, vi è chi penserà che si dica per Istrioni, Stregoni, cioè incantatori e uomini del Demonio ; e perciò vi sono paesi in molti luoghi d’Italia, che tengono per fermo, che i Comici facciano piovere, e tempestare : e un’orazione in genere deliberativo non sarebbe bastevole a dissuaderli dal mal fondato abuso……

E conclude :

Io fo sapere a questi non nati ingegni, aborti della conoscenza, che, allorquando piove, le persone non escono volentieri di casa, e pochi vanno alla Commedia ; e come le persone non vanno alla Commedia, i Comici falliscono ; a tal, che le pioggie sono contrarie a’Comici, e non favorevoli.

Venendo poi a parlare degli onori fatti a comici antichi e moderni (saran riportate le sue parole al nome di ciaschedun comico ; V. Andreini Isabella, Cecchini Pietro Maria, Andreini Gio. Battista, Fidenzi Cintio, Malloni Maria, Zecca Niccolò), dice di sè stesso :

Ed io più infimo di tutti, fui fatto dalla benignità di Ludovico il Giusto Re Cristianissimo soldato della sua guardia, e di maggior onore mi voleva far degno, s’io ambiva, come ne può far fede l’Ill.mo ed Eccell.mo Sig. Duca della Valletta mio Capitano ; e l’Eminent.mo e Rever.mo Sig. Cardinal Ubaldini può dir ancora per lettere scrittegli da Sua Maestà Cristianissima a mio favore, fin dove la benignità di quel gran Re si estese ad onorarmi.

Qui allude senza dubbio a’suoi quattro figliuoli i quali fece tutti Religiosi in Ferrara, « coll’assistenza e mediazione — scrive Fr. Bartoli – della medesima Cristianissima Maestà, la quale degnossi di raccomandarli alla Signora Marchesa Caterina Martinenghi Bentivogli per agevolare ad essi il religioso loro collocamento. »

Fra le molte cose occorsegli nella vita, scelgo anch’io l’aneddoto riportato dal Bartoli. Recitava in Parma colla sua Compagnia. Un giorno, caduta la Torre di Piazza, furono atterrati e il Salone e le sottoposte botteghe, restando meravigliosamente in piedi quella sola parte ove sorgeva il palcoscenico, sul quale erano alcuni servi di comici, che, naturalmente, non ebbero alcun danno, mentre la rovina, in altra parte, aveva cagionato la morte di alcuni cittadini. Gridato poco men che al miracolo, il pubblico fece assai buon viso alla Compagnia, tanto che il teatro fu a ogni rappresentazione pieno zeppo di spettatori, e Beltrame fece assai più denari che non avrebbe fatti, senza quell’accidente. Niccolò Barbieri terminò cristianamente i suoi giorni — dice il Bartoli — poco dopo il 1640.

Ed ora alcune parole sulla maschera che egli creò.

Questo tipo, più moderno del Brighella, non aveva nella Compagnia de’Gelosi altro carattere che quello di un furbo e astuto compare ; ma, come il Mezzettino, e più tardi lo Sgannarello francese, egli rappresentava tutte le parti di marito, fingendo di prestar fede talvolta alle frottole che gli si contavano.

Così il Riccoboni ; e il Sand :

Il suo vestire non è straordinario, e io credo sia un costume del tempo, o di poco prima. La sua maschera è la stessa di Scappino. Beltrame, milanese, volendo parlare la lingua del paese, ne portava anche il vestito.

L’incisione del Joulain, che è nel Riccoboni, è modellata sulla maschera della Supplica qui riprodotta.

Ed eccone i colori, secondo la descrizione dello stesso Sand : Maschera marrone con baffi castagni. Berretta nera. Mantello bruno, guarnito di nappine nere. Veste, borsa, e calzoni di panno grigio, orlati di un gallone nero. Calze bianche. Scarpe di pelle gialla con fiocchi neri. Cintura di cuojo gialla con fibbia di rame. Collaretto e manichini di tela senz’amido. La qual descrizione non concorderebbe con una vecchia litografia di Delpech, in cui i capelli sono raccolti in una specie di reticella rossa alla brava, la barba e i baffi son bianchissimi, il viso scoperto, la borsa in cuoio giallo, le scarpe nere, e l’orlatura e i bottoni dell’abito turchini.