(1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « [B] — article » pp. 273-274
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(1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « [B] — article » pp. 273-274

Barese Francesco. Abbiamo di lui in Francesco Bartoli queste pochissime parole : « fu un grazioso Pulcinella, che recitò per molti anni con applauso ne’Teatri di Napoli. A mancar venne con danno dell’arte e dispiacere de’suoi amici intorno all’anno 1 777. »

Nella pregevole cronaca del Teatro S. Carlino di S. Di Giacomo, lo troviamo (1739) primo amoroso in una Compagnia che rappresentava commedie burlesche in un giardino fuori Porta Capuana, detto il Giardeniello ; della qual Compagnia faceva parte il Pulcinella Domenicantonio di Fiore, che, senza dubbio, coll’arte sua e co’suoi ammaestramenti fece prender più tardi al Barese la risoluzione di mettere anch’esso la maschera del pulcinella. Così fece : e andò di sera in sera acquistando terreno, tanto che, morto nel 1745 il famoso Bartolommeo Cavallucci, e sentito parlare Agostino Valle, padrone del teatro omonimo a Roma, di questa nuova celebrità, lo scritturò pel carnevale del 1746. Ma lasciam parlare il Di Giacomo.

Nel novembre del 1745 il Barese doveva già trovarsi a Roma ; il Valle s’era obbligato con contratto, di « fornirgli la casa e il letto per ogni anno, come parimente scarpe e calsette e Abito, alla riserva della Mascara e Coppola. » Ma Barese gli fa tutt’a un tratto sapere ch’egli non può partire per Roma, poich’è scritturato a Napoli con un’altra Compagnia istrionica. Quale ? Il documento d’archivio non lo dice, ma, certo non quella del Di Fiore, che nel 1745, un anno prima, cioè, di passare al Nuovo recitava a San Carlino. E a San Carlino il Pulcinella era Di Fiore. Dunque il Barese nel 1745 era alla Cantina ; tutto fa supporlo. Ma vi rimase anche dopo quell’anno ? Non potette ; il Valle s’era incaponito e lo voleva a Roma. Però scrive all’Uditor dell’Esercito, Duca di Salas, e gli chiede giustizia, tanto più che Barese ha già preso da lui del danaro. Il di Salas ordina al Barese di recarsi a Roma ; e così quegli è costretto a partir per forza. Dalla sua paga al Valle si sottraggono cento ducati co’quali l’Impresario napoletano è compensato della perdita d’un comico tanto valoroso ; ma l’Uditor dell’Esercito che gli passa quel denaro, glie lo consegna a condizione ch’ egli soccorra la moglie e i figliuoli che Barese lascia a Napoli.

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Nel 1772, in Primavera, lo ritrovo al Nuovo : recita da Zadir nella Dardanè di Francesco Cerlone, musicata da Paisiello. Nel carnevale del 1773 gli è affidata, pure al Nuovo, la parte di Mossiù le Blò nella Finta Parigina dello stesso Cerlone, musicata da Cimarosa. Sulla primavera dell’anno medesimo, Barese fa la parte del Barone nel Tamburo di G. B. Lorenzi, musicato da Paisiello. Nell’estate, in fine, del 1773, sempre al Nuovo, egli si chiama Bretton nell’Innocente fortunata, libretto d’un anonimo, musica di Paisiello.

Recitava e cantava ; era un di quei comici cui la necessità fornisce eccletismo e che noi ritroviamo, a tempo nostro, or nella commedia in prosa, ora nell’operetta. Tornato da Roma il Barese smette la maschera e diventa or generico, ora caratterista nelle opere buffe. L’apparire ch’egli fa più spesso in quelle di Francesco Cerlone, potrebbe dimostrar questo, che cioè, avendolo il Cerlone conosciuto da Pulcinella nella Cantina, ove appunto si recitarono le commedie cerloniane, lo ebbe in tanto conto da farlo chiamare al Nuovo, quando vi si rappresentassero cose sue. Era, come Francesco Massaro (V.), un attore che creava un personaggio e lumeggiava tutta una commedia. Non è documento, per altro, il quale dica fino a che anno il Barese abbia recitato da Pulcinella alla Cantina ; tornò egli a far parte di quella Compagnia, rimpatriato appena da Roma ? Dal 1746 — epoca nella quale il Barese lascia Napoli — al 1772 — in cui vi riappare al Nuovo — son di mezzo ventisei anni. Non è possibile ch’egli li abbia passati, tutti, fuori della sua patria.

Quanto alla Cantina, era una Cantina appunto, propriamente detta, vicina al S. Carlino, nella quale Michele Tomeo, con parole garbate, tirava i gonzi i quali stavano annusando i manifesti del S. Carlino. E le parole su per giù eran sempre queste : che, cioè, nella Cantina lo spettacolo era svariato e morale più assai che non promettessero i volgari cartelli d’un casotto plebeo, che accoglieva sbarazzini e facinorosi, e non offriva se non commedie rimpinzate di turpitudini. (V. ancora il Di Giacomo).

La Cantina era detta anche il Fosso dal Tomeo, ed era situata al largo di Castello, presso la Chiesa di San Giacomo. Al proposito delle due Compagnie che recitavano alla Cantina e al Giardiniello, il Croce riferisce un brano dell’ Uditor dell’esercito (19 agosto 1740), dal quale sappiamo che quelle erano in estremo miserabili, e facevano tal vile professione solamente per vivere, non lucrandosi se non poche grane per ciascheduno il giorno, li quali, qualora li mancavano, si riducevano in una strettezza, che faceva compassione.