(1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « [B] — article » pp. 333-339
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(1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « [B] — article » pp. 333-339

Bellotti-Bon Luigi. Figlio dei precedenti, nacque il 1820. D’ingegno pronto e vivace, d’indole mite e aperta, appassionatissimo dell’arte, divenne il figliuolo adottivo di Augusto Bon, secondo marito di sua madre ; e così, potendo al nome del padre aggiungere quello del padrigno, egli si presentò alla ribalta con un augurio doppiamente splendido di futuri trionfi.

Esordì come amoroso nella Compagnia Tassani ; poi passò in quella di Gustavo Modena che lo iniziò nelle parti comiche, per le quali salì in poco tempo e meritamente in gran fama. Egli appartiene a quel glorioso periodo della scuola di Modena, che diede all’arte la Sadowski, la Mayer, la Botteghini, l’Arrivabene ; Salvini, Rossi, Vestri ed altri. Nel ’54 sostituì il Pieri nella Compagnia Reale Sarda, ed ecco che ne dice E. Rossi nel I vol. de’suoi Quarant’anni di vita artistica :

Il cambio non fu sensibile nè in meglio, nè in peggio. Erano entrambi eccellenti e simpatici attori, tutti e due geniali. Il Pieri forse più pronto, più vivace, più arguto ; il Bellotti-Bon più castigato, più nobile, più vero. Pieri più variato e proteiforme ; il Bellotti più personale. Il Pieri più studioso ; il Bellotti niente affatto. Pieri sapeva tutte le sue parti a memoria ; Bellotti-Bon nessuna. Pieri era guidato dall’arte ; Bellotti-Bon dalla sua natura……..

Fu socio per varj anni di Alamanno Morelli ; entrò in Compagnia dell’Adelaide Ristori, colla quale si recò fuor d’Italia, applauditissimo sempre ; e finalmente si fece egli stesso capocomico.

A questo punto, pare a me, comincia la celebrità vera del Bellotti, che seppe di punto in bianco alla grandezza dell’attore unire la grandezza del capocomico e più specialmente del direttore ; chè, come tale, fu da’ fratelli d’arte proclamato primo fra’ primi. Militaron sotto la sua bandiera i più grandi artisti del tempo : altri ne formò egli di pianta.

Dai modi insinuanti, dalla parola convincente, dall’indole dolcissima, esercitava su’novizj e su’ provetti un fascino ineffabile : non uno de’ vissuti con lui o sotto di lui che non ne abbia ricordato e non ne ricordi tuttavia con profondo rammarico la bontà e la valentia. La morte sua fu un compianto per tutta l’arte : il modo di essa fu un compianto e un mistero inesplicabile per tutta Italia.

Ma torniamo alla sua Compagnia unica, la vera Compagnia modello, nella quale egli era tuttavia per viscomica, per finezza, per verità, il principe de’brillanti.

Ricordo. Si rappresentava al teatro massimo di Ravenna Il vero Blasone di T. Gherardi del Testa : s’era, se ricordo bene, nel maggio del ’64 (epoca della gran fiera), stagione splendida allora per le compagnie drammatiche di grido, poichè alla molta frequenza del pubblico andava congiunta una forte dotazione. Serbo una vaga, pallida idea di quegli artisti, tranne più quà, più là, di Cesare Rossi, grandissimo nella parte di Cesare ; ma una assai chiara ne serbo di Luigi Bellotti-Bon, del quale una intera scena mi si confisse nel cervello, e colla scena l’impressione profonda che n’ebbe il pubblico : ….. la scena VIII dell’ atto I, in cui il Conte Carlo insegna al figlio Paolo il modo di salutar da cavallo una signora. Eccone l’ultimo passo :

Quando dico una cosa io, è quella, ed in fatto di equitazione, credo di aver voce in capitolo. Dunque osservi, stia attento. Quando si corre al galoppo, e si vuol salutare una dama che s’incontra distesa nella sua calèche, non si fa, come vidi fare a lei, un semplice movimento col capo e col frustino, ma bisogna voltarsi con grazia verso di quella, portar la mano destra alla punta del cappello, velocemente alzarlo, velocemente rimetterlo, spronare di fianco, e là…. Ha capito ?

A questo punto l’entusiasmo del pubblico era al colmo, e scoppi continuati di ilarità accoglievano poi per tutta la sera le parole di quel personaggio incarnato da Bellotti con tanta finezza, con tanta intelligenza…. e con tanta verità…. E questa del vero blasone era una delle innumerevoli parti, in cui fu sommo davvero. Una vena inesauribile di comicità sapeva congiungere, come niun altro mai, a una singolare elettezza di modi : a una inflessione di voce, a un movimento del capo, a una occhiata, scoppiavan risa convulse ; ma il pubblico era sempre in faccia a uno specchio di vera eleganza….

Dire delle lodi tributategli dalla stampa concorde e dal pubblico di ogni specie e da’comici, è superfluo. Lui morto, mi capitò sott’occhi un volume di Edmondo De Amicis « Costantinopoli, » nel quale è la seguente dedica autografa, colla data di Torino 1 settembre ’77, che sotto la celia gentile ben compendia, nella infinita modestia del geniale poeta, le grandi qualità dell’artista :

Al Pascià dai mille amori,
Al Muftì dei commedianti,
Al Sultano dei brillanti
Il Rajà degli Scrittori.

A dare una chiara idea di quel che fosse la Compagnia del Bellotti, ecco come furon distribuiti I Mariti di A. Torelli, la commedia ch’ebbe, e di santa ragione, sì festose accoglienze.

Il Duca d’Herrera Cesare Rossi
La Duchessa Amalia Fumagalli
La Baronessa d’Isola Giacinta Pezzana-Gualtieri
Emma Annetta Campi
La Marchesa di Riva Costanza Ciotti
Fabio Regoli Francesco Ciotti
Di Riverbella Gaspare Lavaggi
Marchese di Riva Luigi Bellotti-Bon
Barone d’Isola Enrico Belli-Blanes
Duchino Alfredo Antonio Bozzo

E si capisce, mi pare, come il pubblico accorresse ogni sera a empire il teatro….

Ma ahimè ! Come la formazione di quella Compagnia segnò la grandezza morale e materiale del Bellotti, così lo smembramento di essa ne segnò il materiale e morale scadimento. In uno slancio di megalomania, profondamente convinto, non dubito, di farsi il grande benefattore dell’arte, se ne fece il monopolizzatore. La Compagnia unica ch’egli condusse e diresse, grande in ogni sua parte, sbocconcellò, o meglio sfasciò, dividendola in tre Compagnie, delle quali diventaron prime parti assolute non grandi, quelli stessi artisti che nella Compagnia unica furon parti non assolute grandissime. Lo sfascio della compagnia generò lo sfascio dell’arte. Da codesta usurpazione di nuove fame derivarono l’ira e l’invidia de’piccoli, che si sentiron, se non maggiori, non certo minori de’ nuovi arrivati. Le prime attrici giovani saliron senza processo artistico al grado di prime attrici assolute ; i generici primari a quello di caratteristi, e via di seguito : così le salite già audaci doventaron pazze addirittura, e trascinaron l’arte a vertiginoso e rovinoso andare, di cui non si conosce nè il quando nè il dove della fine. A questa degli attori andò di pari passo la danza vorticosa degli autori. Fu per opera del Bellotti che cominciarono a scendere in Italia que’ tipi matti e sconclusionati, aventi a guida certi Esiliati in Siberia, tra’quali il pubblico avrebbe voluto vederne l’autore. Le rappresentazioni a scadenza fissa davano appena il tempo agli attori di studiar la parte materialmente. A poco a poco, essi passarono in seconda linea ; e le opere teatrali ch’eran venute occupando il primo posto, non avendo più l’allettamento di una forte esecuzione, una volta affrontato il lume della ribalta, perdevan della loro importanza. Alle nuove compagnie che le rappresentavano il pubblico non andava più…. Così le produzioni si successero alle produzioni con rapidità inaudita, a segno che il pubblico avvezzo al nuovo, di nuovo assetato, non s’occupava più che del nuovo, per una sera tanto : e al nuovo della commedia tenne dietro per natural conseguenza il nuovo del genere : il quale poi, passando di trasformazione in trasformazione, è venuto oggi alle faticose elucubrazioni del dramma filosofico, e ai grotteschi acrobatismi della pochade.

In mezzo a questa specie di ridda infernale, il Bellotti, sfiduciato, annichilito, perduta ogni speranza di rialzamento materiale e morale, si tolse tragicamente la vita in Milano, alle 2, 45 pom. di mercoledì, 31 gennaio 1883, empiendo di costernazione schiettamente sentita tutti i pubblici d’Italia, ch’ egli aveva mosso per tanti anni alle più sane risate. L’infiacchimento e la sfiducia cominciaron già a far capolino in un suo scritto sulle Condizioni dell’arte drammatica in Italia pubblicato prima nel Teatro Italiano di Firenze, poi in opuscolo ad Ancona l’anno 1875, in cui mise a nudo con una gajezza forzata le piaghe dell’arte, chiamandone il Governo responsabile unico ; e nella tema che le varie Commissioni rigettassero i suoi reclami sulle varie tasse teatrali, dopo di avere ironicamente accennato a una modesta tomba per sottoscrizione all’arte drammatica italiana, conchiudeva : ho iniziato delle pratiche per concorrere ad un posto di spazzino comunale.

Povero e glorioso artista !!!! Ed egli si appuntò la rivoltella a una tempia, quando nell’alta vergogna di un fallimento, sentì di non poter più continuare in quelle agiatezze che gli vennero per assai gran tempo dall’arte.

Fu anche il Bellotti scrittor di commedie, tra le quali Spensicratezza e buon cuore non compiutamente bandita dal nostro teatro, in virtù dell’interesse che ne desta l’intreccio e della vena di comicità di cui abbonda.

Ricordo di aver letto sul proposito dell’artista : « Se tutti lo imitassero, nessuno studierebbe più la parte, e ritorneremmo ai bei tempi della commedia a soggetto. Che Dio ce ne scampi !… Bisognerebbe che tutti avessero il di lui genio ! E, pur troppo, non è facile !… »

Il critico aveva ragione : nessun attore fu più soggettista di L. Bellotti-Bon…. E tal volta una improvvisazione felice potè mostrar l’ingegno pronto e pieghevole dell’artista.

Bellotto Lorenzo detto Tiziano. Trascrivo da Francesco Bartoli, non avendo trovato di lui altre notizie.

« Nato in Venezia, ed allevato civilmente da’suoi genitori, esercitò l’impiego d’inserviente sopra il veneto foro. Gran genio aveva il Bellotto per esercitarsi nella maschera da Pantalone ; però, travestito in quella foggia, andava in tempo di carnevale per le vie e ne’ pubblici ridotti, parlando come un personaggio da commedia, e facendo anche delle scene graziose insieme con altri suoi amici mascherati in diversa guisa. Finalmente, non potendo più resistere all’ inclinazione ch’egli aveva per il teatro, s’insinuò nell’ amicizia d’alcuni comici, i quali seco lo tolsero a recitare, e bravamente riuscì sostenendo con molto spirito il personaggio di Pantalone, a cui era tanto inclinato. Avanzandosi in meriti, fu accolto nella Compagnia d’Antonio Marchesini ; e quindi in quella d’Antonio Sacco fu con piacere accettato. Il Bellotto recitò molti anni sempre ben visto ed applaudito ; ma poi, alienatosi dalla professione, passò ad abitare in Trevigi, dove, fatto già vecchio, terminò felicemente i suoi giorni intorno all’anno 1766. »