(1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « [B] — article » pp. 492-494
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(1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « [B] — article » pp. 492-494

Borisi Amalia, attrice oggi di molti pregi per le parti di madre e caratterista in dialetto veneto, nacque il 1844 da Francesco Ninfa Priuli di famiglia patrizia veneziana, caratterista, e da Annetta Maliani, figlia di un medico, pur di Venezia. Non è a dirsi quanto la infanzia dell’egregia artista fosse fortunosa e travagliosa !… Ella nacque e crebbe in un guittume di nuova specie : non in quel guittume generato dall’inerzia, dalla sudicieria, dalla mancanza di ogni senso d’arte (e questo può trovarsi in artisti di prim’ ordine) ; ma in quello generato dalle avversità e dall’ambiente. La Compagnia, se così poteva chiamarsi quell’ accolta di cinque o sei persone al più, era come una piccola famiglia che vivea in piena concordia, che si dava reciproco aiuto materialmente e intellettualmente ; il primo attore poteva diventar benissimo al secondo atto la prima donna, o viceversa. Nata l’Amalia Borisi in tale ambiente…. di ristrettezze, non appena fu utilizzabile, naturalmente, recò anch’ essa la sua parte di aiuto alla Compagnia, recitando a tre anni, per la prima volta, nel Vagabondo e la sua famiglia di Augusto Bon, e declamando poi poesie, col profitto delle quali potè una volta a piccole tappe compiere col padre suo, che improvvisava pe’ caffè qualche scena di arlecchino, un viaggio in Isvizzera. Fatta più grandicella, e formata il padre società or col Subotich, noto arlecchino, or con Luigi Zerri, padre di Enrichetta e di Antonio, e in ultimo con Antonio Scremin, alla declamazione delle poesie succederon le ombre palpabili e le rappresentazioni improvvisate sulle tavole di una cantina, con biglietto d’ingresso a 20 e a 10 centesimi, e magari in commestibili, come alle recite del Capitan Fracassa nel mirabile studio di Teofilo Gauthier. Il primo attore, in sulla porta, chiamava il pubblico a suon di tamburo, poi correva a sostenere il suo, o i suoi personaggi nel Sior Serafin Bonigolo, ad esempio, dai Storti del Dolo, vestito tra l’antico e il moderno, con lungo soprabito alla napoleonica, e con elmo e spada alla greca. E in tempo di fiera si facevano, all’americana, sin cinque rappresentazioni nella sola mattina, cominciando alle 9, e rimandando il pubblico a ogni fin d’atto della stessa commedia, per dar posto al pubblico nuovo, talvolta accalcantesi alla porta d’ingresso, talvolta, il più spesso forse, costituito da pochi monelli : ma la scarsezza del pubblico non fece conoscer mai a quegli ottimi sciagurati il significato della parola forno nel gergo teatrale ; nè col forno nel significato suo proprio ebber mai troppa dimestichezza. Una volta, racconta la Borisi, la Compagnia, per non andare in prigione, dovè recitare dinanzi…. all’unico rappresentante della legge per la tutela dell’ordine, entrato, s’intende, a scapaccione.

E in vario tempo, con varia fortuna, fecer parte della famiglia attori pregievoli come il Gandini, il Mingoni, il Vedova : a poco a poco dai villaggi della Svizzera si passò alle grandi città d’Italia, dal Sior Serafin Bonigolo si passò al più bel repertorio goldoniano, e quel mezzo drappello di zingari, perseverante e animoso, si conquistò il diritto di essere annoverato fra le Compagnie drammatiche propriamente dette. Nel ’60 a Torino si rappresentò per diciassette sere al Teatro Sutera, oggi Rossini, l’Emigrazione Veneta di Riccardo Castelvecchio, in cui il padre Priuli sostenne, acclamatissimo, il personaggio del prete liberale. E nel Mondo illustrato del 14 settembre ’61, da cui tolgo il presente ritratto, è l’Amalia chiamata la gemma della compagnia, la quale alla franchezza, alla disinvoltura, alla naturalezza, alla vivacità accoppia una grazia ed una riservatezza che accrescono pregio e dan rilievo a tutte le altre doti.

Morto il padre a Torino nel ’64, ella con la madre e due sorelle restò col Mingoni divenuto allora capocomico. Sposatasi nel ’67 al conte Carlo Borisi istriano, attore di assai pregio così per le parti italiane, come per quelle dialettali, fu con lui due anni in Compagnia di Gustavo Cappella, il noto Meneghino, poi in quella di Colomberti e Casilini, in sostituzione della coppia Caracciolo, superando la Borisi ogni aspettazione dei capocomici, specialmente colla parte di Teresa nel dramma omonimo di Dumas e con quella della Marchesa nel Filippo di Scribe. Fece poi compagnia col marito, non avendo egli potuto accettar la scrittura di Alamanno Morelli pel formale divieto che aveva, renitente alla leva, di metter piede nel suolo austriaco. Furono il ’76 per due anni con Giacinta Pezzana, poi, con poca fortuna, rifecer compagnia. Morta nell’ ’80 la Morolin, celebre attrice in dialetto veneziano, la Borisi andò a sostituirla ; e vinse pienamente la prova ardua in faccia al pubblico e alla stampa, specie negli Oci del cor e nel Moroso de la nona di Giacinto Gallina, pei quali il Ferrigni (Yorick) le fu prodigo di lodi. Smessa il Morolin compagnia nell’ ’82, per tre anni Carlo Borisi formò società con Zago e Gallina. Ma nell’ ’85 dovè abbandonar l’arte, e poco tempo dopo, colpito da malattia insanabile, morì a Milano fra le braccia della moglie, nella casa di salute dei fratelli Dufour. Tornata lei l’ ’88 con Zago, che era divenuto nella proprietà e direzione della compagnia socio di Guglielmo Privato, vi è anch’oggi, e vi starà per un pezzo, amata e stimata dai compagni, dal pubblico, dalla stampa, per la dolcezza dell’indole, per la bontà dei costumi, per l’amore e il rispetto dell’arte.

Nacquer dai coniugi Borisi Armando e Maria : quello, divenuto attore-cantante, fa parte della Compagnia di operette del Gargàno ; questa, fatte le prime armi come generica e amorosa in compagnia de’ genitori, sposò l’attore dialettale Francesco Micheluzzi. Formaron compagnia italiana, col ruolo essa di prima attrice, egli di primo attore, e si abbandonaron d’improvviso al grande repertorio…. non so con quale fortuna.