(1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « [B] — article » pp. 506-512
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(1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « [B] — article » pp. 506-512

Bresciani Caterina. Dallo spoglio delle Prefazioni di Carlo Goldoni alle sue Commedie, in cui fu protagonista la Bresciani, si può farsi un giusto criterio del valore di questa attrice che recitò ugualmente bene le parti serie e le comiche, quelle in italiano e quelle in dialetto :… e che, vecchia, recitò le parti di madre ammirata e applaudita sempre.

Dell’ arte sua, negli ultimi anni, e del suo secondo matrimonio con un figliuolo del capocomico Giuseppe Lapy, suonator di violino, così parla il velenoso autore del Teatro, Antonio Piazza (Tom. II, pag. 21), che il Bartoli chiamaingrato contro tutti quelli, che l’hanno infinite volte nelle sue indigenze assistito.

Per fare da madre e da nonna v’ era la famosissima e celebratissima Ircana(cosi fu chiamata la Bresciani dopo l’interpretazione della Sposa Persiana), che fece tanto romore ne’ tempi andati. Quella parte che tanto onore le fece, non la rinunzia ad alcuna, nemmeno se la volessero scorticare. Colla tremante sua voce asserisce che il Goldoni l’ha fatta per lei, e che non deve cederla mai. Suo marito, quando ella recita, va nel parterre a batter le mani. Alcuni gondolieri a Venezia, che di ciò se ne accorsero, gli andavano sempre vicini, e applaudivano la sua cara metà, con quella voce che si fa sentire tanto dagli orecchi, come dal naso. Egli ardeva di rabbia, ma bisognava soffrir e tacere. Era questi zoppo, e pareva Vulcano che avesse presa la Beffana per moglie. Oh che bel matrimonio ! Che smorfie ! Che dolcezze reciproche ! Che carezze ! Udire quella brutta vecchiaccia a chiamarlo sempre colviscere mie, mio core, anima mia, parole paralitiche che le ballavano in bocca prima di uscire ; veder lui zoppicando starle attaccato sempre alla gonna, usare il diminutivo nel di lei nome, vaneggiarla, alla presenza di tutti, era cosa da eccitare il vomito alli stomachi più forti eziandio.

Nelle brevi parole che precedono La Dalmatina, tragicommedia di cinque atti in versi, rappresentata in Venezia l’autunno del 1758, dice il Goldoni :

La valorosa signora Catterina Bresciani ha sostenuto con tanto spirito e verità il carattere della Dalmatina, che ha meritato gli applausi di tutti, e specialmente degli Schiavoni. (Teatro, ediz. Pitteri. Venezia, mdcclxiii, Tom. IX).

Ma la commedia che aveva, già cinque anni prima, dato fama di grande attrice alla Bresciani, fu la Sposa Persiana, rappresentata per la prima volta in Venezia l’autunno del 1753, con successo meraviglioso, che diè poi tanto nel naso al Gozzi, da fargli stampare il Canto della Sposa Persiana, che è la più volgare e acerba critica della commedia.

A proposito di quella recita, Goldoni (Memorie, vol. II) scrive :

Son debitore dei diletti che mi procurò questa commedia a Madama Bresciani che rappresentava la parte d’Ircana ; ed era appunto per essa, che avevala immaginata e composta. Gandini non voleva che l’ impiego di sua moglie venisse usurpato ; egli avrebbe avuto ragione se Madama Gandini non avesse toccata la sua cinquantina ; ma per evitare i contrasti, feci una parte alla seconda amorosa, che a quella della prima prevalse.

Fui ben ricompensato della mia fatica. Non è possibile di rappresentare una passion viva ed interessante con maggior forza, con maggior energia e con maggior verità di quel che fece Madama Bresciani in una parte così importante.

Quest’attrice, che aggiungeva al suo spirito ed alla sua intelligenza le vaghezze d’una voce sonora, e d’una pronunzia bellissima, fece tanta impressione in questa fortunata commedia, che in appresso non la chiamaron fuorchè col nome d’ Ircana.

E nella Prefazione alla stessa (ediz. Pasquali) :

Il popolo interessato per essa, non so se per il carattere che rappresenta, o per il merito singolarissimo dell’ eccellente attrice, la valorosa signora Catterina Bresciani, mi andava continuamente eccitando per una seconda commedia.

E l’eccellente attrice seppe serbarsi intatta la fama acquistata, alla quale non nocque punto nè meno il suo difetto capitale comune a molte donne : la gelosia di mestiere…. Un applauso fatto a una compagna le era una trafittura al cuore. Il povero Goldoni che nonostante la sua infinita serenità d’animo, dovè patire tutte le noje prodotte dalle eterne guerricciuole di palcoscenico, determinò un bel giorno, a soddisfar la Bresciani, e più ancora a darle una buona lezione, di formare una commedia nella quale l’attrice non avesse a temer confronti : e scrisse la Donna sola, che piacque molto alla Bresciani e che fu da lei, se ben capita la satira, mirabilmente recitata nel carnevale del 1757. Ma non questo accadde per la Donna stravagante, recitata la prima volta nell’apertura del carnevale 1760, forse perchè la parte piaceva assai poco all’attrice.

Dice Goldoni :

Questa commedia ebbe un bastante incontro, quantunque fosse fatta per averne uno maggiore ; ma Madama Bresciani, che di sua natura era capricciosa un poco ancor essa, credette di vedersi ella stessa rappresentata, e l’umor suo cattivo indeboli la buona riuscita della commedia.

E per rimediare ai torti che questa eccellente attrice gli faceva, il Goldoni, anima nobile, scrisse le Baruffe chiozzotte, nelle quali madama Bresciani recitò stupendamente.

…. malgrado il suo accento toscano, aveva cosi bene imparate le maniere e la pronunzia veneziana, che recava un egual piacere, tanto nelle commedie dell’ alto comico, quanto in quelle del più volgare. (Gold. ivi).

E il 1762 recitò la Bresciani un Addio, pure in dialetto veneziano, che si trova stampato negli Atti Granelleschi del Gozzi, seguito dalla Risposta del Pubblico a lei del Gozzi stesso. (Carlo Gozzi, Opere, Tom. VIII. Firenze, Colombani, 1774).

Ecco l’uno e l’altra :

ADDIO

Questa è per onor mio la sesta volta,
Che me presento a sta benigna Udienza,
L’ultima sera a ringraziar chi ascolta,
E chi soffre la nostra insufficienza.
Ah ! se avesse dal fren la lengua sciolta,
Vorria stassera domandar licenza
De poder dir quel che non ho mai dito,
Ma ogni sfogo per mi saria un delito.
Compatime, ve prego, in carità
Se confusa me vegno a presentar,
Perchè dopo aver tanto sfadigà
Villanie no me par de meritar.
Da mi, da tutti nu s’ha procurà
El mestier con modestia esercitar,
E pur zente ghe xe (ne so dir come)
Che i Attori strapazza, e stampa el nome.
Del Poeta no parlo ; el soffre, el tase,
Perchè a lu no i ghe fa nè ben, nè mal ;
El Pubblico el respetta, el se compiase,
Che dei discreti el numero preval.
Solamente el se lagna, e ghe despiase,
Che se diga, che el guasta la moral,
E che penne lo scriva venerande
Con parole sporchissime e nefande.
No so, come se possa in bona legge
Metter chi non offende in derision.
Se critica con grazia, e se corregge,
E no se intacca la reputazion.
Ma, come se sol dir, le maravegie
Le va dopo tre zorni in obblivion ;
E termine averà tante faccende
De chi stampa in secreto, e de chi vende.
Basta, lassemo andar ste cosse odiose
Capace ogni omo onesto d’irritar.
Anime benedette, e generose,
Vu podè consolar, e serenar.
Fin ch’ el Ciel me conserva e vita, e ose,
Della vostra bontà v’ ho da lodar,
E partindo, e tornando, qua, e lontana
Sempre sarò la vostra serva Ircana.
Tanto del vostro amor, tanto me fido,
Veneziani cortesi, e de bon cuor,
Che nell’ anno, che vien, spero, e confido
Egual prosperità, se no maggior.
Avvilirne i vorria, ma me ne rido.
Ghe vol altro, che Fiabe, a farse onor,
E Maghi, e Strighe, e Satire, e schiamazzi :
Le vol esser Commedie, e no strapazzi.
Grazia domando, perdonanza aspetto,
Se sti ultimi dì v’ ho mal servio,
Perchè son stada tanti zorni in letto,
E ho dubità, ma son tornada in drio.
Gho una passion, che me devora el petto,
Quando no posso far l’obbligo mio,
E lo fazzo de cuor, come convien,
E no go invidia de chi fa del ben.
V’auguro a tutti sanità perfetta,
E longa vita, e lieti zorni, e pase.
Se mai ve recordè de sta Donnetta,
Ve prego usar de carità la frase.
Ve domando giustizia, no vendetta :
A longo andar ga più rason chi tase.
Compatì generosi i mi difetti,
Veneziani, de cuor sieu benedetti.

RISPOSTA

Ve ringraziemo, Ircana. El complimento
Che ’l vostro Direttor v’ ha messo in boca,
Nol fa parer un’ omo de talento,
Ma no diremo gnanca, che ’l sia un’oca ;
E ne dispiase solo del lamento,
Che fe, d’esser offesa, cara gnoca,
E sfidemo el Poeta, che menazza,
A dir, dove i Attori se strapazza.
Circa ai nomi stampai, credeme, Ircana,
Che se stampa anca el nome al Re de Franza.
Domandeghe al Poeta, ch’ el ne spiana,
Se el pensa colla testa, o colla panza.
Quanto a vu, semo allegri, che siè sana,
E ve stimemo Attrice d’importanza,
Ma del Poeta vostro, con licenza,
Pensemo ancuo con qualche differenza.
Gh’ è cascà sie Commedie, e l’accidente
Fa, che incontra la settima qualcossa,
Le sie più lu no conta, e impertinente
El vol, che lo lodemo d’ogni cossa.
Se vu no ghe pensè, gnanca la zente
Ghe pensa. Ircana, via, no vegnì rossa,
Solo pensè, che l’ultima composta
Settecento Ducati la ve costa.
L’ ha guastà la moral ; volesse Dio,
Che sto peccà sul toni nol gavesse.
Chi l’ ha proposto, no xe tanto in drio,
Nol lo diria, se dirlo nol podesse.
El ne lo mostrerà, che el ghe xe drio ;
Nol lo fa per invidia, nè interesse.
La corruzion d’un Popolo, ne par,
Perchè un Cristian se scuota, ha da bastar.
La rabbia che lo rode, caro ben,
Per bocca vostra ghe fa dir assai.
Respetto verso el Pubblico el mantien ?
Un Pubblico no semo de cocai.
Quei versi Granelleschi ve assai ben,
El Pubblico li ha cari, e el l’ha accettai,
Ne a metterli lu basta in derision,
El Pubblico trattando da cordon.
Savemo, che le Fiabe sulla scena
A un Poeta no basta a far onor ;
Ma per sie zorni avemo fatto piena,
E nu femo l’onor, e el desonor.
Diseghe, che no l’abbia tanta pena,
Perchè el palesa quel, che el ga in tel cuor,
E alfin el perderà cervello, e polpe,
Volendose sforzar a far da volpe.
Povera Ircana ! un gran peccà ne fe’
A portar chi ve svoda la scarsella.
Chi paga chi lo frusta ne parè,
E senza un fia d’inzegno una puttella.
Suè, ranchè, v’arrabbiè, v’amalè,
E al fin xe del Poeta la cassella.
Almanco, se le Fiabe no corona,
Le ga de bon, che chi le fa, le dona.
Diseghe, cara fia, con libertà,
Che nol se creda un’ omo sovruman,
Che l’ è un Poeta a scriver condannà,
Come Santo Bagozzi, in venezian ;
E che, se un pochettin l’aspetterà,
L’ancuo no xe compagno del doman ;
Che quel, che xe stampà, sta tra la zente,
Ma cinquanta sbattue no dise gnente.
Ste cinquanta sbattue, che al vostro muso,
Cara, vien dae, e a inchini, e a adulazion,
No xe però stae bone a far star suso
L’altre Commedie andade a tombolon.
Ben mio, no fe’ de quel proverbio abuso :
La forza ghe ne indorme alla rason ;
Perchè, se ancuo xe le sbattue cinquanta,
Le vien trenta, e poi vinti, e poi i ve impianta.

Recitò il carnevale 1754-55 un Prologo (riprodotto dallo Spinelli nella sua Raccolta de fogli sparsi del Goldoni. Milano, Dumolard, 1885) alla commedia intitolata I Viaggiatori, non mai stampata, forse pel poco successo avuto, e rifatta poi dal Goldoni a dramma giocoso in tre atti, col titolo : I viaggiatori ridicoli pel Duca di Parma nel 1756 che lo creò in quell’anno suo poeta di Corte.

Alle recite del carnevale 1760 preluse il Goldoni con altro Prologo recitato da madama Bresciani e riprodotto dal Malamani ne’ suoi Appunti Goldoniani (Venezia, tip. dell’Ancora, 1887).

E dallo spoglio della Gazzetta Veneta (che non mi fu possibile vedere) fatto dal Tessier (Giornale degli eruditi, Tom. III) vediamo che la Bresciani recitò nel 1760 vari altri prologhi del Goldoni :

alle recite autunnali nel teatro di S. Luca in Venezia ;
alle recite in Mantova nella primavera ;
nell’ultima sera delle recite della primavera ;
al fine dell’estate in Mantova ;
nell’ultima sera di carnovale in Venezia, dopo la recita della Casa nova.

Restò poi colla Compagnia del suocero sino alla sua morte, che accadde in Brescia la primavera del 1780.