(1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « [C]. I COMICI ITALIANI — article » pp. 570-583
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(1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « [C]. I COMICI ITALIANI — article » pp. 570-583

Cantinella, celebre comico, che fu carissimo a Silvestro da Prato, e di cui fa menzione Sant’Antonino. Così il Quadrio, V, 236. Fiorì nella metà del xvi secolo. Nel Canto carnascialesco di Zanni e Magnifichi di Antonfrancesco Grazzini detto il Lasca, già pubblicato da Francesco Bartoli è accennato al Cantinella con questi ultimi versi.

Alfin voglianvi una benfatta e bella
prospettiva di nuovo far vedere,
là dove il Cantinella
e Zanni vi daran spasso e piacere ;
or se volete avere
buon tempo un pezzo e rider fuor d’usanza,
doman venite a trovarci alla stanza.

quell’e messo fra il Cantinella e lo Zanni parrebbe stabilire aver rappresentato il Cantinella le parti di Pantalone, o Magnifico.

Il Capitolo dello stesso Lasca a M. Giovambatista Altoviti, che il Verzone pubblica per la prima volta (Firenze, Sansoni, 1882) e di cui riproduco il principio, ci dice chiaro essere stato il Cantinella il capo della Compagnia, se ben per arte inferiore allo Zanni….

Messer Giovambatista, o ver signore
come vi piace, pur ch’io non v’inganni,
state ad udir del mio canto il tenore.
Tra le perdite grandi di mill’anni,
c’han fatto Roma, Napoli e Fiorenza,
si può metter ancor questa di Zanni :
perchè la dolce e leggiadra presenza
del Cantinella e de’ compagni suoi
era nel vero una magnificenza.
Ma recitando le comedie poi
a gli atti, a’ modi, a’ gesti ed alla voce
gli altri strion restavan tutti buoi.
Non facevan le genti stare in croce
con quel lungo ciarlar senza profitto,
ch’ a gl’ altri comedianti tanto nuoce.
Vedeasi spesso misero ed afflitto
Zanni dal Cantinella sopraffare,
che gli correva addosso a naso ritto ;
poi si sentiva il Cantinel cagliare,
chè Zanni gli faceva un sopravento,
ch’ il meschin non sapea dove s’entrare :
e così gli altri ancora e fuori e drento
facevan gli atti lor si gentilmente,
ch’ ognun restava al fin lieto e contento.
Ma Zanni sopra tutto è uom valente,
per ch’ or spazzacammino ed or soldato
rider faceva e spasimar la gente ;
tanto ch’ io credo che Zanni sia nato
per passatempo, burla, giuoco e festa,
e fare il mondo star lieto e beato.
………….

Le buffonate descritte dal Lasca tra il padrone e il servo, i due principali tipi della Commedia dell’ arte, troviamo identiche dappertutto, e particolarmente alla Corte della bassa Baviera in Landshut, quando su al Castello di Trausnitz, Venturino da Pantalone e Battista Scolari da Zanni faceano smascellar da le risa i nobili astanti.

Cantù Carlo, tra’ comici Buffetto, al servizio del Principe di Parma, nacque il 1609 e si diede all’arte nel 1632, come vediam narrato al principio del Cicalamento di cui abbiam già discorso ampiamente al nome della Biancolelli. Il Bartoli, al nome di Colombina, dice che maritandosi con Buffetto commediante diè motivo ad un poeta di pubblicare, ecc., ecc. Non credo : dacchè il Cantù accenna al libro suo conosciuto e aplaudito, mercè la gratia del Sere.mo patrone, nella lettera da Roma delli 22 febbraio 1647.

Grandissimo artista fu veramente il Cantù per le parti di secondo Zanni, e dal suo Signore e dai pubblici tutti e dalla Corte di Francia ebbe onori e lodi senza fine. Il principe Farnese l’onorava di tal dimestichezza che, venuto a formar la compagnia per le solite recite in Parma li fece grazia d’una sua carrozza per andare a pigliare la Colombina a Bologna. Arrivato a Parigi, dov’era stato richiesto dalla Maestà della Regina di Francia per essere aggregato a quella Compagnia di Comici italiani, fu regalato ne’ primi due giorni di tre vestiti di non ordinaria bellezza. E dopo la prima recita al Palazzo Reale, la Regina, finita la commedia gli disse in pubblico che s’ era diportato bene. E levatasi Buffetto la maschera, e fattale una profondissima riverenza, li Cavalieri del recitare l’applaudirono. E come poi la Regina seppe che la Colombina era sua moglie, non solamente ne fe’ subito richiesta al Principe, ma diede anche a Buffetto 100 scudi pel viaggio : onori, in vero, incomparabili fattigli pel gran merito e per le amplissime raccomandazioni che da Parma recava a Parigi. Col mezzo delle quali anche, otteneva da Milano, prima di mettersi in viaggio per la gran Capitale, il più ampio dei passaporti, che qui trascrivo letteralmente :

(Archivio di Stato di Milano. Registro Patenti N. 469, foglio 54).

Dovendo Diana e Buffetto Comici passarsene á Parigi per rappresentare a quella Corte e convenendogli transitare per questo Stato habbiamo voluto accompagnarli con la presente. Per tenor della quale li concediamo ampio e libero passaporto per le loro persone e per quelle di quattro o cinque altre che conduranno seco con sue robbe non ostante qualhunque ordine in contrario. Commandiamo dunque á tutti li Ministri et officiali così di giustizia come di guerra, Datiari, Gabellieri et portinari et ad ogn’ altro á chi spetta, che non solo non gli diano molestia ne frapongano impedimento di sorte alcuna, nel loro viaggio, ma prestino piutosto ogni ajuto possibile, osservando e facendo osservare la presente valitura per giorni trenta prossimi.

Dato in Milano a’ 30 aprile 1645.

Ecco la lettera colla quale Buffetto dedicava il Cicalamento :

Al Serenissimo Principe

Cardinale Farnese

Mio Signore e Patrone singularissimo.

La cortese protezione, che V. A. Serenissima tiene di me e mia povera casa ; i benefizj ricevuti, gli utili ed honori concessimi dalla sua splendidezza, con havermi connumerato (benchè indegno) per servo attuale nella sua Corte, nominandomi per tale in più lettere nelle mie occorrenze ad altri Principi ; mi sforzano (e con ragione) far noto al mondo, che ogni mio affare dipende tutto dal patrocinio dell’Alt. Vostra. Quindi è, che sendomi congiunto in matrimonio con Colombina Comica (in riguardo però del favore di V. A.) concorrendovi le nostre libere volontà, ho composto il presente Cicalamento, intorno a ciò, il quale come tributo del mio debito l’espongo alla luce del Mondo sotto il patrocinio di V. A. sperando non sia per spiacerli che questa mia piccola fatica porti in fronte il glorioso suo nome

…………………………………………………………………………..

Di Fior., il dì 30 Novembre 1646.

Di V. A. Sereniss.

Umilissimo, obbligatiss. e devotiss. servitore

Carlo Cantù tra Comici Buffetto.

Alla quale tien dietro, dopo una prefazioncella ai benigni lettori, una ode che, per le cose ivi dette e per la molta rarità del libro mi par metta conto pubblicar per intero.

Del Signor

MAVRITIO TENSONIO

accademico hvmorista

Allude á gli Amori dell’ Autore ; Loda le di lui virtù, Tocca l’ordine, che da un Grande ebbe di portarsi in Parigi.

Gli applausi, i regali, & i l ritorno in Italia

ODE

Questi che su le scene altrui deride,
Ingegnoso inventor di mille errori,
Hoggi intento a spiegar flebili amori,
Veri successi, in su le carte incide.
E quella man, che Cetere festose,
Con arguta armonia tocca e percuote
Intenta a numerar l’interne note,
Ricerca in tuon d’Amor corde amorose.
Non van sciolti fra lor Musica e Amore :
E mentre intuona l’un, l’altro già scocca
Dalla sonora innamorata bocca
Con frequenti sospir voci canore.
Onde se già di musici concenti
Empiè i Teatri e fe’ stupir le Scene,
Ben formar vi dovea delle sue pene
Su le carte canori anco i lamenti.
Arse (ed oh strano ardor) del suo bel foco,
Per ignota cagion lontano amante,
Nè potea la speranza al cor tremante
Far più breve o vicino il tempo o il loco.
Fra l’onde de l’invidia empie e voraci,
Fu naufrago gran tempo, e quasi absorto,
Quando ecco apparve alla salute il porto,
E ritrovossi entro le braccia a i baci.
E poi che le fu pronuba Talia
Altra musa a cantar l’alma le accese,
E fa de’ propri casi altrui palese
Nel consueto stil l’arte natia.
Stile, che fra le valli, ove ristagna
Di più ricchi Lombardi il puro argento
Usa gente simile, o dove intento
A formar molli mura il Mar vi bagna.
E già tutta allentata al Mar cruccioso
L’ira credea, che le sue calme infetta,
Mentre che in grembo accolto alla diletta
Sua Colomba, prendea pace e riposo.
Ma d’un Eolo potente aura improvvisa
Lo spinse a valicar nuove pendici,
Là su la Senna, ove fra colli aprici
La Regina de’ Regni è in trono assisa.
E ne’ serii Teatri e ne’ Faceti,
Fra le comiche larve ottenne il grido,
E la Senna a’ suoi motti il nobil lido
Fe’ d’intorno sonar d’applausi lieti.
E ben fede ne fa la marca d’oro,
Che la regnante Astrea spontanea diede,
Marca a cui cede ogni più lenta fede,
Se nell’orbe immortal chiude un tesoro.
Dal suo Talamo amato al fin costretto,
Volse il rapido piede al suol nativo,
E quindi poscia al desiato arrivo
Copulò con la pace il suo diletto.

La maschera del Buffetto, come si vede anche dalla magnifica stampa di Stefano della Bella, è identica a quella di Brighella, uno dei due Zanni della Commedia dell’arte, di cui non ha mutato che il nome. Un’ idea del suo idioma abbiamo chiara in questa lettera ch’ei scrive alla sua

Lampeggiante Stella

È tanto l’ardore, che per amor vostro intorno alla pignatta del mio cuore s’è acceso, che dando negli eccessi, il borbottamento d’ogni mio sentimento, dubito che non crepi : mi sforzo però di dimenar il mescolo del mio affetto per disaccenderlo, ma non faccio nulla, dove che dubito che Buffetto biscottato in amore non vi comparisca avanti. Prima che facci questo strabalzo il trottolante mio cuore, vi supplico cum totam coradellam meam, di farmi avere il vostro ritratto, acciò possa a quello fissare gli occhi con attenzione sviscerata, senza batter palpebra, che ciò facendo (come ne son certo) precipiterà dalle pupille qualche lagrimetta, la quale rinfrescherà alquanto il mio ardore. Fatemene dunque la grazia, che ciò facendo vi resterò obbligato tanto di là, come di qua dal sempre

obbligatissimo anco con mio scomodo

Buffetto.

È strano che di questo artista, il quale oltre i monti incontrò tanto il favor del pubblico, non sia rimasta traccia in alcun libro del tempo, nè in alcuno degli archivi di Parigi, tanto consultati oggimai dagli storiografi del Teatro italiano in Francia. Al momento di accennare al costume di Buffetto, mi balzò agli occhi della mente la maschera, anzi il ritratto di un antico Brighella, di cui non solamente il costume, ma e il tipo mi par concordino a segno con quelli di Buffetto da essere scambiati.

E come mai la incisione qui riprodotta rappresenta il Brighella accanto al Trivellino, che a lui fa tanto di cappello, come se l’uno e l’altro avesser avuto comune la gloria ? Prima di poter dare una qualsiasi risposta, bisognava far le ricerche opportune sul Trivellino, sperando che le notizie che lo concernono, potesser dare alcun lume sulla quistione. Domenico Locatelli, secondo il parere dei Parfait, convalidato da un brevetto del Re in data 21 gennaio 1647 che gli accorda di poter confiscare i beni di certo Lorenzi, italiano, sarebbe andato in Francia il 1645. Nel 1645 appunto è stato dato in Milano ai Comici Diana e Buffetto il passaporto amplissimo per passarsene a Parigi.

Ma chi era questa Diana che ha fatto almanaccare tanto gli studiosi di cose teatrali ?

Ed ecco come le mie induzioni trivelliniane avrebber dato una inattesa risposta anche a questa domanda. Quali altri comici si recarono con Locatelli a Parigi, chiamativi dal Cardinal Mazzarino ? Vediamo un po’ l’argomento colla spiegazione delle scene della Finta pazza di Giulio Strozzi, fatto da Giacomo Torello da Fano e stampato a Parigi il novembre del 1645 : (è unito allo Scenario del Biancolelli raccolto da Gueullette e appartenente oggi alla Biblioteca dell’Opera di Parigi) e leggeremo a pagina 6 che Flora sarà rappresentata dalla gentile e vezzosa Luisa Gabbrielli-Locatelli detta Lucilla ; e a pagina 7 che Teti sarà rappresentata dalla signora Giulla Gabbrielli, detta Diana, la quale farà conoscer maravigliosamente la sua collera e l’amor suo.

Ecco dunque trovata la Diana di Buffetto, cognata di Locatelli, sorella di Luisa Lucilla e figlia del celebre Scapino e di Spinetta (?), come si apprende dalla canzone : Infermità, Testamento e Morte di Francesco Gabbrielli detto Scapino, di cui la seconda strofe suona così :

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(Avec privilège de l’Impression de Mariette, rue St. Jacques à l’Espérance)

Inconsolabil piange
Spinetta sua consorte,
E ’l dolor, che ne sente è più che morte.
E la bella Diana,
E la bella Diana,
per dolor di tal padre è quasi insana,
È quasi insana.

E venuto al testamento, egli proruppe e disse :

Spinetta mia consorte,
Diana figlia cara,
Sa il Ciel se per voi m’è la morte amara,

Hor nell’ ultimo addio,

Hor nell’ultimo addio,

Ambo heredi vi fo di tutto il mio,

Di tutto il mio.

Il solo fatto adunque che può lasciar dubbio sulla identificazione del Brighella trivelliniano con Buffetto nostro, è : il non esser egli colà citato col nome della sua maschera. Ma l’aver dato al Buffetto, nome tutto italiano e non traducibile, il nome generico di Brighella, ben noto in Francia, il cui costume vediam già nel quadro di Porbus del 1572 indossato dal Cristianissimo Re Carlo nono, non mi par cosa fuor del probabile.

Ad altro Brighella che sostituì il Locatelli, morto, accenna il Robinet nella sua lettera in versi del 13 giugno 1671.

….. accrue depuis peu
(pour rendre plus complet leur jeu),
d’un Briguelle, le quel fait rage :
Pour vous y faire aller en faut-il davantage ?

Ma il suo nome non giunse fino a noi. Forse egli era lo stesso che troviamo al servizio di Ranuccio Farnese, ceduto pel carnevale del 1650-51 al Duca di Modena, e con lettera

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poi del 3 gennaio 1651 da Piacenza raccomandato da esso Ranuccio a esso Duca con le parole : concorrono in Brighella comico così buone parti, che le medesime saranno valeuoli da renderlo accetto all’A. V. alla quale io risoluo di raccomandarlo ?

Forse questi due Brighella non eran altro che lo stesso Cantù, il quale morì probabilmente nel ’76, come si può argomentare da una lettera inedita di Alfonso D’Este, della linea de’Marchesi di S. Martino, in data 30 giugno di quell’anno, nella quale, trattando della formazione di una nuova compagnia, è detto : Noi haueuamo Bufetto et il Dotore, ma Bufetto è andato a recitare nel altro mondo…. ?

A queste domande io non saprei che rispondere. Basti per curiosità che io metta qui alcune lettere inedite del Cantù, di cui una riprodotta in fac-simile, comunicatemi gentilmente dal sig. Conte Malaguzzi, direttore dell’Archivio di Stato in Modena, ricchissime d’interesse per la scena intima d’allora.

Molto Il.e et molto Reue.do Sig.r mio patrone Colen.mo

Li mali termini usati si in comedia, come fuora dal Dottore à pantalone il quale si lamentò alla Gaiarda con el sig.r mangelli due uolte, io pregato da cauaglieri per l’agiustamento non solo lo fecci ma per satisfare questi sig.ri amici del Angela condussi il medesimo Giorno pantalone dal S.r mangielli atestando di hauer agiustato il tutto et pregarlo à non darne parte a S. A. per non fastidirla, tanto più che non erano cose se non apartenente alla Comedia, il S.r mangielli promisse pregandoci a stare uniti come debito nostro in riguardo di S. A.

Hora spropositatamente io sono stato mal ricompensato dal Dottore il quale ingiuriò me et mia moglie nel honore et riputatione presente tuto il popolo et i Comici senza alcun riguardo del patrocinio del Ser.mo patrone et la cosa fu cossi.

Mercordi pasato recitasemo el prodigio del marchese del uasto il quale non piaque troppo la Compagnia me preghò per repezare l’ auditorio che inuitassi per il giorno seguente Colom.na zacag.no et zacag.no Colom.na Flaminio era morto in detta opera e non lo poteua inuitare et io era ciamato dalla S.ra donna olimpia con ming.no finita l’opera dissi caro Dottore inuitate uoi lui disse uolentieri et io me spogliai il Dottore uiendentro e non l’inuita il popolo si soleua non sentendo a inuitare, io dissi perche non l’haueua inuitato lui me rispose che non hà uoluto inuitare quella fredura ne la quale sua moglie non ui à troppo che fare, io sogionsi che lo doueua dire che non me n’ incuraua tanto più per essere di Giobia et che lo faceua per seruire la Compagnia, et si come lui e stato causa che mai ho fato quest’anno la mia scola per non agiustarse a lasar fare la prima parte com’era di douero a l’inpolita non me marauigliaua che lui auesse disgusto anco di questa Comedia de mia moglie, lui alborosato per la Comedia che bramaua el popolo ò per la mia andata da donna olimpia me disse, ch’ io era un uis de cazzo un Comediante da nulla che non me cognosceua per nulla et che non li rompesse il cullo, io sogionsi che haueua ragione di strapazarme alla presenza non solo del popolo ma di comedianti perche à più mani che me à questa parola me uene alla uolta per darme, il S.r Cupis et molti altri messero di mezzo, quà s’empi la scena di gente, e lui me disse Becco fotuto razza bozerona te farò ben ueder mi a suo tempo se hauerò più de due mani, la mia pouera moglie piangendo di rabbia disse marito abiate pacienza che tutti siamo conosiuti l’Angela li uene alla uolta per darli dicendo che era più honorata di lei il portinaro l’abbraciò et molti altri e lei per suiluparsi dal portinaro li dete un pugno nel uiso, io me tretti a una spada fui intertenuto da molti, li miei poueri fanciuli strilauano, ed il dottore et la moglie seguitauano ad’ ingiuriarsi con infamentissime parole in questo ariuò li sbiri fui auisato da un Cauaglier del S.r Cardinale Rocci a fugire e lasar la spada cossi fecci ma me ariuorno in piazza et il dottore per ordine del S.r Ducca della recia et del nipote del S.r Cardinale Cechini amici del angela fui intartenuto sù el palco, et io me condussero uia : per la strada me hariuò el S.r Cupis et Sig.r Felipo mei mastro di camera del S.r Cardinale Sforza, et me dissero affermandomi sotto una porta che io facessi la pace che me aurebeno fatto dare dal dottore ogni satisfatione se nò che saria andato prigione io risposi ch’el S.r Cardinale farnese non protegieua giente infame come, me haueua imputato me et mia moglie il dottore, et che non bramo da lui nisuna satisfatione : in questo ariuò ordine del Gouernatore che me agiustassi ò che me conducesero in tor di nona io ero pronto per lasarme condure tanto più che questa tramma de farme far pace era per broio de amici del angela li quali non solo furno dal Gouernatore ma presente me pregauano el S.r Cupis et sig.ri mei che me facessero far la pace il qual S.r Cupis me disse io ui comando da parte del S.r Cardinale farnese, come suo camariero ch’ io sono, di far la pace al dottore Altrimente andarete prigione e poi ne riceuerete disgusto da S. A. : io me butai al partito di un mezzo termine e disse fatemene scritura ch’ io farò il tutto lui me fecce l’incluso policino nella guardiola de i sbiri e poi mi fecce rogare la pace per mano di notaro il quale uoleua intartenerme perche non uoleua dar quella al dottore per le ingiurie riceute qua el S.r Cupis non poteua nulla, io mandete a ciamare il mastro di sala dela S.ra donna olimpia il quale uene con ordine da lasarme andare et a otto hore di notte uene a casa non esendo più a hora di andare da la S.ra Donna olimpia come altre uolte ui son stato la quale me regalo, giocando con altri, d.1 14½ ; et la Sig.ra Principessa Giustiniani uolse la chittara de mia moglie et le donnò 5 dopie ming.no dal S.r Cardinale Sforza a hauto nna medaglia di oro con l’ effigie di nostro Signore la quale pesa 10 scudi conosco. il mio libro e aplaudito, mercè la gratia del Sere.mo patrone.

Per le ingiurie riceuute inocentemente da un mal homo che non stima ne dio ne la Gente del mondo, io, ne mia moglie, non uolcuamo recitare più sino al Comando de S. A. in questo ponto io receuo ordine dala S.ra Donna olimpia di recitare in gracia sua, e questo e broio che ha fato fare l’Angela perche la detta S.ra Donna olimpia non uene alla Comedia di più sono ancora hauisato che ha fato parlare l’Angela da cavaglieri Grandi al S.r mangielli et S.r Cupis acciò scriueno dolcemente a S. A. del tutto faccia dio che in tutto e per tutto me remeto al Comando de S. A. mi metta con chi uole e facci di me quello che li pare che sempre sarò pronto a seruirla ma l’esser poi strapazato con quella pouerazza de mia moglie sono cose che fano catiuo, tanto più che il dottore per essere a l’ombra del patrone me a fatto questo che se non fusse me farebbe li ponti d’oro per riunirci in sieme come me fano tutti li altri compagni li quali aspeteno con grandissima diuotione se sono in Compagnia si ò nò acciò poseno fare el lor uiagio per le lor case caso che fuseno esclusi ; di questo io ne suplico con ogni Umilta posibile il Sere.mo patrone di qualche ordine non solo per li miei interessi et mio gouerno ma per l’utile di chi sarà mio Compagno, il tutto però io scriuo con riserbo del gusto de S. A. alla cui binignita Umilmente prostratto le baccio di tutto core le sacre uesti, et a V. S. caramente le mani.

Roma il dì 22 Febraio 1647.

Di V. S. molto III.e et molto Reue.do

Obe.mo Seruitore

Carlo Cantù detto Bufetto.

Molto III.e et molto Reue.do Sig.r mio patrone Col.mo

1er sera che fu il Giorno di Carneuale riceuei la lettera scritami di ordine del Ser.mo patrone, et intendendo il mutamento solo della prima Donna, senza tocarme ponto nisuna satisfazione delle parole infame et ingiuriose con quasi fatti usatemi dal dottore et moglie, a mia moglie et io come tutta Roma ne informato contra a ogni ragione et senza riguardo del Patrocinio di S. A. Argumentai che ancora le lettere di tal hauiso non fuseno al riceuere di detta letera capitate doue che non solo in tutto e per tutto io et mia pouera casa ci rimetiamo alla Giusticia di S. A. ma atendiamo nouo comando recomandandoci di tutto core come offesi et inocenti, come S. A. si pò informare non solo da Comici ma da tutta Roma, come ho detto, perche il negocio fu troppo publico ; e ben che li broi fatti da l’Angela et il dottore siano stati grandi non dubito pero che la uerità non si sapia quando S. A. la uora sapere senza dar credito a broio nisuno : Sig.r Don Cornelio siamo tanti offesi che me ne creppa il Core uedendoci non solo questa infamia publica in faccia ma adolarata la mia cara moglie in maniera tale che siamo piu che disperati, tanto piu che il Dottore di gia dice, auendo uisto la letera di Flaminio, io sono in Compagnia al dispetto di Buffetto : doue che aspetiamo magior desposti, se sua altezza non ci remedia con la sua Clemenza, per il douero bramo e non per altro. Remetendoci sempre alla benignità di S. A. come nostro Signore et patrone, e qui umilmente se li inchiniamo con Profonda Riverenza et le bacciamo le sacre uesti — il mio figlio magiore Dio l’inspira di essere frate nella religione Domenicana doue con bona licenza di S. A. me ne paserò a bologna con mia moglie per farlo la figlio de quel monastero che cosi e il gusto di sua madre. — Per mio socero suplico di tutto core insieme con mia moglie di qualche resolezione in bologna per lui suplichiamo dico S. A. acciò entri in una bona Compagnia giache la mente et gusto di S. A. è che non sia con le sue Creature detta Resolutione brama la celerità prima che li personaggi si obligano a d’altre persone per l’amor di dio Sig.r Don Cornelio la me ne sia protetore acio io non receua questo danno che li prometto da uero seruitore che mio socero non si deporta male, et in fiorenza e stato piaciuto : mia moglie scriue ancora lei due reghe in detta letera a V. S. acciò la ne fauorisca di protetione apresso al patrone che di tutto core gli ne pregiamo — ed io come serua di V. S. la prego a esermi mezano acio io non resti mortificata da questo mal omo contra ala mia inocenza che piu tosto con bona licenza del patrone morirei di fame perche mi figuro dale parole che lui dice di essere in compagnia al nostro dispetto di riceuere magiori mortifichazioni cosa che non ho mai riceuto perche o sempre auto protezioni ora mi par strano che ciò mi sia intreuenuto soto ala protetione di S. A. per il giusto parlo e non altrimenti e con ogni afeto ne suplico S. A. S. e con ogni riuerenza come sua serua obligatissima la prego ancora per il mio pouero padre come mio marito ha scrito e umilmente gli bacio le mani dandoli auiso che spero fra dieci o dodici giorni di dar frate il mio filgio magiore in bologna con il fauore pero di S. A.

di Roma il dì 6 marzo 1647.

Di V. S. molto Ill.e et molto Reue.do

Obli.mo Ser.e

Carlo Cantù Detto Buffetto.

Molto Ill.e et molto Reue.º sig.r mio patrone Col.mo

Per conto della licenza per recitare in Roma ogni nostro patrone ci fà animo che l’ haueremo oggi che il primo sabato di quatragesima sono stato dal S.r marchese del Buffalo acciò ci fauorischa di entercedere la licenza per noi me ha promesso di fare apresso a Donna Olimpia ogni posibile ma che lassi passare un giorno o dua, cossi hò promesso di recceuere la Gratia ma domandato come sarà la Compagnia io li hò risposto che sarà meglio de quello è adesso, e cossi lui e restato satisfatto et io in conformita del comando ci tornerò e poi ne darò minuto raguaglio. — Me sono informato ch’ el mio figliolo lucha tanto io lo posso far uestire da frate in Roma col farlo figlio del monestero in bologna come se lo uestisse là non sò però a che me resoluerò perche uoglio el gusto del figliolo el quale più aderisse a essere prete che frate. — Suplichiamo S. A., mia moglie et io per il mio povero uechio acciò abbi in bologua una bona Compagnia già che noi non lo potiamo sostentare in nostra Compagnia per non offendere il gusto de S. A. dove che suplichiamo, dico, per una lettera di fauore in bologna a qualche cauagliere acciò lo fauorischa in riguardo di S. A. di metterlo in una bona Compagnia : prometto però a V. S. Sig.r Don Cornelio che non si deporta malle mio Socero nella parte di pantalone, et per dio come ho scritto in Fiorenza piague, prima che si serasse le Compagnie saria bene detta lettera di resolutione che poi obligate più inpegno ci saria del tutto però me remetto alla benignità de S. A. che sò che non uorà comportare questo danno alla mia povera casa : Scriuendo à mio socero V. S. potrà fare cossi à Francesco Franchini tra Comici detto pantalone in bologna (poi a basso) Padre della Colombina Comica, Caro patrone a V. S. per la protecione di ciò di tutto core insieme con mia moglie me racomando restando per sempre obligatissimi a V. S. : mando la notta de ciò che auemo fatto acciò S. A. la ueda et lo fatta copiare in bona forma e qui umilmente inchinandomi con tutti di mia casa con Profonda riuerenza bacciamo la sacra porpora al Sere.mo patrone et a V. S. caramente le mani,

Roma il dì 9 marzo 1647.

Di V. S. molt’Ill.e et molto Reue.do

Obe.mo Seruitore

Carlo Cantù detto Buffetto.

Molto Ill.e et molto Reu.do Sig.r mio patrone Colend.mo

Siamo quasi alla fine di Quatragesima e ancora io non ho hauto nisuna lettera per mio Governo et per consolazione de mia moglie et mia pouera famiglia, e pure dio benedetto sa et il mondo uede quanto noi tutti siamo seruitori obbligatissimi et suiserati a S. A. (come ho fatto) che tra Comici non ha il piu suiscerato seruitore di me : Strano mi pare in estremo che S. A. comporti ch’io sia infamato insieme con mia moglie senza farne fare almeno una parola sola di sentimento in fauore della ragione e non d’altro, e pure per bugie state scritte contro di me da Genova a S. A. io ebbi di ordine di S. A. minaccie di uita per homo a posta, alhora ben che fureno false le imputationi si trataua di marito e moglie, et hora da un strano il tutto si comporta pacienza il tempo è padre de la uerità, antiuedo li disgusti che receuera la prima donna che uera da questo bon homo di già sento a buccinare molte cosse li quali (Dio facci che me ne menti per la gola) tutte saranno in danno della pouera Compagnia, nissune cosse mie noue ho fatto ne mai la mia scola per le ragione scritte tanto basti a chi di me più intende. il mio povero socero atende Grazia per guadegnarse un pezzo di pane e ciò lo suplico con ragione tanto più che non tirera ne quarto ne nulla, e pure tanti altri Comici ano le lor Gionte et sono soli, et io con Colombina non li posso far seruicio ben che sia mio socero : del tutto pero me contento per seruire a S. A. ma almeno abbi a memoria per l’amor di dio chi suisceratamente l’ama, riuerisce et di tutto core lo serve — di bologna o letere che un pezzo fa ano inuiate li miei libri a V. S. delli quali come n’apare da mie lettere V. S. me fara grazia di far hauere il suo al Ill.mo Sig.r lampugnani in milano la ne faccia diligenza dal S.r Tassi ouero alla porta che sarano capitati sicuro per che cossi me scriuano, (come ho detto) da bologna, e qui Umilmente inchinandomi con Profonda Riuerenza baccio le sacre ueste al sere.mo patrone et a V. S. Caramente le mani.

Roma il dì 29 marzo 1647.

Di V. S. molt. Ill.e et molto Reue.do

Obl.mo et Diuot.mo Ser.re

Carlo Cantù detto Bufetto.