(1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « [C]. I COMICI ITALIANI — article » p. 609
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(1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « [C]. I COMICI ITALIANI — article » p. 609

Catroli-Zanuzzi Elisabetta, padovana, fu attrice assai pregiata per le parti di serva, che sostenne al Teatro di S. Luca in Venezia, quando Carlo Goldoni ne era il poeta comico. Recatosi egli a Parigi, la Catroli abbandonò quel teatro per entrare in compagnie nomadi, nelle quali seppe mantenersi in quel grado di riputazione che aveva acquistato coll’arte sua, accompagnata alle grazie della persona. Vestiva con tanta attillatura – dice Francesco Bartoli – che fu l’esempio del buon gusto alle donne in allora sue compagne.

Nella lettera del Goldoni allo Sciugliaga (carteggio, 205) riguardante la distribuzion delle parti nella Trilogia di Lindoro, sono alcune particolarità che toccan la Catroli. Quanto al Lindoro, non essendovi più l’Arlecchino, si poteva benissimo servirsi del moroso Camerani…. Ma per la donna ? Chi aveva da fare la serva ? Io stimo la signora Catrolli, ma questa parte non è adattata alla sua abilità. Dal che si capisce chiaro che la Catrolli era la vera e propria servetta, spigliata, birichina, intrigante, piena di furberie, punto tagliata a rendere i timori, i dolori, le inquietudini, le lagrime di Zelinda.

Però se la Catrolli non poteva far Zelinda, a chi si sarebbe potuto affidarla ? Alla Bresciani ?… Apriti cielo ! La signora Catrolli non lo avrebbe permesso. E il povero Goldoni per queste ragioni dovè abbandonar quell’anno (il 1764) l’impresa di rappresentar la trilogia, trovando il disegno di più facile esecuzione l’anno di poi, nel quale avrebbe potuto affidar le parti de’ due innamorati servitori al fratello e alla sorella Majani.

Nella seconda e terza commedia – aggiunge il Goldoni – vi è bisogno di una seconda serva, e se la signora Catrolli non volesse farla, com’è probabile, si potrebbe far supplire ad una ballerina, o alla figlia del sig. Rosa. Il che potrebbe star a provare quanto la Catrolli tenesse, forse anche troppo, alla sua dignità artistica, a quelle benedette convenienze teatrali che furon sempre la disperazione del povero Goldoni.

Con alcuni avanzi – aggiunge il Bartoli – da lei fatti nel mestiere, e con l’assistenza del fratel suo (Francesco Catroli, comico anch’esso) potè circa dieci anni sono (1772) abbandonare del tutto il teatro, e vivere a sè stessa ritirata in un angolo della città di Venezia segregata sino al dì d’oggi dal commercio, non solo de’ comici, ma quasi interamente del mondo.