Coris Eularia…. Orsola ( ?). Prima attrice della Compagnia dei Fedeli. Nell’ edizione della Maddalena lasciva e penitente di Gio. Batt. Andreini, direttore di quella Compagnia, (Milano, Malatesta, 1652), sono le lodi artistiche di lei, che sostenne la parte della protagonista, espresse ne’ seguenti madrigali :
MADRIGALE
Flora di Palestinase rappresenti, o vaga,rapisci i cor ; com’ il tuo▶ bel gli appaga ;e tra schiere d’ amantiporti d’ un ciel sereno in faccia i Vanti :ma poi se ’n gonna umil fatta pentita,piangi gli error della passata vita,il cor riacquista al ciel nel mal sommerso.
MADRIGALE
Ev l’aria rimbombadegna, ch’ il ciel, no il mondoe coronar di stelle il ◀tuo pentire.
MADRIGALE
Dolente Peccatriceal Divino Amador pentita riede,e col biondo tesor di sua cervicelegagli il cor, e gl’ incatena il piede.Sparge odorosi unguenti,sciuga con pioggia d’ or perle cadenti :e se in piaga d’ Amor ferito il lascia,poichè stese l’ unguento il crin lo fascia.
d. p. c. s.
L’ Autore
Alla Sig. Evlaria Coris, inTheatro rappresentando
Maddalena
Delle gemme disprezzatrice.A che, o bella pentitafrenetica divota,sprezzi perle e rubini,tesor de l’ onde, onor de i gioghi alpini ?Nel foglio di tua gotaleggo già ; ch’ alta gemma è vetro vile(lapidaria d’ amor) qualor servileprostrata a Dio davantioffri i baci in Rubin, le Perle in pianti.
(V. Lidia Andreini).
Il Bartoli riferisce di lei il seguente aneddoto :
In occasione che questa Comica recitava in Venezia con grido, vi fu un tale, che invaghito del di lei merito, pensò di acquistarsi qualche porzione della sua grazia con esibirle un Sonetto da lui composto. Eseguì il suo pensiero, e la Coris accettollo con dimostrazioni di gratitudine. Partito il suo lodatore, e capitato da lei Paolo Abriani, noto letterato, lessero unitamente il presentato Sonetto, e lo trovarono si goffo e disgraziato, che non poterono far a meno di prorompere in una solenne risata. L’ Abriani disse alla Coris, che voleva mortificare lo scimunito innamorato, e il giorno appresso fece capitare il sonetto che segue ad una brigata d’ amici, fra’ quali eravi l’ ignorante Poetastro ; e quelli burlandolo gliel lessero, e ne restò (come può credersi) confuso e mortificato.
Per un goffo Sonetto presentato da un tale alla
Signora Eularia Comica Celebre.
Dalle virtù della Signora Eulariacomica illustre, un tal mosso a far versialcuni ne sputò de’ così tersi,che parver d’ un Toscan nato in Canaria.Di rime in prosa una mistura variafece, e di piedi e numeri diversi,ma soavi così che amica fersil’ asinesca d’ amor turba gregaria.Prendi il dono Eularia mia, cui portatore,diceva il primo. Or tu la squadra piglia,e giudica degli altri, o buon lettore.Ma se pur sei della Febea famiglia,faratti anco il cantar d’ un goffo autorestringer le labbra ed inarcar le ciglia.
Ciò fatto, l’ Abriani compose un altro sonetto sopra il medesimo soggetto, ed inviollo alla Coris, che lo trovò del tenore seguente : ( ?)
Son così dolci, Eularia, i bei concettiche v’ escon dalla bocca saporita,che nè Saffo, nè Laura, o Margherita,nè il Petrarca vi può co’ suoi sonetti.Anzi la perderebbe in fatti e in detticon voi degli Orator l’Archimandrita,e direbbe, leccandosi le dita,questi dell’alma mia sono i confetti.Ma che sto a dir ! Qualor voi favellated’Orfeo mi pare il suon sentire allora,che le fiere traea quasi incantate.Ma questo è poco ; perchè Orfeo taloratirò le bestie, e voi non sol tirate,ma fate poetar le bestie ancora.
Ho messo dopo il nome di Orsola, al principio dell’articolo, un punto interrogativo, non osando io di affermare che Orsola ed Eularia sieno qui la stessa persona. Della Eularia che rappresentò la Maddalena dell’Andreini non abbiamo altre notizie che quelle già riferite. Dell’Orsola, non mai da alcuno citata, abbiamo le seguenti lettere inedite che pubblico per gentile comunicazione del cav. Davari dell’Archivio mantovano dei Gonzaga.
Ho havuto haviso da Flaminio che à otenuto dal S.mo Gran Duca le licenze per tutta la Toscana, mercè la lettera di V. A. e facilmente ne haverà havute le nuove da Firenze l’A. V. Io invio il mio servitore a Mantova acciò che questa mia le giunga più presto di quello che farebbe per la posta, prego l’A. V. a favorirmi d’una lettera per Flaminio, ma scritta di bon inchiostro, il tenore sij questo, che venga quanto prima alla compagnia e non la facci patire con le sue tardanze, e se à lasciato la moglie una volta a Roma per Franccia, tanto meglio può lassarla, non andando molto lontano ; che guardi bene a non trasgredire a suoi comandi che altrimente sarà per risentirsi, poi chè il suo gusto è che la compagnia cominci presto e guadagni bene. V. A. questa volta facci un poco il cospetone. Questo che le scrivo è solo perchè Flaminio si è lasciato intendere qui in Bologna che per tutto estate non vuol partirsi di Roma, e questo sarebbe di troppo nostro danno. Per la posta di Venetia ò inviato una lettera a V. A., nella quale l’haviso d’una altra impertinenza di Flaminio, pure qui gliel’acenno, acciò anche questa la possa scrivere. Dimanda la Vicenda alla sig.ra madre per la sua ragazza. Veda se si può trovare temerità magiore, mi honori dunque di porre nella lettera che la ragazza faci quello che viene a bisogno come l’anno passato, non conoscendola buona a far cosa di più, acenandole che V. A. si maraviglia che facci questa dimanda così spropositata, mentre non dovrebbe neanche fiatare, non che far domande inlecite, considerando che tira una parte e meza, perchè non merita neanche un quarto. Questo è quanto bramo in questo particolare. Le giungerà per la posta di Venetia una mia lettera che sarà di quatro o cinque righe in circa sopra questo tenore, ma dubitando che le giunga troppo tardi scrivo questa e la mando per il servitore a posta. La patente che V. A. m’à concesso non è come quella che à dato a Flaminio ond’io la bramerei come quella che dice per essere rafermato nella sua servitù havendo servito con deligienza ve le concedo per bene merito che goda etcetera. Scusi per gratia del troppo ardire e mi conceda quello che ò dimandato, accompagnato con una lettera di raccomandazione per me al S.mo Gran Duca, che le prometto di star un pezo ad infastidirlo. Le invio una canzonetta nova, mi saprà dire se le piace, mentre con il riverirla per parte de miei augoro colme d’ogni felicità le s.te feste di Pasqua.
Di Bologna li 16 ap.le 1658.
Obi.ma Serva
Orsola Coris.
A tempo giongono le mie lettere a V. A. mentre lo ritrovano a cantare, voi fareste disperarmi, poichè sono tanto importune che non credo possa far di meno di non disperarsi leziendole, lo prego però a perdonarmi del ardire, conoscendo che il tutto nasce dalla necessità che mi stimola ad essere ardita. Son gionta in Ligorno quando Dio à voluto, ehe non credevo d’arivarci mai, dove abiamo principiato a recitare senza Flaminio, ma perchè la compag.ia non è compita non abiamo quel udienza che supuniamo d’havere al suo arrivo. Sin ad hora abiamo dato fuori cento e sei Boletini a una doppia l’uno per un mese, che viene a essere un utile sicuro. Voglia Dio che le lettere che V. A. à fatto scrivere a Roma a Flaminio, facino profitto e che venga alla compag.ia quanto prima acciò non sij di pregiuditio la sua tardanza, ne al guadagno ne alla riputatione, da Firenze scrissi al A. V. la morte del povero Giangurgolo, hora le do aviso delle nozze della S.ra Lavinia già concluse con Zaccagnino, potrà l’ A. V. dar la nuova al S.r Co. Vialardi, et egli stare alegramente poichè stimo che per mezo di questo parentado V. A. uscirà for di stufa e potrà viaggiare, voltando faccia il mal francese, e se questo Carnovale stando in Mantova la d.ta Sig.ra à avuto paura, tengo per fermo che hora havrà l’angoscia. Qui si dice che l’opera in musicha di Firenze non si fa per insino alla rinfrescata, però questa non è nova sicura, io ne avrei grand.ma sotisfatione sapendo che sarebbe facile al A. V. il poterla vedere e rimaner consolato. Come riesce la compagnia non glie ne posso per ancora dirgliene cosa alcuna, perchè non è compita, e così come si è comincio parmi meglio assai di quella dell’anno passato, come sarà arrivato Flaminio penso che sarà la meglio di tutte le compagnie di questo anno, però non tocca a me a giudicare, come V. A. la vedrà sarà giudice lui di questa causa. Circa alla compagnia della S.ra Lavinia che va prima di noi a Firenze, tutti affermono quello che dice l’A. V., che in quel tempo non faranno nulla per essere troppo caldo. Iddio però gli dia bene a lei e non si scordi di noi. In Ancona non fanno niente, così sono venute le nuove, il principio è molto brutto. Mi duole della disgratia avenuta al S.r marchese Lanzoni e Amorotti, ma poi mi rallegro che è stata disgratia gratiata non essendoli succeduto male, gli servi dunque d’aviso al andar più cauti un altra volta e operare giuditiosam.te come à fatto V. A. La Lessandrina humil.te lo riverisce rendendole gratie della memoria che si compiace tener di lei, assicurandolo che non fa altro che studiare da Trufaldino per poter servire l’ A. V., intanto ella sta atendendo il ritratto con grandis.ª ansietà non vedendo l’hora che giunga. Quest’altro ordinario le manderò qualche arietta nuova, sperando che serà di suo gusto, almeno per la novità. Mi occorre suplicare V. A. d’una gratia, la quale è questa, nel viagiare, all’ osteria mi sono dimenticata quella scufia bianca, della quale V. A. mi fece haver la moda, dico però quella della notte, che se non m’inganno disse, che gliela haveva datta la figlia del S.r Terachia per mostra, scusi per gratia dell’ardire, mi honori mandarmene una overo il modello, e con il riverirlo per parte de miei non lascio di confermarmi di
V. A. S.ma
Oblig.ma Serva
Di Livorno li 7 giugno 1658.
Orsola Coris.
…….. L’ordinario passato gli diedi haviso come Flaminio era gionto, hora lo confermo, abiamo terminato il mese e riscosso le cento e sette doppie de bolettini che havevamo dispensato, e di nuovo gli abiamo confermati, si che sino ad hora si potiamo contentare. La comedia in musica che si doveva fare qui non si farà per adesso, poichè volevano che vi cantassi io, ma perchè non possono essere al ordine per questo mese non ò voluto per non far danno alla Comp.ia accettare la parte, a ben che i compagni abino corisposto con poco termine, poichè sapendo che questi mi stimolano a pigliar questo impiego, dissero che se io havessi recitato in questa comedia m’ havrebero mandato fori di compagnia, ma essendomi risentita si sono disdeti, e così non vi è stato altro…. Lo prego a non tralasciare di favorirmi con sue lettere, unita con padre e madre e Alessandrina humil.te me le inchino.
Di V. A. S.
Oblig.ma Serva
Di Livorno li 5 luglio 1658.
Orsola Coris.
Chi dunque poteva scrivere al Duca in persona lettere di così aperta famigliarità, parlando degl’ interessi di Compagnia, accusando compagni, reclamando rimproveri, dando commissioni intime e delicate, e svelando fatti, di cui potrebbe arrossire una donna maritata, se non una donna, artisticamente al meno, a capo della Compagnia ? O una favorita del Duca ? O una che fosse l’una cosa e l’altra insieme ? E di dove sarebbe sbucata questa Orsola ? Per un momento, se bene il Bartoli chiami l’Eularia giovinetta nel 1652, ho pensato che quella potesse essere figliuola di questa, e che la madre di cui chiedeva la vicenda Flaminio (Marco Napolioni) per sua figlia, fosse appunto l’Eularia : ma ecco un’ altra lettera al Duca di Modena dello Zio Tomaso, con data di Ivrea, 13 gennaio del 1643, comunicatami dal Conte Malaguzzi dell’Archivio di Modena, che comincia così :
Feci dire nell’ anno passato a Bernardino Coris, Comico, chiamato Silvio, che non s’obbligasse a Compagnia, poichè desiderano il ritorno di lui e di Florinda sua moglie per recitare in comedia…………………
…………………………
Non sarebber questi per avventura il padre e la madre, nel cui nome, assieme alla Lessandrina (una sorella minore), l’Orsola saluta il Duca di Mantova ? Anche sta il fatto che mentre il nome di Eularia sarebbe, nei comici conosciuti del xvi, xvii e xviii secolo, una rarità qual nome di battesimo, diverrebbe assai comune qual nome di teatro.
Bernardino Coris, è anche citato dal Bertolotti fra i comici che abitavano il 1658 in Roma, nel distretto della Parrocchia di S. Pietro.