(1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « [D]. I COMICI ITALIANI — article » pp. 811-
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(1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « [D]. I COMICI ITALIANI — article » pp. 811-

Duse Eleonora. Figlia di Alessandro e di Angelica Copelletti di Vicenza, nacque il 3 ottobre del 1859, e fu battezzata a Vigevano. La sua infanzia fu un succedersi continuo di patimenti. Come tutti i figliuoli d’arte, anche essa apparve al lume della ribalta, non a pena le fu dato di reggersi in piedi e di balbettar due parole, sostenendo a quattr’anni la parte di Cosette nei Miserabili. Il ’63-’64 era ai Filodrammatici di Trieste ultima per le parti ingenue nell’elenco della Compagnia Duse Lagunaz, di cui era direttore Luigi Aliprandi e amorosa la Celestina Paladini, oggi Paladini-Andò. Poco resta da dire intorno alla fanciullezza di Eleonora Duse, dopo il magistrale articolo del conte Giuseppe Primoli (La Revue de Paris, I giugno ’97) che, a proposito di lei a punto, può ben chiamarsi il grande amba sciatore dell’arte italiana a Parigi. Aggiungerò solo che una volta, passando in rivista le origini de’ nostri artisti, ella mi raccontò come, giovinetta, si recasse giornalmente a trovar la mamma relegata in fondo a un letto d’ospedale ; e là mangiasse, quasi di soppiatto, la metà della zuppa, che a lei serbavan l’affezione e la pietà materna. Aveva quattordici anni, quando le morì la madre ; e cominciava già a farsi notare in alcune parti per un suo singolar modo di recitare ; ma dominava in lei una specie di sfiaccolamento, che la mostrava annoiata, quasi nauseata della vita. L’occhio pareva perdersi talvolta nello spazio vagamente, indefinitamente ; tal volta invece, pareva ch’ ella guardasse innanzi a sè e sopra di sè, come in aspettazione di qualcosa di alto, che non sapeva ben definire, ma di cui presentiva l’arrivo.

Cresciuta dunque nella miseria più squallida, priva fin anco dei pochi soldi bastevoli a gittarle addosso un cencio nero in memoria della madre morta, andata guitteggiando tutta la fanciullezza come una bimba di zingari, quale educazione intellettuale poteva andarsi formando ? Quella che le veniva dalle parti che recitava svogliatamente, quasi addormentatamente ; massa inerte, aspettante, come s’è detto, il soffio vitale.

Ma il fuoco che le serpeva lento, lento, quasi inavvertito nelle vene, non doveva divampare in incendio al contatto della scintilla, sibbene svilupparsi per gradi, alimentato dalla fiamma latente del genio, che aveva pur dato sprazzi e bagliori o non visti o non curati. Il primo accenno alla vita vissuta dell’arte Eleonora Duse diede a Verona colla Giulietta di Shakspeare, palesando con una fine trovata di rose, che il Primoli artisticamente illustrò nel citato articolo (pagine 492-493), quella forza di osservazione che doveva trasportarla più tardi a sì alte sfere.

A Napoli, nel ’79, dopo di essere già stata il ’75 e ’76 con Icilio Brunetti (V.), il ’77-’78 con Ettore Dondini e Adolfo Drago, e il ’78-’79 con Ciotti e Belli-Blanes, sostenendo le parti di amorosa or con la Piamonti, or con la Pasquali che tal volta sostituì nelle parti di prima attrice, si faceva notare al fianco della Pezzana, del Majeroni, di Emanuel, per la spontaneità e sincerità della dizione, per la intelligenza artistica educata e carezzata. In una recita dell’Oreste e dell’Amleto fu una Elettra sorprendente e una sorprendente Ofelia ; ma dove assurse ad altezze non immaginate si fu nella Teresa Raquin dello Zola. Questa commedia, per la quale la giovane Eleonora fu tenuta, si può dire, al fonte battesimale dalla Giacinta Pezzana, che soccorse la nuova stella saliente di forti consigli, e le trasfuse la sacra fiamma dell’arte, questa commedia, dico, segnò un gran passo avanti nella via della sua grandezza. Seconda donna con Cesare Rossi, poi con lui prima, visse in pochi anni tutta una vita di trionfi e di glorie.

Ma fu la venuta a Torino di Sarah Bernhardt, che affermò, se non completò, la trasformazione artistica della Duse. Veneratrice, più che ammiratrice di lei, anzichè piegare il capo sbaldanzita innanzi a tanta grandezza, si levò da questa rinvigorita, colla coscienza intera delle sue forze ; e si mostrò, sfidatrice animosa, nella Principessa di Bagdad di assai dubbia riuscita, salendo a tal grado di arte da soggiogare quel pubblico ch’ era ancor tutto pieno del gran fascino della partita. Al trionfo della Bagdad tenner dietro quelli della Moglie di Claudio e della Dionisia e della Francillon…. e di tutto ciò ch’ella rappresentava.

Si disse che nella Duse era da notarsi una particolare attitudine alla rappresentazione di quei lavori in cui dominasse il temperamento isterico…. Vero. Il che non impedì ch’ella fosse grande in ogni carattere. Odette, Amore senza stima, la Locandiera, Cavalleria rusticana, Fedora, Casa di bambola, Casa paterna, la Signora dalle Camelie, d’indole così disparata, ebber tutte, e molte di esse hanno ancora la più gagliarda e più vera delle interpretazioni.

Un lavoro nelle sue mani, per vecchio ch’ei sia, si trasforma ; riceve nuovo alito di vita. A volte si è piaciuta d’ingaggiar battaglia col pubblico, esumando lavori ardui che a niuna artista bastò l’animo di rendere accettabili ; e la battaglia fu vinta ; e la Moglie di Claudio di Dumas passeggiò, e passeggia trionfale sulle scene dei teatri italiani e forastieri. Perchè ?

La signora Duse ha una recitazione tutta sua propria, piena di originalità e di colore individuale, che pare negletta, ed è studiata, che sembra faticosa ed è spontanea, che non stupisce e non colpisce per l’uso e l’abuso dei grandi mezzi, ma seduce, incanta, trascina per un certo profumo di verità, per un fascino sottile di naturalezza, per un fremito di passione che sgorga, irrompe e si propaga rapidamente nella massa degli spettatori. I più freddi si sentono correre ad un tratto la vampa dell’odio o la fiamma dell’amore per tutte le vene, i più infingardi, i più restii provano quell’inquietudine, quella smania, quella agitazione che li strappa alla loro apatia abituale, e li travolge palpitanti e affannosi nelle peripezie dell’azione drammatica.

Eccolo un perchè, dato or son già molti anni dal critico Yorick. Ma ve n’ha un altro più forte ancora, quello che determina la grandezza vera della Duse ; dietro a cui si affannarono invano, partite da un falso cammino, gran parte delle attrici d’Italia.

Venuta la stella in altissimo grido, gli astri minori, un po’ per vanità, un po’ per anelito di maggior fama, si credettero in dovere d’imitarla. In che ? Naturalmente, non avendo nè l’ingegno di lei, nè, come lei, la volontà di darsi anima e corpo allo studio, fecer consistere l’imitazione in tutto l’esteriore dell’attrice : la rapidità della dizione e del gesto, l’abbandono della persona, il correr delle mani ai capelli, l’abuso degli ah, degli oh, dei ma…. strascicati, nasali, le alzate in punta di piedi, e altrettali cose, che se, per essere spontanee, non segnaron nella Duse un gran difetto, non furon quelle nè meno da doversi prendere a modello per uno sperato progredir nell’arte. Anche gli spadini ch’ella soleva portar ne’capelli entraron per alcun tempo nel materiale d’imitazione, o, meglio, di ridicola contraffazione.

Ma i grandi pregi della Duse non furon mai in un discorso accarezzato, miniato, scivolato, precipitato con finale a effetti, non nel dondolio delle braccia, non nello strascichio della persona. I pregi della Duse, quelli che la elevaron dalla comune, eran nella compenetrabilità del tipo, nella minuziosità di osservazione di tutto quello che lo circondava, che lo faceva vivere e palpitare : non lo studio soltanto di quel che era in una parte, ma, e soprattutto, di quel che non c’era. La grandezza della Duse era tutta grandezza di analisi, che sfuggiva all’occhio e alla mente dello spettatore, perchè l’arte era sempre soccorsa dalla natura, e questa da quella…. Per modo che in questa fusione, generata dal più profondo e più sottile degli studi, egli non vedesse che una parte, quella della natura, viva, parlante, palpitante, dalla quale si trovava soggiogato, perchè sentiva di vivere, parlare e palpitare con lei. E finalmente : la grandezza grande della Duse era nell’eloquenza di uno sguardo, nell’ intonazione di una parola, in un gesto, in una pausa, che fu sempre il maggiore e miglior patrimonio degli artisti più celebri, da cui il pubblico era trascinato di sorpresa. E si è nella grande armonia di questo studio perfezionato di analisi, congiunto a un perfezionato studio di finezza e naturalezza ineffabili della dizione, ch’ ella si mostra oggi agli occhi de’ più ritrosi artista suprema.

Passata la Compagnia di Cesare Rossi a Firenze, i trionfi si rinnovarono. Io dettava allora le appendici drammatiche sul Fieramosca, e il 5 luglio dell’ ’82, a proposito della rappresentazione di Frou-Frou, della quale era ancor vivo nel popolo fiorentino l’entusiasmo suscitato dalla Bernhardt, pubblicavo :

Da un gran pezzo in qua non m’era accaduto di notare sul nostro teatro di prosa certi sgattajolamenti nervosi, certi contorcimenti serpentini, certi sfiaccolamenti veri, sentiti. La Duse è una gentile figura d’artista. A volte ha il passo lento della Bernhardt : pare strascichi a stento su la scena quel suo corpicino snello, vaporoso ; a volte ricorda in una smorzatura di voce la Désclée. Io che ho ammirato sinceramente, e sinceramente ammiro altri artisti maschi e femine del nostro teatro di prosa per la loro maniera schietta di porgere senza avviluppamenti accademici, non so, mi trovo inceppato a parlare della verità di questa piccola fata.

Gli artisti nostri che recitano con verità si somigliano : la Duse è vera, ma fa razza da sè. Come si spiega ? La verità è una !… Dunque ? Chi lo sa ! È una donna che ha la linea, ecco tutto. Un po’ francese, un po’ italiana ; slancio italiano ed eleganza francese. Precipitosa e chiara nella dizione, morbidissima nel gesto, senza alti e bassi convenzionali, più che con un discorso, strappa l’applauso con un oh !, con un ah !…

E il 19 dello stesso mese, a proposito della Signora dalle Camelie :

Quello che in genere è ammirevole nella signora Duse è il concetto che ella si va formando sempre nuovo delle parti che ella rappresenta ; è la maniera sempre nuova di esecuzione ; è l’odio manifesto a tuttociò che può farle acquistare una lode bugiarda, momentanea. Non l’odio all’applauso, badiamo : l’applauso non ha mai fatto male ad alcun attore ; ma l’odio ai mezzucci volgari per istrapparlo.

E a queste lodi schiettissime faceva seguire schiettissime osservazioni, per le quali m’ebbi a fin di stagione dalla eletta artista il ritratto che qui riproduco, con dietro queste parole : A chi m’incoraggia – A chi mi dice il vero, correggendomi – A chi mi analizza…. – A chi conosco e ricordo come compagno d’arte – A persona che stimo. – E. Duse.

Parole, che se rappresentano un mio legittimo orgoglio, rappresentano anche, e soprattutto, la modestia grande con cui la già grande artista accoglieva quelle osservazioni. E a questo sentimento di modestia Eleonora Duse deve la perseveranza nello studio, che, arrotondando e perfezionando la sua natura d’artista, la collocò sul piedistallo di gloria, in cui oggi si trova : natura d’artista che traspariva tutta, anche fuor di scena, ne’ gesti, nelle parole, negli scritti.

Ad un direttor di giornale, per un articolo che la portava alle stelle scriveva :

(Debbo la comunicazione di queste lettere alla cortesia del collettore milanese d’autografi Carlo Vanbianchi).

Dunque…. Eleonora Duse è proprio la beata fra i beati, nel migliore dei mondi possibili, secondo ciò che annunzia l’egregio Suo…. E così sia ! — Amen ! — Sono anch’io un poco come quel tale, che finiva per essere sempre dell’opinione dell’ultimo che parlava, e per prova, mentre Le scrivo, mi si dice che al Teatro Milanese c’è modo di passare nna serata come nel migliore dei mondi possibili — e io ci credo — senza discutere — e ci vado — senza entusiasmo e senza resistenza. È il segreto dei deboli — questo ! Così si rimane ragionevolmente, nel mondo ragionevole, e a sfera umana…. che non è quello di…., che, secondo me, vede cose e persone più in su del vero.

A un giovane autore che pare le si mostrasse in una lettera pien di amarezze rispondeva :

Che benedetto ragazzo che siete !… Se la gente v’attacca e v’annoia, lasciateli dire e fate la strada vostra. Se dicessero (e vedrete che tanto dà loro noia il successo che lo diranno) se dicessero che la commedia non vale un soldo, che talento in zucca non ne avete…. e voi lasciateli dire. Da che mondo è mondo, ne han dette delle assai più grosse a gente che vi valeva. Fate la vostra strada, senza voltarvi indietro.

Se poi la smontatura che traspare dalla vostra lettera, è dovuta ad altre cause — forse troppo intime — « benedetto ragazzo che siete » con tutto il bene bono che vi voglio mi permetto di dorlotarvi con queste parole : fate quello che credete sia un dovere di fare e lasciate fare al tempo. È il tempo che fa e disfà per tutti. Createvi dei pensieri buoni, e non accoratevi per l’oggi e pel domani. « L’ingegno è una cosa vivente » dice quell’attossicante del vostro Bourget : ebbene. Salvatelo e schivatelo da qualunque scossa violenta che potrebbe rallentarvi l’andare. Pensate a concludere del lavoro — ecco tutto.

Il 16 giugno dell’ ’83 scriveva da Bologna all’incomparabile amico Antonio Fiacchi, il Piccolet allora del Piccolo Faust :

È sempre cosa gradita alla nostra vanità – o meglio alla nostra fibra – il non vedersi sconosciuti nel mondo ove viviamo – e per quanto io cerchi isolarmi – non lusingandomi troppo – nè degli elogi – nè delle affascinanti profezie sul mio conto – pure – una parola – una approvazione intelligente – mi rimettono in cammino con più lena – e con un coraggio che non è senza fiducia.

Ho molti anni ancora di carriera…. e non ho che uno scopo. – Vi riescirò ? Certo la febbre è forte – e non mi sento impotente a lottare.

E il 28 ottobre dello stesso anno allo stesso Fiacchi, da Roma :

L’ammalata – che pazientemente avete visitata ogni sera – è guarita – ma quando si ha sofferto non si dimentica – e io non dimentico che ho passato delle ore buone con voi.

Sono al lavoro da un mese e mezzo – e vi assicuro che il beato ozio – e benefico – di Bocca d’Arno – l’ho ben scontato. Ora sto per partire – e vi scrivo – cosa che non ho fatto arrivando, perchè ero tremante, e avevo paura. – Avevo paura, non ve lo nascondo. – Che volete…. io sono ancora impressionabile…. e l’ambiente può tanto sopra di me. – Lontana dal teatro – dalla famiglia artistica, sola – lungo il mare – che ne fa tanto capire la nostra piccolezza, mi pareva che non avrei più saputo rendere l’espressione d’un’arte – che ha qualche volta delle ritrosie, dei silensi così penosi…. per me !…

Ma…. in somma – eccomi qui di nuovo. – Ho avuto un buon successo – e l’animo e la testa sono rimasti tranquilli. Ho ritrovato nella nota gaja del successo – solamente – una serenità – che mi promette bene per l’avvenire. – Voi mi capite, non è vero ?

Ma quanta soavità di poesia fortemente sentita e semplicemente resa, in questi altri brani che traggo come quelli dalle lettere al Fiacchi !!

Il 25 marzo ’84 da Trieste :

…… Il sole è ritornato e la primavera è per la povera umanità. – Ho ripreso la vita attiva – e al mattino – via di buon’ ora – lunghe e brevi ore – al mare – in mare – una buona barca – una vela – e via a respirare l’aria che purifica anima e corpo. – Mi trovo così bene a Trieste ! Già io adoro i paesi di mare……

Il 19 luglio ’84 dalla montagna (Brozzo – Ivrea) :

…… Da quest’altezza…. modesta e pur considerevole (900 metri) – da questo profumo – l’odore puro, direi immacolato della montagna, da questo verde che riposa l’occhio irritato dalla luce del gas della città – da quest’aria che rimette a nuovo i polmoni affaticati – e calma le febbri sorde che dà il contatto con la città…. mi sento rinascere – buona – senza pretesa – con poche vesti, con pochi quattrini – con molte idee – con molto senso di pietà e di perdono – verso tutto quello che ci turba e ci profana……

Il 23 luglio dell’ ’86 da Varazze :

…… eccomi qua – con una mano scrivendo, e con l’altra dando giocattoli a una bella piccina – di cui non sono la mamma che a certe ore, mentre per il più della giornata, io faccio il possibile per essere bambina…. creatura di pochi anni e di molto sorriso, come lei.

È questa la sola cosa, nella mia vita, che non mi è costata nè studio, nè fatica, nè sforzo sopra la mia volontà. È calcolabile !

Mi son rincantucciata in una piccola, piccolissima casa – vera bóite rossa a persiane verdi – d’innanzi a un mare…. grande e inesplicabile. Viene il giorno…. viene la sera – e poi di nuovo – la sera – e poi di nuovo – il giorno – una piccola ruota – sotto il gran regolatore del sole – che non si sposta – che non mi sposta. Che gran silenzio ! Delle cicale – una superba pianta d’ uva attorno alla finestra – delle bambole zoppe – e dei cavallucci senza sella e senza redini…. Dei cibi sani – non pianoforte, nessuna musica della terra – nessun giornale – un piccolo frate che ogni giorno arriva scalzo e colla barba bianca per la piccola questua….

Eccovi la mia giornata !… La mia salute progredisce, e il petto non mi duole – non sento più quell’arsura, che mi troncava la voce e la parola recitando.

Insomma, una grande pace nello spirito – un gran sorriso – per Lei – la piccina mia – e un benessere assoluto del mio fisico, che cominciava a tarlarsi alla radice. – Ecco tutto.

Parole che mostran chiara la dolcezza della sua indole, e la vivacità del suo ingegno. In quella maniera di scrivere era qualcosa della sua recitazione. Volesse punzecchiare, o celiare, o rampognare, o poetare, la nota aristocratica, nota individuale sempre, era la dominante. Altra volta scrisse a proposito di una prossima tappa di Spagna :

Se posso guadagnare dei quattrini — quattro o cinque mila lire proprio per me, allora — Tombola ! — Andrò a Parigi — e se al mio ritorno non troverete in me tutte le qualità accademiche dell’arte e del bel mondo — vorrà dire che sarò abbrutita del tutto ! — Credo che dell’abbrutimento presente non faccia bisogno che io ne dia conferma. Sono intontonita esattamente, e non so se sia effetto di chinino !

Ma nella marcia trionfale attraverso il mondo, la tappa di Parigi fu sempre lontana troppo. È oggi soltanto che Eleonora Duse ha potuto, o voluto dar vita alla sua prima e suprema visione d’artista : e di mezzo alle discussioni più o meno composte, ai giudizi più o meno sereni, ai pettegolezzi, alle stupidaggini, ha finito col levarsi gigante, convertendo i più reluttanti, i quali speraron financo dalla recitazione spontanea della nuova arrivata una provvida influenza sulla recitazione accademica delle loro stelle ; come, a un dipresso, quarantaquattro anni a dietro, la recitazione gagliarda e viva della Ristori aveva influito, scrissero, su quella della Rachel. E agli applausi della Renaissance tenner dietro quelli della Comédie Française, dove, per l’addio di Susanna Reichenberg, recitò in italiano e con attori italiani (onore se non nuovo per l’arte nostra, de’più rari certo) l’ultimo atto dell’Adriana Lecouvreur.

Nel Capitolo della mia Arte del comico (Milano, 1890) si trova scritto a pagina 215 :

Nè qui posso tralasciar di ricorrere colla mente e rammentare a’ miei giovani lettori la fisionomia di Eleonora Duse. Quale mobilità in ogni tratto ! Ella possiede al sommo la faccia che noi vediamo il più spesso nelle malattie generali del sistema nervoso, e, particolarmente, nelle grandi nevrosi : la faccia convulsiva ! L’occhio è agitato da tremiti impercettibili, e si reca rapidamente in direzioni opposte ; le guance passano con incredibile rapidità dal rossore al pallore – le narici e le labbra fremono ; i denti si serrano con violenza, e ogni più piccola parte del volto è in movimento…. La persona poi, a significar ben compiuta la espressione del tipo, abbia essa guizzi serpentini, o abbandoni profondi, risponde perfettamente coll’azione e contrazione delle braccia, delle mani, delle dita, del busto, all’azione e contrazione del volto…. È perciò forse che la grande artista riesce oggi insuperabile nella presentazione de’ personaggi a temperamento isterico.

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Parole che su per giù si posson ripetere oggi che la Eleonora Duse afferra e soggioga i pubblici di ogni paese, a’ quali, per nove decimi, la lingua italiana è straniera.

A una rappresentazione del Chat noir di Parigi nel Casino-Théatre della Chaux-de-Fonds, entrai nel camerino di Grenet-Dancourt, il gentile poeta e amabile monologhista, che aveva recitato alcuni de’suoi versi più caldi ; e venuti a parlar della Duse, del suo legittimo trionfo di Parigi e della probabilità di un suo ritorno per recitarvi in francese, « ma non ne ha bisogno – rispose candidamente il Dancourt – ella si fa ben capire colla potenza dell’espressione. »

Ciò che vi ha di veramente ammirevole nell’attrice, si è la trasformazione successiva in emozioni diverse che la sua maschera rende così bene, e che ben si comprendono senza alcun soccorso del testo.

Questo scrisse il Duquesnel nel Gaulois dell’ 8 giugno ’97 dopo la recita della Magda di Sudermann ; e a ragione : poichè nessuna attrice possedè mai tanta mobilità di fisionomia, che è uno de’più rari pregi dell’artista drammatico. Guardatela bene in questi ritratti, e vi troverete l’espressione dell’odio, dell’amore, del dolore, dell’abbandono, del piacere, della vanità, dell’orgoglio, del dispetto, del disprezzo, del terrore, del furore, della corbellatura, della rassegnazione, tutta la gamma in somma delle passioni umane, e il più efficace forse e compiuto commento alle opere fisiognonomiche del Lebrun, del Lavater, del Lagrange e del Darwin.

E come varia l’età sua nel variare de’ sentimenti ! Qua tu la vedi fiorente di giovinezza e di salute, là, emaciata dal dolore, appare una donna di cinquant’anni, qui addirittura una monella da scapaccioni !!!!!

E Franz Lenbach, racconta il Primoli (op. cit.), che si divertiva a fissar le diverse espressioni ch’ egli coglieva a volo in teatro sul volto della Duse, aveva tappezzato il suo studio a Palazzo Borghese di trenta schizzi che personificavano i diversi moti dell’anima umana, uno dei quali io metto qui, a mio parere il migliore.

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I giudizi sulla grande artista di Rochefort, di Lemêtre, di Duquesnel, di Panzacchi, della Serao, di Boutet, di Piccini, di tutta la stampa italiana e forastiera, sono altrettanti cantici che non morranno forse : ma il monumento di gloria le venne certo da A. Dumas figlio che in una nota alla Moglie di Claudio e nell’incomparabile preludio alla Principessa di Bagdad ha parole di ammirazione e di gratitudine profonda per l’intelletto eccezionale di lei, che, più che interprete fedele, fu, nella Bagdad specialmente, maravigliosa collaboratrice.

Nè il grande successo ella ottenne a Parigi soltanto dinnanzi al grande pubblico de’ teatri con lavoro francese, ma, e il più grande forse, dinnanzi a un pubblico tutto d’artisti e con lavoro italiano.

Mette bene il conto che io qui riferisca, a proposito della Cavalleria rusticana, le parole di Giulio Huret, apparse il 4 luglio ’97 nel Figaro, dopo la rappresentazione straordinaria della Porte Saint-Martin :

Sin dalla prima scena, afferrati dalla espressione di dolore, dall’andatura disperatamente sfiaccolata di Santuzza, quelli delle poltrone applaudirono…. Indi, a ogni minuto del breve dramma italiano, questa sala di specialisti, conoscitori di tutti i segreti dell’arte, questa sala di tecnici perspicaci, di osservatori lucidi, sottolinearon con dei bravo ogni intonazione giusta, ogni moto perfetto, ogni sguardo eloquente della grande artista. Di scena in scena l’entusiasmo aumenta, circolano mormorii discreti, coi quali si propaga l’ammirazione collettiva, e l’atmosfera della sala è creata, la battaglia è vinta, ahi troppo presto pei miei gusti battaglieri, in tempo appunto perchè la bellezza di questa sala fosse completa e pura. Dacchè si poteva notar colà un fenomeno maraviglioso e miracoloso delle forze e della nobiltà dell’ arte vera. Ciò che quella accolta di artisti applaudiva unanime, frenetica, non era soltanto quel ch’essa coglieva del genio della Duse ; quei brava non significavan soltanto l’elogio di compagni d’arte competenti, scossi dalla traduzione sintetica di una vita di emozioni, di dolori, di amore il cui compendio palpitava dinnanzi a loro : quegli applausi andavan più lontano. Essi eran la traduzione incosciente, impulsiva del loro amore per la loro arte, era tutto un omaggio di commozione che mandava oltre l’artista di passaggio, era il loro ideale ch’essi salutavano, era la loro arte nobilitata, dinnanzi alla quale si sentivan fatti più grandi essi stessi, e la quale dava loro tanto orgoglio ! Egli è veramente questo sentimento di gratitudine che ha dovuto provare la Duse, quando a lei saliva il proromper continuo delle ovazioni.

Tra le poesie ch’ella inspirò, non dispiacerà al lettore che io metta qui i quattro sonetti che la Contessa Lara pubblicò nel Corriere di Roma del 26 dicembre ’85, tutto in onore di lei, a illustrazione della Moglie di Claudio, degl ’Innamorati, della Teodora, della Fedora.

MOGLIE DI CLAUDIO – Atto IV

Arrovesciato è il corpo, e par di cera
la faccia aguzza : un rosso fil sottile
solca il velluto de la veste nera :
fuma per terra ancor caldo il fucile.
Senz’ amor, come Satana, chimera
de ’l male, ella passava entro un febbrile
soffio di colpa, or procellosa e fiera,
or supplice e sommessa : e sempre vile !

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Fin che a ’l tradito che pur cerca oblio
ne ’l segreto de ’l genio, a ’l saggio, a ’l buono,
a l’uom che parla ne la notte a Dio,
una voce comanda, alta, possente :
— Non più per la rea femina perdono :
uccidila, lo devi. Ell’ è il serpente.

GL’INNAMORATI – Atto II

S’affaccia su ’l balcone, la testa incipriata
scrolla, si morde i labbri ; quindi siede e ricama.
Dunque ei non torna, a ’l solito, pentito ? Oh, la serata
burrascosa di jeri !… Meglio !… Forse non l’ama
più nè pur essa !… — Ei giunge. Fra lieta e corrucciata
or la coppia sorride : ma ben presto richiama
qualche pensier sofistico : da capo una scenata,
pianti, ripicchi, — Adori il conte ! — E tu la dama ! —
Così di baci e sgraffi l’amor vive. L’amore !
Che scorno a la ragione ! Ma negarlo chi osa,
o signori irritanti, o isteriche signore ?
In questa eterna e breve, comica e dolorosa
vita, è vano combattere : non v’ha male migliore….
fin che il demonio, stanco, non inventi altra cosa.

TEODORA – Quadro VI

Sotto un arco di marmo a fondi d’oro,
snella ed eretta come giovin tiglio
ecco l’Augusta, ne ’l manto vermiglio
istoriato con sottil lavoro.
Su le tempie e su ’l petto ampio tesoro
di gemme le sfavilla : uno smaniglio
serpeggia a i polsi. Ella con fiero ciglio
guarda le donne salutanti in coro,
e i vescovi canuti ad un segnale
curvi dinanzi a lei, mentre la nota
de’liturgici canti empie le sale.
E dietro il volo de le brame audaci,
rigida, aspetta l’ ora in cui la scuota
fragor di circo o mormorio di baci.

FEDORA – Atto III

Queta è la notte : a ’l raggio de la mite
lampa di bronzo antico, ogni contorno
d’arazzi e piante e mobili d’attorno
sfugge, e s’allunga in ombre indefinite.
Presso la scrivania di malachite,
ella, ne la pelliccia, or di ritorno
da ’l ballo, inchina il fulvo capo adorno
di rare gemme su le palme unite.
E nell’attesa i verdi occhi socchiusi
sprigionan lampi di vendetta, crude
lusinghe, e guizzi di desio confusi ;
mentre a l’ ansar de ’l petto ampio le freme
il bizantino talisman, che chiude
l’oblio de l’odio e de l’amore insieme.

E il futuro ? Che rimane a far più alla gloriosa artista ? Ha ella compiuta la grande parabola ascendente ?

« Essere stazionarj in arte è un retrocedere. » Così anni sono scriveva a un amico impresario prima di recarsi in Ispagna. E questo fu il motto di tutta la sua vita, al quale ella deve gran parte di sè. Naturalmente in una costante ricerca del meglio, in una paziente opera di bulino, ella doveva apparir dopo lungo silenzio agli orecchi e agli occhi de’suoi connazionali, avvezzi da un po’ a ben altre estetiche, artista meno sincera. Molte delle cose che pei francesi rigidamente accademici, furono il non plus ultra del vero, parvero agl’italiani, spensieratamente veri, il non plus ultra dell’accademico. Ed erraron forse entrambi. Sentii la Duse a Londra nella Magda due anni sono, e mi sembrò veramente trasformata. Oh…. nella scena colla sorella, che a lei confessa il proprio amore per Max…, qual deliziosa, ineffabile musicalità di toni ! Quei tre o quattro Max proferiti dalla Duse nel più biricchino dei modi, valser bene per me tutti gli Armando di Margherita ! E oggi, che abbiam potuto studiarla nelle sue varie manifestazioni !!.. Che amorosa sollecitudine nelle concezioni ! Che ingegnosa varietà nelle intonazioni ! !… Quale salto dall’abbandono poetico, carezzato, musicato del Sogno di un mattino di primavera al ruggito possente, scaturito dall’anima, della Moglie di Claudio !!!!!!

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Fot. Guigoni e Bossi – Milano.

Ultimo ritratto di Eleonora Duse.

Forse un crescente amor del perfetto le vince la mano, e ne appare talvolta la ricercatezza ? Forse quel che appare ricercatezza oggi, sarà domani il vero trionfante ? E noi, grandissimi fin qui, nello slancio, nella spontaneità, nella esuberanza del sentimento, rimarremo almeno grandi poi nella virtuosità dell’espressione ? Chi sa ! Non è qui il luogo di discuter di certi nuovi atteggiamenti di Eleonora Duse. Ch’ella miri sinceramente a una rigenerazione dell’arte nostra, e soprattutto a un risollevamento della coscienza artistica de’ nostri attori è fuor di dubbio ; e di questo anche le va data la maggior lode ; ed essi debbono a ogni modo vedere in lei un esempio salutare ; in lei che volendo, fermamente volendo, s’è venuta formando una vasta coltura dell’antico e moderno, del nostro e forestiero, e compiendo una educazione la più raffinata esteriore e interiore. Gli attori nostri non dimentichino che, stil vecchio o stil novo, quando che il vogliano, potranno pur sempre tener lo campo della scena in tutto il mondo. Quando che il vogliano ! !…

Da una fotografia del conte Giuseppe Primoli.