(1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « [E-F]. I COMICI ITALIANI — article » pp. 889-912
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(1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « [E-F]. I COMICI ITALIANI — article » pp. 889-912

Fiorilli Tiberio, il più forte, il più completo, il più celebre artista italiano del secolo xvii, che tenne per circa cinquant’anni sotto il nome di Scaramuccia lo scettro dell’arte comica in Francia, nacque a Napoli il 9 novembre del 1608. Secondo il suo biografo Angelo Costantini, egli sarebbe figlio del Capitan Matamoros Silvio Fiorillo, e fratello minore del Trappolino Giovan Battista. Il padre, sempre secondo il Costantini, era capitano di cavalleria ; e desiderando « sposare in seconde nozze una delle sue cugine della città di Capua, non potè mai averne licenza dal Vescovo per l’affinità del Sangue. Entrò per tal cagione in gran lite col fratello del Prelato, il quale volendo alle rimostranze aggiungere il motteggio, tanto inasprì l’animo di lui, che, assalito con la spada alla mano, fu ucciso d’un colpo. Costretto quegli ad abbandonare il Regno di Napoli per sottrarsi ai rigori della giustizia, e trovandosi in Paese forastiero senza danaro e col peso di due figliuoletti, dovè, se ben gentiluomo, darsi al mestiere del Ciarlatano, e vendere specifici. »

Tiberio crebbe siffattamente ghiottone, che, non contento di quel che gli assegnava il padre, talvolta a soddisfar la sua gola, rubavagli le scatole d’orvietano, e rivendevale a prezzo vile agli osti e fornai. Per la qual cosa, al fine scoperto, fu scacciato di casa. Dopo una infinità di avventure in cui non sempre, stando al biografo, ebbe che vedere l’onestà, s’imbattè a Fano in una compagnia di comici d’infimo ordine ; nella quale spacciatosi per artista celebre, gli fu concesso di esordire, sotto la maschera dello Scaramuccia, nel Convitato di pietra : commedia da lui scelta e da lui prediletta, come quella in cui doveva essere una cena squisita. Il successo fu enorme, tanto che alle uova sode della prima sera, egli potè reclamare per le repliche ogni varietà di cibi finissimi, quali pollo, pernici, pasticcio di piccioni, ecc. ecc….. Andata la compagnia a Mantova, egli riuscì coll’arte sua e co’suoi inimitabili scherzi a conquistar l’animo del Duca, che lo colmò di donativi di ogni specie : e ciò gli accadde ancora quando si recò a Firenze, ove il Gran Duca, dopo che Tiberio gli ebbe cantate sulla chitarra due canzonette, abbracciatolo a più riprese, e protestatoglisi soddisfattissimo, gli fe’dare cento zecchini. Passò Scaramuccia da Firenze a Napoli. Quivi diè fondo a tutto quel che aveva messo in serbo, acquistando un superbo equipaggio e pigliando alcuni servi…. ma, rimasto poco dopo al verde, quello dovette vendere, questi licenziare : e, per campar la vita, aggregarsi a una compagnia che recitava allora in Napoli, nella quale ancora, e sempre sotto la maschera di Scaramuccia, ebbe il maggiore e miglior de’successi. Si recò poscia a Palermo, dove conobbe e sposò Lorenza Elisabetta o Isabella Del Campo, pregiata serva sotto il nome di Marinetta ; e di là a Roma, ov’ebbe le più festose accoglienze, e dove Marinetta si sgravò di un maschio che gli fu tenuto a battesimo dal cardinal Fabio Chigi, poi Papa Alessandro VII. Tanti furono i denari dal Fiorilli a quel tempo accumulati, che giunto a Firenze, comperò un magnifico possesso fuor della porta al Poggio Imperiale, e fe’ metter sulla casa la iscrizione : Fiorì Fiorilli – E gli fu Flora il fato, per alludere a un’abbondante fioritura nella sua famiglia. Passò da Firenze, dopo alcun tempo, a Milano, ove si rinnovaron gli entusiasmi delle altre città, e ove, richiesto dall’Imperatore a Vienna e dal Cardinal Mazarino a Parigi, risolse di accettar l’invito di Questo, conoscendo per fama la grandezza e munificenza di Luigi XIV ; e si recò nella gran capitale, dove ebbe il più gran successo che artista comico potesse mai desiderare, e dove, in breve tempo, diventò più che famigliare della Corte.

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Secondo il Costantini, la prima andata a Parigi di Scaramuccia sarebbe avvenuta il 1660 : ma v’è errore evidente ; poichè dall’atto di battesimo di un suo figliuolo, pubblicato dallo Jal, risulta che il ’44 egli e la moglie eran già in Parigi. Questo figliuolo tenuto al sacro fonte dall’abate Claudio Anory, rappresentante il Cardinal Mazarino, e da Maria Indret, dama d’onore della Regina Madre Anna d’Austria, Reggente di Francia, morì a due anni e mezzo e fu sepolto il 14 dicembre 1646.

Dal seguente aneddoto poi comunicato ai Parfait dal Gueullette, e che si trova nella loro Istoria del Teatro italiano, risulta che il Fiorilli andò in Francia verso il 1640.

Un giorno Scaramuccia e Aurelia (Brigida Bianchi) eran nella camera del Delfino, poi Luigi XIV. Egli, che aveva circa due anni, era di pessimo umore, e nulla poteva calmar le sue grida e il suo pianto. Scaramuccia ebbe l’animo di dire alla Regina, che s’egli avesse preso il Delfino tra le braccia, lo avrebbe calmato. E avutone il permesso, si diè a fare ogni specie di smorfie piacevoli, sicchè il Delfino prima si chetò come sorpreso, poi cominciò a ridere, e rider tanto che la sua smodata ilarità lasciò alcune traccie poco piacevoli…. sulle mani e sul vestito di Scaramuccia ; la qual cosa fe’ smascellar dalle risa la Regina e le Dame e i Gentiluomini di Corte presenti al fatto.

Fiorilli poteva avere allora trentadue o trentatrè anni ; e ogni qualvolta si recava a Corte, doveva entrar dal Delfino, che molto si divertiva e molto l’amava : e divenuto Luigi XIV, si godeva a richiamar quell’avventura d’infanzia alla memoria di Scaramuccia, molto ridendo alle boccaccie ch’ei soleva fargli, narrandola.

Sappiamo che il 14 novembre del ’45, si recitò nella sala del Petit-Bourbon la Finta pazza di Giulio Strozzi, già rappresentata il ’41 al Teatro Nuovissimo di Venezia. Capo della Compagnia era allora Giuseppe Bianchi, il Capitano Spezzaferro, e n’erano artisti : Fiorilli – Scaramuccia, Locatelli – Trivellino, Brigida Bianchi – Aurelia, Marco Romagnesi – Orazio. Poi vi eran cantanti : Gabriella Locatelli, Giulia Gabrielli e Margherita Bertolazzi ; e n’aveva fatto gli scenarj Giacomo Torelli da Fano. Alla fine del ’47, o al principio del ’48, il Fiorilli, insieme agli altri comici abbandonò la Francia pei torbidi della Fronda ; e lo vediamo il carnovale del ’52 a Roma, colla moglie Marinetta e colla coppia Fiorillo, come appare dalle loro lettere indirizzate al Duca di Mantova (V. Fiorillo Silvio). Tornaron gl’italiani a Parigi col Fiorilli nel ’53, ed esordirono al Petit-Bourbon il 1° di agosto alla presenza del Re, della Regina Madre e della Corte. (V. Adami (?) Beatrice).

La notizia di questa andata a Parigi la troviam particolareggiata nella Storia del Granducato di Toscana di Riguccio Galluzzi (nota, L. VII, Cap. VIII) :

Nel 1653 era stato mandato al Re (di Francia), che lo aveva richiesto al Granduca (FerdinandoI I), Tiberio Fiorilli fiorentino (?) detto Scaramuccia, con una compagnia comica che molto piaceva a Sua Maestà e ai Francesi. Un figlio di Scaramuccia era giunto a tal grido di favore che il Re lo aveva fatto cavaliere di San Michele e Suo Gentiluomo di Camera. Furono mandati dei musici, dei cacciatori, e fino la pianta del Serraglio delle fiere di Firenze con persone perite per costruirne colà uno simile.

Ma il Fiorilli non si fermò lungo tempo in Francia, secondo appare da una lettera inedita dell’Archivio modenese, in data di Firenze 26 maggio 1655, colla quale il Gran Duca di Toscana raccomanda vivamente al Duca di Modena il comico Scaramuccia che fa ritorno in Francia.

Quando Molière tornò il ’58 a Parigi, dovuto abbandonare dopo la sua prigionia pei debiti ch’egli s’era assunti della Società dell’ Illustre Teatro, dovè divider con Scaramuccia e gl’ Italiani l’uso della Sala del Petit-Bourbon. Vi recitavan essi il martedì, e venerdì, e la domenica ; ed egli il lunedì, mercoledì, giovedì e sabato. L’immediato cantatto delle due compagnie faceva sì che i comici di entrambe vivesser tra loro in istretta famigliarità. Molière non lasciava una rappresentazione, ove avesse parte principale Scaramuccia, e prese dall’incomparabile artista tutto quel che potè di naturale e di originale ; il che generò poi i famosi versi che si leggon sotto a uno dei ritratti di Bonnart, identico a quello di le Blond (V. pag. 901).

Cette illustre comédien
attegnit de son art l’agreable manière,
il fut le maître de Molière,
et la Nature fut le sien.

Il luglio del ’59 gl’ Italiani se ne tornarono in Italia ; e sparsasi la voce che Scaramuccia si fosse annegato traversando il Rodano, Loret nella Musa dell’ 11 ottobre, stesso anno, annunciò così il triste avvenimento :

O Vous Bourgeois et Courtizans
Qui faites cas des Gens plaizans,
O Tous amateurs du Théatre,
Dont, moy-mesme, suis idolâtre,
Sanglotez, pleurez, soupirez,
Pestez, criez et murmurez,
Transportez d’une humeur chagrine,
Plombez de coups vôtre poitrine,
Devenez mornes et rêveux,
Arachez-vous barbe et cheveux,
Egratignez-vous le vizage,
De tout plaizir, perdez l’uzage,
Acuzez hautement le sort,
Le fameux Scaramouche est mort,
Luy, que l’on estimoit l’unique
En sa profession Comique,
Qui contre-faizoit par son Art,
Si bien le triste et le gaillard,
Si bien le fou, si bien le sage,
(Bref, tout diférent personnage)
Qu’on peut dire, avec vérité,
Que sa rare ingénüité
En la science Théatrale,
N’avoit point, au Monde, d’égale.
Enfin cét Homme Archi-plaizant,
Que, par tout, on alloit prizant,
(S’il est vray ce que l’on en prône)
A pery vers les bords du Rône,
Par un Torrent d’eaux, imprévû
Qui le prénant, au dépouvû,
Dans une vallée, ou fondriére,
Luy fit perdre vie et lumiére.
Or comme j’aimois iceluy,
Sa mort me donnant de l’ennuy,
Il faut qu’au fort de ma détresse
Un Epitaphe je luy dresse.

EPITAPHE

Las ! ce n’est pas Dame Ysabeau
Qui gît dessous ce froid Tombeau,
N’y quelque autre sainte N’y-touche :
C’est un Comique sans-pareil ;
Comme le Ciel n’a qu’un Soleil,
La Terre n’ût qu’un Scaramouche.
Alors qu’il vivoit parmy nous,
Il eut le don de plaire à tous,
Mais bien plus aux Grands qu’aux Gens minces,
Et l’on le nommoit en tous lieux
Le Prince des Facécieux,
Et le Facécieux des Princes.
Au lieu de quantité de fleurs,
Sur sa fosse versons des pleurs,
Pour moy, tout de bon, j’en soûpire :
J’en fais, tout franchement, l’aveu ;
Nous pouvons bien pleurer, un peu,
Celuy qui nous faizoit tant rire.

Ai quali versi fanno riscontro questi altri del 18 ottobre dallo stesso autore pubblicati, quando si seppe che la notizia della morte di Scaramuccia era falsa :

Petits et Grands, jeunes et vieux,
Dont le tempérament joyeux
Aime, presque, autant qu’un Empire,
Les Personnages qui font rire,
Cessez vos pleurs et vos zoûpirs,
Purgez-vous de vos déplaizirs ;
Sans prendre Casse, ny Rubarbe,
Ne vous arachez plus la barbe,
Métez tous vos chagrins à sac,
Ne vous plombez plus l’estomac,
Au Sort ne faites plus la moüe,
N’égratignez plus vôtre joüe,
Apaizez vos cris superflus,
Ne pestez, ne rognonnez-plus,
N’ayez plus le vizage blesme
Comme un Bâteleur de Caresme,
N’acuzez plus Dame Atropos,
Bref, montrez par de gais propos.
Que vous avez l’ame ravie,
Scaramouche est encore en vie ;
Et cèt accident supozé
Par qui l’on m’avoit abuzé,
Me comblant de tristesse amére,
N’êtoit qu’une franche chimére.
Par des soins assez diligens,
J’ai fait revivre plusieurs Gens,
Qu’on croyoit dans la sepulture :
Mai nôtre Muze, je vous jure,
(Et je jure la vérité)
N’en a, jamais, ressuscité,
De la plume, ny de la bouche,
De si bon cœur que Scaramouche.

Tornaron gl’Italiani a Parigi il 1661, recitando subito a Fontainebleau ; e dopo cinque mesi alternativamente colla Compagnia di Molière nella Sala del Palais-Royal, quella del Petit-Bourbon essendo stata demolita. I nuovi comici italiani, che venner ’sta volta a Parigi, furono : la Cortese, poi Biancolelli –  Eularia, l’Adami –  Diamantina, Turi –  Pantalone, Lolli –  Dottore, Biancolelli –  Arlecchino, Bendinelli –  Valerio, Zanotti – Ottavio. Essi ebber dal Re la pensione annua di 15 mila lire, senza far conto delle gratificazioni straordinarie ogni qualvolta si recavan a recitare a Corte. Il nostro Fiorilli, divenuto, come abbiam detto, in essa famigliare, spillava di quando in quando dal tesoro dello Stato qualche supplemento straordinario. Ducento lire ebbe il ’64 come stipendio di quell’ anno, finito in giugno, per lui e per sua moglie. E quattrocento n’ebbe lo stesso anno pel viaggio ch’ ei doveva fare d’ordine di S. M. da Parigi a Firenze.

Da questo momento non s’han più indizj della presenza di Marinetta a Parigi, il che fa credere ch’ ella fosse in quest’ ultimo viaggio condotta a Firenze, ove si stabilì separata dal marito, forse per incompatibilità de’ caratteri, essendo essa più tosto uggiosa, e venendo egli di dì in dì più avaro. Ma ciò non impedì ch’ei sentisse pena di quella separazione : e lo vediam di fatti tornare in Italia il ’66, poi di nuovo il ’67, nel quale anno parve abbandonar definitivamente il Teatro italiano di Parigi.

A dare un saggio della scrittura fiorilliana, metto qui la lettera con cui egli annunzia la sua andata in Italia, e precisamente a Firenze, in casa sua, comunicatami dal cav. Azzolini.

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Il ’69 lo troviamo in un teatro pubblico di Roma : e andava ogni tanto, con tutta la compagnia, a recitare dalla Regina di Svezia. Una sera, dopo rappresentate con grande successo le Gelosie di Scaramuccia, Essa gli domandò che commedia era : « Sono le gelosie mic » – rispose Scaramuccia. – « Dunque tu sei becco ! » – « È un pezzo che sono famoso in compagnia di tanti altri signori. » (V. Ademollo T. di R. 110).

Da un diario inedito di Firenze, Ademollo riferisce (ivi) che il 17 luglio dello stesso anno venne in verso dal Val d’Arno un temporale e gragnuola e saette, e ne morì un figliuolo di un commediante e buffone detto Scaramuccia. Gli uomini sanno fare le commedie, e Dio le Commedie e Tragedie.

Avuta poi il Fiorilli permissione dal Re di ritornarsene a Parigi, vi ricomparve il ’70, ammirato e applaudito come sempre ; tanto che per alcuni mesi fu disertato ogni altro teatro, e quello di Molière in ispecial modo. La lontananza di Marinetta, una naturale inclinazione ch’ egli aveva all’ amore, e la vecchiezza sopravveniente, l’avean fatto d’umor bestiale…. Più avanzava negli anni, e più le donne lo attraevano. Dopo un figliuolo battezzato col nome di Tiberio Francesco Fiorilli 1’ 8 novembre del ’73, avuto da una certa Anna Doffan che non lasciò alcuna traccia sulla vita di lui, ebbe ( ?) una figlia battezzata col nome di Anna Elisabetta il 29 luglio dell’ ’81 da una certa Duval, che fu poi, come vedremo, la disperazione del povero artista e come amante e come moglie.

Maria Roberta Duval, giovane miserissima di circa ventitrè anni, visse i primi due anni in pace col vecchio amoroso : ma, sia che l’indole di lei la portasse col pensiero ad altri affetti, sia che Scaramuccia la tormentasse oltre il bisogno con la gelosia, accettate le proteste d’amore di un giovanotto, se ne fuggì in Inghilterra ; di dove poi, ben presto abbandonata, fe’ ritorno a Parigi e nella casa di Fiorilli, che preso di lei pazzamente le perdonò. Luigi XIV, che di quegli scandali ebbe sentore, s’adoperò con Margherita Luisa d’Orléans, la gran duchessa di Toscana, e con l’Arcivescovo di Parigi, perchè egli cessasse da quel concubinato, e sposasse, morta Marinetta, la Duval e legittimasse la figliuola, dandosi così a una vita di buon cristiano. Ma indarno sempre. Le noie ch’ebbe a patire la Gran Duchessa in persona e soprattutto l’abate Domenico Zipoli, ambasciatore a Parigi del gran duca Cosimo III de’ Medici, le abbiamo in queste importantissime lettere da lui indirizzate all’abate Gondi, segretario del medesimo Gran Duca a Firenze, tratte dall’Archivio di Stato di Firenze (F. M. 4797).

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27 agosto 1685. – Tiberio Fiorilli ha tanto fatto che gli è riuscito avere una lettera di chacet dal Re per cavare la sua douna dal Refugio e l’ ha messa, d’ordine però della medesima lettera, in uno dei conventi di Chalot ; ma perchè è un poco lontana per lui, che li cominciano a pesare le gambe, è andato a trovare la Granduchessa alla quale disse un mondo di bene di detta donna, e perchè lei medesima l’ aveva vista quando era al Refugio, e che la Superiora del luogo le aveva detto molto bene della medesima, li promesse di farla cavare dal Convento di Chalot, e farla mettere in uno di Parigi ; non so come li riuscirà, perchè il Re non ne vorrà essere importunato ogni tre giorni, e perchè dice per tutto Parigi che è il suo figlio che l’ ha fatta levare e rinserrare, e che ha scritto al Granduca contro di lui, e va facendo leggere la lettera di V. S. Ill.ª come fece pure a me iermattina ; vuole che esca di casa, e cosi sono dietro col detto vecchio che dice per vivere per due soli mesi al suo figlio, che si ritirerà in una camera guarnita, e in questo tempo farà alcuni negozi suoi, e poi se ne ritornerà a Firenze, e lascerà qui il vecchio, il quale senza un miracolo di Dio non si potrà ritirare dalla pratica di questa donna ; basta, fra lo Scaramuccia e il Tempesti mi danno non poco da fare.

3 settembre 1685. – Anche Scaramuccia col suo figlio mi fanno ammattire ; trotto, galoppo, vengono da me, e nulla si conclude. Il padre minaccia il figlio di metterlo in S. Lazzero1 ; è fuori di casa, senza un soldo e mi bisogna accomodarli di tempo in tempo qualche denaro, che m’incomoda, e con questo va qua e là, per non essere osservato, perchè non si fida, e teme, a ragione, della sua vita. Questo volentieri lascerebbe il padre che facesse e disfacesse del suo tutto quello che volesse, se li desse il denaro per ricondursi a Firenze ; il vecchio non vuol dar nulla, se non li fa un foglio nelle buone forme conforme questo che li mando qui segnato A ; il figlio ha fatta la risposta segnata B e poi li scrisse la lettera segnata C ; li lessi il tutto, ma il vecchio è più duro che il cuore di Faraone, maledice chi gli ha fatto levare la sua donna, che quello che diede al suo figlio fu un poltrone che non lo seppe finire, che lo metterà a S. Lazzero e datone l’ordine ; che non vuole venga a Firenze a mangiare il suo. A questo li risposi che non ho mai creduto che a Firenze comandasse che il Granduca e non lui. Mi disse che vuole scrivere una lettera a S. Altezza nella quale li dirà tutte le pessime cose che fa suo figlio ; io li risposi che quello mi diceva a me non riguardava che la sua coscienza, che a questa doveva rimediar lui con il darli per tornare in Italia, ma è peggio di un ostinato Turco, che più è vecchio innamorato ! Il figlio scriverà una lettera a sua madre che piglio la libertà di mandarli qui ; glie la faccia dare e consigliare a dare le 20 doppie al Carlieri, perchè altrimenti bisognerà entri in sicurtà il Valenti, et in breve mi troverò addosso tante sicurtà che se mi fanno banco rotto non mi servirà il letto per sodisfare ; faccia pulito perchè prevedo ruine fra il padre, il figlio e la donna.

A

Monsieur Chibert pere demande a avoir la liberté de disposer entierement en faveur de qui il lui plairà de tout ce qu’il a et gaigne et gaigne journellement en France et outre que son fils reconnoise que tout ce qu’il a depeneé jusqu’au present est seullement pour la sollicitation…. de proces de son fils et non pour nouritur et allimend et jusqu’a ce qu’il puisse en estre paye e demande que ec.

B

Monsieur Tibere demande pouvoir disposer entierement des biens quis peut avoir en France, e quil gagne journalment. Monsieur son fils n’aupesche point quil fait ce quil voudra mais il ne peut en passer acte parce que ce la porteroit prejudice et annulleroit la dounation quil y a faicte par contract de mariage, et in faveur de celuy.

Alesgard de ce quil a despensée jusques a present pour les proces du dict S.r son fils il est facile de regler ceste affaire, en faisant raporter les contes et quitances des procureurs et autres persones a qu’il aura paie pour les dit proces ; et all’ ors on poura auter le mot de nouriture. Car il est certain que quand je faict l’obligation des 8000 livre je lay faict seulem.t pour le contenter et non pas que cela fut veritable, il dict havoir ancora ses comptes ; il est fort facile de voir en…. ce quil a despence pour les proces.

C

Carissimo Sig. padre

Se io avessi avuta cattiva intenzione sarebbe un pezzo che l’avrei messa in opera, ma mai di mia vita ho pensato a darli un minimo disgusto.

Non è la prima volta che V. S. mi ha maltrattato per causa delle sue donne perchè ancora al Palazzo reale V. S. mi cacciò fuori di casa con la moglie per causa di madama Gorle et al presente sono sei anni che sono eternamente perseguitato, ferito et cacciato fuori di casa per quest’ altra ; e pure non ho mai fiatato, e sono stato sempre figlio obbediente e rispettoso. Mi dispiace che V. S. mi facci queste ingiustizie, ma soprattutto la calunnia delle 30 doppie delle quali io sono innocentissimo ; et V. S. sa benissimo in coscienza che è impossibile che io sia stato quello che le prese perchè non avevo mai visto il suo segreto ne dove fossero le chiavi ; et se è vero che V. S. se le sia scordate in camera, era impossibile che io potessi sapere il momento e il tempo da potere fare il colpo ; e finalmente sono pronto a sottopormi a qualsivoglia interrogatorio, tutto per dare satisfatione a V. S. Circa gli interessi gli ho sempre detto che non cerco quello che V. S. facci de’ suoi danari, ma che non posso farne contratto perchè mi farei un eterno pregiudizio, tanto più che conosco che V. S. ha concepito un odio senza pari contro di me, et che dice per tutto di volermi rovinare. La prego a compatirmi et credere che non ho mai fatto ne farò cosa che sia indegna di un figlio obediente come sono sempre stato ; e pregandola a abolire le grandi maledizioni che mi ha mandato e a benedirmi come buon padre, resto

Di V. S.

Devotiss.º servitore e figlio

Fiorlli.

10 settembre 1685. – Si affaticò assai il buon Padre Gondi, ma non volse già profittarne il vecchio Scaramuccia ; tutto quello si è potuto fare è stato che dia 60 scudi al figlio per fare il suo viaggio in Italia, ma come non ha volsuto pigliare il pensiero di badare ai suoi interessi, li bisogna adesso trovare qualche avvocato o Procuratore che se ne incarichi e poi subito partirà per ritornarsene in Firenze. Il vecchio rimbambito dice vendere i Luoghi del monte del sale, si come questi di qua dell’ Hostel di Villa2 e come costà muore la Marietta, volere sposare la sua donna che è a Scaliot, ma fra tre mesi sarà per mezzo della Granduchessa trasferita in un convento di Parigi. Io sto dietro al Conte di S. Mesmè3 acciò faccia si che la Granduchessa la faccia maritare quanto prima, perchè se costà venisse a mancare la sua moglie certo la sposerà e li farà donazione di tutto. Il Refugio è una casa contigua allo spedale della pietà dirimpetto al giardino dei semplici vicino ai Gobelini4, questa è governata dalla medesima superiora della Pietà, ma è separata perchè queste donne troppo pratiche del mondo non conversino con le figlie, ma è la medesima casa. Scaramuccia guadagnò la superiora, questa ne disse tanto bene alla Granduchessa, che al presente ne vuole avere il pensiero, ma solo di farla maritare e che Scaramuccia non la tocchi.

24 settembre 1685. – Non mi resta che pregarla a far sollecitare la moglie del vecchio Scaramuccia acciò paghi al sig. Carlieri le 20 mila doppie di Spagna per il suo figlio, il quale partì sabato per il Cocchio d’Arqua, e benchè la Serenissima Granduchessa si fussi fatto dare 60 scudi che mi fece mandare acciò glie li dessi, come segui, questo gli ha spesi per accomodare i suoi affari e per vivere 20 giorni fuori di casa di suo padre, si che anco a questo è bisognato farli dare 20 doppie che mi ha promesso, subito arrivato a Firenze, in casa di sua madre non avesse sborsato la detta somma a Carlieri, di rimetterla, non vorrei fosse di già seguito. Al vecchio per due volte domandai se avanti partisse lo voleva vedere, perchè il figlio desiderava domandarli la sua benedizione ; questo non vuolse mai, e quando ha sentito che era partito, il che gli aveva significato con un biglietto, salta e dice roba scomunicata contro di lui, perchè non l’ha visto e dice che vuol lasciare tutto il suo alla sua donna. Adesso che la Granduchessa ha le mani in questo negozio e che lo protegge, non ci posso far altro che fare dare qualche bussata per la Cinzia5 e la più vera è che la faccia maritare, perchè il vecchio è capace di fare qual si sia bestialità, e poi egli è innamorato e tanto basti. Il Fiorilli al suo arrivo informerà V. S. III.ª di tutto.

22 ottobre 1685. – Scaramuccia è sempre a Fonteneblò e. al ritorno del conte di S. Mesmè, che deve seguire fra otto giorni, farò battere appresso la Granduchessa acciò faccia maritare la donna e ne parlerò anche alla Cinzia, ma per ridurlo è troppo impietrito e ci vuole un miracolo.

5 novembre 1685. – Già vi scrissi che il Carlieri la signora Fiorilli gli aveva pagate le 20 doppie ; ne avrà sentite delle belle dal figlio. Il vecchio è tuttora a Fonteneblò et ho già passato ragionamento col Conte S. Mesmè e Cinzia, acciò inculchino la Granduchessa a maritare la donna.

3 dicembre 1685. – Non ho mancato di intelaiare con il Conte di S. Mesmè e la Cinzia acciò incalzino la Granduchessa a fare accompagnare la donna di Scaramuccia, il quale è sempre più capone et ostinato, e per due volte gli ho discorso di volersi intendere col suo figlio adesso che è lontano, ma non c’ è stato possibile, e V. S. Ill.ª mi creda che non c’ è che Iddio che ci possa rimediare, ma dubito non sia dal medesimo abbandonato affatto, poichè in lui non si scorge un minimo pensiero di uomo, non che di buon cattolico.

30 settembre 1686. – Conforme scrissi io fui lunedi a otto il doppo pranzo a Montmartre ; la Granduchessa6 sottoscrisse i biglietti di Mons. Oppede. Vi trovai Scaramuccia. Sua Altezza lo sgridò come un miserabile, ma, come è buccia vecchia, e che non ha nè onore, nè vergogna, nè, quel che è peggio, timor di Dio, li rispose tutte solennissime bugie. La Granduchessa li protestò che non ne voleva più sentir parlare, e lo fece uscire dal Parlatorio, il che esegui con le lacrime agli occhi, ma giudichi V. S. che lacrime sono. La Granduchessa domandò del Principe7 et il quale presto anderebbe a Roma. Che il giorno avanti era stata a Versailles dove Mad. d’Arpajoux gli aveva detto che bisognava che lei mandasse via il detto vecchio ostinato, che S. Altezza8 le replicò che toccava al Re far tale parte. Madama suddetta le rispose : Sua Altezza ne parli al Re ; che lei rispose : Io non ne voglio parlare a Sua Maestà se non ce lo vuole lo mandi via lui. Poi cominciò a battere contro la Maestà Sua che ogni giorno più strapazza tutti, che è odiato, che non è per anco morto. Che aveva data una fanciulla cantatrice a Madama di Guisa ; che questa per fargli dispetto l’aveva licenziata, ma che lei l’ha obbligata a dargli 50 doppie che ha lei in mano e rimandargliene in carrozza….

5 luglio 1688. – Di Scaramuccia non m’informo più di nulla e non lo voglio dintorno ; mi manda qualche lettera che piglio perchè le credo di servizio del suo sig.r figlio. Mi dissero a giorni passati in casa Valenti che la sua donna è gravida di due mesi ; è stata e sarà sempre infame, et a me non la vendono.

A queste tengon dietro altre dell’ Archivio di Firenze non men di quelle importanti per le notizie che lo stesso Fiorilli dà del figliuolo, e per la data che vi troviamo del suo ritiro dalle scene. A ottantadue anni adunque egli recitava ancora a Parigi.

III.mo Signore et mio Padrone Colendissimo

Negli interessi della coscenza solo Idio può essere G[i]udice retto, et agli ochi di esso cui tutte le cose sono scoperte e presenti è dato di distinguere l’ombre dal lume, la mia che dalle imposture fatele si conosce incontaminata si apella dal giuditio de homini al tribunale del Altisimo, ne stia secho V. S. III.ma ragione, e poi decida. Rispondo alla sua morale et amorevolisima letera delli 6 caduto e ne(l)la ringratio quanto so e posso di que’ sensi con i quali ella m’esprime il core nei trati della penna, ma mi duole al somo che la malidicenza m’ abia dipinto in lontananza ( ?) più diforme di quelo che mi sia acorto de avere provato deboleza per quella giovine di che ella mi accenna e vorei ridurele al non essere quello ch’ è fatto, ma non mi posso pentire di quello che io facio non esendo nè in ofesa di Dio, nè in scandolo de gli homini, e se la povera infelice è ridotta a ri sentire le angustie d’ una carcere per me è giusto per legie divina et homana io cerchi di solevarla chon il farla trasportare in uno altro convento dove sia esente dalla penuria in che si trova, e Sua Maestà ch’è un Prencipe nelle relacione incorotto non mi averebe conceduta la gratia se non avesse conosciuta per giusta la mia dimanda ; questa atione in facia de Dio e del mondo è da cristiano e da homo onorato, ciò non ripug(n)ando per pensiero ad una vita civile e da galantomo avendole io distinata una certa somma di denaro per maritarla. Tuto questo non è stato risposto che in ordine a i consigli del mio confesore e avrei uno eterno rimorso se non l’avesse fatto. Sono homo, e Dio, per sua devina misericordia, mi ha dato tanto lume per distinguermi da le bestie, che tali son quelli che anno in ricomandatione il senso et il capricio.

Dio perdoni a chi per sordido interesse mi a dato questo disgusto, e mi a reso a l’idea di V. S. III.ma si sconcio e contrafatto, e che la pura verità che a dispeto de’ miei malevoli e preseguitori sarà senpre la stesa. Non ò che agungere fori che non è in mio potere il far ritorno in Italia là dove l’ arbitrio reggio me ne tronca i tentativi. Si compia intanto ch’ io la ringratii de’ suo’ consigli dei quali saprò valermene quando la deboleza homana mi farà perdere il cervelo ; di presente, gracia a Dio, me ne trovo ben provisto e tanto più perchè mi confermo con afetovoso rispeto

Di V. S. Ill.ma

Umeliss.mo e Dev.mo

Pariggi li 10 Agosto 1685.

Servitore

Tiberio Fiorilli.

Ill.mo Signor mio Signore e Padrone Colendissimo

Non avendo a chi potere confidare questa mia letera per poterla fare recapitare a mio figlio cosa che asai mi preme ò preso ardire confidandomi nella infenita bontà di V. S. Ill.ma io vengo a suplicarla di farglila rechapitare in sua mano e ottenerne la risposta a ciò non (qui è parola inintelligibile) e di tanta gratia ne averò come de l’altre una eterna memoria.

Pariggi li 25 Otobre 1688.

Di V. S. Ill.ma

Umiliss.mo e Dev.mo

Servitore

Tiberio Fiorilli.

Ill.mo signor mio signor

Parigi li 23 Luglio’88 ( ?).

Suplicho V. S. Ill.ma schusarmi se io ardisco inchomodare V. S. Ill.ma La suplico a onorarmi di far ricapitare l’inclusa a mio figlio e spero che fenito ch’averò i miei interesi di fraca (Francia ?) pasarmene a chasa per la quiete de l’anima mia ove averò ochasione di ricevere i suoi comandi ; non ma(n)cho di sovenirme le gratie e favori che o riceuto da V. S. Ill.ma in Pariggi. E qui revere(n)temette lo reverisco

Di V. S. Ill.ma

Devotissimo

Servitore

Tiberio Fiorilli.

Ill.mo signor mio, signore e Padrone colendissimo

Vengho con ques[t]a mia a reverire V. S. Ill.ma con ogurarli le sa[n]tissime feste di Pasqua e in esa dirle come sarebbe sei anni che io saria a Fire[n]ce, ma l’avere incontrato un selerato figlio è cagione che io sono ancora in Pariggi. Io averei molto a dire de le sue disubete[n]ce e pocho rispeto che mi à senpre portato, basta a dirle che se lui non partiva sarebe morto in prigone per le sue infamità. Doppo averli dati nove mila franchi che aveva a l’[o]tel de villa per agiu[s]tare un suo abicioso interese d’una carica conpra se[n]ca che io sapesse cosa alquna, e per agustare il venditore della sudeta carica conpra se[n]ca che io sapesse cosa alquna, e per agustare il venditore della sudeta carica non volendola indieto fu necesario che io la pigliase de la quale la vendei nove mila esendo il denaro messo da u notaro me le fece sequestrare con false ragone e subito parti e questa lite è un anno che continova con (parola inimelligibile) del suo procoratore ed ora per la stesa causa mi a camato al parlamento con altra furberia, ma spero osirne in bene de tutte due e a lascato avochati e prochoratori che mi molestano acciò non vadi a Firence per godere le mie fatiche. Spero in breve pasarmene a casa. Intato o mandato una prochura al signor A[n]tonio Aveni avochato a ciò mi renda conto de 33 anni che mia moglie ha goduti i miei beni tanto delle grazie che per magaminità e bontà di S. A. S. che per molti anni mi a senpre continovato le sue grace. Al mio arivo paleserò la vita disoluta e infame tanto de l’ anima come del corpo, che resterà maravigliato. Suplicho e pregho V. S. Ill.ma di far dare la qui inclusa al signor Antonio Aveni avochato e rachoma[n]darli i miei interessi e se potesse aver l’onore da S. A. S. di farglo intendere che abia cura de miei interessi mi farà una gran gratia V. S. Ill.ma sarà avisata della mia partenca a ciò mi onori di suoi comandi. Averei a charo che il signor Antonio menegli da sè la risposta. Di V. S. Ill.ma

Umeliss.mo e D.mo obligat.mo Servitore

Recordatomi senpre i favori che o riceuto da V. S. Ill.ma in Pariggi e la suplico di continovarmi il suo afetto e patrocinio.

Parigi li 3 Marco 1692.

Tiberio Fiorilli.

Ill.mo Signor mio, signore e padrone Colendissimo

Ricevo la cortesissima di V. S. Ill.ma in risposta della mia. Rendo infenite gratie a V. S. Ill.ma de’ boni avertimenti che sua bontà mi dà sopra l’anima e riposo della vecheia. Sono 2 anni che mi sono levato e ritiratomi dalle sene comiche e se non fose stato quello che camo mio figlio sarebe a casa sei anni sono ; ma perchè mi fece una infamità che fu costreto a partire di Pariggi e non solo io fui da lui disgostato, come ancho la S. G. D. a segnio che quando torno fosimo a reverirla non lo volse vedere e mi fece dire che non avenga mai più con lui, avendo quest’ homo quado parti conpro senca mia saputa una carica di comisario di guera senca lagrema de Mosiù Delove dove non volse che la esercitasse. E perchè per l’ amor grande che li portavo li fece in el suo matrimonio donacione dopo la mia morte e li fu venduta la carica sopra la mia donacione e perchè lui si era obligato pagarli 7cento franchi l’anno credendo di esercitare la detta carica, e come questo interesse andava inace (= inanze) senca sodisfare al venditore della carica venduta 14 mila frachi lo fece ritornare per agiustarsi con il venditore e per g[i]ustarlo à bisog[n]ato che io le dia 9mila fra[n]chi che avevo su l’otel de Villa e lui li diede una G[u]erra che ebe chon ingano dal fratello de la moglie per 10 mila franchi che il fratello era erede della terra e perchè la terra aveva molti debiti prestai dechontanti 9mila e sei cento franchi che ò apreso di me l’obligatione per notaro dicendo vendendo la terra mi sarebe pagati, e cosi si è ag[i]ustato il venditore con darli la terra senza mia saputa e nel darli li sudeti prima 9 mila fra[n]chi mi rinviò la caricha a dove io la vedei, la vendei 8mila fra[n]chi e ne perse mile de’ 9 che li diede e avendo il notaro in mano il denaro il furbo me lo sequestrò con dire ch’ è roba sua per averli io fato la deta donacone ed io in colera lo sgridai e venesimo a parole e l’ultima parola mi dise ch’ero un becho e fugi ne la sua camera e se serò e la notte nel Ripo fugi cho le sue robe ed io con il comesario chon testimoni cavai una presa di corpo e lui sapendo ciò se ne parti per Italia. La lite prima del sequestro della caricha venduta acora sono in lite al Sataleto ed ora à mandato prochura e mi à messo un’ altra lite al parlameto e poi mi fece dire : dite a mio padre che se viene a Firence che non comadi i suoi servitori ne meno il fatore mi averebe dato una camera e che adasi a magiare e non pesase ad altro. Questa è la riconpesa delle mie fatiche che con il mio sodore ò aquistato, come V. S. Ill.ma n’è bene informata ; veda se un ingrato che non a mai portato un bichero di aqua in casa, e da che lui è in casa mi chosta più de 20 mila schudi. Non li scrivo le chave false e latrocini che mi à fato e goderli con le done, non scrivo le svirgenature fatte, ve n’ è 2 fatte che farebe rizare i capelli a chi le sentise, ma a bocha spero di tratenerlo nelle sue infamità e fenito questa lite meterò le ale e verò a casa. Di già ò fatto casare la donacione fatta pasata al parlamento e al Sataleto, il dirle achora sarebe troppo lugo basta a diri ch’ è peggio d’uno faista che a bocha li dirò il tutto come i strapacci fatomi. Suplicho V. S. Ill.ma se con questa mia lo infastedisco e l’asicoro che quato li scrivo è l’evagelio – e qui resto.

Di Pariggi li 29 Aprile 1692.

Di V. S. Ill.ma umeliss.mo e devot.mo servitore

Tiberio Fiorilli.

(Le parole seguenti, forse, vanno lette dopo : il dirle ackora….) :

che corro ogni gorno per i Tribonali.

Ill.mo Signor mio, signore e padrone colendissimo

Ricevo la cortesissima di V. S. Ill.ma de li 16 Magio e in esa conosco il suo continovo afetto. Ora dò parte a V. S. Ill.ma come sono risoluto di pasarmene a casa e subito che sua Maestà sarà de ritorno chiederò la mia licenca. Dui anni sono che sarebe partito e sarebbe ritornato col figlio a casa. Parti e mi à lascato 2 lite contro di me, una al casteleto, e l’atra al parlamento che sinora ò speso ni lite cento scudi e non ò anchora fenito e non ò un ora di riposo. Così va chi à un figlio ingrato ; spero in breve liberarmene. Intanto veda V. S. Ill.ma se io la poso servire. Atendo i suoi comandi. E qui resto di V. S. Ill.ma umeliss.mo e devotiss.mo servitore

Pariggi li 9 Gunio 1692.

Tiberio Fiorilli.

Morta che fu Marinetta, Scaramuccia sposò finalmente la Duval il dì 8 di maggio del 1688 nella chiesa di S. Salvatore ; matrimonio che fu come il colpo di grazia pel vecchio ottuagenario, il quale finì coll’essere a ogni momento deriso, battuto e derubato.

Tiberio Fiorilli offrì colla sua vita avventurosa, col suo valor teatrale, e il suo spirito spontaneo materia a scrittori ed artisti di ogni specie per opere pregevoli. Lasciando da parte il teatro di prosa, ov’ egli è stato messo sotto tutti gli aspetti, citerem qui l’opera lirica Le avventure di Scaramuccia del maestro Ricci, il grazioso poema Scaramuzza in vernacolo familiar veneziano e in ottava rima di Giambatista Bada (Venezia, 1791), dettato sulle orme della Vie de Scaramouche, par le sieur Angelo Constantini (Paris, m.dc.xcv), Les Caravanes de Scaramouche di Emanuel Gonzales, con un bello studio preliminare di Paolo Lacroix (Paris, Dentu, 1831), ecc., ecc. Ora egli fa le spese di un motto di Larochefoucauld, or di una comparazione della Duchessa d’Orléans, o di Furetière, o di Racine. Ma dove si vide come egli avesse regnato sovrano nella Comedia italiana di Parigi si è nella vasta opera di bulino dei sec. xvii e xviii, in cui il glorioso artista occupa sempre un de’ posti primi, quando non è il primo, come nelle graziose figure dell’ Herisset, e nelle incomparabili scene del Gillot, di cui ho messo qui i preziosi frontespizi.

Quanto al tipo teatrale, di lui dice Luigi Riccoboni (op. cit.) :

…. per la forma è una imitazione dell’abito spagnuolo, che da tanto tempo era a Napoli l’abito di Palazzo, dei Magistrati, e de’ militari. Verso il 1680, i capitani spagnuoli finirono in Italia, e il Capitano antico italiano essendo da gran tempo dimenticato, si fu costretti a toglier dalle Compagnie dei comici napolitani un attore che sostituisse il Capitano spagnuolo : Scaramuccia ne prese il posto. In Italia egli non fu mai altro che capitano, mentre in Francia fu d’ ogni cosa un poco. Il suo carattere è di essere spavaldo insieme e pauroso.

Il Riccoboni, come s’è potuto vedere con prova di date, non è qui esatto. Abbiam già veduto a Genova Giovan Battista Fiorillo, figliuolo di Silvio, rappresentare il 1614 lo Scaramuzza non capitano ; e sappiamo dal quadro di Porbus (1572) rappresentante un ballo alla Corte di Carlo IX, che il Duca di Guisa (il Balafré) vi era in costume di Scaramuccia.

Del valore del nostro artista infinite sono le testimonianze : comincio da quella di Evaristo Gherardi, che mi par s’abbia a ritener la migliore ; ed ecco perchè : il celebre Arlecchino sostenne contro il Fiorilli un processo per certi denari a questo dovuti, pei quali fu dal Gherardi rilasciata una obbligazione alla Duval come di somma prestata, e i quali egli negava di dover pagare, affermando che l’obbligazione gli era stata carpita in quei termini, ma che la somma era dal Fiorilli pretesa quale mediazione all’ entrata del Gherardi nella Compagnia italiana. Il Gherardi che aveva perduto la causa, non doveva dunque avere il cuor molto tenero verso il suo glorioso avversario. Ma ecco la testimonianza che si trova nell’Atto II, Scena VII di Colombine avocal pour & contre (Theatre italien de Gherardi, Tom. I, pag. 338-339) :

SCENE VII

Le Theâtre represente la chambre d’Arlequin

Scaramouche, Pasquariel

On y voit Scaramouche, qui après avoir racommodé ce qu’il y a dans la chambre, prend sa guitarre, s’assied sur un fauteuil, & en joue en attendant que son maître arrive. Pasquariel vient tout doucement derriere lui, & pardessus ses épaules bat la mesure ; ce qui épouvante terriblement Scaramouche. En un mot, c’est ici où cet incomparable Scaramouche, qui a été l’ornement du théâtre, & le modèle des plus illustres comediens de son temps, qui avoient appris de lui cet art si difficile, et si necessaire aux personnes de leur caractere, de remuer les passions, & de les savoir bien peindre sur le visage ; c’est ici, dis-je, où il faisoit pâmer de rire pendant un gros quart d’heure, dans une scene d’épouvantes, où il ne proferoit pas un seul mot. Il faut convenir aussi que cet excellent acteur possedoit à un si haut degré de perfection ce merveilleux talent, qu’il touchoit plus les cœurs par les seules simplicités d’une pure nature, que n’en touchent d’ordinaire les orateurs les plus habiles par les charmes de la rétorique la plus persuasive. Ce qui fit dire un jour à un grand Prince qui le voyoit jouer à Rome, Scaramucchia non parla, e dice gran cose : Scaramouche ne parle point, & il dit les plus belles choses du monde. Et pour lui marquer l’estime qu’il faisoit de lui, la comedie étant finie il le manda, & lui fit present du carosse à six chevaux dans lequel il l’avoit envoyé querir. Il a toujours été les delices de tous les Princes qui l’ont connu ; & notre invincible Monarque ne s’est jamais lassé de lui faire quelque grace. J’ose même me persuader que s’il n’étoit pas mort, la troupe Italienne seroit encore sur pied. Que ceux donc qui ont parlé si indignement de lui, & qui se sont servi de son nom, pour donner du débit à une infinité de fades quolibets & de mauvaises plaisanteries, rougissent, & viennent, la torche au poing, faire réparation aux mânes d’un si grand homme, s’ils veulent éviter le châtiment que leurs impostures méritent, & devant Dieu & devant les hommes. Il n’est rien de plus impie, que de déterrer un homme pour le couvrir de calomnie.

A questa del Gherardi fo seguire i versi che il Loret pubblicò nella Muse historique del 23 marzo 1658, a proposito della Rosaura, Imperatrice di Costantinopoli, rappresentata il mercoledì 20 marzo, nella quale anche, a ogni intermezzo, il Fiorilli ballava :

…………
Mais entre cent choses exquises,
qui causent d’aimables surprises,
entre quantité d’accidens,
qui fon rire malgré les dents
et qui raviroient une souche
c’est la table de Scaramouche
contenant fruit, viande & pain,
et pourtant il y meurt de faim,
par des disgraces qui surviennent,
et qui de manger le retiennent ;
or, comme en tout événement,
il grimace admirablement,
il fait voir en cette occurence,
la naïve et rare excellence
de son talent facétieux,
et ma foi, divertit des mieux.
…………

Dalle quali parole, unite a quelle del Gherardi, possiam trarre argomento certo che il Fiorilli fosse assai più gran mimo, che grande attore. Anche il 22 novembre del ’60 prese parte al Louvre negli Intermezzi del Serse del Cavalli, musicati da G. B. Lulli.

La rappresentazione di Scaramouche ermite data il 1667, ci dice a qual segno di libertà fosse arrivato il Teatro italiano. Scaramuccia, di notte, in abito di cappuccino, dava a più riprese la scalata alla finestra di una donna ; e ogni qual volta ei ripeteva il giuoco, soleva dire : « questo per mortificar la carne. »

Lo stesso Re si meravigliò col Principe di Condè del favore con cui furono accolte le licenze di quella commedia, mentre al Tartufo di Molière s’era gridata la croce. « Maestà – gli rispose il Principe : – Scaramuccia si prende giuoco del Cielo e della Religione di cui a questi messeri non cale nè punto nè poco ; Molière si prende giuoco di essi stessi…. ed è ciò che non posson patire. »