(1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « I comici italiani — article » pp. 163-168
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(1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « I comici italiani — article » pp. 163-168

Morrocchesi Antonio. Nato a San Casciano in Val di Pesa il 15 maggio del 1768 da agiati parenti, Francesco Morrocchesi e Marianna Zaccagnini, fu condotto dal natìo paesello a Firenze, e raccomandato per l’educazione ai Padri Scolopi. Di mente svegliatissima, egli fece ottime prove non solamente nella lettura di classici greci e latini, ma anche nell’arte del disegno. Nullameno l’amore della drammatica prevalse in lui ; e i primi applausi tributatigli nelle sale dell’aristocrazia e dalle platee di teatrini privati, gli fecer prendere la risoluzione di darsi tutto alla scena, ove in breve conseguì, collo studio in ispecie delle tragedie di Alfieri, fama di attore insuperato e insuperabile.

Lasciò scritto un enorme volume di ricordi, dei quali Jarro pubblicò in appendici della gazzetta fiorentina La Nazione, poi in volume (Firenze, Bemporad, 1896) i punti più salienti ; e di lui dettò una breve memoria il noto scrittore Melchior Missirini.

Il Morrocchesi cominciò col recitare al pubblico nel Teatro di Borgognissanti a Firenze, rappresentandovi, primo in Italia e sotto il nome di Alessio Zuccagnini, l’ Amleto di Shakspeare.

Fu in vario tempo nelle Compagnie di Luigi Del Buono(V.), di Luigi Rossi, di Vernier, Asprucci e Prepiani, ma il più sovente conduttor di compagnie egli stesso.

Da lui le grandi protagoniste venivano oscurate : nella Semiramide, a Milano, mandò in visibilio il pubblico, recitandovi l’Assur, e facendo fremer di gelosia la prima attrice Checcati, artista valentissima ; a Firenze, nell’ Ottavia, destava non minore entusiasmo recitandovi il Nerone, e facendo fremer di gelosia la prima attrice Perotti, artista famosissima. Fu, si può dire, il Morrocchesi che rivelò a'pubblici d’Italia le riposte bellezze delle tragedie alfieriane. I successi dell’ Oreste e della Virginia, ma più ancora del Saul, che tenner con altre pochissime opere per un intiero carnovale i cartelloni del teatro di Santa Maria a Firenze, furon tali ch'esso d’allora innanzi s’intitolò dal nome di Alfieri. Io mando lo studioso alla lettura di quel saporitissimo libretto di Jarro, ove della prima recita del Saul, e della quinta alla presenza dell’autore, è riferita la cronaca del Morrocchesi : qui basterà dire che il nostro attore dovè ripetere alcun brano subito la prima sera fra le acclamazioni del pubblico, e che la quinta, al cospetto di Alfieri, si abbandonò con tal violenza su la spada nel proferir l’ultimo verso

Me troverai, ma almen da re
[quì…. morto….

che, feritosi gravemente, cadde alienato di sensi, e quando rinvenne, si trovò nel suo letto, circondato dagli amici, tra i quali si potè contar da quel punto il grande astigiano.

Nè solamente a Firenze gli accadde di dover cedere alle insistenze del pubblico, e replicar sul momento or questo, ora quel brano, chè anche la narrazione di Pilade dovè replicare immediatamente « siccome un pezzo applauditissimo di scelta musica — com’egli ci avverte — nelle scene illustri di Ferrara, di Siena, di Pavia, di Torino, di Bologna. »

Fu il 1811 nominato Professore di declamazione e d’arte teatrale nella Accademia di belle arti a Firenze, e vi stampò nel 1832 un corso di lezioni, corredando la duodecima, dei gesti, di quaranta tipi che rappresentano l’attore ne'momenti più importanti della sua arte, e di cui do qui dietro un piccol saggio. Tipi, che, siccome è accaduto e accade, non dànno, io son certo, che assai miserevolmente e, diciam pure, grottescamente, l’idea dell’autore. Scrisse anche non poche opere teatrali, che si veggono a stampa in quattro volumi in-8 (Firenze, Ciardetti, 1822).

Morì d’idrope pettorale a Firenze ; e sulla pietra che sigillava il suo sepolcro nel chiostro di Santa Croce, a destra e in prossimità della cappella Pazzi, toltane alcun tempo pei lavori di restauro, e ricollocata poi, ma sebben sempre a destra di chi entra, non più allo stesso luogo, fu incisa la seguente iscrizione che dettò Giovanni Battista Niccolini, il quale non l’ebbe in vita troppo nel suo libro :

qui riposa

antonio morrocchesi di san casciano

nell’i. e r. fiorentina accademia di belle arti
professore di declamazione
fra i tragici attori del suo tempo
per consentimento d’italia
a nessuno secondo
e luogo gli tenga di maggior elogio
l’essere nell’arte sua piaciuto
a vittorio alfieri
maddalena morrocchesi
al consorte desideratissimo
non senza lacrime
q. m. p.
nacque ai xv maggio mdcclxviii
mancò ai xxvi novembre mdcccxxxviii

Fu amico de'più ragguardevoli italiani del suo tempo, fra' quali, oltre all’Alfieri, i Pindemonte, i Perticari, Pellico, Albergati, Vannetti, Caluso.

Sfogliando le sue lezioni di declamazione, guardando a quelle odiose figurine che le illustrano, pensando a quelle repliche immediate di narrazioni, e il tutto comparando al giudizio che ne dà il Righetti nel secondo volume del suo Teatro Italiano, e che qui riferisco, c’ è da credere che il Morrocchesi fosse un grandissimo artista di maniera.

Fra tutti gli attori italiani da me veduti, e che meritarono una particolare considerazione, nessuno ha presentato alla mia mente un contrasto più bizzarro quanto il nostro Morrocchesi, celebre attore tragico. Ben fatto della persona, braccia, coscie, gambe corrispondenti ad un corpo nè magro nè pingue. Un occhio vivo, una fronte spaziosa, bellissimi denti, in somma un bell’ uomo. La sua voce era rauca, e mal atta a colorire tenere espressioni, imponente, terribile nell’espansione di violenti affetti ; il suo portamento, il suo gesto erano nobili, e dignitosi, nè perdevano della loro dignità, e della loro nobiltà, che quando voleva dipingere gli oggetti fisici con gesti di contraffazione. La sua dizione ora lenta, ora precipitata, non cra sempre quadrante colla qualità dei pensieri che doveva esprimere, quasi sempre sublime nella pittura di vive immagini, e nell’entusiasmo si trasportava talvolta al di là di quel confine stabilito fra la sublimità, e la stravaganza : infine nessun attore ha presentato all’occhio dell’intelligente osservatore maggior riunione di bellezze tragiche miste a difetti del tutto particolari. Quest’attore si applicò quasi esclusivamente alle tragedie del grande Alfieri, e fu dei primi che le fece assaporare sui pubblici teatri, ed in queste sviluppava tutte le sue qualità fisiche e morali. Nessuno potrà contrastare al nostro Morrocchesi esser egli stato il primo fra' comici a penetrare ben addentro ne' reconditi pensieri di quel gran tragico, a colpirne i caratteri, a regolare la declamazione de' suoi versi meno pomposi, che ricchi di pensieri, ed indigesti alla più gran parte de' comici d’allora. Fu acclamato nelle principali, e più colte città d’Italia, e stette gigante in mezzo a' suoi rivali che pur volevano atterrarlo, assalendolo da ogni lato. Questi è il solo valente artista con cui, nella mia carriera teatrale, mi sia trovato in contatto fino che non fui aggregato alla drammatica compagnia al servizio di S. S. R. M. il re di Sardegna, e non temo d’errare se dico, che questo tragico attore era l’attore di genio ; il suo difetto nell’analisi dei caratteri traspariva nelle particolarità, non nel tutto ; e se talvolta deviava dalla retta declamazione, e si abbandonava a conati troppo più violenti del bisognevole, era meno per mancanza d’intelligenza, e d’arte, che per la foga di strappare al pubblico que'clamorosi applausi, che lo inebriavano, e di che era quasi sempre padrone.

Non m’uscirà mai dalla memoria il modo straordinario con che rappresentava l’ultimo atto del Saulle d’ Alfieri. Eccellente in tutta la tragedia, tranne alcuni abbagli di situazione, e di minute particolarità, in quell’ atto era perfetto. Io lo presi a modello in tutta quella difficilissima scena perchè, per quanto studio avessi posto onde variare modi, ed atteggiamenti, m’ avvedeva che tutto sarebbe rimasto al disotto d’ una felice imitazione.

Chiudo il breve cenno col sonetto che è in fine alla memoria di Melchior Missirini :

SONETTO

Giacea il Coturno Ausonio, e bassi e inetti
Carmi rendeano suon sterile e vano,
e fu de' Roscj lo atteggiar sovrano
scena scurril di turpi Mimi abbietti.
Di fieri Agitator tragici affetti
e di franchi pensieri, alto, ed umano
Tu, l’ira del terribile Astigiano
Infondesti primier nei nostri petti.
Ei ti udi, e sen compiacque, e ai forti e nuovi
modi, Te scelse adatto all’ onorato
ufficio di rifar l’itale menti !
Ei gl’ingegni già adulti, e tu i nascenti
coltivi, in ciò di Lui più avventurato,
ch'egli un corrotto, e un vergin suol tu trovi !