(1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « I comici italiani — article » pp. 526-529
/ 371
(1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « I comici italiani — article » pp. 526-529

Scherli Leopoldo Maria. Nacque a Verona verso il 1720 ; e compiuto un corso regolare di studi, si diede a recitare tra i filodrammatici della città, riuscendo artista ammiratissimo, secondo afferma Gianvito Manfredi nel suo Attore in scena ; tanto che una sera dovette ripeter lì per lì nell’Orlando furioso la scena della pazzia tra gli applausi entusiastici della folla. Si fece poi comico di professione, e fu alcuni anni a Venezia (San Gio. Grisostomo), dove s’aquistò come attore e come scrittore la stima di tutti e l’amicizia di Gaspare Gozzi.

Lo vediamo il '55 alla Comedia italiana di Parigi, nella quale esordisce il 1° di gennajo, come amoroso, insieme alla moglie amorosa, nel Double mariage d’Arlequin ; ma recitaron così freddamente, che dovetter tornarsene in Italia. A tal proposito il D'Origny dice :

A l’égard de ceux-ci, quand on se rappelle que des personnages de ce genre ne sont jamais si bien remplis que par des Acteurs qui ont de l’inclination l’un pour l’autre, on est tenté d’attribuer leur malheureux succès, moins à leur inaptitude, qu’à une situation qui ne permet guère que le cœur ressente les feux de l’amour.

Il signor D'Origny (non voglio discuter qui l’errore dell’affermazione sua sulla maggiore o minor riuscita di una scena d’amore recitata da due amanti), ha voluto alludere alla special condizione degli Scherli, i quali, non sappiam bene per colpa di chi, ma forse di entrambi, essendo l’uno tutto dedito agli studi e taciturno, e l’altra incline alle esaltazioni…. e ad altro, visser quasi sempre separati. Tornato di Francia, Leopoldo, che aveva mostrato in varie circostanze un cotal ingegno poetico, si diè ad allestire un volume delle sue rime, che pubblicò in-12° a Lucca il 1760 per Filippo Maria Benedini. Lo vediamo il '66 in Compagnia di Pietro Rossi ; poi, allontanatosi per alcun tempo dal teatro, bibliotecario del Senatore Davia a Bologna, poi di nuovo attore, recitando in varie compagnie, ma con poca fortuna, a cagione della sua austerità e taciturnità, a proposito della quale il Bartoli racconta che « andando un giorno a desinare con Andrea Patriarchi, non fu mai sentito pronunziare una parola durante tutto il tempo della tavola, e col solo saluto da quella casa partì. » Fu anche a Palermo, e quivi stette alcun tempo col Nobile Spaccaforni, qual segretario. Toltosi da quell’Ufficio, fu da altri incaricato di formar una compagnia per quella città ; e recatosi a Venezia, la formò difatti, e la condusse a Palermo ; ma essa era di sì mediocri elementi, che subito cadde, procurando allo Scherli rimproveri senza fine, e così fatti da essere forse principal causa della sua morte. Il Bartoli ne fissò la data nell’autunno del 1776 : ma è certo erronea, dacchè lo Scherli pubblicò la sua scelta di rime nel '77 a Palermo. Fu egli senza dubbio uomo di pregi singolari, e come tale considerato dai più. Le rime edite a Lucca furon precedute dalla pubblicazione di :

Osservazioni sopra le stanze del signor Giulio Cesare Beccelli, nelle quali sostiene, che la Poesia possa più della Pittura. Pubblicate a Verona nella Stamperia del Seminario, [senz'anno], in-8°.

Traduzione in versi sciolti di alcuni esametri latini di Marco Antonio Rosa Morando a Vincenzo Barziza. Pubblicata a Verona il 1745, in-8°.

Alcune poesie in lode del Barziza, inserite in una raccolta di componimenti in lode dello stesso Barziza. Verona, c. s.,

e ad esse tenner dietro in vario tempo un brindisi in versi martelliani nel Convitato di Pietra, pubblicato in foglio volante a Livorno l’autunno del 1766 ; un piccolo libretto in-8° contenente alcune considerazioni sopra un parere del dottor Carlo Goldoni, pubblicato il 1767 non so dove, ma forse a Bologna, mentre lo Scherli era col Davia ; Sette Notti di Edoardo Young tradotte in versi, pubblicate in-4° a Palermo il 1774 nella Stamperia de' Santi Apostoli ; e una scelta delle Rime con aggiunta di poesie siciliane e di lettere varie, edita in Palermo il 1777 in-12°. Fu lo Scherli, dopo la pubblicazione delle rime nell’anno 1760, acclamato pastore arcade di Roma col nome di Anassandeide Caristio, e dopo quella delle Notti, Pastore Ereino di Palermo col nome di Dendrio Ipsisto.

Riferisco dal Bartoli la seguente

Licenza recitata dalla prima Donna della Compagnia de' Comici nel Teatro S. Gio. Grisostomo di Venezia l’ultima sera del Carnevale MDCCLIX

Della guerriera tromba ascolta il fuoco appena,
E va il Guerriero in Campo dove la gloria il mena :
Spirano appena i Zefiri, ed ecco in un momento
Salpa il nocchiero, e scioglie tutte le vele al vento ;
Ma se volando al Campo, se abbandonando il Lido,
La Sposa, o il Genitore lascia nel patrio nido,
Lascia su quelle sponde parte di sè il nocchiero,
Parte di sè pur lascia nella Città il guerriero ;
E nel partir da loro sente staccarsi il core,
Sente passarsi l’anima dal più crudel dolore.
Inclite genti Adriache, splendor d’Italia, e lume,
Condonate all’affetto, se troppo ora presume.
Noi siam quel navigante, e quel guerrier siam noi ;
Questa è la Patria, e il Lido, Padri ci foste voi.
Voi ci reggeste ognora ; voi placidi, e clementi
Tolleraste i diffetti ad ascoltarci intenti.
E come il Sol benefico oscura nube indora
Si, che del non suo lume splende nel Ciel tal ora ;
Se di valore in noi spuntò qualche scintilla,
Fu da quel lume accesa, che intorno a voi sfavilla.
E noi dobbiam lasciarvi ? E per fatal destino,
Siamo costretti a scegliere così lungo cammino ?
Ah di sì ria partenza quanto il dolor sia atroce
Dicalo il nostro pianto, che nol sa dir la voce.
Dentro il mio core intanto sento pugnar insieme
A gara col dolore anco il timor, la speme.
Penso che il nostro ingegno che coltivaste tutti,
Quasi terreno ingrato scarsi produsse i frutti.
Ma fra i timori suoi par che mi dica il core :
Non si stancò per questo il provvido cultore.
Anzi veder attende alla stagion novella
Nel suo terren la messe più verdeggiante, e bella.
Compagni miei, coraggio. Mentre sarem lontani,
Non sieno i sudor nostri infruttuosi, e vani,
E ritornar ci veggano questi bei lidi amati
A ricalcar le Scene di novi fregi ornati.
Sì, che il faremo. Intanto, come sicuro segno
Delle nostre promesse, vi resti il core in pegno.
Alme eccelse, graditelo, che vostri servi siamo,
E con tal nome in fronte, di noi superbi andiamo :
Che se sarem sicuri del perdon vostro almeno,
Nelle fatiche istesse lieti saremo appieno.
Come di sudor molle quel povero bifolco
Sparge cantando i semi, segna cantando il solco ;
Come quel gondoliero suda col remo in mano,
E và cantando l’Armi pietose e il Capitano,
Così del favor vostro spirando aure feconde,
Lieti ritorneremo d’Adria a baciar le sponde ;
Così l’anima nostra nel gran piacer giuliva
Ripeterà costante : Viva Vinegia, e viva.

A questa faccio seguire il sonetto in morte di un suo figlio, il quale ci dà ancor più chiara l’idea delle sue qualità poetiche, e del suo amore a' classici :

Come candido fior, che nato appena,
del vomere al passar cade reciso,
Carlo, moristi, onde perpetua vena
di pianto a me bagna le gote e il viso :
C'ho sempre avante i tuoi dolci atti, e il riso,
e i cari vezzi ; e per maggior mia pena,
la Suora tua, ch'or vedi in Paradiso,
la tua partita a ricordar mi mena.
Figlio, io già non t’invidio i gaudi immensi,
che in Ciel tu godi, ora che sei sì presso
al Sol, che alluma il benedetto chiostro ;
ma quando avvien che a le tue grazie io pensi,
piango me, di te privo, e il mortal nostro
vorrei già chiuso in un sepolcro istesso.