(1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — X. Cerere dea delle biade e Proserpina sua figlia » pp. 48-54
/ 108
(1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — X. Cerere dea delle biade e Proserpina sua figlia » pp. 48-54

X

Cerere dea delle biade e Proserpina sua figlia

Dopochè gli antichi politeisti ebbero personificato e deificato i quattro elementi del Caos, cominciarono ad inventar divinità che presiedessero alle diverse forze e produzioni della Natura, e attribuirono a quelle l’invenzione delle arti e delle scienze, ed anche la creazione e la trasformazione di molti prodotti della natura stessa. E in ciò appunto distinguesi la classica Mitologia del grossolano feticismo, e ne differisce immensamente, perchè in questo adoravansi i prodotti stessi naturali come se fossero Dei, e in quella gli esseri soprannaturali a cui se ne attribuiva l’invenzione o la creazione.

Cerere figlia di Saturno e di Cibele (che è lo stesso che dire del Tempo e della Terra), era considerata come la Dea delle biade che in sua stagiòne (in tempore suo), producevansi dalla terra. Il nome di Cerere, secondo Cicerone, deriva dal verbo creo, che anticamente dicevasi cereo, e perciò dal creare, ossia dal produrre le biade50. I Greci la chiamavano Demèter quali Gemèter (madre Terra) per questa stessa ragione. L’adoravano ancora e le facevano splendidissime feste sotto il nome di Tesmòfora, cioè legislatrice, sapientemente considerando quel che anche oggidì ammettono tutti i pubblicisti e gli storici filosofi, che gli uomini solivaghi e nomadi, pescatori e cacciatori conduc endo una vita errante e senza dimora fissa, mal potevano assoggettarsi al consorzio sociale e vincolarsi con leggi ; e che solo allorquando per mezzo dell’agricoltura si fissarono su quei terreni che avevano coltivati, potè cominciare la civil società retta dal Governo e dalle leggi.

Inventarono i Greci che Cerere avesse prima che agli altri insegnato l’agricoltura a Trittolemo figlio di Celeo re d’ Eleusi, (antica città greca fra Megara e il Pireo), e che questi sul carro di Cerere tirato da draghi volanti avesse percorso gran parte della terra per insegnar quell’arte agli altri popoli. Quindi i Misterii Eleusini, cioè i riti arcani che si celebravano nelle feste di Cerere in Eleusi.

I Latini per altro non ammettevano che a loro avesse insegnato l’agricoltura Trittolemo e neppur Cerere, ma invece lo stesso Saturno, padre di lei (come dicemmo parlando di questo Dio), e perciò affermavano la lor priorità sopra i greci nell’arte di coltivar la terra. Per questa ragione Virgilio nelle Georgiche loda l’ Italia come gran madre, ossia prima produttrice, delle biade (magna parens frugum)51.

Cerere ebbe da Giove una figlia chiamata Proserpina in latino e in italiano, Persephone in greco, che rappresenta una splendida parte nelle vicende e negli attributi di sua madre. Raccontano i mitologi che Proserpina come dea di secondo ordine stava sulla terra e precisamente in Sicilia con diverse ninfe sue compagne od ancelle ; che mentre essa coglieva fiori alle falde del monte Etna fu rapita da Plutone Dio dell’inferno, per farla sua sposa e regina de’ sotterranei regni ; che questo ratto fu eseguito con tal prestezza che neppur le Ninfe a lei vicine se ne accorsero, e non poteron dire alla madre che fosse avvenuto della perduta Proserpina. Questo mito del ratto di Proserpina è tanto amplificato ed abbellito di straordinarie fantasie da tutti i poeti antichi e moderni, che troppo lungo sarebbe il voler tutte riportarle. Dante stesso nel descrivere il Paradiso terrestre accenna questo mito, e dice alla bella Matelda,

« ………… (che si gìa
« Cantando ed iscegliendo fior da fiore,
« Ond’era sparsa tutta la sua via),
« Tu mi fai rimembrar dove e qual’era
« Proserpina nel tempo che perdette
« La madre lei, ed ella primavera. »

A questo punto cederò la parola all’ Ariosto, la cui splendida poesia è facile ad intendersi come la prosa :

« Cerere poi che dalla madre Idea52
« Tornando in fretta alla solinga valle
« Là dove calca la montagna Etnea
« Al fulminato Encelado le spalle,
« La figlia non trovò dove l’avea
« Lasciata fuor d’ogni segnato calle ;
« Fatto ch’ebbe alle guance, al petto, ai crini
« E agli occhi danno, alfin svelse due pini ;
« E nel fuoco li accese di Vulcano
« E diè lor non poter esser mai spenti ;
« E portandosi questi uno per mano
« Sul carro che tiravan due serpenti,
« Cercò le selve, i campi, il monte, il piano,
« Le valli, i fiumi, gli stagni, i torrenti,
« La terra e ’l mare ; e poi che tutto il mondo
« Cercò di sopra, andò al tartareo fondo53. »

Cerere per altro non pensava nemmen per ombra di dover cercar la figlia nel tartareo fondo, ossia nell’ Inferno, se non era la ninfa di una fontana chiamata Aretusa, le cui acque scorrevano sotto terra, che le avesse significato di aver veduto Proserpina piangente e spaventata, in un carro ferrugginoso tirato da neri cavalli guidati e spinti precipitosamente da Plutone per le vie sotterranee verso le regioni infernali. Corse subito alla reggia di questo Dio per riprender la figlia ; ma Plutone non volle renderla. Cerere allora ricorse a Giove, che per questo caso strano consultò il libro del Fato, nel quale trovò il decreto irrevocabile, che se Proserpina avesse mangiato o bevuto nell’ Inferno, non avrebbe potuto esser libera e ritornar colla madre. Si affrettò Cerere di ritornar da Plutone ; e mentre sperava di essere stata in tempo per ricondur via la figlia, poichè molti testimoni interrogati rispondevano di non aver veduto nulla, comparve un impiegato infernale, di nome Ascalafo, che asserì di aver veduto Proserpina succhiare alcuni chicchi di melagrana ; nè Proserpina potè negarlo. Cerere indispettita gettò a costui sulla faccia l’acqua del fiume Flegetonte, e lo cangiò in gufo o barbagianni, uccello di cattivo augurio. Si venne allora ad una transazione, e fu convenuto per la mediazione di Giove che Proserpina restasse 6 mesi dell’anno col marito Plutone nell’inferno, e gli altri 6 mesi colla madre sulla terra54.

Tutta questa immaginosa invenzione significa che Proserpina figlia di Cerere simboleggia le biade, le quali stanno sei mesi sotto terra e sei mesi sopra terra.

Dopo aver notato questi miti sarà più facile riconoscere le immagini sculte o dipinte della dea Cerere dagli emblemi coi quali è sempre rappresentata. Sono emblemi suoi distintivi una corona di spighe di grano sulla fronte e parimente un fascio o covone di spighe in braccio ; in una mano la falce, e talvolta un mazzo di papaveri nell’altra. Quest’ultimo distintivo le fu dato, perchè goffamente credevasi che avesse avuto bisogno di un decotto di papaveri che Giove le somministrò per liberarla dall’insonnio cagionatole dall’afflizione di aver perduto la figlia. Quando poi s’incominciò a rappresentare l’estate presso a poco come Cerere, cioè colla corona e col covone di spighe, e inoltre la falce da grano, parve anche necessario l’aggiungere il distintivo del mazzo di papaveri all’immagine della dea Cerere. Per maggior distinzione fu rappresentata ancora talvolta con una doppia fila di mammelle, per cui le si dava il titolo di Mammosa. Non è però possibile scambiarla o confonderla con altre Dee, quando si vede rappresentata in un carro tirato da serpenti alati, o vogliam dire draghi volanti, ed avente in mano una o due faci accese : si riconosce subito Cerere che va in cerca della smarrita Proserpina.

La vittima che sacrificavasi a Cerere era la scrofa, perchè, dice Ovidio, scava col suo grifo le biade sacre a questa Dea.

Fra i supposti miracoli fatti da Cerere, oltre alla trasformazione di Ascalafo in gufo, si narra che essa avesse anche trasformato il fanciulletto Stellio in lucerta per punirlo dell’essersi fatto beffa di lei. Forse la somiglianza del nome, che in latino è omonimo con quello di questo piccolo rettile, diè motivo ad inventare una tal trasformazione. Dante che ben volentieri riporta nella Divina Commedia anche le punizioni mitologiche dei delitti umani, e specialmente dell’empietà, non avrebbe trascurato di riferire anche questa, se contro i fanciulli insolenti e molesti non ne avesse trovata una più solenne e tremenda nella Bibbia, quella cioè dei fanciulli che per aver beffato il profeta Eliseo della sua calvizie, furono divorati dagli orsi ; e se ne valse per fare una perifrasi dei nome di quel profeta :

« E qual colui che si vengiò55 con gli orsi
« Vide ’l carro d’ Elia al dipartire,
« Quando i cavalli al cielo erti levorsi,
« Sì come nuvoletta, in su salire. »

Un altro celebre miracolo mitologico attribuito a Cerere è rammentato da molti poeti, e dallo stesso Dante, e perfino dal Giusti ; ed è la punizione dell’empietà di Eresittone. Questo re di Tracia (o di Tessaglia) aveva atterrato per dispregio una selva sacra al culto di Cerere ; e la Dea lo punì col farlo invadere dalla Fame (considerata come una Dea malefica), la quale lo ridusse a divorarsi in poco tempo tutto il suo ricco patrimonio, vendendo perfino la figlia Metra, ed a morire ciò non ostante di estenuazione e di tal disperazione

« Che in sè medesmo si volgea co’denti. »

Dante rammenta questo celebre mito, e se ne vale per una similitudine della magrezza a cui per pena eran ridotti i golosi nel Purgatorio :

« Non credo che così a buccia strema
« Erisiton si fosse fatto secco
« Per digiunar quando più n’ebbe tema. »

E il Giusti, nella Scritta, rammenta una pittura che rappresenta Eresittone come simbolo di un insaziabile usuraio :

« Da un lato un gran carname
« Erisitone ingoia,
« E dall’aride cuoia
« Conosci che la fame
« Coll’intimo bruciore
« Rimangia il mangiatore56. »

Il nome di Cerere in latino stava a significare, per figura rettorica di metonimia, il grano o le biade, come Bacco il vino, Minerva la sapienza ecc. ; e nello stesso Virgilio troviamo l’espressione Cerere corrotta dalle onde (Cererem corruptam undis), per indicare il grano avariato dall’acqua del mare. Ma in italiano in questo senso figurato è poco usata la parola Cerere, e invece si preferisce l’aggettivo latino cereale, cioè appartenente a Cerere ; e si usa al plurale in forza di nome, dicendosi i cereali per significar le biade o le granaglie.

In astronomia il nome di Cerere fu dato al primo degli asteroidi (pianeti telescopici situati fra Marte e Giove), scoperto dal Piazzi nel primo giorno del primo anno di questo secolo.