(1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XV. Giunone regina degli Dei e Iride sua messaggiera » pp. 79-85
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(1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XV. Giunone regina degli Dei e Iride sua messaggiera » pp. 79-85

XV

Giunone regina degli Dei e Iride sua messaggiera

Il nome di Giunone ha la stessa etimologia di quello di Giove ; deriva cioè dal giovare (quod una cum Jove juvat, dicono i mitologi latini). I greci la chiamavano Era, che, secondo alcuni grecisti, sarebbe un’abbreviazione di Erate cioè amabile e, secondo altri, Era significa signora, ossia padrona 91). Questa Dea ha dunque due bellissimi nomi nelle lingue dotte, ed inoltre il più alto rango fra le Dee, essendo essa sorella e moglie di Giove92). Nella sua pubblica rappresentanza è una Dea maestosa e benefica ; ma essa pure, nella vita che diremmo privata o domestica, ha i suoi difetti non meno di Giove, sebbene di un altro genere : è superba, dispettosa e vendicativa.

Accennata l’indole di questa Dea, diciamo come si rappresenta nelle pitture e nelle sculture. Siccome è regina del Cielo e degli Dei ha in capo il diadema ; il suo volto è maestoso ; ha grandi gli occhi, bianche le braccia93), lunga la veste matronale e il manto, i cui lembi estremi le stanno ricinti a mezzo la persona ; in una mano ha lo scettro e talvolta nell’altra una melagrana frutto dell’albero a lei sacro, e ai piedi il pavone. Le si dà inoltre un trono d’oro, un ricco e splendido carro tirato da due pavoni, una messaggiera chiamata Iride ed un corteo di quattordici bellissime ninfe94).

Molti altri nomi ed attributi eran dati a questa Dea ; e l’etimologia dei primi fa conoscere la specialità dei secondi. Chiamavasi Nuziale e Pronuba, perchè presiedeva alle nozze ; Lucina, Ilitìa e Genitale, ai parti ; e sotto questi appellativi o titoli era invocata dalle matrone, e in generale dalle donne : sebbene altri poeti, e tra questi Orazio95), attribuiscano quest’ultimo ufficio a Diana. In Roma le si facevano anche le feste dette Matronali, appunto perchè eran celebrate dalle matrone.

Figli di essa e di Giove furono Ebe dea della gioventù, Vulcano dio del fuoco e della metallurgia e Marte dio della guerra.

Ebe oltre ad esser la dea della gioventù, mesceva il nettare agli Dei, quando erano a convito con Giove ; perciò si rappresenta come una giovanetta ingenua e gentile con un’idria in mano ed in atto di mescer da quella la celeste bevanda. Aggiungono alcuni mitologi, che un giorno questa Dea nell’esercizio del suo ministero cadde sconciamente e destò l’ilarità degli Dei, e d’allora in poi non volle più servirli a mensa ; e Giove le sostituì un coppiere di stirpe dei mortali, Ganimede figlio di Troo re di Troia, facendolo rapire dalla sua aquila e rendendolo immortale.

Il nome di Ebe fu dato dagli astronomi al sesto pianeta telescopico che fu scoperto da Hencke il 1° luglio 1847.

Di Marte e di Vulcano che furono Dei superiori si dovrà parlare separatamente.

Il tema più vasto per altro e l’eterno argomento della vita di Giunone è quello delle gelosie, delle stizze e delle persecuzioni di questa Dea. Favoriva sì e proteggeva essa quei popoli che le erano più devoti, come gli Argivi, i Samii, i Cartaginesi ; ma guai a coloro che avessero la disgrazia di dispiacerle, specialmente poi se Giove o qualche Dea sua nemica li proteggesse, o fossero parenti od anche soltanto connazionali di qualche donna preferita da Giove. Vi sarebbe da riempire un grosso volume a raccoglier quanto ne scrissero i poeti greci e i latini ; ma alcune di quelle bizze e di quelle persecuzioni di Giunone sono così splendidamente narrate dagli antichi, che i moderni poeti e lo stesso Dante non poterono tacerle. E di queste ci occuperemo principalmente, non però subito, in questo capitolo, per evitare la monotonia dello stesso argomento, ma quando se ne presenterà l’occasione nel parlare di altre divinità odiose a questa Dea, o di famiglie o di popoli da essa perseguitati. Qui per altro è indispensabile il narrare uno di questi fatti mitici che serve a spiegare perchè il pavone fosse sacro alla Diva dalle bianche braccia.

La concordia coniugale era già rotta da gran tempo fra Giove e Giunone ; e Omero sin dal 1° libro dell’Iliade ce ne rende accorti in questi versi :

« Acerbissimo Giove, e che dicesti ?
« Riprese allor la maestosa il guardo
« Veneranda Giunon : gran tempo è pure
« Che da te nulla cerco e nullo chieggo,
« E tu tranquillo adempi ogni tuo senno. »
(Trad. del Monti.)

Malcontenta era sì, ma non rassegnata, come ben si capisce da questi versi ; e Giove faceva di certo ogni suo volere, ma non senza disturbi ed impacci per parte di Giunone ; la quale, superba e invidiosa com’era, fremeva all’idea di potere essere ripudiata, e che un’altra divenisse regina degli Dei.

Giove prediligendo la Ninfa Io figlia d’Inaco re d’Argo, per sottrarla alle investigazioni ed alle persecuzioni di sua moglie, la trasformò in vacca ; ma Giunone non vedendo più in alcun luogo la figlia di Inaco, sospettò di qualche frode, e chiese in dono al marito quella giovenca, che Giove non potè negarle per non scuoprirsi. Ottenutala, la diede in custodia ad Argo che aveva cento occhi, cinquanta dei quali erano sempre aperti e vigilanti anche quando Argo dormiva. Mercurio però col canto, col suono e con un soporifero fece completamente addormentare Argo, gli chiuse tutti i cento occhi, e poi gli tagliò la testa e liberò la vacca. Giunone non potendo risuscitarlo (tanta potenza non avevano gli Dei pagani), si contentò di trasformarlo in pavone, serbandogli nelle penne l’immagine e il ricordo de’suoi cento occhi, e lo prescelse per l’animale a lei sacro. Non perdè di vista neppure la vaccherella, e le mandò a tormentarla un assillo o tafano. Per liberarsi dal quale l’imbestiata e dolente Io fu costretta a gettarsi nel mare, che traversò a nuoto dalla Grecia all’Egitto, ove da quei feticisti egiziani che adoravano le bestie fu ricevuta e adorata come una Dea, e restituita poi da Giove nella primiera forma fu venerata sotto il nome di dea Iside.

Questo mito è un anello di congiunzione fra la Mitologia classica e il Feticismo egiziano, e rende qualche probabile ragione di così strano culto, come osservammo pur anco nella guerra dei Giganti, quando gli Dei che ebber paura si trasformarono in bestie. Gli Egiziani perciò adoravan gli Dei sotto la figura di quelle bestie nelle quali credevano che questi si fossero trasformati.

Il nome poi di Argo è rimasto celebre in tutte le lingue moderne affini alla greca ed alla latina, per significare antonomasticamente un uomo oculatissimo, cioè vigilantissimo ed a cui nulla sfugga. Anche Dante descrivendo nel Canto xxix del Purgatorio il carro in cui era trionfalmente portata Beatrice e facendolo simile a quello descritto dal profeta Ezecchielle, assomiglia ancora i molti occhi dei quattro mistici animali a quelli del mitologico Argo :

« Ognuno era pennuto di sei ali,
« Le penne piene d’occhi ; e e gli occhi d’Argo
« Se fosser vivi, sarebber cotali. »

Un’altra particolarità che si riferisce alla dea Giunone è il mito della sua ancella e messaggiera Iride. Era questa una Ninfa o Dea inferiore, figlia di Taumante ; e credevasi che essa per discender sulla terra ad eseguire gli ordini di Giunone passasse per quella splendida via che è contrassegnata nel cielo dall’arcobaleno.

Quindi il nome di Iride per figura rettorica di metonimia sta a significare l’arco celeste prodotto dalla refrazione dei raggi del sole. I nomi stessi di Iride e del padre di essa accennano colla loro etimologia le parti fondamentali di questo mito e di questo fenomeno, poichè Iride (in greco e in latino Iris), deriva da un greco verbo che significa dire o annunziare, e ricorda perciò la messaggiera di Giunone ; e Taumante è nome che deriva da tauma, che in greco significa prodigio, e rammenta stupendamente la mirabile parvenza dell’arco celeste. Perciò la dea Iride dal nome del padre è detta poeticamente Taumanzia ; e lo stesso Alighieri con frase mitologica chiama figlia di Taumante l’Iride, ossia l’arcobaleno, allorchè nel Purgatorio (C. xxi, 46) afferma che nell’alto di quella montagna non ascendevano gli umidi vapori della terra, nè perciò producevansi le meteore acquee, e neppur l’arcobaleno, che si forma nell’aria dopo la pioggia :

« Perciò non pioggia, non grando, non neve,
« Non rugiada, non brina più su cade
« Che la scaletta de’ tre gradi breve ;
« Nuvole spesse non paíon, nè rade,
« Nè corruscar, nè figlia di Taumante,
« Che di là cangia sovente contrade. »

Il nome d’Iride è comunissimo nel linguaggio poetico, ed anche in quello scientifico.

Nei poeti più eleganti, invece di Iride, trovasi anche Iri, che è voce più simile al nome greco e latino, e perciò preferita nel linguaggio poetico. Basterà che io citi Dante che così la chiama in rima e fuor di rima, come nel seguente esempio :

« Nella profonda e chiara sussistenza
« Dell’alto lume parvemi tre giri
« Di tre colori e di una contenenza ;
« E l’un dall’altro come Iri da Iri
« Parea reflesso, e il terzo parea fuoco
« Che quinci e quindi egualmente si spiri. »
(Parad., xxxiii, 115.)

Nelle scienze fisiche l’Iride, oltre ad indicare l’arcobaleno, significa anche la refrazione dei raggi colorati della luce ; e iridescenza la proprietà che hanno alcuni oggetti di rifletter questi raggi colorati. Una bella descrizione di iridescenza e di cangiamento di colori secondo l’incidenza dei raggi e i diversi punti di vista, si legge nella seguente ottava della Gerusalemme Liberata del Tasso :

« Come piuma talor che di gentile
« Amorosa colomba il collo cinge
« Mai non si scorge a sè stessa simile,
« Ma in diversi colori al sol si tinge ;
« Or d’accesi rubin sembra un monile,
« Or di verdi smeraldi il lume finge ;
« Or insieme li mesce, e varia e vaga
« In cento modi i riguardanti appaga. »
(Gerus. lib., xv, 5.)

Iride si chiama in Anatomia quella membrana circolare che è situata sopra l’umor cristallino dell’occhio, ed ha appunto questo nome dalla varietà dei suoi colori, ed è quella che determina il colore particolare degli occhi di ciascuno ; e col derivativo Iritide chiamasi in Patologia qualunque affezione morbosa di quella membrana dell’occhio, e più specialmente l’infiammazionè della medesima.

Per quanto tutti i poeti antichi abbiano parlato magnificamente della dea Iride, descrittane la bellezza e chiamatala, come Virgilio96, fregio ed onore del cielo, eran per altro ben lungi dal conoscere le vere cause di questo splendido fenomeno. Dal vederlo comparire dopo la pioggia lo chiamavano l’arco pluvio, come troviamo anche in Orazio97) : ma non avevan pensato neppur per ombra ad analizzare col prisma di cristallo il settemplice raggio del sole e dedurne che l’aria ancor umida dopo la pioggia faccia da prisma e rifranga i 7 colori della luce. Newton sullo scorcio del secolo xvii fu il primo a distinguere che la luce solare era composta di un infinito numero di raggi di differenti gradi di rifrangibilità, e che allorquando questa luce è fatta cadere sopra un prisma, i raggi che la compongono son separati, e presentano per ordine questi sette colori, cominciando da quello meno refratto, cioè : rosso, arancio, giallo, verde, turchino, indaco e violetto. Ai tempi nostri la spettroscopia, ossia l’analisi della luce per mezzo dello spettroscopio è divenuta così importante ed estesa, che può quasi considerarsi come una scienza particolare ; e perciò i moderni alle antiche fantasie poetiche ed alle cervellotiche induzioni cercano di sostituire le positive cognizioni scientifiche.

Di forme corporee ed in figura umana raramente trovasi Iride dipinta o sculta, e non è mai rappresentata nelle statue, ma soltanto nei vasi ed in alcuni bassi rilievi, come una snella ed aerea giovanetta alata, e talvolta avente in mano un’Idria, quasi ad indicare l’erronea idea degli Antichi che Iride somministrasse l’acqua alle nubi. In Astronomia ebbe il nome di Iride il 7° asteroide, o piccolo pianeta telescopico scoperto da Hind il 13 agosto 1847. Gli astronomi però non avevano trascurato di rendere onore alla regina degli Dei anche prima che ad Iride sua ancella, e furon solleciti di dare il nome di Giunone ad uno dei primi asteroidi scoperti in questo secolo, e precisamente al 3°, veduto per la prima volta da Harding il 1° settembre 1804.