(1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XVII. Apollo considerato come Dio del Sole, degli Arcieri e della Medicina » pp. 92-103
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(1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XVII. Apollo considerato come Dio del Sole, degli Arcieri e della Medicina » pp. 92-103

XVII

Apollo considerato come Dio del Sole, degli Arcieri e della Medicina

Due erano i nomi principali che più comunemente si davano a questo Dio, cioè Apollo e Febo. Si potrebbe disputare a lungo sulla greca etimologia di queste due parole, se si trattasse di filologia ; ma in mitologia possiamo starcene tranquillamente alla opinione di quegli antichi mitologi, i quali dicono che Apollo significa unico, e Febo luce e vita 105). Questi nomi appellano evidentemente e principalmente alle proprietà distintive del sole, di essere egli nel nostro sistema planetario il solo astro che dà luce e vita ad ogni mortal cosa.

Molti altri nomi e appellativi avea questo Dio : quelli di Delio e di Cinzio li abbiamo già notati nel numero precedente, e in appresso avremo luogo di notarne anche altri. Ma intanto è bene osservare per la precisa intelligenza delle poetiche frasi, che Apollo è considerato più generalmente come il vero e proprio nome, e che Febo trovasi spesso usato come aggettivo o epiteto ; e si adopra assolutamente come nome quando si vuole indicare esclusivamente il Sole106).

Molti e molto diversi sono gli uffici attribuiti a questo Dio ; e perciò li divido in due gruppi, riunendo tra loro quegli uffici che sono più affini ; e fo centro del 1° gruppo il Dio del Sole, e del 2° il Dio della Poesia.

Considerato Apollo come il Dio del Sole, chi è che non l’abbia veduto dipinto da più o men valenti pittori come un giovane imberbe di bellissime forme, cinto la fronte e il volto di un’aureola di fulgentissimi raggi, su di un cocchio d’ oro e di gemme107), in atto di guidare con mano ferma e sicura quattro focosi destrieri per le vie del firmamento, e circondato da dodici avvenenti ninfe piè-veloci, che intreccian carole intorno al suo carro ? I pittori e i poeti han fatto a gara a rappresentare splendidamente questi simboli del Dio della luce ; ed ognuno li intende facilmente senza bisogno di spiegazione : solo son da notarsi i nomi assegnati dai poeti ai quattro cavalli e il numero delle Ninfe che accompagnano il Sole. I cavalli si chiamano con greci nomi Eoo, Piroo, Eto e Flegone, che significano orientale, focoso, ardente, fiammante, qualità caratteristiche, bene attribuite ai cavalli del Sole108). Le dodici Ninfe poi che danzano intorno al carro rappresentano le Ore del giorno ; le quali sebbene soltanto per gli equinozii sieno precisamente dodici, non sono però ragguagliatamente più di dodici un giorno per l’altro in tutto l’anno ; e per gli antichi Romani v’era inoltre una ragione speciale riferibile all’uso che avevano di dividere il giorno vero, ossia il tempo della presenza del sole sull’orizzonte, in dodici ore soltanto. Perciò le ore del giorno e della notte essendo sempre uguali di numero dovevano necessariamente esser più lunghe o più corte, secondo le diverse stagioni.

I poeti non di rado rammentano i nomi dei cavalli del Sole, e le ancelle del dì, ossia le Ore. Così, per citarne qualche esempio, usa l’Ariosto le seguenti espressioni mitologiche a significare che per chi aspetta sembra che il tempo non passi mai :

« In quel duro aspettare ella talvolta
« Pensa ch’Eto e Piroo sia fatto zoppo,
« O sia la ruota guasta, che dar volta
« Le par che tardi, oltre l’usato, troppo. »
(Orl. Fur., xxxii, 11.)

Troviamo ancora nella Basvilliana del Monti :

« Era il tempo che sotto al procelloso
« Aquario il Sol corregge ad Eto il morso,
« Scarso il raggio vibrando e neghittoso. »
(Canto ii, 70.)

E pochi versi più sotto lo stesso poeta aggiunge :

« E compito del dì la nona ancella
« L’officio suo, il governo abbandonava
« Del timon luminoso alla sorella. »

Inoltre aveva il Sole una maestosa e ricchissima reggia, opera di Vulcano109), nella regione d’Oriente. Da essa cominciava il suo corso diurno, e la sera andava a riposare da Teti, dea marina, in un palazzo di cristallo in fondo al mare. Come poi facesse per ritornar nella notte dalla parte d’Oriente, i più antichi poeti, Omero ed Esiodo, l’hanno prudentemente taciuto : soltanto in appresso qualche mitologo inventò che il Sole, dopo di essersi riposato nel palazzo di Teti, entrava in fondo ad una nave d’oro col suo carro ed i suoi cavalli, ed era trasportato velocissimamente per mare, girando a settentrione, per ritornare in tempo la mattina all’Oriente. Ma questa invenzione, benchè sembri intesa a significare i crepuscoli e le aurore boreali, ebbe poca fortuna ; nè i più celebri poeti, e tanto meno i pittori, la stimarono degna di essere imitata o copiata.

Il Sole nel corso dell’anno percorreva una strada (detta dagli astronomi orbita, e più propriamente eclittica), la quale resta nel mezzo ad una fascia o zona del cielo di 16 in 17 gradi, ed ove scorgonsi le 12 costellazioni, in direzione di ciascuna delle quali successivamente va il Sole a tramontare nei diversi mesi dell’anno. Questa zona del cielo fu detta con greco nome Zodiaco, cioè zona di animali, perchè le costellazioni che vi si trovano (meno una sola) hanno il nome di diversi esseri animati. Si conoscono ancora in astronomia sotto la denominazione comune di segni del zodiaco ; e i loro nomi particolari sono i seguenti : L’ariete, il toro, i gemelli, il cancro, la libra o bilancia, lo scorpione, il sagittario, il capricorno, l’aquario, e i pesci 110).

I nomi dei segni del zodiaco appellano a fatti mitologici, dei quali sinora ne conosciamo due soli, di Ganimede coppiere di Giove che è rappresentato nel segno dell’ aquario, e di Astrea dea della giustizia, che fu simboleggiata nel segno della Vergine : delle altre denominazioni apprenderemo in seguito la ragion mitologica nel trattar dei miti che vi hanno relazione.

Di Apollo esistono molte statue ; una delle quali, che è una maraviglia dell’ arte greca, ammirasi nella galleria del Vaticano in Roma, ed è chiamata l’Apollo di Belvedere. Un’altra mirabile statua di Apollo giovane, detta perciò volgarmente l’Apollino, può vedersi nella tribuna della galleria degli Uffizi in Firenze. Anticamente ergevasi nell’ isola di Rodi una statua colossale in bronzo rappresentante Apollo, di tali dimensioni che i due piedi posavano sulla estremità dei due moli del porto, e le navi passavano a piena vela fra le sue gambe. Era questa una delle 7 maraviglie del mondo, ma fu atterrata da un terremoto ; e poi i Saracini conquistatori di quell’isola ne venderono il metallo, di cui furon caricati 900 cammelli.

A spiegare il crepuscolo mattutino, ossia l’alba che precede il giorno, come dice Dante, inventarono i mitologi che tra i figli del Sole vi era una bellissima figlia chiamata l’Aurora, la quale ogni mattina apre le porte dell’oriente, e precede il padre, spargendo gigli e rose sulla terra. Tutti i poeti fanno a gara a descriverla di bellezza maravigliosa e immortale, con le bianche e le vermiglie guance 111), colla fronte di rose e coi crin d’ oro. Dante nota ancora l’ aura annunziatrice degli albori che movesi ed olezza tutta impregnata dall’erbe e dai fiori. Dalla qual voce aura è derivato in latino e in italiano il nome di Aurora. Anche il Tasso esprime la stessa idea nella prima ottava del Canto iii della Gerusalemme liberata :

« Già l’aura messaggiera erasi desta
« Ad annunziar che se ne vien l’Aurora.
« Ella s’adorna il crine, e l’aurea testa
« Di rose colte in paradiso infiora. »

I pittori pur anco ne fecero ritratti maravigliosi e ispirati, fra i quali meritamente è il più celebre quello dell’Aurora di Guido Reni in Roma. Lo stesso Michelangelo, che tutto osò e in tutto fu sommo, volle rappresentare in scultura il Crepuscolo mattutino e il vespertino, le cui statue si ammirano nell’ antica sacrestia di San Lorenzo in Firenze.

Di un altro figlio di Apollo convien qui parlare, perchè il mito o fatto mitologico che di lui si racconta è relativo al Sole. Fetonte, il cui nome di greca etimologia significa splendente, era creduto figlio di Apollo e della Ninfa Climene. Fu egli un giovinetto presuntuoso, il quale credeva che gl’illustri natali bastassero a compire le grandi e gloriose imprese. Discorrendo di nobiltà di sangue 112) con un vanerello par suo, cioè con Epafo figlio di Giove e della Ninfa lo, già vacca e poi Dea, si trovò impegnato per fanciullesco puntiglio a dimostrare ad Epafo ed al mondo che egli era figlio di Apollo col guidar per un giorno il carro della luce. E coll’approvazione dell’ ambiziosa sua madre Climene andò nella sublime reggia di Apollo e chiese al padre una grazia, prègandolo a giurare per le acque del fiume Stige che non glie l’avrebbe negata. Apollo giurò ; ma tosto si pentì di aver giurato quando seppe il folle desiderio del figlio. Nè valsero le ammonizioni e le preghiere paterne a distoglier Fetonte dall’ardua impresa troppo superiore alle forze di lui.

Infatti i focosi cavalli del Sole ben presto si accorsero della inesperta ed imbelle mano che li guidava, e non trattenuti dai freni deviarono dall’usato sentiero, ora accostandosi alla vôlta celeste ed arroventandola, ora scendendo vicino alla terra, ed abbruciando gli alberi e gli animali e prosciugando i fiumi, i laghi ed i mari. Da per tutto s’udivano i gemiti degli uomini, e i lamenti degli Dei ; e Giove conosciuta la causa del male, e non sapendo come altrimenti rimediarvi, coi fulmini trafisse Fetonte e sbigottì i cavalli che tornarono indietro alle loro stalle. Fetonte fulminato cadde nel Po113), sulle rive del quale fu pianto e sepolto dalle sorelle dette Eliadi, cioè figlie del Sole ; le quali vinte dal dolore e dall’ afflizione furono trasformate in pioppi e le loro lagrime in ambra 114). Inoltre un giovanetto Ligure, di nome Cicno, amico di Fetonte, venuto a visitarne la tomba, cadde nel fiume e fu trasformato in cigno.

Questa favola di Fetonte è descritta e celebrata da molti poeti e principalmente da Ovidio nelle Metamorfosi ; e lo stesso Dante trova il modo di parlarne più volte nella Divina Commedia. Assomiglia nel Canto xvii dell’Inferno la sua paura, nello scender su di un alato mostro in un profondo abisso infernale, a quella di Fetonte trasportato in balìa dei cavalli del Sole :

« Maggior paura non credo che fosse,
« Quando Fetonte abbandonò li freni,
« Perchè ’l Ciel, come pare ancor, si cosse115. »

Rammenta ancora nel Canto xxix del Purgatorio il lamento della Dea Tellure per gli spaventevoli effetti cagionati ne’suoi tre regni dalle infiammate vampe del Sole, o come egli dice, l’orazion della Terra devota 116

« Quando fu Giove arcanamente giusto. »

Queste splendide invenzioni mitologiche, abbellite dalla più splendida poesia greca e latina, hanno sopravvissuto alla distruzione delle religioni, dei popoli, delle favelle e della scienza antica. Finchè il Paganesimo, che le spacciò per verità religiose, fu la religione degli Stati e dei popoli, è ben naturale che fossero da tutti celebrate ; ma pur anco i poeti e gli artisti cristiani, come abbiamo osservato di sopra, le stimarono degne delle arti loro.

Che più ? Quantunque la scienza astronomica ponesse la scure alla loro radice abbattendo il sistema planetario di Tolomeo e sostituendovi quello di Copernico117, ciò non ostante anche i poeti e gli artisti posteriori a Copernico, a Galileo, a Kepler, a Newton e a Laplace hanno preferito le splendide menzogne mitologiche alle severe verità della scienza.

Apollo fu celebrato ancora come infallibile arciero, ed ecco perchè rappresentasi spesso con l’arco e con gli strali ; e noi abbiamo veduto nel N° XIII che egli nella guerra dei Giganti non fu uno di quei Numi paurosi che fuggirono e si nascosero, ma costantemente aiutò il padre e i fratelli saettando i nemici. Ora devesi aggiungere che Giove vedendo la bravura di Apollo, lo incoraggiava a ferire, e gli ripeteva, come dicono i mitologi greci, le greche parole le Pai, che significano ferisci o figlio, e da queste parole trassero tanto i Greci quanto i Latini l’etimologia del nome di Pœan dato ad Apollo ; e Pœan chiamano ancora l’inno in onore di questo Dio.

I nostri poeti, in generale, non adottarono il nome Pean per significare quel nume, ma soltanto l’inno, che chiamarono il Peana 118.

Un’altra solenne prova diede Apollo della sua infallibile valentia nel tirar d’ arco, quando dopo il diluvio uccise a colpi di freccie il terribile e micidiale serpente Pitone nato dal fango della terra e dall’infezione dell’aría. È facile lo spiegar questa favola, se riflettiamo che il Sole coi suoi raggi chiamati poeticamente dardi, o strali, o saette 119), prosciugando gl’impaludati terreni, venne ad uccidere gli animali mostruosi e nocivi che vi erano nati.

Anche i paleontologi hanno riconosciuto negli avanzi fossili dei terreni secondarii l’esistenza preistorica di certi immani e terribili mostri del genere dei rettili, e perciò chiamati Plesiosauri, Pleurosauri, Ittiosauri ecc., alcuni dei quali erano lunghi otto o nove metri.

Gli zoologi poi adottarono il nome del favoleggiato serpente Pitone per darlo a un genere di rettili, in cui son compresi i serpenti dell’India e dell’Affrica, animali carnivori e formidabili per la loro gran forza muscolare.

Del serpente Pitone dovremo parlare altra volta, quando nel trattar degli Oracoli si verrà a rammentare e descrivere l’ufficio della Pitonessa del Tempio di Delfo.

Dopo che i mitologi ebbero considerato Apollo come Dio del Sole, furono indotti a credere che esser dovesse pur anco il Dio della Medicina120), perchè il Sole co’suoi raggi calorifici e chimici infonde qualità medicamentose in molti prodotti dei tre regni della Natura. Inoltre gli attribuirono un figlio che fu il più valente medico sulla Terra, e dal quale nacque una figlia che fu la Dea della Salute. Nella invenzione della discendenza in linea retta di queste tre divinità v’è molta connessione logica di principii scientifici, che esamineremo dopo aver parlato del figlio e della nipote di Apollo secondo la Mitologia.

Esculapio, lo stesso che Asclepio, come lo chiamavano i Greci, era figlio di Apollo e della Ninfa Coronide. Egli fu il primo medico di cui le antiche tradizioni ci abbiano tramandato il nome, aggiungendo che nell’esercizio dell’arte salutare faceva cure tanto prodigiose, che guariva tutti i malati e perfino risuscitava i morti. Ma Plutone re delle regioni infernali che vedeva togliersi le sue prede, ossia richiamare in prima vita i suoi sudditi, se ne lagnò con Giove ; e questi, non potendo altrimenti impedire ad Esculapio l’esercizio dell’arte medica, lo fulminò per contentar più pienamente il suo fratello Plutone. Consentì per altro che fosse trasportato in Cielo e divenisse un Dio, che i popoli molto volentieri adoravano e a cui raccomandavansi nelle loro infermità.

Esculapio era rappresentato con volto maestoso e in atto di meditare ; lunga avea la barba che scendeagli a mezzo il petto ; sulle spalle il pallio, ossia mantello alla greca, e in mano un bastone al quale era attortigliato un serpente, simbolo della prudenza, virtù necessaria principalmente ad un medico.

Il maggior culto di Esculapio fu in Epidauro ; e sappiamo dallo stesso Livio, non che da Ovidio, che da quella città fu trasportata solennemente la statua del Nume a Roma, e gli fu eretto un Tempio nell’isola Tiberina, che allora fu detta di Esculapio, ed ora di San Bartolomeo, dopochè Roma divenuta cristiana dedicò quel tempio pagano al culto di quest’apostolo.

Idearono ancora i mitologi che Esculapio avesse una figlia chiamata Igiea, o Igia. Fu questa una personificazione, o vogliam dire deificazione dellaSanità, come significa il greco nome di questa Dea. Infatti da Igiea è denominata Igiene l’arte di conservar la salute, difficilissima in pratica pel gran numero di speciali osservazioni che richiede per ciascuna persona, ma utilissima sempre anche ne’suoi più generali principii, perchè persuadono a schivare qualunque genere d’intemperanza121.

Nella invenzione di queste tre Divinità che presiedono alla più felice conservazione degli esseri umani, troviamo un concetto ed un ragionamento che ha la forma di un sillogismo. Apollo rappresenta il principio generale delle forze della natura, che sono il primo e più sicuro fondamento della conservazione della salute ; Esculapio la scienza medica che fa l’applicazione delle cognizioni teoriche all’arte salutare, ed Igiea la conseguenza che ne deriva, che è la più felice e la più durevole conservazione della salute. E per indicare che non sempre l’arte medica può ottenere quest’utile effetto che è lo scopo delle sue cure, fu aggiunto che Esculapio, a richiesta di Plutone, morì fulminato da Giove : il che evidentemente significa, che la suprema legge della natura, quando ha decretato la dissoluzione dei corpi anche meglio organizzati, rende nulla la scienza e l’arte degli uomini.