(1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXIII. Osservazioni generali » pp. 260-263
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(1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXIII. Osservazioni generali » pp. 260-263

XXXIII

Osservazioni generali

Nella classazione generale delle Divinità del Paganesimo (vedi il N. III) fu accennato che gli Dei di 2° ordine eran detti Inferiori o Terrestri ; e questi appellativi spiegano bastantemente la minor potenza e l’ordinario soggiorno di tali Dei sulla Terra. Gli Dei Superiori, di cui abbiamo parlato nella Iª Parte, erano soltanto venti, e gl’Inferiori a migliaia, e costituivano la plebe degli Dei, come li chiama Ovidio : de plebe Deos. Fortunatamente, per chi deve studiar la Mitologia, a ben pochi di questi Dei fu dato dai Pagani un nome proprio, e la maggior parte furon compresi sotto certe generali denominazioni, come ora suol farsi nella Storia Naturale in cui si distinguono soltanto i generi, le specie, le famiglie, le varietà, ecc. e non gl’individui, o vogliam dire i singoli prodotti naturali. E a render più facile il còmpito di chi vuole imparar la Mitologia contribuisce ancora il non avere inventato i Pagani molti miti o fatti miracolosi riferibili a questi Dei Inferiori, perchè molto limitata credevano la loro potenza. Abbiamo notato nel principio del N. IV che, ammessi più Dei, nessuno di loro poteva essere onnipotente, perchè il poter di ciascuno era limitato dalle speciali attribuzioni degli altri ; e se ciò era vero per gli Dei Superiori e per lo stesso Giove, come ci è accaduto di narrare più volte, tanto più è presumibile e conseguente per gli altri Dei che furon detti e considerati Inferiori.

Agli antichi Mitologi non bastò l’avere assegnato tre Dee al globo terrestre, come notammo nel N. VIII, ed anche altre Divinità Superiori ai principali prodotti della Terra, cioè Cerere alle biade, Bacco al vino, Vulcano alla metallurgia, ecc. ; e lasciando libero il freno alla immaginazione videro Divinità da per tutto, nei monti, nei fiumi, nelle fonti, nelle selve e perfino nelle piante, come col microscopio si vedono da per tutto brulicar gl’insetti e gl’infusorii. Sappiamo poi dagli scrittori ecclesiastici dei primi secoli del Cristianesimo (i quali studiavano con gran premura ed attenzione la Mitologia per dimostrare le assurdità della religione degl’Idolatri)1, molte particolarità che non si trovano altrove, perchè le trassero da quei libri dei Pagani2, che posteriormente furon perduti o distrutti nelle successive invasioni dei Barbari.

E qui mi basterà rammentare, a proposito di quanto ho accennato di sopra, che il vescovo d’Ippona (S. Agostino) asserisce che i Pagani erano giunti ad assegnare quattordici Divinità alla vegetazione del grano. Anzi vi aggiunsero anche un altro Dio, che schiverei di rammentare, se, oltre Lattanzio, non ne parlasse anche Plinio il Naturalista ; ed era il Dio Sterculio o Stercuzio, così detto perchè aveva inventato il modo di render più fertili i terreni col fimo o concime. Plinio asserisce che era questi un re d’Italia deificato per sì utile insegnamento3. Di tali divinità il cui ufficio si conosce e s’intende dal significato del loro stesso nome ve n’era un bel numero nel Politeismo, come per esempio, il Dio Robigo, la Dea Ippona, il Dio Locuzio, la Dea Mefiti, ecc. ecc. ; e basta conoscere l’etimologia e il significato di questi vocaboli per intendere qual fosse l’ufficio di tali Dei. Non dovrà dunque recar maraviglia che il dottissimo Varrone, contemporaneo ed amico di Cicerone, abbia annoverati trentamila Dei del Paganesimo, come dicemmo nel N. III ; e deve parer probabile che fossero aumentati da quell’epoca al tempo in cui scriveva S. Agostino, cioè in più di quattro secoli, poichè i Pagani avevano libertà di adottare anche gli Dei stranieri, e poi per mezzo della cerimonia detta l’Apoteosi facevano diventar Divi i loro Imperatori dopo la morte, e spesso li consideravano tali anche in vita4.

Anche Dante confrontando, nel Canto xix dell’Inferno, il numero degli Dei degl’ Idolatri con quelli d’oro e d’argento adorati dai Simoniaci, e dichiarando che questi Dei son cento volte più numerosi di quelli, accetta per lo meno il computo di Varrone, poichè così rimprovera i Simoniaci stessi5 :

« Fatto v’avete Dio d’oro e d’argento ;
« E che altro è da voi all’ Idolatre6
« Se non ch’egli uno e voi n’orate cento7 ? »

Convinti dunque che il numero degli Dei Pagani fosse anzi più che meno di trentamila8, e assicurati al tempo stesso che migliaia e migliaia di questi sono sine nomine vulgus, e da spacciarsi in massa, (o come taluni dicono in blocco) e con poche e generali considerazioni sul loro comune appellativo, procediamo senza spaventarci ad osservare anche altre fantasmagorie preistoriche dei nostri più remoti Antenati.