(1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXVI. Le Ninfe » pp. 279-284
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(1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXVI. Le Ninfe » pp. 279-284

XXXVI

Le Ninfe

Nel parlar delle Divinità marine notammo che v’erano seimila Ninfe Oceanitidi e alcune centinaia di Nereidi e di Doridi, oltre all’aver detto anche prima, che Giunone aveva per suo corteo quattordici Ninfe, Diana cinquanta e Cerere e Proserpina non si quante. Parrebbe dunque che l’argomento delle Ninfe dovesse essere esaurito. Ma non è così, perchè v’è ancora da parlare delle Ninfe dei monti, delle valli, delle fonti, dei boschi e perfino degli alberi. Perciò il loro numero non potrebbero dirlo nemmeno i più valenti Geografi, in quanto che non sono stati a contar sul globo tutte le fonti, e tanto meno tutti i boschi e boschetti, a cui pur presiedevano almeno altrettante Ninfe.

Ninfa è parola di origine greca, che fu adottata dai Latini e conservata dagli Italiani nello stesso duplice significato primitivo, cioè di Dea inferiore e di giovane donna, perchè credevasi che le Ninfe non invecchiassero mai. Perciò si trovan sempre rappresentate come giovinette ingenue, semplicemente vestite, e tutt’al più ornate di fiorellini campestri come le pastorelle.

Ammettevano per altro i Mitologi un grande assurdo, che cioè queste Divinità potessero morire ; il che è una contradizione in termini teologici. Erano meno assurdi i romanzieri del Medio Evo, che avendo inventato le Fate con potenza soprannaturale benchè limitata, credevano che non morissero mai :

« Morir non puote alcuna fata mai, »

disse l’Ariosto, che di Fate se ne intendeva.

Gli appellativi di Oreadi, Napee, Naiadi e Driadi, che si diedero alle Ninfe, indicano col loro significato a quali cose queste Dee presiedevano ; poichè derivano da greci nomi significanti monti, valli, acque, quercie, e per catacresi, ossia abusivamente o estensivamente, alberi. Amadriadi poi è un greco vocabolo composto, che significa insiem colla quercia, o come si è detto di sopra, coll’albero ; e davasi questo titolo a quelle Ninfe la cui esistenza era legata alla vita vegetativa di una data pianta ; inaridendosi la quale, oppure essendo recisa o arsa, periva ad un tempo la Ninfa Amadriade. — Questi termini essendo significativi degli attributi speciali di quelle Ninfe a cui erano assegnati, conviene che li tengano a memoria anche coloro che non studiano le lingue dotte, perchè li adoprano non solo i poeti greci e i latini, ma altresì, benchè più di rado, gl’ italiani.

Molte di quelle Ninfe a cui fu dato un nome proprio dai Mitologi e dai poeti furono da noi rammentate sinora : qui torna in acconcio di far parola di qualche altra che non troverebbe luogo più opportuno altrove. Tra le quali son da rammentarsi pel loro proprio nome le Ninfe che ebbero cura dell’infanzia di Giove, cioè Amaltea e Melissa. Queste nutrirono l’infante Nume col latte di una capra detta comunemente Amaltea dal nome di una di queste due Ninfe a cui apparteneva. La qual capra fu poi da Giove trasportata in Cielo e cangiata nella costellazione del Capricorno, segno dello Zodiaco, corrispondente al solstizio invernale, e che rifulge di sessantaquattro stelle. Alcuni Mitologi dicono che anche la Ninfa Amaltea fosse cangiata insieme con la sua capra in quella costellazione25. Della Ninfa Melissa poi raccontano che fosse stata la prima a scuoprire il miele in un alveare dentro un albero incavato o corroso dalla vecchiezza ; e che essa poi fosse cangiata in ape.

La favola della Ninfa Eco cangiata in voce è raccontata anche in un modo diverso da quello che accennammo nel Cap. XXXIV ; ed è collegata colla favola di Narciso. E poichè Dante allude ad ambedue queste favole nella Divina Commedia, è necessario il farne qualche cenno.

La Ninfa Eco figlia dell’ Aere e della Terra si era invaghita del giovane Narciso figlio della Ninfa Liriope e del fiume Cefiso ; il qual Narciso era così vano della propria bellezza che non amava che sè stesso e disprezzava superbamente ogni persona. La Ninfa Eco se ne afflisse tanto, e si consumò talmente dal dolore, che di essa vi rimase la voce sola che ripeteva appena le ultime parole altrui. A questa favola allude Dante nel Canto xii del Paradiso coi seguenti versi :

« A guisa del parlar di quella vaga (la Ninfa Eco)
« Ch’amor consunse come Sol vapori ; »

e fa questa similitudine per dar la spiegazione che quando compariscono nel Cielo due Iridi, o come dice Dante :

« Due archi paralleli e concolori
« Nascendo di quel d’entro quel di fuori, »

ciò avviene per riflessione dei raggi della luce, come il parlar dell’ Eco per riflessione del suon della voce.

Quanto poi all’orgoglioso amor proprio di Narciso, la Mitologia inventò molto a proposito che egli ne fu punito coll’essersi innamorato della propria immagine, veduta nello specchio delle acque di una fonte, e che credendola una Ninfa stette tanto a guardarla che ivi morì di estenuazione e fu cangiato nel fiore che porta il suo nome. Dante allude più d’una volta a questa favola, come, per esempio, nel Canto xxx dell’Inferno, ove un dannato dice ad un altro :

« Che s’io ho sete, e umor mi rinfarcia,
« Tu hai l’arsura e ‘l capo che ti duole,
« E per leccar lo specchio di Narcisso (cioè l’acqua)
« Non vorresti a invitar molte parole. »

E nel Canto III del Paradiso, descrivendo le anime beate che egli vide nel globo lunare, dice che gli eran sembrate immagini riflesse dall’ acque nitide e tranquille, anzi che esseri di per sè esistenti, conchiudendo con la seguente osservazione tratta dalla favola di Narciso :

« Perch’io dentro l’error contrario corsi
« A quel che accese amor tra l’uomo e ‘l fonte ; »

cioè tra Narciso e l’immagine sua reflessa dall’acqua.

Anche la Ninfa Galatea è molto rammentata, specialmente dai poeti latini, come una delle più belle Ninfe ; e dicono che se ne fosse invaghito quel mostruoso gigante Polifemo che fu re dei Ciclopi ; ma vedendosi preferito il pastorello Aci, lo uccise gittandogli sopra dall’ alto di un monte un macigno. Gli Dei cangiarono Aci in fiume che scorre nella Sicilia. I pittori hanno gareggiato a rappresentar Galatea di bellissime forme, ed una delle più belle è quella che vedesi nella Galleria degli Uffizi in Firenze.

Le Ninfe oltre ad esser giovani e belle, erano anche generalmente buone e cortesi ; e perciò tanto nelle lingue antiche quanto nelle moderne, e specialmente nella nostra, questo termine di Ninfa, anche nel senso traslato, cioè non mitologico, ha sempre un significato favorevole. Tant’è vero che Dante l’assegnò perfino alle Virtù Cardinali, che sotto forma ed abito femminile accompagnavano Beatrice ; e fa dire alle medesime nel canto xxxi del Purgatorio :

« Noi sem qui Ninfe e nel Ciel semo stelle :
« Pria che Beatrice discendesse al mondo.
« Fummo ordinate a lei per sue ancelle. »

E nel rammentar questo passo il can. Bianchi, che fu segretario dell’Accademia della Crusca, così lo spiegò : Le virtù morali sono ninfe nella vita mortale, che abbellano e felicitano, operando, l’umanità ; sono stelle nel Cielo, da cui derivano e dove Dio le premia. » La quale spiegazione dimostra che ad un teologo, e al tempo stesso elegante scrittore, parve opportunamente adoprata in verso e in prosa la parola Ninfe anche in argomento religioso. Tanto più dunque, concluderemo, in soggetti profani.

Infatti, anche gli Scienziati trovarono da far nuove applicazioni del significato di questo nome e da formarne vocaboli derivati e composti. Gli Zoologi nello studiarsi d’indicare con nomi diversi le successive metamorfosi di certe specie di animali, e principalmente degli insetti, presero dalla Mitologia il vocabolo di ninfa per significare l’insetto nello stato intermedio fra quello di larva e lo stato estremo o perfetto ; e dimostrarono così di aver bene inteso che le Ninfe mitologiche non eran perfette divinità, ma in una condizione media fra quella degli uomini e quella degli Dei supremi. Stabilita la base, e lieti della prima applicazione bene appropriata, presero coraggio a metterne fuori anche altre, e diedero il nome di Ninfale a un genere di Lepidotteri diurni della tribù dei Papilionidi ; e poi al Ninfale del pioppo (N. populea) assegnarono anche un altro nome più familiare e comune, tratto parimente dalla Mitologia, vale a dire Gran Silvano.

I Botanici anch’essi nel determinare la nomenclatura delle piante aquatiche si ricordarono di aver trovato nella Mitologia, o in qualche classico, certe Ninfe dell’acqua, o che stavano nell’acqua, (il nome preciso di Naiadi non pare che lì per lì lo avessero ben presente) e si affrettarono a chiamar Ninfèa una pianta aquatica (detta altrimenti Nenufar e volgarmente giglio degli stagni), e ne fecero il tipo della famiglia delle Ninfacee, ossia delle piante erbacee aquatiche congeneri alla Ninfèa.

In Architettura poi sin dal tempo dei Classici greci e latini chiama vasi Ninfèo non solo il tempio sacro alle Ninfe, ma altresì una particolar costruzione architettonica, o fabbrica sui generis, destinata il più spesso ad uso di bagni, annessa ai palazzi e alle ville dei più doviziosi cittadini, ove, oltre le acque scorrenti in ruscelli e zampillanti in fontane (e necessariamente le vasche e i bacini), aggiungevansi per ornamento e statue e vasi e talvolta ancora un tempietto dedicato alle Ninfe.