(1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXVII. L’Apoteosi delle Virtù e dei Vizii » pp. 493-496
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(1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXVII. L’Apoteosi delle Virtù e dei Vizii » pp. 493-496

LXVII

L’Apoteosi delle Virtù e dei Vizii

I Greci ed i Romani politeisti, oltre all’aver deificato tutti i fenomeni fisici e morali, come abbiam detto, attribuirono a queste Divinità pregi e difetti, virtù e vizii come agli esseri umani ; quindi vi furono divinità benefiche e divinità malefiche, come vi sono uomini buoni e malvagi ; ed anche le migliori divinità ebbero qualche difetto, come la stessa Minerva dea della Sapienza, della quale dissero che ambì il premio della bellezza, e, non avendolo ottenuto, si unì con Giunone a perseguitare per dispetto Paride ed i Troiani. Qual Nume dunque poteva esser perfetto, se tale non era neppur la Dea della Sapienza ? E se un Nume non è perfetto, può egli essere un Dio ? Quegli antichi Romani per altro che tanto fecero maravigliare delle loro morali virtù gli stessi Padri della Chiesa, non conobbero le assurdità della greca fantasia ; e gli antichi precetti religiosi riportati da Cicerone con antico stile nel libro ii delle Leggi, sono ben lontani dalle aberrazioni dei poeti greci e dei latini dell’ultimo secolo della repubblica, che studiarono e imitarono la greca mitologia. Da Tito Livio e da Cicerone sappiamo che esistevano in Roma sino dai primi secoli della Repubblica più e diversi tempii dedicati alla Pietà, alla Fede, alla Libertà, alla Speranza, alla Concordia, alla Pudicizia, alla Virtù militare, all’Onore, alla Vittoria ed alla Salute pubblica, cioè alla più felice conservazione dello Stato. Anche alla Dea Mente, ossia al Senno, fu eretto un tempio dopo la infelice battaglia del Trasimeno. Perciò queste Divinità non erano soltanto astrazioni filosofiche o personificazioni poetiche, ma facevano parte della religione del popolo, e stavano a dimostrare che quando si stabilì il loro culto pubblico e fintantochè si mantenne, il popolo credeva nell’esistenza della Virtù ; e solo dopo le orribili guerre civili, allo spegnersi della repubblica colla vita di Marco Bruto, si udì la bestemmia che egli per disperato dolore proferì nell’atto di uccidersi : « O Virtù, tu non sei che un nome vano ! »

Per lo contrario nei migliori tempi della Repubblica non troviamo facilmente che fossero eretti tempii e prestato culto pubblico a divinità viziose o credute protettrici del vizio. Gli stessi Baccanali introdotti in Roma da un Greco di oscura nascita (Grœcus ignobilis, come dice Tito Livio) e vituperosamente celebrati in adunanze clandestine furono legalmente perseguitati dal Console Postumio, e quindi proibiti dal Senato l’anno 566 dalla fondazione della città, e 186 anni avanti Gesù Cristo. Ma poi nel cadere della Repubblica e nei primi tempi dell’Impero sappiamo non solo dagli Storici, ma dai poeti stessi imperiali, che la corruzione avea dal mondo romano bandita ogni virtù religiosa e civile. Dicemmo, parlando di Mercurio, che i mercanti romani, secondo quel che afferma Ovidio nei Fasti, pregavano questo Dio a proteggerli nell’ingannare il prossimo senza essere scoperti, e a potersi godere tranquillamente il frutto delle loro ruberie. Anche Orazio mette in versi la preghiera di un ladro a Laverna, Dea dei ladri, in cui alla furfanteria è congiunta la ipocrisia colle parole da justum sanctumque videri, perchè cioè quel ladro non si contentava di rimanere impunito, ma voleva anche apparire agli occhi del mondo uomo santo e pio per ingannare più facilmente il prossimo suo. Non è noto però che la Dea Laverna avesse un pubblico tempio in Roma ; e degli Dei superiori adoravansi pubblicamente i pregi e le virtù, e non i vizii che erano loro dai mitologi e dai poeti attribuiti. Ma della Dea Nèmesi, Dea della vendetta, era pubblico il culto ; e fu generale tra i Pagani il sentimento che lo ispirava. Nè già si contentavano essi di lasciare le loro vendette a questa Dea, ma davano opera ad ottenerle e compierle col proprio braccio e co’propri mezzi. Vero è che in Roma nel culto pubblico e nel tempio che erale stato eretto, questa Dea fu adorata come figlia di Giove e della Giustizia, e perciò come rappresentante la giusta vendetta, ossia la punizione di quelle colpe che non cadono sotto la sanzione penale delle comuni leggi umane : riferivasi dunque piuttosto alla pubblica vendetta del Popolo Romano per mezzo della guerra, che alle vendette particolari dei privati cittadini. Ma ognuno poi l’interpretava a suo modo e secondo le sue proprie passioni ; e lo spirito di vendetta tanto potente e feroce nei secoli barbari, ben poco perdè della sua forza e della sua intensità nei secoli così detti civili, neppure dopo la promulgazione dell’ Evangelio che santificò il perdono e l’oblio delle offese.

Di tutte le affezioni dell’animo, e perciò di tutte le Virtù e di tutti i Vizii, hanno gli antichi ed i moderni poeti fatto la descrizione come di tanti esseri soprannaturali, di tante divinità o benefiche o malefiche ; e a seconda di queste descrizioni si sono aiutati gli artisti a rappresentarle in scultura e in pittura. Ma non tutte queste allegoriche divinità ebbero culto pubblico e tempii presso i Pagani : delle Virtù però molte, come abbiam detto di sopra nominandole ; dei Vizii ben pochi. Per altro pitture e statue si fecero e si fanno tuttora di qualunque Virtù e di qualunque Vizio, ed anche di qualsivoglia idea astratta, politica o religiosa. Il riferirne ed analizzarne le poetiche descrizioni antiche e moderne è ufficio dei professori di rettorica e belle lettere, e il descriverne le antiche e le moderne sculture o pitture appartiensi ai professori gnostici ed estetici di Belle Arti, e non al Mitologo, poichè miti speciali non vi sono in queste astrazioni, o personificazioni, o apoteosi, da raccontare.

Questa facoltà poetica di rappresentare con descrizioni o con immagini sculte o dipinte qualunque virtù, qualunque vizio, qualunque idea astratta non è già spenta negli uomini dei nostri tempi ; anzi vedesi sempre rinnuovata non solo nelle moderne poesie, ma pur anco nei monumenti ove le Virtù civili e militari, ed anche le religiose, sono rappresentate per mezzo di figure umane accompagnate da oggetti simbolici che ne suggeriscono il significato ed il nome, senza bisogno di scriverlo sulla base delle medesime o in qualche parte delle loro vesti o dei loro ornamenti. E se nei pubblici monumenti non vedonsi che personificazioni di Virtù e di novelli pregi derivati dall’incremento e dal perfezionamento delle Scienze e delle Arti, nei poeti moderni trovansi ancora descritti e personificati i Vizii del loro secolo ; e basterà per tutti citare il Giusti, che ci rappresentò quelli predominanti a tempo suo (cioè nella prima metà del presente secolo) facendone poeticamente l’apoteosi mitologica nei seguenti versi :

« Il Voltafaccia e la Meschinità
« L’Imbroglio, la Viltà, l’Avidità
« Ed altre Deità,
« Come sarebbe a dir la Gretteria
« E la Trappoleria,
« Appartenenti a una Mitologia
« Che a conto del Governo a stare in briglia
« Doma educando i figli di famiglia,
« Cantavano alla culla d’un bambino,
« Di nome Gingillino,
« La ninna nanna in coro,
« Degnissime del secolo e di loro. »