(1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXIV. Vulcano e i Ciclopi » pp. 152-160
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(1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXIV. Vulcano e i Ciclopi » pp. 152-160

XXIV

Vulcano e i Ciclopi

Tutti i poeti si accordano a rappresentar Vulcano deforme e zoppo : differiscono solo nel raccontar la causa di questi difetti della sua forma corporea, che certamente debbono apparire strani e irrazionali ed anche impossibili in una Divinità, e tanto più in un figlio di Giove e di Giunone. Ma poichè ammettevasi nella classica Mitologia una Divinità più potente di Giove, il Fato, agli inesorabili decreti del quale eran sottoposti tutti gli Dei, attribuivansi al Fato tutte le irregolarità inventate dalla fantasia dei mitologi e dei poeti. Esiodo ci dice che Vulcano nacque zoppo e deforme, che dalla stessa Giunone sua madre fu gettato giù dall’Olimpo nel mare, e pietosamente raccolto ed allevato da due Dee marine Teti ed Eurinome. Ma Omero fa raccontare a Vulcano stesso che il trattamento brutale di esser precipitato dal Cielo in Terra (per la qual caduta divenne zoppo) lo ricevè essendo già adulto, e non da Giunone, ma da Giove, poichè il poeta così introduce Vulcano a parlar colla madre :

« …….Duro egli è troppo
« Cozzar con Giove. Altra fiata, il sai,
« Volli in tuo scampo venturarmi. Il crudo
« Afferrommi d’un piede, e mi scagliò
« Dalle soglie celesti. Un giorno intero
« Rovinai per l’immenso, e rifinito
« In Lenno caddi col cader del Sole,
« Dalli Sintii raccolto a me pietosi. »
(Iliade, i.)

Ma o prima o poi che l’infortunio accadesse, anche Omero chiama Vulcano l’inclito zoppo, e come zoppo Vulcano è conosciuto questo Nume anche dal nostro volgo ; e la fama dei suoi esterni difetti, benchè a lui non imputabili, si è maggiormente diffusa (come accade pur troppo nel mondo) ed è stata più durevole di quella dei suoi rarissimi pregi nella Metallurgia. A Vulcano infatti attribuivansi i più mirabili lavori in metallo, dal carro e dalla reggia del Sole al cinto di Venere ; e Omero aggiunge che tutti gli Dei possedevan palagi

« ……che fabbricati
« A ciascheduno avea con ammirando
« Artifizio Vulcan l’inclito zoppo.

Questo Dio è rappresentato in pittura e in scultura come un uomo robusto e con folta barba, ma non però tanto brutto quanto dicono i poeti ; e il difetto di essere zoppo da un piede è appena accennato. E per farne distinguere gli ufficii, gli pongono in mano un martello e presso a lui un’incudine, e qualcuno dei suoi più celebri lavori di metallo.

Molti sono i lavori di questo Dio, descritti e celebrati dai poeti ; e di alcuni avremo occasione di parlare in appresso nel ragionar di quei personaggi per cui furono eseguiti : qui basterà soltanto accennarne due, cioè gli automi ed i fulmini.

Chi ha veduto qualche automa in azione189, o almeno conosce storicamente il meccanismo e gli effetti maravigliosi di queste macchine ingegnosissime, che sotto forme di uomini o di animali eseguiscono lavori e operazioni proprie soltanto degli esseri animati (e quel che è più, mirabile anche delle persone che ragionano ed hanno studiato una scienza o un’arte), non troverà tanto strano il racconto di Omero, che Vulcano avesse congegnate

« …….forme e figure
« Di vaghe ancelle tutte d’oro, e a vive
« Giovinette simili, entro il cui seno
« Avea messo il gran fabbro e voce e vita
« E vigor d’intelletto e delle care
« Arti insegnate dai Celesti il senno.
« Queste al fianco del Dio spedite e snelle
« Camminavano. »
(Iliade, xviii.)

Tranne l’infonder la vera vita e l’intelligenza alla materia bruta (privilegio non accordato all’arte umana), hanno saputo i meccanici fino ab antico formare automi maravigliosi, dalla colomba volante di Archita al giuocator di scacchi del barone di Kempelen. E Omero narrandoci che quelle ancelle di Vulcano, veramente auree (perchè tutte d’oro) erano simili a vive giovinette, viene a significare che eran veri e proprii automi. Dei quali i primi tentativi dovevan risalire ai tempi di Omero, se soltanto 500 anni dopo di esso, fu così abile Archita, come si racconta, da costruire una colomba volante.

Altri automi più semplici, e non di umana forma, ma non meno mirabili, descrive Omero come fatti da Vulcano :

« ……..Avea per mano
« Dieci tripodi e dieci, adornamento
« Di palagio regal. Sopposte a tutti
« D’oro avea le rotelle, onde ne gisse
« Da sè ciascuno all’assemblea de’Numi,
« E da sè ne tornasse onde si tolse :
« Maraviglia a vederli ! »
(Iliade, xviii.)

Nel medio evo, al risorger delle lettere e delle scienze, si risvegliò ancora la manìa di costruire automi ; e sappiamo che Alberto Magno fece un bellissimo androide che apriva la porta di casa a chi battesse a quella, e quando le persone entravano le salutava.

Nei secoli successivi furono celebri la mosca e l’aquila volante di Regiomontano, diversi automi di Leonardo da Vinci, e specialmente il famoso leone, di cui parla anche il Vasari, le teste parlanti dell’abate Mical, il suonator di flauto di Vaucanson e l’anitra del medesimo, la quale nuotava, mangiava e digeriva ; e nel presente secolo, oltre il giuocatore di scacchi rammentato di sopra, anche il calcolatore aritmetico di Babbage. Ma questi sforzi della meccanica consumano molti anni e molti danari di persone ingegnosissime senza una pratica utilità ; pochi istanti di maraviglia, ecco tutto il fine e l’effetto ! Perciò in oggi si stimano, e sono veramente più utili gli automi che lavorano più e meglio degli uomini e risparmiano loro la fatica materiale e meccanica, come fanno le macchine da filare, da tessere, da cucire, ecc. Inoltre per bellezza e comodo si moltiplicheranno sempre gli orologi ; e si può asserire che anche i girarrosti a macchina son più utili degli automi di animali nuotanti e volanti, e degli androidi che non sanno far altro che suonare e giuocare.

Parlando poi della formazione dei fulmini, dei quali gli Antichi attribuirono la costruzione meccanica a Vulcano, tanto i mitologi quanto i poeti dissero più spropositi che parole, perchè non avevano veruna idea del fluido elettrico, di questa misteriosa e tremenda forza invisibile e imponderabile della Natura, di cui la scienza è giunta in questo secolo a sapersi valere per eseguir lavori di precisione matematica e per trasmettere i concetti e i desiderii degli uomini anche agli antipodi colla velocità del lampo. Sentiamo dunque su questo proposito ciò che ne scriveva il poeta Virgilio,

« Che visse a Roma sotto il buono Augusto, »

e che Dante chiama suo maestro

« E quel savio gentil che tutto seppe. »

Nel libro viii dell’Eneide descrive prima la fucina di Vulcano coi Ciclopi suoi garzoni che lo aiutavano a fabbricare i fulmini ; e quindi enumera gli elementi o materie prime di cui li componevano :

« …….Stavan nell’antro allora
« Sterope e Bronte e Piracmone ignudi
« A rinfrescar l’aspre saette a Giove.
« Ed una allor n’avean parte polita,
« Parte abbozzata, con tre raggi attorti
« Di grandinoso nembo, tre di nube
« Pregna di pioggia, tre d’acceso foco,
« E tre di vento impetuoso e fiero.
« I tuoni vi aggiungevano e i baleni
« E di fiamme e di furia e di spavento
« Un cotal misto190. »
(Traduz. del Caro.)

Si vede bene che Virgilio enumera poeticamente i fenomeni fisici che accompagnano lo scoppio del fulmine ; ma non spiega in che consista il fulmine stesso, perchè nè egli, nè Dante, nè alcun dotto dell’antichità o del medio evo poteva saperlo. Avevano sì gli antichi osservato l’elettricità che si sviluppa collo strofinamento dell’ambra (dal cui greco nome di electron fu appunto denominato questo fenomeno e l’elettricità stessa), ma si fermarono per secoli e secoli a questa prima osservazione, e non andaron più oltre191, lasciando ai moderni, e specialmente agli italiani, (Galvani e Volta), la gloria delle più grandi scoperte e delle più utili applicazioni della elettricità 192. Così la scienza moderna mandò in dileguo le fantasmagorie della immaginazione e della superstizione, e rivelò le mirabili verità delle grandi leggi della Natura.

Conosciute e spiegate le favole, consideriamo l’allegoria contenuta nell’invenzione di questo Dio e de’suoi attributi. Di che era simbolo Vulcano ? Evidentemente del fuoco, senza del quale sarebbe impossibile eseguire i lavori di metallurgia. Il nome stesso latino di Vulcanus, che secondo Servio è un’abbreviazione di volicanus, s’intende che voglia significare l’agitarsi e quasi lo svolazzar della fiamma. Infatti è generalmente dagli Antichi venerato Vulcano come Dio del fuoco193 e del fabbrile ingegno. Il nome di Efesto che gli davano i Greci non fu adottato dai poeti latini, nè dagl’italiani ; ma il termine di Vulcano è usato figuratamente anche in prosa in ambedue queste lingue. Nelle scienze fisiche chiamansi Vulcani i monti che gettano fiamme, fumo, lava infocata, ceneri, lapilli, ecc., e vulcaniche queste eruzioni, e vulcaniche le materie eruttate. Anche i geologi seguaci della scuola di Hutton194, che spiegavano, coll’ammettere l’esistenza del fuoco centrale, la formazione della maggior parte delle roccie del nostro globo, furon chiamati Vulcanisti ; e Vulcanismo dicesi ancora questo sistema di geologia, e Vulcanologia la storia e la teoria dei Vulcani.

Aveva Vulcano anche un altro nome in latino. Si chiamava Mulciber (a mulcendo ferro) dall’ammollire il ferro ; e perciò potrebbe tradursi a parola il fonditore ; ma il vero fonditore è il fuoco, e non l’artefice che fa le forme e vi versa il metallo fuso e liquefatto dal fuoco.

Gli si dava anche il titolo di Lemnio, derivato dall’isola di Lemno, dove cadde dal Cielo e fu amorevolmente raccolto e venerato qual Dio. Lemno era un’isola vulcanica : ecco perchè per l’appunto la favola fa cadere e adorare Vulcano in quest’isola ; e per lo stesso motivo pone le sue fucine sotto il monte Etna ed altri monti vulcanici : e quindi aggiunge che le eruzioni vulcaniche son le fiamme e le scorie di queste fucine metallurgiche, e i crateri sono i camini delle medesime. Questo si chiama esser logici nel portare l’errore sino alle ultime conseguenze !

Chi si ricorda che anche Vesta giovane era considerata come Dea del fuoco, non si dovrà maravigliare che due Divinità fossero assegnate dai mitologi a questo elemento, quando pur si rammenti che avevan fatto presiedere alla Terra tre Dee, come notammo nel N° VIII, e trovammo che ciascuna aveva speciali attributi per distinguersi dall’altra. Così distinguevano ancora il fuoco celeste dal fuoco terrestre : a quello facean presieder Vesta, e a questo Vulcano. Erravano però nel credere che il fuoco che essi chiamavan celeste fosse di natura diversa da quello terrestre, non sapendo essi che risulta egualmente da combustione o ignizione di materie più o meno infiammabili ; e soltanto gli astronomi moderni colle loro analisi spettroscopiche hanno dimostrato sinora, che nel Sole si trovano in ignizione la maggior parte delle sostanze del nostro globo ; e che le stelle non sono che altrettanti Soli generalmente molto più grandi del nostro, ma composte presso a poco degli stessi elementi. Quanto poi a quel che gli Antichi chiamavan fuoco del fulmine (ignea vis), chi non sa che si forma nell’atmosfera della nostra Terra e con elementi che provengon da questa ? e che noi possiamo riprodurre a nostro beneplacito i fenomeni del lampo e del fulmine, benchè in piccole proporzioni, colla macchina elettrica ?

Passando ora a parlare dei Ciclopi, dei quali si è fatto un sol cenno col dire che tre di essi, cioè Bronte, Sterope e Piracmone aiutavano Vulcano a fabbricare i fulmini a Giove, noteremo prima di tutto l’etimologia del loro nome, che è composto di due parole greche ciclos (circolo) e ops (occhio), per indicare la straordinaria particolarità a loro attribuita di aver cioè un sol occhio circolare

« Di targa e di Febea lampade in guisa
« Sotto la torva fronte, »

come dice Virgilio. Aggiungasi che erano di gigantesca corporatura e di forze corrispondenti alla medesima. La loro stirpe era quella stessa dei Titani, poichè credevasi che fossero figli del Cielo e della Terra, ossia di Urano e di Vesta Prisca. Uno soltanto di essi era figlio di Nettuno e della ninfa Toosa, e questi chiamavasi Polifemo (il qual greco vocabolo significa celeberrimo) ed era considerato come il re di tutti gli altri, i quali furono pochi più di cento, ma tutti feroci ed antropofagi. Abitavano in un’isola, secondo Omero, vicina alla Sicilia, e secondo altri poeti, nella Sicilia stessa. A spiegar la favola dell’unico occhio fu detto che i Ciclopi eran soliti di portare in guerra una visiera con un sol foro circolare in direzione degli occhi, uso inventato dai tre aiutanti di Vulcano per ripararsi la faccia nel lavorare i metalli incandescenti.

Dal nome dei Ciclopi son derivate alcune denominazioni in Archeologia e in Zoologia. Gli archeologi chiamano ciclopiche quelle antichissime costruzioni composte di grandi massi o macigni talvolta irregolari, ma spesso ancora tagliati a poliedri regolari, e notabili inoltre per l’assenza di qualunque cemento : la loro pesante mole ne rende sicura la stabilità, e fece attribuire tali costruzioni alla gigantesca forza dei Ciclopi. Se ne trovano principalmente in Grecia e in Italia ; e le più antiche sono per lo più attribuite ai Pelasgi.

In Zoologia si dà il nome di Ciclopi a un genere di Crostacei, secondo Müller, dell’ordine dei Branchiopodi, e della famiglia dei Monocoli per questa loro caratteristica di avere un sol occhio. Se ne trovano generalmente nelle acque dolci e stagnanti, e in maggiore abbondanza nelle vicinanze di, Parigi, in Svizzera e in molte parti d’Italia.