(1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXVII. Gli Dei Dei Fiumi » pp. 285-289
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(1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXVII. Gli Dei Dei Fiumi » pp. 285-289

XXXVII

Gli Dei Dei Fiumi

Se i Mitologi ed i poeti inventarono le Divinità delle fonti, tanto più è presumibile che non avranno mancato d’immaginare gli Dei dei Fiumi. E quanto ai nomi li presero dalla Geografia, vale a dire adottarono quegli stessi nomi che avevano i diversi fiumi nei diversi paesi. Supposero che questi Dei abitassero negli antri donde usciva la sorgente del fiume, la quale chiamavasi poeticamente il capo. Tibullo si maravigliava che il Padre Nilo nascondesse il suo capo in ignote terre26 ; e per quanto i Geografi e i più arditi viaggiatori si sieno affaticati a cercarlo, non son riusciti ancora ben bene, dopo circa 2000 anni, a levarsi questa curiosità : sembra che il Padre Nilo si diverta a far capolino tra i monti dell’Abissinia e si ritiri sempre un poco più in là. Il Padre Tebro poi, ossia il fiume Tevere, era un personaggio molto serio, ed in certi casi anche un poco profeta. Nell’Eneide parla divinamente nel suo linguaggio originale, come lo fa parlare Virgilio27.

Virgilio inoltre si dà premura di presentarci ancora il ritratto del Dio Tevere,

« ….. che già vecchio al volto
« Sembrava. Avea di pioppo ombra d’intorno ;
« Di sottil velo e trasparente in dosso
« Ceruleo ammanto, e i crini e ‘l fronte avvolto
« D’ombrosa canna28. »

Per altro in pittura e in scultura si aggiungono altri distintivi ai diversi fiumi. Si rappresentano generalmente seduti in un terreno alquanto declive e colle gambe stese per indicare il corso del fiume e la pendenza dell’ alveo : ha ciascuno di essi presso di sè un’urna da cui esce l’acqua per significar la sorgente ; e se il fiume è navigabile, si pone in mano alla figura del Dio un remo : se poi il suo corso si dirama in due o più alvei, si aggiungono sulla fronte del Nume due corna. Inoltre la corona o ghirlanda del fiume è composta di canne, come del Tevere ha detto Virgilio, o ancora delle fronde di quegli alberi che più facilmente vegetano sulle sue rive, o che sono particolari alla regione nella quale scorre quel fiume. Modernamente, per indicar meglio qual Fiume sia rappresentato, gli si pone appresso, o nella sinistra, uno scudetto coll’arme o stemma di quel popolo pel territorio del quale scorrono le sue acque.

Tra i Fiumi della Grecia ve n’erano alcuni molto bizzarri. Il fiume Alfeo, per esempio, essendosi invaghito della Ninfa Aretusa 29 (cangiata in fonte che scorrevà sotto terra nella Sicilia presso Siracusa), per andarla a trovare si scavò un canale sottomarino e la raggiunse tra i ciechi labirinti delle inferne regioni30. Il fiume Acheloo fu battagliero quanto Rodomonte, e osò venir tre volte a singolar tenzone con Ercole per ottenere a preferenza di lui Deianira in isposa. E di questa pugna dovremo parlare altrove più a lungo.

I fiumi poi della Troade eran piccini, ma furiosi. Omero ci racconta che il fiume Xanto (chiamato altrimenti lo Scamandro 31, nel tempo della guerra di Troia vedendo le stragi che Achille faceva dei Troiani, congiurò col Simoenta, suo fratello, di annegar quell’Eroe nelle loro acque ; ed avrebbe ottenuto l’intento, se non accorreva Vulcano con una gran fiamma a vaporizzarle. E poichè è un’alta gloria di quel piccolo fiume l’aver fatto paura egli solo al tremendissimo Achille, che non aveva paura di alcuno, non sarà discaro il sentire con quale impetuosa eloquenza il Xanto incoraggiava il fratello Simoenta ; e poi quanto fu grande lo sgomento di Achille che disperatamente si lamentava, e pietosamente si raccomandava agli Dei che lo salvassero.

Nel libro xxi dell’ Iliade (trad. del Monti) così parla il Xanto al Simoenta :

« Caro germano, ad affrenar vien meco
« La costui furia, o le dardanie torri
« Vedrai tosto atterrate, e tolto ai Teucri
« Di resister la speme. Or tu deh ! corri
« Veloce in mio soccorso, apri le fonti,
« Tutti gonfia i tuoi rivi, e con superbe
« Onde t’innalza, e tronchi aduna e sassi,
« E con fracasso ruotali nel petto
« Di questo immane guastator, che tenta
« Uguagliarsi agli Dei. Ben io t’affermo
« Che nè bellezza gli varrà nè forza
« Nè quel divin suo scudo, che di limo
« Giacerà ricoperto in qualche gorgo
« Voraginoso. Ed io di negra sabbia
« Involverò lui stesso, e tale un monte
« Di ghiaia immenso e di pattume intorno
« Gli verserò, gli ammasserò, che l’ossa
« Gli Achei raccorne non potran : cotanta
« La belletta sarà che lo nasconda.
« Fia questo il suo sepolcro, onde non v’abbia
« Mestier di fossa nell’esequie sue.
« Disse, ed alto insorgendo, e d’atre spume
« Ribollendo e di sangue e corpi estinti,
« Con tempesta piombò sopra il Pelide.
« …………………
« Levò lo sguardo al Cielo il generoso
« Ed urlò : Giove padre, adunque nullo
« De’numi aita l’infelice Achille
« Contro quest’onda ! Ah ! ch’io la fugga, e poi
« Contento patirò qual sia sventura.
« Ma nullo ha colpa de’Celesti meco
« Quanto la madre mia che di menzogne
« Mi lattò, profetando che di Troia
« Sotto le mura perirei trafitto
« Dagli strali d’Apollo ! Oh foss’io morto
« Sotto i colpi d’Ettorre, il più gagliardo
« Che qui si crebbe ! Avria rapito un forte
« D’un altro forte almen l’armi e la vita.
« Or vuole il Fato che sommerso io pera
« D’oscura morte, ohimè ! come fanciullo
« Di mandre guardïan cui ne’piovosi
« Tempi il torrente, nel guadarlo, affoga. »

Avremo da parlar tanto delle prodezze di Achille (invidiato dallo stesso Alessandro il Grande per la singolar fortuna di averne per banditore Omero), che non vi sarà spazio a raccontar questa sua unica paura, che trova qui posto più opportuno, parlandosi delle prodezze e dei vanti dei fiumi della Troade.