(1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — VIII. Tre Divinità rappresentanti la Terra, cioè Vesta Prisca, Cibele e Tellùre » pp. 39-43
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(1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — VIII. Tre Divinità rappresentanti la Terra, cioè Vesta Prisca, Cibele e Tellùre » pp. 39-43

VIII

Tre Divinità rappresentanti la Terra, cioè Vesta Prisca, Cibele e Tellùre

Abbiamó detto nel N. V, che Vesta Prisca moglie di Urano era considerata come la Dea della Terra : ora aggiungiamo che anche due altre Dee, cioè Cibele e Tellùre, avevano la stessa rappresentanza. — Eran forse uguali e comuni i loro uffici, oppure diversi e disgiunti ? — Eccone le differenze :

Vesta Prisca fu considerata come la Terra appena separata dal Caos, e perciò priva di piante e di animali ; Cibele poi come la Terra ornata di tutte le produzioni dei tre regni della Natura, animale, vegetale e minerale, e Tellùre come il complesso delle forze fisiche della materia terrestre.

Questa triplice distinzione richiama al pensiero l’ipotesi dei geologi e degli astronomi moderni sull’origine della Terra, che cioè essendo essa in principio una massa di materia incandescente, o in fusione ignea, non era atta alla produzione e conservazione dei vegetabili e degli animali ; che in appresso, in centinaia di secoli, a poco a poco raffreddandosi aveva formato la solida crosta del globo terrestre con tutti i diversi suoi strati ; e gradatamente prodotto tutti gli oggetti dei tre regni della Natura nelle diverse e successive epoche geologiche.

Di Vesta Prisca abbiamo parlato abbastanza trattando di Urano ; nè qui, dopo aver notato come distinguevasi essa dalle altre due Dee rappresentanti la Terra, resta altro da aggiungere.

Circa alla Dea Tellùre basterà il sapere che Cicerone nel libro iii della Natura degli Dei dice che Tellùre non è altra Dea che la Terra40 ; che tanto i poeti quanto i prosatori latini usarono la parola tellùre come sinonimo di terra 41 ; e che Dante stesso nella Divina Commedia rammenta l’orazione lamentevole della Dea Terra in occasione dell’incendio mondiale cagionato dall’imprudenza di Fetonte42, come a suo luogo vedremo.

Di Cibele per altro convien parlare molto più a lungo.

Comincieremo dal notarne i diversi nomi e l’etimologia dei medesimi. Quello di Cibele è il più noto e comune : derivò dal nome di una città e di un monte omonimo nella Frigia, ove questa Dea fu prima che altrove adorata. Alcuni autori la chiamano ancora Cibebe, e fanno derivar questo nome da cubo, ossia dado, che è la più salda e stabile figura geometrica, essendo uguale nelle tre dimensioni di lunghezza, larghezza e profondità ; e venendosi perciò a significare la creduta stabilità o immobilità della Terra, a cui presiedeva Cibele.

Chiamavasi in greco e in latino Rhea (nome che fu poi dato anche alla madre di Romolo, Rhea Sylvia), da un greco verbo che significa scorrere, perchè dalla Terra scorrono, ossia provengono tutte le cose. Con questo nome di Rhea la rammenta anche Dante nel Canto xiv dell’ Inferno, ov’egli parla dell’isola di Creta e del monte Ida :

« Rhea la scelse già per cuna fida
« Del suo figliuolo, e per celarlo meglio,
« Quando piangea, vi facea far le grida ; »

alludendo evidentemente alla favola già da noi raccontata dell’infanzia di Giove e de’suoi fratelli.

Chiamavasi Opi dal nome latino Ops, Opis, che significa aiuto, soccorso, perchè la Terra colle sue produzioni soccorre ai bisogni dei mortali.

Qualche volta fu confusa collo Dea Tellùre, e perciò le fu dato anche il nome di questa.

Aveva poi molti altri nomi, come Berecinzia, Dindimene, Idèa 43, Pessinunzia, dai monti e dai luoghi ove era adorata.

Le era particolare il titolo di Gran Madre, tanto in greco (megale meter,) quanto in latino (magna mater,) perchè oltre ad esser la madre di Nettuno Dio del Mare, di Plutone Dio dell’Inferno, di Giunone regina del Cielo, era anche la madre di Giove re supremo, del quale eran figli la maggior parte degli altri Dei.

Il culto di Cibele fu introdotto in Roma ai tempi della seconda guerra punica allorchè, infierendo una pestilenza, le risposte dei libri sibillini prescrissero che per farla cessare si ricorresse alla Gran Madre. S’interpetrò che si dovesse far venire a Roma la Dea Cibele adorata in Asia nella città di Pessinunte. Il viaggio di andata e ritorno era un po’ lungo e richiedea qualche mese di tempo : talchè quando giunse in Roma la statua della Dea, il morbo pestilenziale, già pago delle vittime fatte a suo bell’agio, era cessato.

La statua di Cibele venuta dall’Asia era una pietra informe che i Frigi credevano caduta miracolosamente dal Cielo (probabilmente una di quelle pietre meteoriche, dette ora aereoliti). Racconta Tito Livio (lib. xxix, cap. 14) che ad incontrarla accorse la popolazione fino ad Ostia ; l’accolse e le dedicò un tempio Scipione Nasica, giudicato il più sant’uomo di Roma ; la portarono sulle spalle le matrone e le vergini Vestali. Nè vi mancarono i pretesi miracoli, come racconta Ovidio nel iv dei Fasti : ogni superstiziosa religione ha i suoi adattati alle fantasie ed alla credulità dei popoli.

In Roma per altro Cibele in progresso di tempo acquistò forma ed emblemi degni di una Dea. Fu rappresentata come una matrona con lunga veste ornata di piante e di animali ; in capo aveva una corona turrita, ossia in forma di torri ; presso di sè un disco ossia tamburo ed un leone ; e spesso le si dava ancora un carro tirato da due leoni. La veste ornata di piante e di animali indicava il carattere distintivo di Cibele, che presiedeva alla terra divenuta fertile e abitabile ; la corona di torri significava che quella Dea avesse insegnato agli uomini a fortificar le città ed i castelli ; il disco o tamburo, dicevano gli Antichi, che era il simbolo dei venti che spirano sopra la Terra ; e le era sacro il leone come il re degli animali terrestri.

I sacerdoti di questa Dea si chiamavano Galli, Coribanti, Cureti e Dattili : i primi due nomi son più comuni e più frequentamente usati.

Eran detti Galli, perchè in Frigia bevevano l’acqua del fiume Gallo 44, che li faceva divenire furibondi ; nel quale stato di concitazione o di orgasmo urlavano, battevano gli scudi e i tamburi, e si percuotevano fra loro con armi taglienti sino a ferirsi e mutilarsi. Quindi l’altra favola che essi in origine facessero questo strepito per ordine di Cibele, affinchè non si udissero in Cielo le grida dei figli di lei. In Roma conservarono più comunemente questo nome di Galli ; e poichè facevano vita comune e non avevano moglie, somigliavano in questo i monaci o frati. Cicerone nelle sue opere filosofiche aggiunge un’altra notabile rassomiglianza, che essi avevano coi nostri frati mendicanti, perchè asserisce che i Galli della madre degli Dei erano i soli sacerdoti a cui fosse lasciata per pochi giorni la facoltà di far la questua ; ma non ne dice il perchè, non vedendo forse una buona ragione di questo eccezional privilegio, e, a quanto pare dal contesto delle sue parole, disapprovandolo45.

Il nome di Coribanti deriva da due parole greche che significano cozzanti col corno ; il che appella ai loro furori per cui sembravano tori infuriati che tra lor si cozzassero.

Cureti significa Cretensi, ossia dell’isola di Creta, perchè ivi in origine abitavano quando nacquero Giove, Nettuno e Plutone.

Eran poi chiamati Dattili, perchè eran dieci come le dita ; dal greco termine dactilos che significa dito.

A Cibele era sacro il pino, perchè in quest’albero fu da lei cangiato un suo prediletto sacerdote chiamato Ati, che si era per disperazione mutilato e poi precipitato fra i dirupi e i sottoposti abissi di un monte. E questa è la prima metamorfosi, ossia trasformazione, di cui ci è occorso di far parola nella Mitologia. Ne troveremo in appresso tal quantità che la collezione di esse diede origine ad un celebre poema latino, intitolato appunto le Metamorfosi.