(1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — IX. Vesta Dea del fuoco e le Vestali » pp. 44-47
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(1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — IX. Vesta Dea del fuoco e le Vestali » pp. 44-47

IX

Vesta Dea del fuoco e le Vestali

Ad una delle figlie di Saturno e di Cibele fu dato il nome stesso dell’ava, cioè di Vesta ; e per distinguere l’una dall’altra fu aggiunto all’ava l’aggettivo di Prisca o Maggiore, e alla nipote quello di Giovane o Minore. Per dare anche a questa un qualche ufficio fu inventato che presiedesse al fuoco, il quarto degli elementi del Caos ; e siccome il fuoco nulla produce, fu detto che Vesta minore non prese marito e fu Dea della castità. Quindi il culto di questa Dea fu affidato ad alcune sacerdotesse chiamate le Vergini Vestali.

Il culto di Vesta per altro è antichissimo, poichè Virgilio asserisce che praticavasi in Troia, e che da Enea fu trasportato in Italia46. E che questa Dea, prima della fondazione di Roma, fosse adorata in Alba e vi avesse un tempio e le sacerdotesse Vestali, lo deduciamo dallo stesso Tito Livio, non che da tutti gli altri storici e poeti latini, i quali concordemente ci narrano che Rea Silvia, che fu poi madre di Romolo, era stata costretta dallo zio Amulio a farsi Vestale.

Nel tempio di Vesta non vedevasi alcuna statua o immagine della Dea ; ma soltanto un’ara col fuoco perpetuamente acceso, come simbolo della creduta perpetuità del romano impero47. Il tempio era piccolo e di figura circolare o vogliam dire cilindrica, con colonne esterne che sostenevano il tetto o la vôlta. Se ne trova tuttora uno vicino al Tevere, e si crede situato quasi sul posto stesso di quello che Orazio dice atterrato a tempo suo da una violenta inondazione ; un altro simile si vede nella parte più elevata di Tivoli.

Se poco hanno avuto da inventare e da raccontarci i mitologi sulla vita semplice e monotona che attribuirono a questa Dea, molto ci hanno narrato gli storici romani sulla importanza del culto di Vesta e dell’ufficio delle Vergini Vestali in Roma.

Il culto di Vesta aveva importanza non solo relativamente alla religione, ma pur anco alla politica. I due punti principali erano : primo, la conservazione perpetua del fuoco sacro, che simboleggiava, come abbiam detto, la perpetua durata di Roma e del suo impero ; e secondo, la più scrupolosa illibatezza delle Vestali che si erano dedicate al servizio della Dea della castità. Da queste due condizioni credeva il popolo che dipendesse la prosperità dello Stato ; e temeva imminente una grave sciagura, se fossero neglette o non rispettate. Conosciute queste popolari credenze o superstizioni, s’intende subito anche la ragione della importanza attribuita alle Vestali e all’adempimento dei loro voti.

Il numero delle Vestali non fu mai più di sette. Si prendevano da famiglie illustri, o almeno civili ed oneste48 : l’età non dovea esser minore di anni sette, nè maggiore di dieci. L’ufficio loro durava per trent’anni ; dopo il qual tempo potevano uscir di convento e prender marito : il che però di rado accadeva, poichè fu considerata una determinazione infausta per la Vestale.

I voti e gli obblighi che riguardavano l’interesse pubblico erano quei due indicati di sopra ; e severissime le pene minacciate ed inflitte per la violazione di quelli. La Vestale che avesse lasciato spengere il fuoco sacro, era battuta pubblicamente colle verghe dal Pontefice Massimo, e quella che avesse mancato al voto di castità era seppellita viva, in un campo, detto scellerato, fuori di Roma. I giorni in cui avessero luogo queste pene o espiazioni consideravansi giorni di lutto, detti nefasti, ossia infausti. Ebbero luogo pur troppo, e più d’una volta ; ed anche in Tito Livio ne troviamo il ricordo e la narrazione49.

Ma però in compenso e premio di una vita esemplare e dell’esatto adempimento dei loro ufficii e voti, si accordavano alle Vestali molti e singolari privilegi. Tutte le volte che uscivano in pubblico erano precedute da sei littori come i magistrati curuli, inferiori soltanto ai consoli : assistevano ai pubblici spettacoli fra i senatori nell’orchestra, che era il primo gradino dell’anfiteatro e del circo : la loro parola valeva come un giuramento, e la fiducia di cui godevano era tanto grande, e talmente sicura l’inviolabilità del loro soggiorno, che nelle loro mani si depositavano i testamenti e gli atti di molta importanza e segretezza non solo dai privati, ma anche dai magistrati della Repubblica e dai principi stessi dell’ Impero. Avevano inoltre dallo Stato e beni e cospicue rendite. Assuefatte perciò sin da bambine ad una vita così dignitosa, splendida e principesca non deve recar maraviglia che ben poche vi rinunziassero in più matura età, e che fosse stimato di cattivo augurio il sottoporsi o alla patria potestà degli agnati, o alla perpetua tutela e al predominio di un marito quanto si voglia illustre e discreto. Ignare o immemori degli usi di famiglia, difficilmente potevano adattarvisi e non rimpiangere l’impareggiabil condizione di vita a cui avevano rinununziato. Il che non conferiva di certo alla loro felicità, nè a quella del marito e dei parenti.

Il culto di Vesta, fu abolito in tutto l’impero romano nel quarto secolo dell’èra cristiana dall’imperator Teodosio il Grande.