(1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XIII. Difetti e vizii del Dio Giove » pp. 69-72
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(1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XIII. Difetti e vizii del Dio Giove » pp. 69-72

XIII

Difetti e vizii del Dio Giove

Anche sulle labbra degli analfabeti, che non sieno privi affatto di qualunque idea di religione, udiamo sovente il comune proverbio, che è solo Iddio senza difetti. Ma gli antichi Pagani ammettevano nei loro Dei non solo difetti, ma pur anco azioni talmente nefande che sarebbero punibili tra gli uomini nella civil società. Distruggevano dunque l’idea stessa della divinità, la base e il fondamento della morale religiosa. Quindi il culto di tali Dei, chiamati giustamente dall’Alighieri falsi e bugiardi, doveva cadere in dispregio e dileguarsi col progresso del buon senso e del raziocìnio, come avvenne difatti.

Giove, il supremo degli Dei pagani, era più vizioso di molti mortali ; e perciò usurpava, o gli era dato immeritamente il titolo di Ottimo. Nel n° XI notammo tutte le eccellenti qualità che gli erano attribuite, per le quali veniva ad esser l’ideale della divinità dei filosofi. Ora conviene accennare le meno buone, ed anche le assolutamente malvagie.

Quando i Titani furono spodestati da Giove ed espulsi dal cielo, andarono profughi sulla terra ; e la loro stirpe crebbe e si moltiplicò. Fra i più celebri si annoverano Prometeo ed Epimeteo, di cui ora occorre parlare.

Prometeo ed Epimeteo erano figli di uno dei Titani chiamato Japeto, ed ambedue ingegnosissimi : il primo faceva le statue di creta rappresentanti esseri simili a lui, o vogliam dire di forma umana ; e il secondo modellava e plasmava, parimente in creta, gli animali bruti.

Sin qui il racconto par. vera istoria : ma ora incomincia la favola. Prometeo col favore di quegli Dei che eran più amanti e protettori dell’ingegno e delle arti, rapì dal Cielo, o come altri dicono, dal carro del Sole, una divina scintilla di fuoco, e con essa animò le sue statue, e le fece divenire uomini viventi e parlanti. Giove che intendeva riserbato esclusivamente a sè stesso il potere di crear gli uomini, punì crudelmente Prometeo col farlo legar da Vulcano ad una rupe del monte Caucaso, e di più col mandare ogni giorno un avvoltoio a rodergli il fegato, che di notte gli rinasceva e cresceva, per render perpetua la pena di lui. Parve esorbitante e tirannico questo supplizio agli stessi Dei, che inoltre rimasero indispettiti delle pretese di Giove di arrogarsi per sè solo la facoltà di creare gli uomini ; ma invece di protestare con parole o con dimostrazioni clamorose, asserirono il loro diritto, esercitandolo di fatto e creando una donna fornita di tutte le più rare doti di corpo e di spirito, la quale chiamarono Pandora, che in greco significa tutto dono, perchè tutti avevano contribuito a darle qualche particolar pregio. Giove finse di non sdegnarsene, anzi disse di voler farle un dono anch’egli, e le diede un vaso chiuso con ordine di portarlo ad Epimeteo perchè l’aprisse. Ma per quanto piena di pregi fosse Pandora, gli Dei non avevan pensato a renderla immune dalla curiosità ; quindi essa aperse subito il vaso e ne uscirono immediatamente tutti i mali fisici piombando sulla umana specie81). Pandora si affrettò a richiudere il vaso, ma non vi rimase dentro che la speranza82).

In tutto questo racconto mitico Giove non fa più la figura del Dio che giova, del Dio benefico, ma quella d’invidioso, maligno e malefico.

Questo è l’ordito della favola, secondo i più ; ma poi vi si fanno sopra tanti ricami e intorno intorno tante aggiunte e frangie, da tener lungamente occupato chi volesse darne di tutte la descrizione e la spiegazione : è questo l’argomento prediletto non solo dei poeti, ma pur anco di molti filosofi nostri e stranieri. Lo stesso gran luminare degli Inglesi, Bacone da Verulamio, nel suo libro De Sapientia Veterum, esamina ed interpetra più a lungo questa favola che le altre trenta da lui prescelte come meritevoli delle sue considerazioni. Tutti però, generalmente, convengono che Prometeo rappresenti l’ingegno umano che inventa le arti utili alla vita (il quale ingegno perciò può dirsi poeticamente una scintilla del fuoco celeste) ; e inoltre la punizione di esso significa le traversie e le persecuzioni immeritate che per lo più si ricevono dai grandi inventori invece del meritato premiò. Aggiungono però che la pena di Prometeo non fu perpetua, perchè Ercole lo liberò, ed uccise l’avvoltoio che gli rodeva il fegato : il che vuol significare che la forza d’animo, ossia la costanza, vince tutti gli ostacoli, e che gli utili effetti finali fanno dimenticare le pene sofferte83).

Ingegnosissimo è pure il mezzo che fanno adoprare a Prometeo per rapire il fuoco celeste, inventando che egli accese lassù una verghetta o un fascetto di legna ; e cosi vengono a significare il modo usato anche oggidì, in caso di bisogno o per esperimento, di eccitar la fiamma colla confricazione di due aridi legni. Un uguale effetto deriva ancora talvolta per la prolungata agitazione del vento, che confricando tra loro in una selva selvaggia diversi rami degli alberi, produce estesissimi e spaventevoli incendii ; ed anche il fulmine (che credevasi venir dal Cielo e dalla mano stessa di Giove) comunica il fuoco alle materie combustibili che trovansi sulla Terra. Il fuoco poi, come dice Bacone da Verulamio, è la mano delle mani, lo stromento degli stromenti, l’aiuto degli aiuti di tutte le arti degli uomini. Anzi nella modernissima scienza detta Termodinamica, ossia meccanica del calore, si dimostra che questo stesso elemento, (e in ultima analisi il Sole che n’ è fisicamente la causa prima), produce il lavoro meccanico delle macchine a vapore e dà la forza anche alle braccia degli uomini. — Felice chi potè conoscer le cause delle cose 84), diceva Virgilio ; e in oggi spingendosi le scienze sempre più arditamente e con prospero successo a far mirabili conquiste nelle regioni del vero, posson chiamarsi invidiabilmente felici i sapienti cultori di quelle !

Quanto poi al vaso di Pandora, onde, uscirono tutti i mali di questa Terra, l’espressione mitologica è tanto famigerata che odesi spesso dalla bocca di persone tutt’altro che eruditissime. Di Pandora stessa raccontasi pur anco da alcuni mitologi, che Giove, nel regalarle il fatal vaso, le avesse ordinato di portarlo a Prometeo ; ma questi il cui nome significa provvido o cauto, non volle aprirlo ; ed avendolo essa portato quindi ad Epimeteo, il cui nome significa l’opposto, cioè improvvido o incauto, questi l’aprì. Aggiungono di più che egli sposò Pandora, la quale gli portò in dote quel vaso pieno di tutti i mali. È poi molto notabile e filosofica l’interpretazione di Bacone da Verulamio che Pandora, unita in matrimonio coll’improvvido Epimeteo, significhi la voluttà e il mal costume che spasso derivano dalla raffinatezza delle arti e dal lusso nelle anime spensierate ed improvvide : dal che nascono tutti i mali che rovinano gli uomini e gli Stati85).

Se Giove in questo mito, sì riguardo a Prometeo che a Pandora e al genere umano, non fa la più bella figura, come abbiam notato di sopra, nei suoi doveri poi, che diremmo domestici, vale a dire di marito e di padre, è anche più biasimevole. Mille ragioni non che una aveva Giunone sua moglie di lamentarsi e stizzirsi della violata fede coniugale di suo marito ; e gli uomini stessi non ebbero a lodarsene e a crescergli venerazione, trovandosi molte famiglie dei mortali involte in gravi sciagure per colpa di Giove. Lungo sarebbe e molesto il voler tutte rammentarle di seguito, come alcuni mitologi fanno : ond’io preferisco di narrarne le principali una alla volta, di mano in mano che ne verrà l’occasione, secondo l’ordine cronologico e gerarchico, nel parlare dei figli di Giove.

Peggio poi che bestiale non che disumana fu la condotta di questo Dio nel precipitar dal Cielo in Terra con un calcio Vulcano figlio suo e di Giunone, non per altro motivo se non perchè gli parve brutto e deforme : per la qual caduta il misero Vulcano ebbe di più la disgrazia di rimaner perpetuamante zoppo, e di esser perciò il ludibrio di quelle stravaganti Divinità del Paganesimo, come vedremo a suo luogo.