(1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXIX. Plutone re dell’ Inferno e i suoi Ministri » pp. 203-215
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(1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXIX. Plutone re dell’ Inferno e i suoi Ministri » pp. 203-215

XXIX

Plutone re dell’ Inferno e i suoi Ministri

Pur di esser re, Plutone benchè nato in Cielo ed allevato in una delle più belle regioni della Terra, accettò di regnar nell’ Inferno. E che quel soggiorno fosse pur troppo inamabile, come dicono i poeti latini, e tetro, si può dedurre pur anco dal sapere che nessuna Dea o Ninfa, per quanto ambiziosa e vana, acconsentì a sposar Plutone per divenir regina ; e se egli volle aver moglie gli convenne rapirla, e poi contentarsi che ella stesse ogni anno per sei mesi con la madre o sulla Terra o nel Cielo. (Vedi il Cap. X, ove si parla di Proserpina). Lo stesso Omero dice chiaramente che quelle infernali regioni, oltre ad esser prive della luce del Sole, erano orrende anche al guardo del Cielo (Iliade, xx), cioè facevano orrore anche agli Dei.

Benchè Plutone avesse il titolo di re delle regioni infernali non spiegava alcun potere sulle anime dei buoni, nè troviamo che andasse mai a visitare i Campi Elisii, o invitasse alla sua reggia alcuno dei più illustri eroi che vi soggiornavano ; e sui malvagi aveva un ufficio simile a quello del soprastante delle carceri o delle galere ; nè poteva diminuirne o aggravarne le pene, che giudici di diritto e di fatto, da lui indipendenti, nelle loro sentenze avevano assegnate ai dannati. Era inoltre al pari degli altri Dei sottoposto al Fato, ed anche al suo maggiore e più potente fratello Giove. Si accorsero i mitologi di questo difetto del loro mito infernale, e pretesero di supplirvi assegnando a Plutone non soltanto la cura di far sì che delle anime degli estinti non ritornasse alcuna nel mondo240, (come è naturale, e pur troppo vero), ma pur anco l’altro più odioso attributo di affrettare la discesa degli uomini ne’regni suoi241.

Plutone era rappresentato assiso in un trono di zolfo, con viso arcigno e sguardo truce, con una mano sostenendosi il mento e coll’altra impugnando lo scettro, che era una forca bicorne : in capo avea la corona ; un manto ricuoprivalo dai fianchi in giù ; e ai piedi aveva il tricipite Can Cerbero. Tal volta gli si poneva a lato Proserpina, sua moglie per forza, di cui dicemmo il ratto e le vicende nel capitolo di Cerere sua madre. Allora non compariva più come l’avvenente e delicata Ninfa che sceglieva fior da flore alle falde del monte Etna, e a cui Dante assomigliò la bella e cortese giardiniera del Paradiso terrestre ; ma come una matrona molto seria, in regie vesti, ma tutt’altro che lieta del grado di regina : allora confondevasi invece con Diana triforme, o con Persefone (chè questo era il nome che davasi dai Greci alla regina dell’Inferno) ; e di più credevasi che anch’essa si fosse adattata ai gusti del marito, e li secondasse attirando nei regni infernali più gente che potesse ; e perciò si trova chiamata dai poeti la crudel Proserpina.

Anche Plutone aveva altri nomi ; e in principio chiamavasi Pluto, ma poi si distinse con questo nome il Dio delle ricchezze ; e Plutone re dell’Inferno fu chiamato frequentemente Orco e Dite dagli antichi poeti. Dante usò più volte la parola Dite come sinonimo di Plutone, denominando città di Dite la città del fuoco (di cui abbiam detto nel Cap. precedente) : e poi da Virgilio poeta pagano facendo chiamar Dite il gran diavolo Lucifero242. La parola Orco fu adoprata dai poeti romanzeschi, e tra gli altri anche dall’Ariosto, per significare un mostro immaginario, come il Polifemo e l’Orca dei mitologi ; della quale invenzione, come di quella delle Fate, si abusò, e forse ancora, specialmente nelle campagne, si abusa, in tutte quante le novelle e favole

« Che raccontano ai putti le bisavole243. »

Tutta la guardia pretoriana del re e della regina dell’Inferno consisteva nel Can Cerbero che aveva 3 teste, e difendeva meglio e con maggior fedeltà i suoi padroni che far non potesse una coorte di Svizzeri.

Di Pluto, Dio delle ricchezze, considerato come un ente diverso da Plutone, conveniva trovare una diversa origine e parentela ; e fu detto che era figlio di Cerere dea delle biade e di un ricco agricoltore Giasione, per indicare che le vere e più sicure ricchezze derivano dall’agricoltura. In fatti a che servirebbe l’oro senza i frutti della Terra ? A null’altro che a rinnovare la miseria dell’avaro Mida, come dice Dante.

Di Ecate, dea infernale, abbiamo parlato bastantemente nel Cap. della Diva Triforme ; nè si trova altro da aggiungervi.

Resta dunque soltanto a trattare dei ministri di Plutone.

Di maggiore importanza erano le Parche, figlie di Giove e di Temi 244, e corrispondevano a quelle Dee che i Greci chiamavano le Mire. In origine i Greci conoscevano una sola Dea Mira uguale in potenza e in ufficio al Fato dei Romani245 ; e poi ne inventarono tre, distinguendole coi nomi di Cloto, Lachesi ed Atropo, nomi che furono adottati dai poeti latini per le loro Parche, e passarono ancora nel frasario poetico degl’Italiani.

Asserivano i mitologi che le Parche avevano l’ufficio di determinare la sorte degli uomini dal primo istante della nascita a quello della morte ; e che ne dessero indizio con un segno sensibile singolarissimo, ma invisibile ai mortali, cioè per mezzo di un filo di lana, che esse incominciavano a filare quando nasceva una persona, e che recidevano, quando quella persona doveva morire. Ecco l’origine mitologica delle frasi troncare o recidere lo stame vitale, il fil della vita, ecc. Inoltre per significare le varie vicende della vita di ciascuna persona, le Parche formavano lo stame vitale di lane di diversi colori : il bianco ed il nero (che allora non si sapeva che non fossero colori), indicavano la felicità e la sventura ; il color d’oro e di porpora, le ricchezze e gli onori, ecc. E dovendo le Parche far questo lavorìo per ogni persona che veniva al mondo, non mancava loro occupazione : quindi Dante per contraddistinguere una di esse Parche senza nominarla, usò questa perifrasi : colei che di e notte fila, supponendo che tutti i suoi lettori sapessero bene la Mitologia, e che perciò capissero che egli intendeva di parlare di Làchesi. Infatti i mitologi avevano assegnato a ciascuna delle Parche uno speciale ufficio : Cloto teneva la conocchia, Làchesi filava, ed Atropo troncava il filo ; e Dante ha rammentato i loro nomi ed ufficii nella Divina Commedia, come apparisce dai versi che ne cito in nota246. Anche Michelangelo ha rappresentato le Parche in queste loro diverse occupazioni, come si vede nel suo quadro che trovasi nella galleria di Palazzo Pitti.

Da quanto leggesi scritto e narrato intorno alle Parche si deduce che esse erano indipendenti da Plutone ; e perciò dovrebbero chiamarsi piuttosto ministre del Fato che del re dell’Inferno. Ma gli Antichi considerando che esse troncavano lo stame vitale e crescevano il numero dei sudditi di Plutone, le posero tra le divinità infernali. Insieme con queste si annoveravano ancora la Morte, il Lutto, il Timore, la Fatica, la Povertà, la Fame e perfino la Vecchiezza, funeste divinità allegoriche, ben note in tutta la loro orrenda realtà ai miseri mortali, e delle quali perciò i poeti rammentano soltanto il nome, tutt’al più con qualche epiteto espressivo senza estendersi in descrizioni247, tranne qualche rara eccezione, come quella del Petrarca nel Trionfo della Morte. Ma di Caronte, dei Giudici dell’Inferno e del Sonno, non solo i poeti greci e i latini, ma anche gl’italiani ci presentano singolari fantasie, che è necessario conoscere.

Essendo Caronte il barcaruolo dell’Inferno, s’intende subito che doveva trovarsi molto occupato a traghettar le anime dei morti (specialmente nei giorni delle più micidiali battaglie), dall’ una all’ altra riva dello Stige o dell’Acheronte. La favola ci fa sapere che egli era figlio dell’ Erebo e della Notte ; che era vecchio e canuto, ma pur sempre robusto ; orrido e sozzo di persona e di vesti, e di modi zotici ed aspri. Aggiunge poi che ciascun’anima per essere ricevuta nella barca di Caronte doveva, per superiore decreto inesorabile, pagare un obolo ; la qual piccola tassa o rimunerazione prendeva in latino il nome di naulum, ond’è venuta in italiano la parola nolo. Qual fosse lo scopo di questa strana invenzione lo diremo nel prossimo numero parlando dello stato delle anime dopo la morte.

Passate le anime all’altra riva, trovavano tre giudici che decidevano delle sorti di ciascuna di loro nell’altro mondo ; e la sentenza di essi era inappellabile. Questi giudici si chiamavano Minos, Eaco e Radamanto, i quali in origine erano stati sulla Terra tre ottimi re della Grecia, celebri per la loro giustizia ; e perciò dopo la morte meritarono l’onorevole ufficio di giudicar le anime degli estinti. Minos e Radamanto erano figli di Giove e di Europa ; Eaco poi di Giove e di Egina. Appartenevano perciò alla classe dei Semidei ; e di loro dovremo parlar nuovamente e più a lungo nel ragionare dei secoli eroici, che sono il medioevo fra la Mitologia e la Storia.

Le Furie eran destinate non solo a punire le anime dei malvagi nel Tartaro, ma pur anco a spaventare e perseguitare in vita gli scellerati che avevano commesso i più gravi e nefandi misfatti. In tal modo venivano i mitologi a rappresentare i rimorsi di una rea coscienza248.

Le Furie furon dai Greci chiamate Erinni, nome adottato dai poeti latini, e che trovasi anche in Dante ; ed erano tre : Megera, Tisifone ed Aletto, vocaboli significanti odiosa, punitrice delle stragi ed inquieta. Ebbero anche il titolo di Eumenidi, che vorrebbe dire benevole o placabili, dopo che scongiurate con sacri riti lasciarono quieto Oreste. Altri mitologi dicono che ebbero esse questo nome per antifrasi, cioè per significare tutto l’opposto, vale a dire implacabili.

I pittori fanno a gara coi poeti a rappresentarle orribili nell’ aspetto, nelle vesti, nei distintivi : faccia minacciosa, occhi furibondi, chioma di serpenti, ali di vispistrello ; nell’una mano aveano la face fiammeggiante e nell’altra un mazzo di serpenti per avventarli a morsicare i colpevoli.

Il Sonno,

« Dolce de’mali oblio, calma e riposo
« Della stanca Natura, »

come lo definisce il poeta Young, era per gli Antichi un Dio, creduto figlio dell’Erebo e della Notte, e dimorante in una caverna lungo le rive del fiume Lete, e perciò posto tra le Divinità infernali. Gli si davano per figli i Sogni, di cui si rammentano con nomi speciali soltanto tre, che erano i capi di altrettante tribù numerosissime, cioè Morfeo, Fobetore e Fantasia, termini greci significativi dei diversi generi di sogni ; poichè Morfeo produceva nei dormienti i sogni più regolari sotto forme conosciute e naturali ; Fobetore i sogni spaventevoli e Fantasia i più strani e fantastici 249.

Non soltanto Ovidio tra gli antichi e l’Ariosto tra i moderni hanno fatto bellissime descrizioni della Casa del Sonno, ma quasi tutti i poeti parlano del Sonno e dei Sogni ; ed anche Dante racconta diversi sogni ch’egli ebbe nel suo viaggio allegorico. Lo stesso Virgilio ci narra che nelle regioni sotterranee vi son due porte da cui escono i sogni per venire sulla Terra ; la prima è di corno da cui escono i sogni veri, e la seconda di avorio, e n’escono i sogni falsi : della quale invenzione non è facile intendere il significato. Generalmente qualunque poeta in questa vastissima regione immaginaria crede di avere scoperto qualche cosa di nuovo, e non la nasconde al lettore ; ed anche i pittori si sbizzarriscono a rappresentare il Sonno ed i Sogni secondo la loro fantasia ; e lo stesso Vasari, ne ragiona ex-cathedra nelle sue Vite.

Vediamo ora quali di queste Divinità mitologiche stimò bene l’Alighieri d’impiegare nel suo Inferno. È facile l’indovinare che introducendole nell’Inferno dei Cristiani non conservasse loro il grado di divinità che avevano in quello dei Pagani. Infatti le ridusse presso a poco alla condizione di demonii.

Primo si trova il barcaruolo dell’Acheronte,

« Caron dimonio con occhi di bragia,
« Un vecchio bianco per antico pelo,
« Che intorno agli occhi avea di fiamme ruote. »

Egli invita coll’antica sua buona grazia le anime ad entrar nella barca,

« Gridando : guai a voi, anime prave !
« Non isperate mai veder lo Cielo :
« Io vengo per condurvi all’altra riva
« Nelle tenebre eterne, in caldo e in gielo. »

E usando i soliti suoi modi cortesi,

« Batte col remo qualunque si adagia. »

Ha soltanto di buono che non esige più l’obolo per traghettar le anime all’altra riva, e le trasporta tutte gratuitamente.

S’incontra poi

« Cerbero fiera crudele e diversa, »

che conservando la sua forma tricipite,

« Con tre gole caninamente latra
« Sovra la gente che quivi è sommersa.
« Gli occhi ha vermigli e la barba unta e atra
« E ’l ventre largo e unghiate le mani ;
« Graffia gli spirti, li scuoia e li squatra. »

Dei tre Giudici dell’Inferno pagano, Dante ha impiegato soltanto Minos, che era il presidente di quel tribunale ; ma nell’Inferno dei Cristiani questo giudice ha perduto molto della sua dignità. Infatti

« Stavvi Minos orribilmente e ringhia,
« Esamina le colpe nell’entrata,
« Giudica e manda secondo che avvinghia,

cioè per mezzo della sua coda, come spiega Dante stesso ; diversamente nessun l’avrebbe indovinato ; perciò soggiunge subito dopo :

« Dico che quando l’anima malnata
« Gli vien dinanzi, tutta si confessa ;
« E quel conoscitor delle peccata
« Vede qual luogo d’Inferno è da essa :
« Cingesi con la coda tante volte
« Quantunque gradi vuol che giù sia messa250. »

V’è anche

« ….. Pluto con la voce chioccia,

che parla un linguaggio che non s’intende :

« Pape Satan, pape Satan aleppe. »

Come già Dio delle ricchezze presiede al cerchio ove son puniti gli avari e i prodighi ; ma Dante e Virgilio mostrano che meritava poco rispetto chiamandolo fiera crudele e maledetto lupo 251.

Non vi mancano di certo :

« Tre Furie infernal di sangue tinte,
« Che membra femminili aveano ed atto,
« E con idre verdissime eran cinte ;
« Serpentelli e ceraste avean per crine,
« Onde le fiere tempie erano avvinte. »

Sono ivi pure chiamate, come nella Mitologia, Megera, Tisifone ed Aletto, e ricevono anche il greco nome comune a tutte di Erinni o Erine.

Plutone nel poema sacro di Dante non poteva trovar posto come re dell’Inferno, perchè anche questo dipende dal re dell’Universo che in tutte parti impera, secondo le espressioni di Dante stesso ; ma abbiamo già veduto di sopra che il poeta si valse di uno dei nomi di Plutone, di quello cioè di Dite, per darlo alla città del fuoco ed allo stesso Lucifero. Altri Dei e mostri mitologici non mancano nell’Inferno di Dante, anzi vi sono a iosa ; e li noteremo a tempo e luogo, cioè quando dovrà parlarsene nel corso regolare della Mitologia.

Anche gli scienziati adottarono alcune denominazioni derivate dall’Inferno dei Pagani ; e principalmente i geologi che diedero il nome di plutoniche ad alcune roccie che il progresso delle osservazioni scientifiche fece riconoscere differenti, per certi particolari caratteri, da quelle che avevan chiamate vulcaniche, e perciò da doversi distinguere con altro nome. E poichè queste roccie (principalmente i graniti e alcuni porfidi), sono in parte affini alle formazioni vulcaniche, prescelsero per esse una denominazione derivata da Plutone Dio infernale che aveva maggiore affinità con Vulcano, Dio del fuoco.

Gli astronomi diedero il nome di Proserpina al 26° asteroide scoperto da Luther il 5 maggio 1853 ; ed in appresso avendone scoperti tanti altri (che sinora sono giunti a più di 130), hanno saccheggiato la Mitologia e adottato perfino il nome dell’orrida divinità infernale Ecate per darlo al 100° pianeta telescopico.

Anche il can Cerbero ha ricevuto l’onore dagli astronomi che il suo nome fosse dato ad una piccola costellazione, composta, secondo il catalogo di Arago, di tredici stelle : la quale resta nell’emisfero boreale, vicina a quella parte della costellazione di Ercole che si chiama la mano, volendosi così alludere alla favola che Ercole incatenò il can Cerbero nell’Inferno e lo trascinò seco sino alla vista del Cielo.

I naturalisti danno il nome di Cerbero a un genere di piante della famiglia delle Apocinee, che hanno proprietà velenose ; ed inoltre ad una specie di vipere.