(1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXXI. Il Genio e i Genii » pp. 232-241
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(1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXXI. Il Genio e i Genii » pp. 232-241

XXXI

Il Genio e i Genii

Fu detto nella classazione generale degli Dei (V. il N. III) che il Genio era considerato dai Latini come un Dio di prim’ordine, ossia della classe degli Dei superiori o celesti, e, secondo l’etimologia della parola, come la forza generatrice della creazione. Ma essendo carattere proprio della falsa religione del Politeismo il moltiplicare gli Dei, come nei falsi sistemi di governo si moltiplicano gl’impiegati, comiciarono i mitologi a supporre che questo unico Genio sarebbe troppo occupato a provvedere da sè solo a tutti gli esseri della creazione ; e perciò immaginarono che vi fossero Genii particolari per ciascun popolo, e poi per ciascun luogo, e finalmente per ciascuna persona ; e in tal modo li moltiplicarono all’infinito. Ma non basta. Dopo aver detto che un Genio particolare presiedeva alla vita di ciascuna persona e l’accompagnava e dirigeva dalla culla alla tomba, considerando l’indole diversa degli uomini, o buona o rea, furono indotti a credere che esistessero Genii buoni e benefici e Genii maligni e malefici, che fossero in lotta tra loro per avere il predominio sul mondo in generale e sugli esseri umani in particolare271). Nè queste idee eran proprie soltanto dei Politeisti greci e latini ; anzi non furon nemmeno di loro invenzione, poichè sappiamo di certo che ebbero origine nell’Oriente e prevalsero principalmente tra gl’Indiani e i Persiani, e poi passarono agli Egizii, e finalmente ai Greci e ai Romani. I Chinesi vi credono ancora oggidì. Inoltre è notabile che questa credenza nei Genii o negli spiriti, come poi si chiamarono nelle lingue nordiche, si diffuse più che altrove tra gli antichi Germani ; e che non si fosse del tutto dileguata a tempo del Goethe ce ne dà prova egli stesso colla sua quanto mirabile altrettanto fantastica invenzione del Fausto. E il nostro volgo, specialmente nelle campagne, non crede forse tuttora negli Spiriti e nel potere degli stregoni e fattucchieri che tengono il demonio per loro iddio ? Abbiamo perciò davanti a noi un soggetto o argomento che è una vera fantasmagoria mondiale dai tempi preistorici ai dì nostri, abbellito in varie guise dai poeti e dagli artisti, e in mille guise storpiato o goffamente raffazzonato dagli ignoranti. Non sarà dunque un fuor d’opera il risalire alle prime origini di questa invenzione.

Tralascierò di parlare della Trimurti, o trinità Indiana di Brahma, Visnù e Siva, o di altre triadi poco da questa dissimili ; e mi basta per la spiegazione dei Genii il rammentare soltanto il dualismo, che riconosce due principii, o vogliam dire due cause supreme di tutte le cose, entrambe eterne, l’una opposta e nemica dell’altra ; e, senza aggiungervi nulla di mio, riporterò quel che ne dice un filosofo ortodosso, discepolo e fido seguace di Rosmini, il Pestalozza. Nel parlare del dualismo egli fa le seguenti osservazioni storiche e filosofiche :

« Nell’ordine fisico la riflessione filosofica vide la produzione e la distribuzione, la luce e le tenebre, il caldo e il freddo ; nell’ordine morale la virtù e il vizio, l’amore e l’odio ; nell’ordine intellettuale l’errore e là verità. Bisognava dare a cose così opposte un principio opposto. Di qui nacque il dualismo indiano di Mahadeva e Bahavani, l’egizio d’Iside e Osiride, il persiano di Ormuzd e Ahriman, quello degli gnostici e di altri l’intelligenza e la materia.

« Questa dottrina che ammette due principii coeterni, del bene e del male, insegnata antichissimamente da Manete, prese voga dopo stabilito il cristianesimo, per opera dei Manichei, seguaci di Manete ; ma dove gli antichi pel domma dei due principii avevano fabbricate diverse favole poetiche sulle creazioni opposte e sui combattimenti dei due principii, dai quali ripetevano le grandi catastrofi della natura, le guerre dei giganti, la corruzione ognor crescente del genere umano, il diluvio, i tremuoti, le eru zioni vulcaniche, e via discorrendo, i Manichei all’incontro sostenevano l’esistenza dei due principii con la sofistica, e maggior danno cagionavano alla morale pubblica e privata.

…………………………

« Non v’è forse sistema di teologia presso gli antichi, sia che si parli degli Orientali, o dei Greci e dei Romani, che non ammetta il dualismo del principio benefico e del principio maligno. »

Vien poi a concludere giustamente che con questo sistema si libera l’uomo da ogni responsabilità, sottomettendolo al cieco destino.

A queste stesse conclusioni io giunsi per altra via, quando nel N° IV parlai del Fato e del Fatalismo.

Passando ora alla Mitologia classica per ordine cronologico, noterò prima di tutto che i Genii nel linguaggio dei Greci eran detti Dèmoni ; e in Omero troviamo che gli stessi Dei davansi tra loro per onorificenza questo titolo. Perciò sembra più di tutte probabile la interpretazione della parola Dèmone derivandola da daimon che significa intelligente 272). Il popolo generalmente considerava questi Dèmoni o Genii come Dei che regolassero le vicende della vita degli uomini ; e dagli effetti li distingueva in agatodèmoni e in cacodèmoni, cioè in buoni e in cattivi spiriti. Anche i più celebri filosofi della Grecia, anzi del mondo, cioè Socrate, Platone e Aristotele, espressero la loro opinione su questi Dèmoni, o spiriti, o genii. Aristotele, il maestro di color che sanno, come lo chiama Dante, divise gli Immortali in Dei e in Dèmoni ; e i mortali in Eroi e in uomini. Platone così parla dei Dèmoni nel Convito : « Essi sono esseri intermediarii fra gli Dei e i mortali ; ed è loro ufficio l’interpretare e il recare agli Dei ciò che viene dagli uomini, e a questi ciò che vien dagli Dei ; …. poichè la Divinità non ha comunicazione diretta cogli uomini, ma soltantò per mezzo di Dèmoni. » E altrove aggiunge : « Ogni mortale alla sua nascita è affidato ad un dèmone particolare che lo accompagna sino alla fine della sua vita. »

Conoscendo questi ufficii attribuiti anche dal divino Platone ai Dèmoni, non dee recar maraviglia che Filone, filosofo alessandrino, ma di stirpe ebraica, asserisse che i Dèmoni dei Greci equivalevano a quelli che Mosè chiama Angeli 273) ; ed Apuleio lasciò scritto che corrispondono ai Genii dei Latini. E queste etimologie e somiglianze di ufficio non furon contradette da alcuno274.

L’opinione poi di Socrate sull’esistenza dei Dèmoni o Genii non potrebbe esser più manifesta ; sapendosi da’suoi stessi discepoli Platone e Senofonte, che egli attribuivasi fin dalla prima gioventù un Dèmone il quale suggerivagli tutto ciò che doveva fare275). Socrate diceva così per secondare il linguaggio e le idee dei suoi connazionali e per essere inteso da loro ; ma in cuor suo e per intimo convincimento era monoteista. Bastino a provarlo le seguenti massime che egli insegnava ai suoi discepoli : « Il Dio supremo governa il mondo come l’anima governa il corpo. L’anima stessa è di natura divina, e per conseguenza immortale. La vita futura sarà uno stato di rimunerazione secondo le opere di ciascuno. » Sembran parole copiate da qualche libro di Teologia cristiana ! Eppure Socrate viveva 4 in 5 secoli prima che incominciasse il Cristianesimo ! E perciò nel Politeismo fu Socrate giudicato eretico, e condannato a morte come violatore della Religione dello Stato e corruttore della gioventù. Il Dèmone dunque di cui egli parlava non poteva significare, nella sua segreta intenzione, una divinità mitologica, ma piuttosto l’ispirazione di quell’unico Dio in cui egli credeva.

Abbiamo veduto di sopra, che i Genii dei Latini corrispondevano ai Dèmoni dei Greci : eran molto diversi i vocaboli per la loro etimologia, ma gli esseri per quelli significati nulla differivano secondo le opinioni religiose e filosofiche di quei tempi ; e perciò anche nel politeismo romano credevasi all’esistenza di genii buoni e di genii ma ligni276). Quando poi i Pagani divenner Cristiani, confusero i Genii buoni cogli Angeli, e i cattivi coi Diavoli 277), trovandovi grandissima rassomiglianza quanto alle attribuzioni e agli effetti sulla vita degli uomini. La greca parola dèmone fu adottata nella lingua latina, ma poco usata dai classici, e molto dagli scrittori ecclesiastici. Da dèmone derivò in latino il diminutivo demonio ; ed ambedue questi nomi servirono nel Cristianesimo a significare gli spiriti infernali, ossia gli Angeli ribelli discacciati dal Cielo e condannati all’Inferno. Perciò Dante oltre al chiamarli Demonii e Diavoli, li chiama ancora angeli neri, come nel Canto xxiii dell’ Inferno :

« Senza costringer degli angeli neri,
« Che vengan d’esto fondo a dipartirci. »

Nelle Belle Arti spesso i Genii dei Pagani furono rappresentati in figura d’imberbi giovanetti colle ali come Cupido, e allora potrebbero facilmente confondersi cogli Angeli dei Cristiani ; ma per altro hanno quasi sempre qualche distintivo, perchè per lo più tengono nelle mani la patera o il cornucopia. Così nella colonna Traiana si vede alato il Genio della luce e con una fiaccola in mano al di sopra del carro di Diana ; e perciò non è possibile crederlo un Angelo. Quando poi i Genii sono senza le ali, indossano ancora la toga romana. Per altro i Genii delle persone con caratteri e distintivi pagani furono ammessi anche nell’arte cristiana, e si vedono per lo più nei monumenti sepolcrali in atto mesto e colla face rovesciata o spenta, simbolo di morte.

I Pagani credevano ancora che esistessero i Genii delle città e dei diversi luoghi o territorii ; ma per lo più li rappresentavano in forma di serpenti e in atto di cibarsi delle frutta a loro offerte in una patera 278.

Questa parola Genio ebbe un gran credito e un grande uso nella lingua latina279), e lo ha tuttora nelle lingue affini e derivate, e specialmente nella italiana ; anzi in queste riceve sempre nuove applicazioni, ossia va sempre acquistando nuovi significati. Io citerò qui, come esempii, alcuni versi del Cecchi, del Parini, del Monti, del Manzoni, e del Giusti, in cui trovasi usato il vocabolo Genio in più e diversi significati ; e confinerò qualche prosaica osservazione filologica in una nota, essendo più che persuaso, convinto, che la poesia è più generalmente gradita che non la filologia.

Il Cecchi, citato dal Vocabolario della Crusca, nei seguenti versi rammenta il Genio buono con tali caratteri che potrebbero convenire anche ad un Angelo :

« Da chi lo feo gli fu dat’anco
« Quel santo precettor, quell’alma guida
« Genio appellato, il qual come ministro
« Della ragion lo sproni al bene oprare,
« E dall’opere ingiuste il tiri e frene. »

Il Parini, nel suo celebre poemetto satirico il Giorno, personifica il Piacere come un Genio e così lo descrive :

« L’uniforme degli uomini sembianza
« Spiacque ai Celesti, e a varïar la Terra
« Fu spedito il Piacer. Quale già i Numi
« D’Ilio sui campi, tal l’amico Genio,
« Lieve lieve per l’aere labendo,
« S’avvicina alla Terra ; e questa ride
« Di riso ancor non conosciuto. »
« ……………
« Gli s’aggiran d’intorno i Vezzi e i Giochi,
« E come ambrosia le Lusinghe scorrongli
« Dalle fraghe del labbro. »

Il Monti, nel Canto intitolato : La Bellezza dell’Universo, usa la parola Genio nel senso più generale :

« Ferve d’alme sì grandi e non indarno
« Il Genio redivivo. Al suol romano
« D’Augusto i tempi e di Leon tornarno. »

Il Manzoni, nel suo mirabile Cantico il Cinque Maggio, chiama Genio la sua facoltà poetica :

« Lui sfolgorante in soglio
« Vide il mio genio e tacque ;
« Quando con vece assidua
« Cadde, risorse, e giacque,
« Di mille voci al sonito
« Mista la sua non ha : »

Il Giusti nelle sue impareggiabili poesie usa molte volte il termine Genio, e per lo più nel significato d’ingegno straordinario e inventivo, come :

« E anch’io in quell’ardua immagine dell’arte
« Che al genio è donna e figlia è di natura,
« E in parte ha forma della madre, in parte
« Di più alto esemplar rende figura ; ecc. »
(A Gino Capponi, strofa ultima.)
« Rinnega il genio
« Sempre punito
« Se pur desideri
« Morir vestito. »
(Gingillino, parte 1ª.)

Ed anche ironicamente :

« Fecero a un tratto un muso di defunto
« Tutti, nel centro, a dritta ed a mancina,
« E morì sulle labbra accidentato
« Il genio di quel birro illuminato. »
(Il Congresso dei Birri, ultima ottava.)

Finalmente il Giusti usò, benchè ironicamente, la parola Genii a significare scrittori di ingegno straordinario :

« Con che forza si campa,
« In quelle parti là !
« La gran vitalità
« Si vede dalla stampa,
« Scrivi, scrivi e riscrivi,
« Que’ Genî moriranno
« Dodici volte l’anno,
« E son lì sempre vivi280). »
(La Terra dei Morti.)