(1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXIX. Eolo e i Venti » pp. 295-
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(1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXIX. Eolo e i Venti » pp. 295-

XXXIX

Eolo e i Venti

Non bastò ai Greci ed ai Romani politeisti, dopo aver considerata l’Aria come uno dei 4 elementi del Caos, il farne anche una Dea, che, sposato il Giorno (sinonimo di luce), produsse Urano, ossia il Cielo ; in quanto che osservando in appresso che nell’aria esiste

« Quell’umido vapor che in acqua riede, »

ne fecero un Dio sotto il nome di Giove Pluvio ; ed inoltre, poichè l’aria, movendosi,

« ….. or vien quinci ed or vien quindi,
« E muta nome perchè muta lato, »

e produce il fenomeno dei Venti, vollero deificare anche questi. Riconobbero però facilmente che la maggior parte di questi Dei eran molto turbolenti, producendo in mare orribili tempeste, e sulla terra bufere e devastazioni ; e che perciò v’era bisogno che fossero sottoposti a qualche altra più potente divinità che li raffrenasse ; diversamente, come dice Virgilio,

« ….. Il mar, la terra, e ‘l cielo
« Lacerati da lor, confusi e sparsi
« Con essi andrian per lo gran vano a volo.
« Ma la possa maggior del padre eterno
« Provvide a tanto mal ; serragli e tenebre
« D’abissi e di caverne e moli e monti
« Lor sopra impose ; ed a re tale il freno
« Ne diè, ch’ei ne potesse or questi or quegli
« Con certa legge o rattenere o spingere.40 »

Questa regione o carcere dei Venti, secondo lo stesso poeta,

« È nell’Eolia, di procelle e d’austri
« E delle furie lor patria feconda.
« Eolo è suo re, ch’ivi in un antro immenso
« Le sonore tempeste e i tempestosi
« Venti, siccome è d’uopo, affrena e regge.
« Eglino impetuosi e ribellanti
« Tal fra lor fanno e per quei chiostri un fremito,
« Che ne trema la terra e n’urla il monte.
« Ed ei lor sopra realmente adorno
« Di corona e di scettro, in alto assiso
« L’ira e gl’impeti lor mitiga e molce.41 »

Questa regione dell’Eolia non è già quella dell’Asia Minore situata fra la Troade e l’Ionia, e detta più anticamente la Misia, ma corrisponde al gruppo delle isole chiamate ancora oggidì Eolie, o di Lipari, nel mar Tirreno fra la Sicilia e l’Italia. Il nome stesso di Eolo, che deriva da un greco vocabolo significante vario o mutabile, allude alle successive mutazioni dei venti che predominano in quelle isole.

Anche Omero, nel libro X dell’Odissea, dice che Eolo

« …. de’venti dispensier supremo
« Fu da Giove nomato ; ed a sua voglia
« Stringer lor puote o rallentare il freno. »

Ma gli attribuisce un genere di vita più patriarcale, e gli assegna un soggiorno più poetico ed ameno, quantunque nella stessa regione insulare. Non è tempo perduto, nè fia senza diletto leggerne o rileggerne l’omerica descrizione :

« Giungemmo nell’Eolia, ove il diletto

« Agl’immortali Dei d’Ippota figlio,42

« Eolo, abitava in isola natante,43
« Cui tutta un muro d’infrangibil rame,
« E una liscia circonda eccelsa rupe.
« Dodici, sei d’un sesso e sei dell’altro,
« Gli nacquer figli in casa ; ed ei congiunse
« Per nodo marital suore e fratelli,
« Che avean degli anni il più bel fior sul volto.
« Costoro ciascun dì siedon tra il padre
« Caro e l’augusta madre, ad una mensa
« Di varie carca delicate dapi.
« Tutto il palagio, finchè il giorno splende,
« Spira fragranze, e d’armonie risuona ;
« Poi, caduta sull’isola la notte,
« Chiudono al sonno le bramose ciglia
« In traforati e attappezzati letti
« Con le donne pudiche i fidi sposi. »

Alcuni Mitologi dissero che Eolo era figlio di Giove e di Segesta figlia d’Ippota troiano ; e che i Venti fossero figli di Astreo, uno dei Titani, e dell’Aurora ; e quelle loro genealogie furono accolte dai più. Si eran provati pur anco ad inventare che i Venti avessero mosso guerra a Giove ; ma i poeti trovaron poco spiritosa questa invenzione e la trascurarono affatto. E pochi altri fatti mitologici ne raccontano, perchè hanno trovato difficile di attribuire ai Venti distinte personalità e porle in azione. Soltanto del più impetuoso e del più mite fra loro, cioè di Borea e di Zeffiro, narrano brevemente qualche fatto. Di Borea dicono che rapì la Ninfa Orizia figlia di Eretteo re di Atene, e n’ebbe 2 figli chiamati Calai e Zete, di cui dovremo parlare nella spedizione degli Argonauti. La spiegazione più semplice e più naturale del ratto di Orizia è, secondo Platone, che questa infelice principessa rimanesse vittima di una tempesta o di un uragano. Di Zeffiro abbiamo già detto altrove che egli sposò la Dea Flora e le diede potestà sui fiori ; e questa favola significa soltanto che il tepido vento chiamato Zeffiro o Favonio favorisce la vegetazione delle piante fanerogame, cioè che producono fiori.

Poichè tutti i poeti epici han per costume di descrivere qualche tempesta in cui inevitabilmente incappano sempre i loro protagonisti o altri dei più famosi eroi, perciò Eolo ed i Venti figurano molto in tali descrizioni dei poeti pagani, e principalmente in Omero e in Virgilio. E siccome i nomi che diedero i Greci e i Latini ai Venti sono per lo più adottati anche dai poeti italiani, e inoltre ne derivaron o molte denominazioni geografiche, non sarà inutile il farne brevemente la rassegna.

I 4 Venti principali, rammentati anche da Omero, sono Borea, Noto, Euro e Zeffiro, nomi adottati dai Latini e conservati nella poesia italiana ed in alcune denominazioni scientifiche. Corrispondono ai Venti di tramontana, ostro, levante e ponente che spirano dai 4 punti cardinali nord, sud, est, ovest. Il nome greco è significativo delle qualità distintive di ciascuno di essi : Borea significa fremente ; Noto, umido ; Euro, abbronzante ; Zeffiro, oscuro.44 In Esiodo si trova rammentato il vento Argeste (che vuol dir sereno, e secondo altri grecisti veloce) ; e siccome in quel poeta non si trova nominato il vento Euro, alcuni Eruditi hanno detto che è sinonimo di questo., Ma Plinio il Naturalista afferma che l’Argeste greco corrispondeva al Cauro o Coro dei Latini, ossia al ponente-maestro (nord-ovest).

Gli Antichi non conoscevano i 32 Venti notati e distinti dai Geografi e dai Navigatori moderni, ma soltanto 12 bene accertati, ristrettissima essendo e timida la loro navigazione, perchè andavano per lo più costeggiando, e poco si azzardavano in alto mare. Non immaginavano neppure l’esistenza del Grande Oceano ; non avevan mai passata la linea nell’Oceano Atlantico ; e il non plus ultra delle colonne d’Ercole li tratteneva ancora dal passar lo stretto di Gades (ora di Gibilterra) e dall’andar navigando lungo le spiaggie occidentali dell’Affrica.

I Geografi moderni non si accordano nell’assegnare il corrispondente nome latino o greco ai diversi Venti ora conosciuti e contrassegnati nella così detta Rosa dei Venti ; e la ragione è questa, che gli Antichi stessi furono incerti nel determinare da qual punto preciso quei Venti da loro notati e denominati spirassero ; e poi perchè invece di fare in principio la bisezione dell’angolo retto fra i punti cardinali e quindi suddividerlo, ne fecero la trisezione, ossia lo divisero in 3 : quindi è matematicamente impossibile il far corrispondere i loro punti intermedii a quelli determinati dai moderni. Ma su ciò vedano i Geografi ne quid Respublica detrimenti capiat ! A noi basterà di conoscere in qual quadrante, (come dicono in oggi nelle tavole meteorologiche), ossia dentro quale degli angoli retti formato dai punti cardinali spirassero quei loro Venti intermedii.

Fra Borea ed Euro spiravano Aquilone e Volturno ; fra Euro e Noto, Subsolanus e Austro ; fra Noto o Zeffiro, Affrico o Libico e Favonio ; fra Zeffiro e Borea, Cirico o Iapige e Cauro o Coro. È da notarsi però che talvolta gli Autori e specialmente i poeti, nominano l’un per l’altro quei Venti che spirano tra lor più vicini, ossia usano i loro diversi nomi come sinonimi di uno stesso Vento. Così fanno sinonimi Borea ed Aquilone ; Austro e Noto ; Zeffiro e Favonio, ecc. Più esatto di tutti è Dante, perchè più scienziato, e inoltre impareggiabile anche in astronomia. Egli infatti colle indicazioni astronomiche ci fa conoscere non solo i giorni del suo viaggio allegorico, ma pur anco le ore diverse di quei giorni. Quand’egli dice nel Canto xi dell’Inferno,

« Che i Pesci guizzan su per l’orizzonta
« E’l Carro tutto sovra’l Coro giace, »

accenna con precisione astronomica che eran due ore prima dello spuntar del Sole in quel giorno del mese di marzo che aveva prima indicato, poichè appunto in quell’ora che egli voleva significare appariva la costellazione dei Pesci sulorizzonte, e inoltre la costellazione del Carro, ossia dell’Orsa maggiore giaceva tutta sovra’l Coro, cioè fra settentrione ed occidente, ossia presso a poco a ponente-maestro o nord-ovest, come ora direbbesi. E quando nel Canto xxxii del Purgatorio vuole affermare che i 7 celesti candelabri ardenti non li spengerebbero i più opposti e gagliardi venti, egli dice

« Che son sicuri d’Aquilone e d’Austro, »

nominando i venti più opposti e più procellosi. E finalmente terminerò col rammentare che Dante non ha dimenticato d’introdurre nella Divina Commedia anche un cenno della favola di Eolo re dei Venti, secondo ciò che ne scrive il suo maestro Virgilio nei versi da noi citati in principio di questo Numero, poichè invece di dire prosaicamente che soffia o spira il vento di Scirocco, orna ed abbellisce il suo concetto con questa perifrasi mitologica :

« Quand’Eolo Scirocco fuor discioglie. »