(1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXIX. Di alcune Divinità più proprie del culto romano » pp. 500-505
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(1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXIX. Di alcune Divinità più proprie del culto romano » pp. 500-505

LXIX

Di alcune Divinità più proprie del culto romano

A render più completa la spiegazione della classica Mitologia, accennerò brevemente alcune feste che celebravansi più specialmente in Roma che altrove.

Nel mese di Gennaio, il cui nome facevasi derivare da quello di Giano, si celebrava nel primo giorno la festa di questo Dio, e prima ad esso sacrificavasi che agli altri Dei, perchè egli era considerato come il portiere delle celeste reggia. Da questo giorno, come al presente, incominciava l’anno civile sin dal tempo di Numa Pompilio, e inauguravasi con molta solennità, in quanto che i nuovi Consoli con purpurea veste e preceduti dai loro littori prendevano possesso dell’annuo ufficio, e tutto il popolo vestito a festa li accompagnava al Campidoglio per assistere ai riti religiosi. E poichè i Consoli furono conservati, almeno di nome, anche sotto gl’Imperatori e sino agli ultimi tempi del romano impero, le stesse cerimonie descritte da Ovidio nel libro i dei Fasti si mantennero in Roma per più di mille anni. Anzi l’uso che vi fu allora di dir l’uno all’altro parole di buon augurio si mantiene tuttora da quasi tremila anni, e non in Roma e in Italia soltanto, ma per tutta Europa e presso molti popoli delle altre parti del mondo. Era giorno solenne e lieto, come lo chiama Ovidio, non però tutto festivo, ma, come ora direbbesi, di mezza festa, e allora dicevasi intercisus o endotercisus, perchè dopo i riti solenni religiosi e civili ciascuno attendeva al proprio ufficio, o professione nelle altre ore del giorno. Credevasi di cattivo augurio che il primo giorno dell’anno si lasciasse trascorrere inerte senza adempiere pur anco gli obblighi del proprio stato.

Il dì 11 dello stesso mese celebravansi le Feste Carmentali, che si ripetevano il dì 15, e vi si univano anche quelle in onore di Pòrrima e Posverta. Noi abbiamo già detto nel corso di questa Mitologia che la Ninfa Carmenta era madre di Evandro, e che esulando insieme col figlio venne nel Lazio e fissò la sua dimora su quel monte che poi fu detto il Palatino. Quanto poi a Porrima e Posverta, Ovidio e Macrobio asseriscono che esse erano o sorelle o compagne di Carmenta, e che la prima, cioè Porrima, indovinava le cose accadute, e la seconda, cioè Posverta, le future. Ma queste sono deduzioni filologiche arditamente derivate dalla presupposta etimologia di quei nomi.

I Romani adoravano come Dea anche Giuturna, sorella di Turno re dei Rutuli, resa celebre da Virgilio nel suo poema dell’Eneide. Le fu dedicato anticamente un tempio nel Campo Marzio il giorno stesso delle Feste Carmentali.

Nel mese di Febbraio è da notarsi la festa della Dea Sospita, il cui nome significa salvatrice. In origine e grammaticalmente la voce sospita è un aggettivo che soleva aggiungersi dai Lanuvini alla Dea Giunone. Poi divenne un nome di una particolare Divinità ; e Cicerone nel lib. i De Nat. Deor. ci dice che la rappresentavano con una pelle di capra sulle spalle, con un’asta e un piccolo scudo e i calzari rovesciati ; ma che questa non era nè la Giunone Argiva, nè la Giunone Romana.

La Dea Fornace fu un’invenzione del re Numa Pompilio. Era veramente una Dea da quelle etadi grosse, come direbbe Dante ; ma Ovidio asserisce che i contadini furono molto lieti di questa protettrice dei loro forni, e che la pregavano devotamente :

« Facta Dea est Fornax ; læti fornace coloni
« Orant ut fruges temperet illa suas. »

Della Dea Muta non ci danno notizia che Ovidio e Lattanzio ; e dicono che era una Naiade, la quale fu privata della favella da Giove, perchè parlava troppo. La pregavano perchè facesse tacere le male lingue.

Le Feste Caristie erano un solenne convito fra i parenti ed affini che si riunivano annualmente in questo giorno alla stessa mensa, non solo in attestazione e conferma del loro reciproco affetto, ma principalmente per avere occasione di sopire in mezzo alla comune letizia qualche discordia che fosse nata fra taluni di loro nel corso dell’anno. Alcuni fanno derivare la voce Charistia dal greco charisma (dono) ; Ovidio dall’aggettivo chari :

« Proxima cognati dixere Charistia chari,
« Et venit ad socias turba propinqua dapes. »

Nel mese di Marzo celebravasi la festa degli Ancili. È narrato anche nella Storia Romana il miracolo dell’ancile caduto dal Cielo a tempo di Numa. L’ancile era uno scudo di figura ellittica e perciò privo di angoli, come, secondo alcuni etimologisti, significa il nome stesso. Il buon popolo di Numa non solo vide co’suoi propri occhi il miracolo, ma udì anche una voce dal Cielo che prometteva ai Romani la maggior potenza finchè avessero conservato quello scudo. E Numa ne fece costruire altri undici, non solo simili, ma tanto uguali che neppur l’artefice seppe in appresso distinguere qual fosse quello caduto dal Cielo. Si tenevano tutti custoditi con molta cura, e solo una volta all’anno nel mese di marzo i sacerdoti del Dio Marte li portavano per le vie della città cantando e saltando secondo il rito. Quei sacerdoti eran chiamati Salii dal saltar che facevano processionalmente ; e l’inno che essi cantavano essendo stato composto ai tempi di Numa, era divenuto inintelligibile a loro stessi : solo dall’esservi più volte ripetuta la parola Mamurio si credè che quel vocabolo fosse il nome dell’artefice degli undici ancili, poichè dicevasi per tradizione che egli null’altro premio avesse richiesto dell’ opra sua che di esser rammentato nell’inno saliare.

Vèiove significa Giove piccolo, ossia bambino, secondo gli etimologisti latini e lo stesso Ovidio. Perciò questo Dio è rappresentato giovinetto e senza i fulmini in mano, ma invece accompagnato dalla capra che fu la sua nutrice nell’isola di Creta. Aveva un tempio fra i due boschi dell’asilo di Romolo. Si celebrava la festa di Giove Bambino il dì 7 dei mese di marzo.

Anna Perenna era una Dea adorata soltanto dai Romani, perchè credevano che fosse quella stessa Anna sorella di Didone, rammentata da Virgilio nel lib. iv dell’Eneide, e dopo la morte della sorella e per varie vicende dolorosissime venuta nel Lazio. Le aggiunsero il titolo di Perenna perchè era considerata come una Ninfa del fiume Numicio. Ovidio ne dà l’etimologia latina con un giuoco di parole, facendo dire alla stessa Dea :

« Amne perenne latens Anna Perenna vocor. »

Nel mese di Aprile troviamo notata il dì 6 la Natività di Diana e il dì 7 la Natività di Apollo. Questa indicazione è conforme alla ortodossia mitologica, secondo la quale credevasi che di questi due Dei gemelli Diana fosse nata un giorno prima di Apollo.

Le feste Robigali, cioè in onore del Dio Robìgo, facevansi per implorare da questo Dio che tenesse lontana la ruggine dalle biade. Robigo in latino significa ruggine, e i Romani debbono a Numa Pompilio l’invenzione di questo Dio. Noi abbiamo notato nel Cap. XXXIII che di molti Dei si conoscono le attribuzioni dal significato stesso del loro nome ; e tra gli altri abbiamo rammentato il Dio Robigo.

Nel mese di Maggio troviamo indicato che il primo giorno di quel mese fu eretta un’ara ai Lari Prèstiti. Quest’epiteto di Prestiti dato ai Lari è d’origine tutta latina : deriva da prœstare opem (prestar soccorso). Sotto questo titolo erano considerati i protettori della città. Degli Dei Lari abbiamo parlato a lungo nel Cap. XXXVIII.

Nello stesso giorno si celebrava la festa della Dea Bona. Questa è la stessa che la Dea Fauna moglie del Dio Fauno, di cui abbiamo parlato nel Cap. XXXV. Fu detta la Dea Bona perchè era di una così scrupolosa modestia e castità, che si chiuse nel suo ginecèo e non volle vedere altra faccia di uomo che quella di suo marito. Perciò le matrone romane le prestavano un culto religioso in un tempio chiamato opertum (che in latino vuol dir chiuso), perchè a quei riti e in quel tempio non erano ammessi gli uomini. La Storia Romana ci narra che essendovisi introdotto il licenzioso P. Clodio travestito da donna, egli fu stimato sacrilego ; e questo scandalo fu causa che Cesare ripudiò la propria moglie, dicendo che sulla moglie di Cesare non dovevan cadere nemmeno sospetti.

Nel mese di Giugno trovasi rammentata la dedicazione del tempio a Giunone Monèta. Questo titolo di Monèta dato a Giunone è di origine latina : deriva a monendo (dall’avvertire) perchè gli antichi Romani dicevano che questa Dea li aveva avvertiti che facessero un sacrifizio di espiazione immolando una scrofa pregna. Cicerone stesso disapprova questa e simili stolte superstizioni nel lib. ii De Divinatione.

Bellona, il cui nome è di origine tutta romana, derivando da bellum cioè dalla guerra, era creduta sorella del Dio Marte ed auriga del medesimo nelle battaglie, quando egli combatteva dal suo carro. Essa pure si dilettava di sangue e di stragi, come afferma Orazio, dicendola gaudentem cruentis. Aveva un tempio fuori di Roma, ove si radunava il Senato per dare udienza a quegli ambasciatori che non erano ammessi in città. I sacerdoti di questo culto si chiamavano Bellonarii, derivando il loro nome da quello della Dea.

Il Dio Summàno, quantunque avesse un tempio in Roma, da prima nel Campidoglio, e poi, al tempo delle guerre di Pirro, presso il Circo Massimo, ove tutti gli anni si celebrava la detta festa il dì 20 di giugno ; e per quanto questo Nume sia rammentato da molti dei più celebri scrittori Latini, restò peraltro incerto per lungo tempo quale ufficio egli avesse. Marziano Capella, poeta latino del quinto secolo dell’ E. V. asserisce nel suo libro intitolato Satyricon che Summanus significa Summus Manium, il primo degli Dei Mani, e perciò il Dio Plutone. Cicerone e Plauto rammentano questo Dio Summano, ma non ne spiegano gli attributi : Plinio nel libro ii, cap. 52 della sua Storia Naturale, dice soltanto che a questo Dio si attribuivano i fulmini notturni, come a Giove i diurni. Ovidio poi confessa che non sa qual Dio sia (quisquis is est). Peraltro i moderni Filologi che rivaleggiano coi Paleontologi a ricostruire con frammenti fossilizzati gli esseri preistorici, si sono impossessati di questo vocabolo Summanus, e raccogliendo qualche altra indicazione che si trova di questo Dio e in Varrone e in Festo e negli Acta fr. Arval. e nel Glossarium Labronicum, concludono col Preller che Summanus è un Dio del cielo notturno, a cui si attribuivano i temporali notturni come a Giove quelli diurni. Ma questa conclusione è quella stessa di Plinio nel luogo da me citato di sopra. Non ha fatto dunque il Preller una nuova scoperta, ma soltanto ha dimostrato con qualche altro documento esser la più vera l’asserzione di Plinio168.