(1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XIX. La Dea Triforme cioè Luna in Cielo, Diana in Terra ed Ecate nell’Inferno » pp. 115-122
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(1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XIX. La Dea Triforme cioè Luna in Cielo, Diana in Terra ed Ecate nell’Inferno » pp. 115-122

XIX

La Dea Triforme cioè Luna in Cielo, Diana in Terra ed Ecate nell’Inferno

Al pari di Apollo aveva Diana diversi ufficii non solo in Cielo ed in Terra, ma pur anco nell’Inferno ; e secondo ciascuno di questi rappresentavasi in 3 diverse forme ; quindi ebbe il titolo di Dea Triforme 135. Tutto ciò che si riferisce a Diana in comune col suo fratello Apollo, vale a dire i genitori, il luogo di nascita e i nomi che da quello le derivarono, l’abbiamo detto nel N° XVI. Dovendosi ora parlare de’suoi ufficii speciali diremo che, considerata come la Luna, immaginarono i mitologi che essa sotto la forma di una avvenente e giovane Dea percorresse le vie del Cielo in un carro d’argento o d’avorio tirato da 2 o 4 cavalli bianchi ; ma non seppero inventare alcuna graziosa favola sulle fasi lunari ; e in quanto alle ecclissi lasciarono correre la volgare e grossolana opinione che l’oscurazione di questo astro dipendesse dagl’incantesimi degli stregoni, i quali colle loro magiche parole avessero tanta potenza da trarre la Luna dal Cielo in Terra per farla servire alle loro male arti. Orazio rammenta più volte (ma ironicamente, perchè non vi credeva) questa magica potenza delle streghe sulla Luna e le Stelle136, e Ovidio aggiunge che si estendeva anche sul Sole137. Il volgo peraltro vi credeva di certo, perchè l’ignoranza fu sempre un terreno fertilissimo da allignarvi e crescervi qualunque più bestiale errore ; e la storia di tutti i tempi lo prova. Sappiamo infatti che anticamente nel tempo delle ecclissi lunari i popoli della Tessaglia facevano alti rumori con stromenti ed utensili di metallo per liberar di travaglio la Luna, credendo così d’impedire che essa sentisse le magiche parole degli stregoni ; che un esercito perdè la battaglia fuggendo spaventato per un’ecclisse di Sole che avvenne in quel tempo ; che anche i selvaggi dell’America nei primi tempi della scoperta del nuovo Mondo credettero che Colombo colle sue preghiere potesse far sì che si oscurasse e rasserenasse la faccia della Luna.

Gli astronomi stessi passarono anticamente per maghi o per innamorati della Luna. Anzi di quel primo che osservò e descrisse il corso lunare raccontano i mitologi che si era invaghita la Luna stessa. Chiamavasi egli Endimione, e stava sul monte Latmo che è nella Caria ; ed essendosi in una di quelle caverne addormentato di un profondo sonno mandatogli da Giove, la Luna andava tutte le notti non vista a visitarlo, quantunque egli dormisse. Questa favola ebbe fortuna e credito presso i pittori, i poeti e i filosofi. Trovansi pitture e stampe in cui vedesi Endimione addormentato in una caverna e la Luna che sta a guardarlo. I poeti poi quasi tutti, ed anche gl’italiani, rammentano il vago della Luna, Endimione e la sua Diva, il dormitore di Latmo. E tra i filosofi Platone e Cicerone parlano del sonno di Endimione, paragonando a quello il sonno della morte138.

La Luna era adorata da quasi tutti i popoli idolatri ; e Cesare rammenta nei suoi Commentarii, che gli antichi Germani regolavano le loro imprese secondo le fasi lunari ; e stimavano più propizia per loro la luna nuova 139. In Roma v’era un tempio dedicato a Diana Noctiluca, cioè alla Luna che splende di notte, nel qual tempio tenevano accesi i lumi tutta la notte innanzi alla statua di questa Dea.

Col solo nome di Diana era considerata come Dea della caccia ; e credevasi che accompagnata da 50 ninfe, le quali al par di lei avevan rinunziato a prender marito, passasse il tempo nei boschi ad inseguire ed uccider le fiere. E perciò si rappresenta come le vergini Tirie140, con veste corta che appena le giunge al ginocchio, i coturni sino alla metà della gamba, pendente alle spalle il turcasso cogli strali, in una mano l’arco e nell’altra un guinzaglio con cui trattiene un levriero che si volta a guardarla ; e perchè si distingua che questa cacciatrice è Diana, le si aggiunge sull’alto della fronte un aureo monile in forma di luna crescente.

Come casta Diva e cacciatrice era d’indole seria e sdegnosa. Anche Orazio la chiama iracunda Diana ; e si racconta perciò che ella era inesorabile e puniva severamente qualunque colpa o mancanza. Discacciò dal suo coro di ninfe e cangiò in orsa la giovane Callisto (il cui nome significa bellissima), perchè si accorse che amoreggiava con Giove. La qual’orsa fu poi da Giove trasformata in una costellazione per impedire un matricidio, vale a dire che fosse uccisa dal figlio di lei chiamato Arcade, bravo cacciatore, che incontrata nei boschi quest’orrida fiera e non sapendo che fosse sua madre, stava per trafiggerla con un dardo. E questa costellazione fu detta Orsa maggiore ed anche Elice per distinguerla dall’altra vicinissima ad essa che chiamasi Orsa minore ed anche Cinosura dal nome di una di quelle Ninfe che ebbero cura dell’infanzia di Giove, e che per benemerenza fu trasformata in questo gruppo di stelle.

L’Orsa maggiore fu chiamata anche il Carro, nome che si conserva pure oggidì ; e le sette stelle principali che vedonsi in quella ad occhio nudo eran dette i sette trioni, ond’è venuto il termine di settentrione 141.

Dante rammentò la ninfa Callisto col nome greco e latino di Elice nel C. xxv del Purgatorio :

« …………………al bosco
« Si tenne Diana, ed Elice caccionne
« Che di Venere avea sentito il tosco. »

E nominò anche Elice la stessa costellazione dell’Orsa nel C. xxxi del Paradiso :

« Se i Barbari venendo da tal plaga,
« Che ciascun giorno d’Elice si cuopra,
« Rotante col suo figlio ond’ella è vaga ; » ecc.

E al nome di Orsa maggiore preferì quello del Carro nel C. xi dell’ Inferno :

« E ’l Carro tutto sopra il Coro giace. »

Rammentò ancora le Orse nel C. II del Paradiso ; ma ivi parlò con figura poetica, e prese per sue stelle polari le Muse :

« E nove Muse mi dimostran l’Orse. »

In greco Orsa dicesi arctos, dalla qual voce è derivato l’appellativo di polo artico, ossia dell’Orsa, e antartico, opposto all’Orsa.

Alcuni mitologi aggiungono che anche Arcade figlio di Callisto fu cangiato in una costellazione detta Arctophylax, cioè custode dell’Orsa : più comunemente però si chiama Boote, ossia il bifolco 142. Ma neppure il termine di Artofilace andò perduto o dimenticato nella poesia italiana ; e chi mai non si allontani da qualche cara cosa o persona fu detto che egli le sta sempre come Artofilace all’Orse (secondo la frase dell’Ariosto), appunto perchè questa costellazione è vicinissima a quelle, e di certo non si scosta mai da quel posto.

Una più terribile punizione inflisse Diana al cacciatore Atteone, il quale essendo penetrato in un boschetto ov’era una fonte in cui si bagnava Diana colle sue Ninfe, la Dea gli gettò dell’acqua sulla faccia e lo trasformò in cervo, che nel fuggire fu raggiunto dai suoi propri cani e da essi miseramente dilaniato. Dissero i mitologi che Atteone, perchè apparteneva ad una famiglia odiosa a Giunone, fu spinto malignamente da questa Dea ad entrare in quel boschetto per procurargli una sì miseranda fine. Atroce e vergognosa vendetta !

Il Petrarca si credè autorizzato da questo racconto mitologico a darci ad intendere, nella sua 4ª Canzone, che per opera di Madonna Laura avvenisse a lui stesso un fatto simile a quello di Atteone :

« Io perchè d’altra vista non m’appago,
« Stetti a mirarla, ond’ella ebbe vergogna ;
« E per farne vendetta, o per celarse,
« L’acqua nel viso con le man mi sparse.
« Vero dirò (forse e’parrà menzogna),
« Ch’io sentii trarmi della propria immago ;
« Ed in un cervo solitario e vago
« Di selva in selva, ratto mi trasformo ;
« Ed ancor de’miei can fuggo lo stormo. »

È facile peraltro l’intendere che qui il Petrarca parla soltanto metaforicamente.

La Dea Triforme era considerata come Ecate nell’Inferno. Su questo terzo attributo son molto incerti e discordi fra loro i mitologi ; ed urta il senso comune e il buon gusto il sentire che confondessero l’argentea Luna e la svelta saettatrice Diana con la mostruosa Ecate. Sapendo soltanto che ad Ecate si attribuivano tre teste, una di cavallo, una di cane ed una di leone e, secondo altri, di cinghiale, basta questo perchè tal mostruosa Dea faccia orrore. E gli uffici che le si assegnavano eran pur essi fantastici e paurosi ; poichè dessa mandava fuor dal regno delle ombre i notturni spettri a spaventare i viventi, e usciva talvolta in persona colle anime dei morti a girare intorno ai sepolcri e pei trivii ; spingeva i cani ad urlare orribilmente per le vie, e proteggeva le maliarde e le streghe nei loro incantesimi. Omero però non parla di questa ributtante Dea, e il passo in cui ne discorre Esiodo credesi interpolato dagli Orfici, una specie di riformatori o di eretici dell’antico paganesimo. Il volgo però vi presta va pienissima fede, e tanto più allora quando in alcuni luoghi invalse l’uso nei trivii di offrir delle cene ad Ecate, che lasciate intatte da questa Dea eran poi ben volentieri divorate dai poveri. In tempi più civili si rappresentò Ecate con tre faccie, ma tutte di donna ; e questa triplice immagine ponevasi nei trivii, ond’ebbe ancora il nome di Trivia 143. Orazio in tre odi che han per soggetto le streghe e le stregonerie non rammenta mai Ecate, e solo nella Sat. 8 del lib. I dice delle due famose streghe Canidia e Sagana, che l’una invocava Ecate, e l’altra Tisifone ; e nel Carme secolare che fu cantato pubblicamente in onore di Apollo e di Diana, tra gli altri ufficii di questa Dea ivi enumerati non è accennato nemmeno quello infernale di Ecate. Quindi alcuni mitologi e poeti preferirono di sostituire ad Ecate la Dea Proserpina moglie di Plutone e regina dell’Inferno ; e lo stesso Dante seguì tale opinione ; poichè nel farsi predire da Farinata degli Uberti (nel C. x dell’Inferno) il suo esilio, e indicarne l’epoca fra circa 50 mesi lunari, esprime queste idee con frasi mitologiche nel modo seguente :

« Ma non cinquanta volte fia raccesa
« La faccia della Donna che qui regge
« Che tu saprai quanto quell’arte pesa ; »

ove apparisce manifestamente che l’ufficio di Proserpina e non di Ecate è accomunato da Dante con quel della Luna144.

Anche il titolo di Lucina dato anticamente a Giunone (come dicemmo nel N. XV) è più confacente a Diana, perchè Lucina, come dice Cicerone, deriva a lucendo, ed appella più propriamente alla Luna145.

Diana aveva in Efeso un famoso tempio, considerato come una delle 7 maraviglie del mondo, che fu arso, pur d’acquistar fama ancorchè infame, da Erostrato Efesio la notte in cui nacque Alessandro Magno, cioè il 6 di giugno, 356 anni avanti l’era cristiana. Fu ben presto rifabbricato non meno splendido per ricchezza, sebbene fosse impossibile rifare dello stesso pregio gli oggetti d’arte che erano periti nell’incendio. Questo secondo tempio esisteva ancora quando l’apostolo Paolo andò a predicare il cristianesimo agli Efesii ; e poichè egli voleva abolire il culto di Diana, poco mancò che non fosse massacrato dagli orefici di quella città, che guadagnavano molto vendendo tempietti d’argento fatti ad imitazione di quello di Diana Efesina146. Pochi anni dopo fu questo tempio saccheggiato da Nerone, e nel terzo secolo dell’era volgare distrutto dagli Sciti. Ed ora dove sorgeva quel tempio e la stessa popolosa città di Efeso, che a tempo dell’imperator Teodosio II fu sede di due Concilii Ecumenici, non trovasi che qualche lurida capanna mezzo sepolta in una pianura paludosa da cui sollevansi esalazioni deleterie dell’organismo vitale !