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1 (1880) Lezioni di mitologia
ci all’istoria d’Ilio sciagure d’Ilio che fama divennero di Omero, «  Di quel signor dell’altissimo canto. Che sovra gli a
rincipj, si mi schiò con essi, e questa misura fu Desiderio chiamata. Di qui cominciò l’universo: ma lo spirito mentovato
vino versavasi sulle viscere che fumavano all’imperatore dell’ombre. Di tutte le propiziazioni agii Dei infernali madre e
e del mio capo la recisa spoglia Sia sacro dono all’amistade, e pegno Di dolorosa tenerezza. — Ei tosto Le lunghe anella d
n corona: indi su lui riversa Da doppia urna d’argento un doppio rivo Di biondo mei, di liquid’olio. A questo, Quasi a seg
tetra gioia orrido strido: — Patroclo, esclama, questo sangne accogli Di cui t’ inondo: esso è de’ Teucri il sangue Che gi
li altri celesti, più bassi tenendo i destinati agli Dei della terra. Di marmo, di bronzo, di oro si formavano le are; rar
’avea sacrati, e di continui fochi Mantenendo agli Dei vigilie eterne Di vittime, di fiori e di ghirlande, Gli tenea sempr
e di molte iscrizioni la memoria non ci è stata invidiata dal tempo. Di due are massime, così dette dalla venerazione in
’ha chi stassi spettator feroce Sopra l’ettorea tomba, e calca l’ossa Di quel famoso, che l’achive squadre Sol della vista
hiar della gran dea triforme Co ’l sangue d’Ifigenia, allor che cinta Di sacra fascia il bel virgineo crine Vid’ella a se
mille navi, e se d’Auìide il porto Vomiterà le infide prore, il copra Di spezzati navigli e membra infrante Ira miglior de
E già Calcante Oh crudi: Fermate; il sangue che già scorre, è sangue Di chi il fulmine vibra; il tuono io sento, Trema la
n sua difesa, e solo i Greci Spaventa, e i numi fa discordi in cielo. Di mille dardi all’ombra il di si cela, E primizia d
creto ad eseguir s’accinge. Ma la vergine esclama: arresta, il sangue Di quel possente che nel sen mi scorre. Verserò senz
re il metallo variato; scolta V’era Flnachia figlia, e avea sembiante Di vitelletta, e coi mutati piedi La misera le salse
el nascea, che delle occhiute piume Colla pompa emular sembra le vele Di nave, che pel mare aperto vola. Le labbra estreme
a Le giovinette nei fioriti prati, Che a vicenda traean vario diletto Di primavera dai beati alunni. Chi il soave narciso,
esso Ennosigeo l’onde sortite Spiana all’alto germano, e rìde il mare Di tanto pegno altero. Anco i Tritoni Abitatori del
Creta mia cuna accoglierà; le nostre Nozze vedranne, e fia sede beata Di te, madre famosa a figli illustri, Scettrati regi
addolcisce il cielo e l’ora. Or l’occhiuto pastor, che l’ode intanto, Di sì soavi accenti s’innamora, E dicea a lui: Qui m
scorza d’un brutto animale: Laddove giunta, il corpo e l’alma infetta Di quella afflitta, e giugne male a male; E tal furo
e le tue mura erano i monti: Nasceva il rivo ove è la Curia; il bevve Di sudor generoso ancor fumante Il destrier di batta
Partirò le ire, ed unirò le destre, Scosse le spade: tacerà la tromba Di guerra, e canterai tu solo Imene, E sparse intorn
Due preziosi arnesi: e primo un cinto. Cinto d’inenarrabile testura. Di portenti fecondo: alle sue fila Invisibili al gua
a Nobil Fiducia che alla fede invita; E l’ingenuo Pudore, amabil velo Di compresso desio; di nebbie sgombra Placida Ilarit
in Troia un figlio mio. — Sorride Giuno cortese accortamente, e ratto Di là si toglie. Le Pierie piaggie Pria trasvolando
dolcezza insolita l’inonda. Quasi dessa non pargli, e al par sorpreso Di lei, di se: Tu qui dal ciel? domanda, Compagna am
do che ne stringe, esempio augusto Dei solenni Imenei, figura e pegno Di quel nesso vivifico, che cielo Con terra innesta,
m’investe. Il giorno istesso Che colsi il fior di tua beltà non arsi Di tale ardor; vieni al mio sen. — Tacendo Cade la d
ortuno sospetto (impaziente Ripiglia il re del cielo): occhio profano Di nume, o di mortai non fìa che turbi Le nostre gio
accende, E dall’intime viscere dischiude D’amorosette pallide viole. Di m.olle loto e teneri giacinti, E di candidi gigli
e il cielo, circola d’intorno Arcano gaudio, e con bisbigli e tresche Di lieti augei, d’ implacidite belve, E garrir d’aur
do l’uso de’ materni ufficii; E’ m’ usurpa i miei dritti e va superbo Di doppio nome. Ed io madre non sono Senza il marito
lle cui spalle il Cielo è soma; D’Atlante, la cui testa irta di pini, Di nubi involta, a pioggia, a venti, a nembi E sempr
e laghi Umilmente volando…………………… » Eneide, lib. IV, v. 237 e segg. Di questa descrizione di Virgilio si giovò GianBolog
Lungi. Le porte col bel pie percote Febo: noi vedi? La Deliaca palma Di repente si spiega, e dà soave Cenno; e per Taer d
lieta vecchiezza al vostro capo Troncar volete, e se desio vi prende Di fermar mura sopra basi antiche. Ma fine a gli ozj
, che in Frigia sorge umida pietra, E ognora attesta con immoto lutto Di superbe parole alta vendetta. Misero è ben chi co
te il livore sussurrò di furto: Io non ammiro quel cantor che lascia Di narrar quanto il vasto mare abbraccia; Ma l’urta
o? a che si adora Sugli altari Latona, e senza incensi E il mio nume? Di me Tantalo è padre, Che solo fra i mortali un dì
sì parlava colla doppia prole Sulla vetta di Cinto. Io che son madre Di voi superba, e fra le dee minore Solo di Giuno, n
esta gloria convieni teme il nemico, Temon le fere l’infallibil dardo Di me, ch’or dianzi sul Piton, che mille Campi ascon
che tu non cada, e il pruno Non ti punga il bel pie, che non è degno Di essere oifeso, che di pianto io sia Cagione: aspr
, perchè non soffre occhio mortale Luce di Febo, che sul soglio siede Di smeraldi distinto, ed ha velate L’eterne mem.bra
tu devi dell’avverso toro Le corna, e l’arco Emonio, e l’ampia bocca Di lion fero, le curvate braccia De lo scorpione, de
d’oro il timone e delle rote Il giro estremo: son d’argento i raggi. Di crisoliti è sparso il giogo: accrebbe Febo splend
rano dalle nari, e il fren sonante Mordono ognora coll’indocil bocca. Di liquor sacro il genitor consperge Al figlio il vo
fratelli suoi la fuga accresce: Non ha legge l’error: l’impeto cieco Di qua, di là, di su, di giù gli mena: Ora toccan le
I noti gioghi di querele meste Riempie; a terra le ginocchio inchina Di supplicante in atto, e il muto volto Come le brac
cavrioli, le lepri, ed a guidare sulla traccia di qualunque animale. Di qui partita trovò sulla vetta del monte Parrasìo
tta così disse al suo core: — Questa prima caccia sarà degna di me. —  Di cinque, quattro ne prese senza il corso dei cani,
’eroe di Calidon la vide, ed arse, E felice, esclamò, colui che degno Di tue nozze farai: nè più concesse Il loco ed il pu
giri compiti, allor che stanca Per le fraterne fiamme un bosco grato Di fredde ombre occupò Diana: un rivo Con lento morm
Omero: « E la tunica messasi di Giove Ammassatore delle nubi, armossi Di forti arredi a lacrimosa guerra. Cacciò alle spal
mpeggia, e la grand’asta afferra, La grave, enorme, immensurabil asta Di mura atterratrice, a folgor pari. Domatrice d’ese
ema come Giunone, e questo attributo la distingue da Venere Afrodite. Di simili teste isolate, che sono state scoperte div
ntorno al labbro langue il moribondo Bacio da Vener non lasciato mai; Di lui morto anco il bacio a Vener piace; Ma Adon no
al fianco rosseggiava il petto, E il costato, che dianzi era di neve, Di porpora era fatto al morto Adone. Ahi ahi: Citére
na allor n’aveaii parte polita. Parte abbozzata con tre raggi attorti Di grandinoso nembo; tre di nube Pregna di pioggia;
s’allenta, e venti fochi accende Diversamente: in più fornaci immerse Di fulgid’oro e di forbito argento E schietto stagno
a le cure del gran mastro alletta Non più visto lavor d’immenso scudo Di tempra impenetrabile, e più d’arte Che di materia
o il corpo; ma ‘1 più nobil fregio È quel che tutto lo figura e veste Di sculti gruppi e svariate forme Sceltissimo vaghis
fronte, effigiò: nell’una Pace fiorisce, e doppio ofi’re allo sguardo Di pace aspetto; ivi conviti e feste Scorgi e letizi
nsieri, e in ciò che appare Quel che dianzi passò rappella e arresta. Di rustisch’opre e di campestre vita Grate vicende r
Le rusticali suo dovizie, intanto Che i fidi servi le spezzate membra Di pingue toro allo schidione infitte Rammollano col
fame non dorme apprestan mensa Men lauta sì, ma più gioconda e cara. Di là non lungi lussurreggia e brilla Vigneto florid
e un lungo filar d’olmi d’argento. Siepe di stagno lo ripara, e fosca Di ceruleo metal fossa lo cinge. Guida colà solo un
avalli nitrir sparsi nei prati: Segno al nume vicin, stridon le porte Di perenne adamante. Ecco ritorna, ^E le belle ire d
gnor, dall’anelante petto Respira fiamme, e allor che il peso immenso Di scoter tenta dal ribelle collo E muta i fianchi,
han forse voluto alludere alle medesime idee nel figurarla velata. «  Di altezza colossale e di nobile artifizio è ancor l
Striduli carmi coi loquaci rami Mormorar sembra: per concerto orrendo Di timpani percossi il tempio freme; Ida risuona d’u
gli eventi, e a Citerea rivela Gli arcani della mente. A te, diceva, Di mie cure il segreto affido: il fato Vuol Proserpi
Etna mirò madre dei fiori, e dice A Zeffiro che siede in curva valle: Di primavera genitor soave, Che pei miei prati con l
gue il suo volo Primavera, e dona All’erbe ogni color: sparge le rose Di sanguigno splendore, e dolce tinge Le violette di
lo cinge colle frondi il bosco. La vista ammette nella cima, e largo Di limpid’ acqua fino al fondo estremo Inviolata la
cia dei proprii danni era la figlia, Immagin prima del sopor materno: Di carcere nel mesto orror vederla Pareale, e da cru
l’unica prole? e caro un giorno Di Proserpina il nome era alla madre Di lei, scolta in tormentoso abisso, Mentre tu, crud
e grida a Cibele: I Frigi campi, Veneranda, abbandono; or me richiama Di tanto pegno la custodia, e gli anni Esposti ad og
gemito ferale, e suonan pianto I timpani percossi. Ahimè ch’io tremo Di mie lunghe dimore. — A lei rispose Cibele: I dett
rte, E col Tremore la digiuna Fame. A lei comanda che nel sen si celi Di quel profano, nè alla copia ceda, E con le forze
ssere imitato da quello di Tespi. » Amore e Psiche « E tu, cura soave Di tacite donzelle, Cui mentre Ebe sorride, il giovi
memoria suona Per l’Olimpo beato. Vergine avventurata in mortai velo Di bellezze immortali adorna apparve; Stupì vedendo,
Sassi ruscello di liquor Leteo: Invita i sonni il mormorio dell’onde: Di papaveri selva innanzi all’antro Fiorisce e d’inf
igio bosco, E al loco giunse tenebroso e fosco Sacro alla frigia Dea, Di spesse, annose piante intorno cinto, U’ da rabbio
calle Gitene, o Galle Tutte di schiera, Tutte alla nera Alta foresta, Di lei che al Dindimo Monte si venera: Su, greggia t
ed allegra. Via, via; dall’animo Ogni indugievole Lentezza sgombrisi: Di schiera gitene Tutte seguendo me, Colà vi scorgo,
ovea Venirne fuori Dalla camera mia, già sorto il giorno, Tutto vedea Di varii fiori Il caro albergo inghirlandato e adorn
i luoghi Per fredda neve algenti abiterò? Io di Frigia i gran gioghi Di stanza in luogo eternamente avrò, Ov’ è la selvab
su, fera belva, Vanne, e quinci ritrarsi alla selva Per marcia forza Di furor, di follìa Costui ne sforza, Che baldanzoso
sembiante più bianca del latte, Più morbida di agnella, e più lasciva Di vitelletta, ma dell’uva acerba Aspra di più, ten
oco più basso vedesi Tantalo in mezzo ai tormenti descritti da Omero. Di più vi ha uno scoglio che minaccia schiacciarlo,
ssiso Piange, e rinnova miserabil carme, E largamente la nativa selva Di querele riempie. Amor non diede. Non imeneo confo
pre alate comparir le Furie afferma Winkelmann con troppa franchezza. Di più, ad un’altra osservazione del medesimo fa gue
o mi parve udir le voci afflitte, Ed i gemiti tristi, e i tristi omei Di quei, che fuor de’ gl’impiagati petti Versavan l’
Ma spinta pur dalle minaccie altere Del padre mio, lo scelerato ferro Di novo prendo, ed arditetta il feci Molto vicino al
già tolto al suo cugin la vita. Ma se questa mia destra ardito avesse Di trar di vita alcun, non sarebb’ella Prima del san
a versato: ond’ei mi prese Per le ancor sciolte chiome (e queste sono Di mia pietà le meritate spoglie) E mi trasse per fo
Iddio e i lor parenti, L’umana specie, il luogo, il tempo, e il seme Di lor semenza e di lor nascimenti. Poi sì ritrasser
ni Ordinò general ministra e duce, Che permutasse a tempo li ben vani Di gente in gente e d’uno in altro sangue. Oltre la
na, ci darà una chiara spiegazione di quelle espressioni di Orazio: — Di qui l’apice la rapace fortuna inalzò con stridore
poc’anzi apparse: E come suole ornarse In su l’Eufrate barbara reina, Di bisso e d’ostro si copria le membra: Nè verde lau
plendori Le fean ghirlanda al crine: In sì rigido fasto ed uso altero Di bellezza e d’impero Dolci lusinghe scintillare al
il Nil sotto le leggi Del gran fiume latino: Nè si schermirò i Parti Di fabbricar trofei Di lor faretre ed archi: In su l
gi Del gran fiume latino: Nè si schermirò i Parti Di fabbricar trofei Di lor faretre ed archi: In su le ferree porte infra
e; E già dal loro ardore Infìammata tua mente Si crede esser possente Di destrieri e dì vele Sovra la terra e l’onde, Quan
o crin le tue corone, Pur su l’alma i’ mi sento Per lei doni maggiori Di tutti i regni tuoi, Nè tu recarli, nè rapirli puo
per Euterpe, Musa che ha specialmente sortito il suono dei flauti. «  Di simile ufficio, tutto proprio di Euterpe, fa fede
periore, essendo quest’ultimo rappresentato finissimo e traspa rente. Di simil costume non trovo vestigio nè in autori nè
pel mar move i vessilli, e pieni D’armenti e donne i trionfali legni, Di barbariche vesti hanno collane Del loco insegna:
i mariti, e che nei freddi letti Dolce preda verran le Tracie donne: Di qui il principio a te: dolore accenda Le furibond
corre le case, e nella destra Porta le teste singhiozzanti: ha sparso Di caldo sangue il seno, e gronda sangue Lo stretto
ai fasti Latini il tempo serva, E staran d’Ilio i lari, e l’alta sede Di tanto regno. Eran consorti e figlie Contaminate,
ammutir le Driadi. Il Padre D’Armonia nostra, il ferreo Marte, armato Di lancia, ebbe stupor; mirò la figlia, Che senza fe
chiesta maestà del tuono Arse Semele: piange Autonoe il figlio Cervo. Di loro, ahi più misera: uccise L’unico figlio Agave
o. D’Armonia appo i nuziali letti Celebrati dai numi, e i doni eterni Di tanta sposa, se l’antica cetra Apollo ripercote,
ianto Gl’inalzerò la tomba, e l’infamata Mano ricoprirà l’amata testa Di polvere, e sarà scritto sull’urna! Son Penteo, o
che imponi: l’inamabil regno, O diva, lascia, e torna all’aura antica Di miglior cielo. — Già la face impugna Grave di san
i inspirare: nè percosse apporta Alle membra; il furor l’anima sente. Di liquido venen recati avea Seco i predigli, la Cer
: Olà, tendete in queste selve, O compagni, le reti: or qui m’apparve Di doppia prole lionessa altera. — Come di belva, de
o della dea, prende le forme di Marte, e gli tiene un lungo discorso. Di già il re prevede di esser vincitore. La dea va i
ie curiose sui costumi, gli usi e l’istoria naturale di questo paese. Di già l’Aurora aveva aperte le porte dorate dell’ 0
d ebbe gli stessi onori ed uffici che Tideo, Ippomedonte e gli altri. Di più la sua moglie Evadne deliberò di morire sopra
i effigiava con essa nella mano, come si rileva da Euripide che dice: Di più lo vedrai sulle delfiche rupi saltante con le
eano il pie l’aura sbattea; E dal dorso e dai fianchi, avvolta ad uso Di cavalli, scorrea la coda in giuso. » I Sileni, s
entauri in alcuna immagine vedansi aggiunti ancora al carro d’Alcide. Di questa alleanza di Bacco e di Ercole è ancora un
sorde acque di Teseo si dole, E dell’aura e del sonno che la inganna. Di paura tremando, come suole Per piccol ventolin pa
2 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLVI. Giasone e Medea » pp. 342-489
ri nell’antichità per l’arte magica, e Medea apparteneva al novero «  Di quelle triste che lasciaron l’ago, « La spola e ‘
e e di Antiope (o secondo altri di Mercurio), e che fosse re di Tebe. Di lui si narra un solo fatto mirabile, che val per
andre, varcando con esse i Pirenei e le Alpi per ritornare in Grecia. Di questo viaggio che diede occasione ad altre strao
ndi a cercar Teseo, lo staccò dallo scoglio e lo condusse via con sè. Di più si trascinò dietro il cane infernale fino all
orte di prima a combattere : la madre Terra rendevagli novelle forze. Di che accortosi Ercole, lo sollevò per aria e lo so
ccortosi Ercole, lo sollevò per aria e lo soffocò tra le sue braccia. Di questa favola dà la seguente spiegazione il Machi
chiudeva con un macigno e con ordigni di ferro fattigli da suo padre. Di là scendeva a rubare ed uccidere ; e il terreno a
estro disse : Quegli è Caco « Che sotto il sasso di monte Aventino «  Di sangue fece spesse volte laco. « Non va co’suoi f
ro sotto le loggie dell’Orgagna in Firenze, scultura di Gio. Bologna. Di altra più tremenda e famosa pugna de’Centauri con
io sotto quella costellazione : « O glorïose stelle, o lume pregno «  Di gran virtù, dal quale io riconosco « Tutto, qual
tauro, parola composta dei nomi di Minosse e di Tauro, ossia toro101. Di più fu detto che questo mostro era carnivoro e pa
quel che dice Plutarco, « uccise Tèrmero cozzando insieme col capo. » Di questo nuovo genere di duello ad imitazione degli
i il più bello, e dagli Dei « Rapito in cielo, perchè fosse a Giove «  Di coppa mescitor per sua beltade, « Ed abitasse cog
elo altamente era disceso ; « Se ben con falso e scellerato indizio «  Di tradigion, per detestar la guerra, « Ei fu da’Gre
, ardente e furïosa « Tra mille e mille, ancor che donna e vergine, «  Di qual sia cavalier, non teme intoppo. » (Traduzio
ui ricorsero i Greci a questa insidia : « ……….. Sbattuti e stanchi «  Di guerreggiar tant’anni, e risospinti « Ancor da’ f
ie si diero ; e da Minerva « Divinamente instrutti un gran cavallo «  Di ben contesti e ben confitti abeti « In sembianza
li altri schiavi Eleno figlio di Priamo e Andromaca vedova di Ettore. Di schiava la fece divenire sua moglie, ed ebbe da e
fu cena ; gli altri due con fuga « Precipitosa gionsero alle navi. «  Di grida la cittade intanto empiea « Antifate. I Les
mar co’remi ingiunsi, « Se il fuggir morte premea loro ; e quelli «  Di tal modo arrancavano, che i gravi « Massi, che pi
cerbi casi, ond’io sostenni « Solcando il mar la vista, oggetto mai «  Di cotanta pietà non mi s’offerse. » (Odiss., xii.
tonfo all’onde in mezzo, « Non lunge da que’ legni, a cui m’assisi «  Di sopra e delle man remi io mi feci. « Ma degli uom
delle man remi io mi feci. « Ma degli uomini il padre e dei Celesti «  Di rivedermi non permise a Scilla ; « Chè toccata sa
muto dagli Antichi, come ora il Maelstrom sulle coste della Norvegia. Di quel che avvenne ad Ulisse e ai suoi compagni nel
quando le membra de’ meschini « Tiepide, palpitanti e vive ancora, «  Di sanguinosa bava il mento asperso, « Frangea co’ d
n gran palo al foco aguzzo « Sopra gli fummo ; e quel ch’unico avea «  Di targa e di febea lampade in guisa « Sotto la torv
tore : « ………….. Era nel lito « Un picciol monticello, a cui sorgea «  Di mirti in sulla cima e di cornioli « Una folta sel
tutte, e di paura il sangue « Mi si rapprese. lo le cagioni ascose «  Di ciò cercando, un altro ne divelsi ; « Ed altro sa
lidoro io sono, e qui confitto « M’ha nembo micidiale e ria semenza «  Di ferri e d’aste, che dal corpo mio « Umor preso e
resia, che era Tebano e viveva ai tempi della guerra dei sette Prodi. Di lui si raccontano più mirabili fatti che di qualu
di Tebe ; di Calcante e di Euripilo abbastanza nella guerra di Troia, Di altri indovini antichi di minor fama fia laudabil
monia, lo salvò portandolo sul dorso sino alla costa del Peloponneso. Di questo fatto mitologico che credevasi accaduto in
3 (1861) Corso di mitologia, o, Storia delle divinità e degli eroi del paganesimo: Per la spiegazione dei classici e dei monumenti di belle arti (3e éd.) « Della mitologia in generale. » pp. 17-359
he ’ndarno mie parole spargo : Ma io v’ annunzio che voi siete offesi Di un grave e mortifero letargo : Chè volan l’ ore,
terra Molte tinte comparte, invidïate Dalla rosa superba. Anco talora Di quel candido foco una scintilla Spira la Dea nell
recando con sè parte del cielo, Sotto spoglie mortal scendon fra noi. Di quel, candido foco ardono i petti, Pronti al perd
petto di tanta avidità non potè fare a meno di riderne e di beffarla. Di che offesa la Dea gli scaraventò in faccia il res
er le caverne mormorando esala, E tutte intorno le campagne e’l cielo Di tuoni empie e di pomici e di fumo. Virgilio, En
, secondo il solito, l’alta sua origine, gli fu contradetta da tutti. Di che andato a lagnarsi col padre, gli chiese in gr
29 Il vagheggiano s’ei visita all’alba Le lor ime correnti, desioso Di più freschi lavacri, onde rifulga Sovra le piume
o carro è di madreperla : Il lume Che Cinzia versa placido dal carro Di madreperla. Foscolo. Le Grazie. Anche qui ci v
facevano i soliti sacrifizj : ………. le folli Menadi, allor che lorde Di mosto il viso balzan per li colli. G.Parini. 15
 : — Quando Bacco mi corre le vene, Alle pene — alle cure do bando ; Di dovizie allor mi pare Agguagliare — il re di Lidi
A fecoudarlo, e di Natura avea L’ austero nome : fra’ Celesti or gode Di cento troni ; e con più nomi ed are Le dan rito i
qua’ non val elmo nè scudo : Sopra gli omeri avea sol duo grand’ ali Di color mille, e tutto l’altro ignudo : D’intorno i
me celeste Interminabile Rendete onor. O diva Aglaia, O sempre amante Di meuse Eufrosine, Figlie al Tonante, Fauste volget
trema la terra, e n’urla il monte ; Ed ei lor sopra, realmente adorno Di corona e di scettro, in alto assiso, L’ira e gl’i
ddo tempo, a schiera larga e piena : Cosi quel fiato gli spiriti mali Di qua, di là, di giù, di su li mena : Nulla speranz
prati, e parte in su l’arena Scorrendo, lotteggiando, e varj giuochi Di piacevol contesa esercitando. Parte in musiche, i
nguinato Scettro, e sul trono gli t’assidi al lato. ……..A voi diletta Di chi delira il canto, E su pallide labbra inno di
e labbra inno di pianto : Raccor [ILLISIBLE]e in atri vasi il sangue Di chi [ILLISIBLE] Svegliar subiti a[ILLISIBLE] Negl
nziava una vita corta e sventurata, il bianco un’esistenza più lunga. Di rado nel pennecchio di Cloto si vedeva apparire q
nte mæstà e fortezza qualità tutte della virtù e della vera sapienza. Di consueto ha in capo l’elmo con sopra una civetta 
qui Calliopea alquanto surga ; Seguitando il mio canto con quel suono Di cui le Piche misere sentiro Lo colpo tal che disp
avo grembo della Notte oscura. Pronto, audace, festivo in sua natura, Di spirti alteri, impetuosi, ardenti, Or con motti g
. A tal con note magiche Porgea dolci ristori, Ad altri seppe mescere Di segreta virtù pieni licori ; Talor le membra stri
Orme temendo, e de’poeti il vulgo, Che con lira straniera, evocatrice Di fantastiche larve61 a sè li chiama, Invisibili e
imo, Tremerte e Glauco de’cavalli Di Nettuno custode, e Toe vermiglia Di zoofiti amante e di coralli ; Galatea che nel se
i Ordinò general ministra e duce, Che permutasse a tempo li ben vani, Di gente in gente, e d’uno in altro sangue, Oltre la
orza acquista. È da principio Piccola e debil cosa, e non s’arrischia Di palesarsi ; poi di mano in mano Si discopre e s’a
’ode ; e seminando Non men che ’l bene e ’l vero, il male e ’l falso, Di rumor empie e di spavento i popoli. Spesso è rap
de ; Vaga si che nè greca nè latina Riva mai vista non l’avea giammai Di più cara sembianza e pellegrina. Commossa al lam
Fama che le Grazie un giorno Vider l’Onore andar fuggiasco, in veste Di dolente eremita, e sovra l’urne Muto prostrarsi d
del marito, e compiè generosamente il sacrificio : ……..Unico esempio Di coniugalo amor, felici e degni Sposi, all’età lon
dre, al proposto mio fermo consuona. Non leggerezza femminile, o vano Di gloria amore, a ciò mi han tratto : il vuole Invi
e accoglienza, ed ospitai banchetto. Nove giorni fumò su l’are amiche Di nove tauri il sangue. E quando apparve Della deci
Del genero chiedea. Viste le crude Note di Preto, comandògli in prima Di dar morte all’indomita Chimèra. Era il mostro d’o
costume. Fra le sicure piume Salvo appena dal mar giura il nocchiero Di mai più non partir ; sente che l’onde Già di nuov
virtù fe’stabile, Ma chiaro il rese Omero, Cagion porgendo ai secoli Di cantico immortal. (Pindaro, Traduz. del Borghi.)
ciò le fila inutil io non perda. Prima fornir che l’inclemente parca Di lunghi sonni apportatrice il colga. Non vo’che al
i ti reco a riscattarlo. Achille ! Abbi a’Numi rispetto, abbi pietade Di me : ricorda il padre tuo : deh ! pensa Ch’io mi
ai piè dell’uccisore ; e quegli Or il padre, or l’amico ; e risonava Di gemiti la stanza. Alfin satollo Di lagrime il Pel
il padre, or l’amico ; e risonava Di gemiti la stanza. Alfin satollo Di lagrime il Pelide, e ritornati Tranqui lli i sens
ono e spuma e nebbia intorno. Giunti alla riva con fieri occhi accesi Di vivo foco, e d’atro sangue aspersi Vibràr le ling
uando percorreva la terra, quando, cioè, i venti ………. avvolgon tutta Di turbini la terra e di tumulto. (Eneide, Versione
di nuovo con la medesima verga, riebbe subito la primiera sua forma. Di lui fa menzione anche Dante nel XX dell’Inferno,
a muove Quando l’avel ne prema, Sol quella mostra chi quassu fu degno Di storia o di poema. Sé stesso il saggio moderar pr
r lo potea. Tosto arso a lui Fu il rogo ; e chiuso il cenere infelice Di si grande persona in piccol’urna Qua recheran Foc
l di che nozze e tribunali ed are Diero all’umane belve esser pietose Di sè stesse e d’altrui, toglieano i vivi All’etere
radussero per lungo ordine d’anni. ………………….. ……… Ma cipressi e cedri, Di puri effluvi i zeffiri impregnando. Perenne verde
nto piedi sublime in ogni lato Innalzàr primamente, e sovra il sommo, Di angoscia oppressi, collocàr l’estinto ; Poi davan
Sulla pira gettò quattro corsieri D’alta cervice e due smembrati cani Di nove che del sir nudria la mensa. ………………… ……. Des
licando, solenni ostie promette, E in aurea coppa ad ambedue libando, Di venirne li prega, e intorno al morto Sì le fiamme
voi primati degli Achei, spegnete Voi tutti or meco con purpureo vino Di tutto il rogo in pria le bragie, e poscia Raccogl
el Pelide al comando obbedïente Con larghi sprazzi di vermiglio bacco Di tutto il rogo ei spensero alla prima Le vive brag
ser nell’urna avvolte in doppio Adipe, e dentro il padiglion deposte, Di sottil lino le coprir. Ciò fatto, Disegnàr presti
nquillo e queto il nono giorno adduca, A solenni spettacoli v’invito, Di navi, di pedoni e di cavalli, Al corso, alla pale
varj color di luce e d’oro. Stupissi Enea di cotal vista ; e l’angue Di lungo tratto in fra le mense e l’are, Ond’era usc
l’esequie al suo cenere estremo ; E primamente la gran pira estrutta Di pingui tede e di squarciati roveri V’alzâr catast
scelte, e di viu puro asperse ; Poi di sua mano acconciamente in una Di dorato metallo urna riposte. Lo stesso Corinéo tr
e : le più varie tra esse la peruviana, la messicana, e la canadiese. Di ognuna ecco pochi cenni. Divinità Peruviane. — I
Alcuni fanno derivare il suo nome dalla parola merces, mercium. 34. Di qui il nome di erotiche alle poesie amorose, e di
che da quesla solterranea volla si giungesse alla dimora di Platone. Di qui Orfeo, Teseo e Piritoo scesero nell’ Inferno 
4 (1841) Mitologia iconologica pp. -243
il Fato al suo piacer lo. muove. Regge il folgor funesto apportatore Di perigli, di affanni, e tristo fio, Egli è Duce, e
uropa, Danae, ed Alcmene un giorno Destaron nel suo sen la voglia rea Di punir l’opre di fatal rio scorno. Essa è madre, e
e Celeo ebbe la Dea cortese accoglienze ne’ suoi affannosi viaggi(1). Di questa festa da durare nove giorni tanta era la c
, Divinità spreg evole non è ; Anzi che i n lei non può cercarsi più. Di fiori ha un serto, che il gran Giove diè Ad ella
le quali con special modo premeva il dovere di onorare questa Dea(1). Di tanto ci assicura Ovidio. Hic locus exiguus, qui
mondo regge con maniere accorte. Colla materna man sparge ogni bene, Di ciò, che vive ella si fà sostegno, E tutti toglie
l se vuoi di lui la conoscenza, Guardalo, e digli in cor addolorato : Di nulla sai temer bella Innocenza, Annotazioni
stosa, e non è trista, o lieta. Due fanciulle ha vicino, ed alla meta Di gran disegno volge l’intelletto, Cura del tutto o
al cor d’ogni piacer la face, E quanto più si asconde è più bramata. Di ben, di guadio fonte almo, e verace, D’arti, e di
e’suoi precetti. Ma chi oggi è fedele amico di si bella virtù ? Ahi ! Di quanti potrebbe dirsi quel di Salomone Prov. 20.
a spuma il crudo labro versa, Opre orrende eseguir vola, e s’affretta Di sangue intrisa, e di veleno aspersa Miser colui,
VIII. Esta’. Sonetto M atrona eccelsa di sembiante acceso Di più spighe diverse coronata, Di lumi ardenti, e i
M atrona eccelsa di sembiante acceso Di più spighe diverse coronata, Di lumi ardenti, e in tutto è circondata Di frumento
più spighe diverse coronata, Di lumi ardenti, e in tutto è circondata Di frumento or cadente, ed or sospeso. A gran cure i
uol di formiche accompagnata, Porta la falce in man col braccio teso. Di mille insetti l’aria intorno é piena, Tien la cic
scribat, aut definiat ius suam, quo minus ei liceat vagari quo velit. Di qualunque cosa però voglia un poeta cantando ragi
ene, Tosto a morte Che perisci, La tua sorte E finisci Seguirò. Di regnar, Se privato Chi sa mai Di le sono Se s
a tua sorte E finisci Seguirò. Di regnar, Se privato Chi sa mai Di le sono Se si trova Il mio trono Chi tal nuova
ntinente, Il dardo si tolse, Perchè l’uomo invitto E tosto spirò. Di viver lasciò. Cap. VI. Del settenario, ed
se maggior, Dicendo : giacchè l’animo Stanno i Spartani attoniti Di pugna a voi uon regge All’imprevisto ardire Ved
esser mia intenzione di richiamar dalle sue ceneri l’antica sestina. Di quella sestina cioè, in cui sei strofe pender dov
lor Sò, che strano parrà Par, che a morire amor Ma niun m’imiterà Di più l’invoglia. Sarò primiera. Dice : ah Numi p
avrà Poscia che il tranguggiò Maggior felicità Così lieta esclamò Di questo seno, Colma d’affetto : Ed io soffrir do
campo allor tremò Porta l’armi al genitore Ed invan parlò natura Di quel gallo già atterrato In quel cor da legge arm
ntemplarsi comprendo. Polissena sacrificata alla tomba di Achille. Di già spento il terribile Achille, Già la flotta de
Cadde dunque Curiazio, e tu spietato Mirar potesti gli ultimi momenti Di chi tanto amò : ed or di orgoglio armato I fasti
ache tutti noi mangia, e dìlania Uniamci tutti, e ci convien decidere Di qui si scacci, e se si ostina, e smania, E non si
rio di andar si sforza Crepa il ramo la sua scorza, È mentre abbonda Di nuovo umor produce il fior, la fronda. Comincia v
Articolo II. Delle strofe di quattro versi di doppia specie. Di una doppia varietà sono le strofe appartenenti a
erano di foglie, alcune di fiori, altre di oro, ed altre di argento : Di che materia poi era la corona di questo Dio legga
esse adattare a tutte le composizioni riuscirebbe nauseante, e basso. Di esso per altro, come più analogo a tale intrapres
is arbulus horrida. Georg. 2 69. Entrambi degni sol da sapersi. (2). Di tutte le figure prescritte da maestri dell’arte p
5 (1874) Ristretto analitico del dizionario della favola. Volume I pp. -332
Dedica Con riconoscente animo L’autore Come perenne testimonianza Di gratitudine e di rispetto Ristretto analitico
e un sogno allegorico, ideato dalla fervida immaginazione d’un poeta. Di contro a questo pagano, simbolo della forza, sorg
o id. Traduz. di A. Caro. Dunque il nostro intelletto ha la potenza Di comprendere il tempo, e lo misura Dalle cose che
i Teti. 38. Acca. — Sorella e compagna di Camilla, regina dei Volsci. Di questa, Dante nel suo Inferno Canto primo, dice :
ina dei Volsci. Di questa, Dante nel suo Inferno Canto primo, dice : Di quell’untile Italia sia salute. Per cui mori la v
lcuna volta, compreso nella sua totale estensione, il nome di Achaja. Di qua n’è venuta la denominazione assai usata dai p
si chiama Caronte, di ricevere nella sua barca le anime dei perduti. Di là la favola di Caronte battelliero dell’inferno.
ltri Achei si svegli una giusta ira E un avvisato diffidar dell’arti, Di quel franco impudente, che pur tale Non ardirebbe
idio. — Metamorfosi libro III trad. di Dall’Anquillara) 80. Acqua. —  Di questo elemento fecero i pagani una delle più ant
n presto si sparse nei paesi vicini, in Egitto e persino nella Siria. Di quì passò in Persia, nell’isola di Cipro e finalm
lamone e di Esione ; non meno dell’altro impetuoso, empio e crudele. Di quel fier Telamone io sono erede, Da cui fu vinto
un giorno intero con Ettore. Ecco come Omero racconta questo passo : Di splendid’armi frettoloso intanto Aiace si vestiva
Teseo all’inferno per rapire la moglie a Plutone. 223. Ajo Locutio. —  Di tutte le Divinità della favola non ve n’è alcuna,
canta l’Ariosto : …Che quella riva Tutta letteau le femmine omieide. Di cui l’antigua legge ognua che arriva In perpetuo
accio nelle vene e tutto il suo corpo si coprì di mortale pallidezza. Di qua la favola che Venere sdegnata della crudeltà
a, o quale in Tracia Arpalice Leggiera e sciolta il dorso affaticando Di fugace destrier l’ Ebro varcava. Virg. Eneide L.
a da Ifielo, che fu uno degli argonauti da lei passionatamente amato. Di questa Arpalice si tiene memoria come inventrice
altera e stupefatta faccia Non move (avvezzo nell’infernal chiostro) Di giorno a volo mai l’inerti braccia, Si fece un gu
o Tauro e rapì una giovinetta a nome Europa figlia del re di Fenicia. Di qui la favola che Giove trasformato in toro rapis
enir la vendetta non soggiorna, Ch’a lui già crescon sopra la cervice Di cervo a poco a poco un par di corna ; Il naso ent
.Aventino, de l’invitto Alcide Leggiadro figlio. Questi col suo carro Di palme adorno, e co’ vittorïosi Suoi corridori, in
do montagne sopra montagne, avessero tentata la scalata all’ Olimpo. Di divolte montagne arman le destre E fan con rupi e
ano fu nato il re d’ogni altro Più opulente Erittonio. A lui tre mila Di teneri puledri allegre madri Le convalli pascean.
cento braccia e cinquanta teste : da ciò il soprannome di centimano. Di questo favoloso gigante dice il Monti : Un’ altr
cciso il ladro. Quegli è Caco, Che sotto il sasso di monte Aventino. Di sangue fece spesse volte laco. Non va co’suoi fra
egli scagliava contro il cielo, lo incenerì con un colpo di fulmine. Di questo empio bestemmiatore, l’Alighieri fa dire a
Giunone e delle Nereidi. Che non solo osó dir, che in tutto il mondo Di beltà donna a lei non era pare, Ma che non era vi
di guerrieri. …… E da Minerva Divinamente instrutti, un gran cavallo Di ben contesti e ben confitti ahetì, In sembianza d
mentre ai suoi piedi strisciavano serpenti e rettili d’ogni maniera. Di qua forse la personificazione del mostro detto Ch
erano ritenute come fausto o come funesto augurio. 1170. Clemenza. —  Di questa virtù avevano i pagani fatta una divinità 
bo in Tessaglia, nata Larissea, Che la beltà restar fatta avria nulla Di qual si voglia in ciel superba dea. La vede il co
e La ricerco e la chiamo, ecco d’avanti Mi si fa l’infelice simulacro Di lei, maggior del solito. Stupii, M’aggricciai, m’
folle affanno ? A gli dei piace Che cosi segua. A te quinci non lece Di trasportarmi. Il gran Giove mi vieta Ch’io sia te
ia poi ne l’Esperia, ove il Tirreno Tebro con placid’onde opimi campi Di bellicosa gente impingua e riga. Ivi riposo e reg
tutte più bella e più leggiadra È Dejopea — Costei vogl’io, per merto Di ciò, che sia tua sposa ; e che tu, seco Di nodo i
 Costei vogl’io, per merto Di ciò, che sia tua sposa ; e che tu, seco Di nodo indossolubile congiunto. Viva lieto mai semp
co fianco ad allegiar di spose Io nacqui, poi che senza duol la madre Di me gravossi e senza duol mi spose. Callimaco — I
iscernere, si fervido ei trascorre Il campo tutto : simile alla fiera Di tumido torrente che cresciuto Dalle pioggie di Gi
entrambi in un sol cocchio. A questi S’avventò Diomede ; e col furore Di lion che una mandra al bosco assalta E di giovenc
ondotto all’assedio di Troja sopra quaranta vascelli. ……………il prence Di magnanimi Abanti, Elefennore Figlio di Calcodonte
si volse…… Dante — Inferno — Canto V Elena dico. origine e cagione Di tanti mali, e che fu d’Ilio e d’Argo Furia comune
agnare la grazia del suo primo marito Menelao, col tradire i Troiani. Di notte tempo fece accendere molte torce sulla somm
oja. …… e fu ch’Eleno, figlio Di Priamo, re nostro, era a quel regno Di greche terre assunto, e che di Pirro E del suo sc
immortali aurea corona ; Tasso. — Gerusalemme liberata. — Canto I. Di voi talmente in ogni parte suona La fama, prudent
e in me — Qui sola io venni, Sconosciuta, di furto : in queste soglie Di notte entrai, per ischernir tua legge. Di velenos
di furto : in queste soglie Di notte entrai, per ischernir tua legge. Di velenoso sdegno, è ver, che avea Gonfio Antigone
cambiati l’uno con l’altro. Schiaccia l’immensa fronte Etna sublime, Di fornaci e d’incudi Etna tonante ; Quindi come il
no al corpo di Sarpedonte Contra l’illustre Sarpedon… ………. guerriero Di gran persona e di gran possa. Omero. — Iliade — 
e trema la terra e n’urla il monte. Ed ei lor sopra, realmente adorno Di corona e di scettro, in alto assiso L’ira e gl’im
il quale condusse gran numero dei suoi sudditi all’assedio di Troja. Di novanta navigli capitano Venlva il veglio cavalie
lare albero della foresta Nemea. All’altra mano un baston saldo avea Di frondoso olcastro, con sua scorza. Di non vulgar
altra mano un baston saldo avea Di frondoso olcastro, con sua scorza. Di non vulgar misura, che alle falde Del sacrato Eli
Da le sue fauci meraviglia a dirlo ! Vapori e nubi a vomitar si diede Di fumo, di caligine e di vampa, Tal che miste le te
ì della città, di cui ritornò lo scettro al suo legittimo re Tintaro. Di là Ercole si rese a Calidone per dimandare la man
che ogni Dio ne sia contento ; Che s’ei portò laggiú per noi la palma Di mille imprese carche di spavento, Giusta cosa mi
Gorgone, col quale egli risuscitava i morti. …… La cui somma virtute Di te gloria sarà, d’altrui salute. Alma gentil, più
iungesse a sottrarre tutti gli uomini alla morte. …….. e l’iuventore Di cotal arte, che d’Apollo nacque, Fulminando mandò
atua che gli fu, secondo la tradizione, eretta da Dionigi il tiranno. Di un altro Esculapio fa anche parola la cronaca fav
i. Edipo E poi che attinta L’avrò ? Coro Crateri troverai, lavoro Di dotto fabbro : orlo ne cingi, ed anse. — Edipo
ssai Coro Poi che il benigno nome D’Eumenidi lor diam, benignamente Di raccorti le prega (od altri il rito Compai per te
pavento…………. ……………. ……………. Ismene …… All’opra io corro ………. A cura Di questo padre, Antigone, rimani Quanto in favor de
i dirò, d’Eteoclo, altro di tutta Bontà seguace. Era di cor valente ; Di povere fortune, è ver, ma colmo D’alle onoranze n
a Giove, stessero nelle viscere di questo monte. …….. Etna sublime, Di fornaci e d’incudi, Etna tonante. V. Monti la Mus
be Giudicar questa lite ; e suasive Parole e modi troverem, da trarti Di tutti i guai ; Eschilo — Le Eumenidi — Tragedia.
ando Un subito furor l’incauto amante Assalse e prese veramente degno Di perdono e pietà : se quello o questa Si ritrovass
rza acquista. É da principio Picciola e debil cosa, e non s’arrischia Di palesarsi : poi di mano in mano Si discopre e s’a
ode : e seminando, Non men che ’l bene e ’l vero, il male e ’l falso, Di rumor empie e di spavento i popoli. trad. di A.
ma disparve e il vascello fu spinto in alto mare. ……… Ivi di nebbia, Di colori e di vento una figura Forniò (cosa mirabil
i Mercurio era tutto di marmo, e lo rappresentava con una gran barba. Di contro a questa, sorgeva il simulacro della dea V
el sonno con mirabili apparenze Si vede intorno i simulacri e l’ombre Di ciò ch’ivi si chiede, e varie voci Ne sente, e co
mente. Abbracciò le mie ginocchia La tradita mia madre, e supplicommi Di mischiarmi in amor colla rivale, E porle in odio
D’alma privo cader con mie quadrella Quel Paride farai, funesto capo Di tutti mali, e struggerai di Troja La fortuna e le
tte, quando Giulivi canti alzando. Me tutt’ Argo acclamò sposa beata. Di quest’ inelito eroe, di Capaneo. Nel solenne imen
use entrando. Una simil genia Non vidi io mai : terra non è che possa Di nudrir cotal razza impunemente Senza dolor nè lag
’ ombra nella sferza estiva. Più gentil d’ ogni frutto, e più vistosa Di platano sublime, più lucente Del ghiaccio, dolce
parso pur ora, avea dipinto Il suolo erboso. Spunta un flor che vince Di splendore la porpora di Tiro. Che tien de’gigli n
tà (che cosa antica io sono) Diemmi il nome di Caos : osserva un poco Di quanto antichi fatti io qui ragiono. Ovidio — I
estenzione dell’universo. Allor io, ch’era un globo e mole informe, Di volto e membra presi altra struttura. E nuove a u
adre la salute e gli anni amava. Saper de l’erbe la possanza, e l’uso Di medicare clesse, e senza lingua E senza lode e de
vea sacrati, e di continui fochi Mantenendo a gli Dei vigilie eterne. Di vittime, di fiori e di ghiriande Gli tenea sempre
orrendo ; che ristretti insieme Erano qual di querce annose a Giove, Di cipressi coniferi a Diana S’ergono i boschi alter
oraggio no perde la terrestre Stirpe, nè par che troppo le ne caglia. Di divelte montagne arman le destre. E fan con rupi
Libico Ammone è con le corna. Delio in un corvo si nascose, il figlio Di semele in un capro, in una gatta La sorella di Fe
ed Efialte. — V. Aloidi ed Efialte. Questo superho voll’esser sperto Di sua potenza contra ’l sommo Giove. Disse ’l mio D
ella figlia d’Urano in grembo scese, Ed altrettante avventurosa madre Di magnanima prole il Dio la rese : Di nove, io dico
Ed altrettante avventurosa madre Di magnanima prole il Dio la rese : Di nove, io dico, vergini leggiadre Del canto amiche
la cifra dei nomi e dei soprannomi coi quali lo chiamavano i pagani. Di questi soprannomi moltissimi derivavano dai luogh
nquillo e queto il nono giorno adduca, A’ solenni spettacoli v’invito Di navi, di pedoni e di cavalli, Al corso, a la pale
e — Libro XI trad. di A. Caro. Preso alfin da spietata ira, le gole Di dodici segò prestanti figli De’magnanimi Teucri,
lauco. Virgilio — Delle Georgiche — Lib. III trad. di D. Streocchi. Di un altro Glauco pure fanno menzione le cronache d
avevano dato. 2189. Gordio — Padre di Mida V. l’articolo precedente. Di questo Gordio le cronache mitologiche narrano uno
La Gorgone feroce. Poi tornando all’orrido Teschio che avea pendenti, Di chioma invece, squallidi Viluppi di serpenti, Di
o. …… di quell’Ida io dico Che tra’guerrieri de’ suoi tempi il grido Di fortissimo avea, tanto che contra Lo stesso Apoll
Ascanio, …….. e ne la cima De la selvosa Idalia, entro un cespuglio Di lieti fiori e d’odorata persa. A la dolce aura, a
uo valore. Il gran mastro di laurta Idomeneu Guida i Cretesi…. …………. Di questi tutti Idomeneo divide Col Marzio Merion la
mprecazioni, allorquando ci ripete quelle contro l’uccisore di Lajo. Di questa terra, ond’ho possanza e trono, Non sia ne
sono i denti e rugginosi : Verdeggia il petto per lo fiele : aspersa Di veleno è la lingua : il riso manca, Salvo quel ch
Salvo quel ch’eccitò l’altrui dolore : E macerate da costante affanno Di riposo non gode, ma rivolge In mente de’ mortali
r posseduta la regina delle dee. Simil ben parve alla celeste figlia Di saturno possente Nel bel volto la nube e nelle ci
o quel dolente Con forsennate prove A sè stesso compose. orrida pena, Di quattro raggi la fatal catena. Ivi costretto le p
i Pitie — Ode II trad. di G. Borghi. Al girato Issïon le luci volse Di nuovo la Regina degli Dei : Che si ricorda quel c
bile Gustando il frutto del conteso alloro. Le patrie soglie ornarono Di tripodi lebeti. e vasi d’oro. Nè men gagliardi a
madre Lari, ed a cui varii scrittori danno anche il nome di Larunda. Di doppia prole incinta essa diventa : E i Lari part
Oléno simil, che a sè medesmo Affibbiò l’altrui colpa, e che fu vago Di reo mostrarsi : o a te, Letéa, simile, Misera, tr
Ch’ai dilettosi e fortunati campi Corre davanti, e piene avea le ripe Di genti innumerabili……. Virgilio — Eneide — Libro
con tal nome, dal dio Bacco. Tu a me consorte, non vogl’io che priva Di nome sii compagno al mio : ti appella Libera in a
on nuocer lora cura ne tenne : Quei, che mossa a pietà lupa nodrisce, Di far perir d’un zio la man sostenne. Si arresta ;
’eresia Gnostica, cosi decti da Corinto, fondatore della loro scuola. Di lui si può asserire quanto esponemmo nella nota p
6 (1897) Mitologia classica illustrata
rincipio della forza attrattiva che spinge gli elementi a combinarsi. Di poi mentre il Caos generava ancora l’ Erebo, le p
avigliosa, lo indusse a muover contro Zeus per rovesciarlo dal trono. Di qui una nuova, terribile lotta, che fe’ tremare c
savia riflessione: Vis consili expers mole ruit sua: Vim temperatam Di quoque provehunt, In maius; idem odere vires Omn
palese il significato naturale e il valore fisico di Febo Apollo. 2. Di qui si spiegano anche le varie attribuzioni moral
ia e nella politica degli Stati e altresì nei destini delle famiglie. Di oracoli d’ Apollo in antico ve n’ erano parecchi,
e stata l’ isola di Cipro, dove essa era venerata con culto speciale. Di qui gli epiteti di Anadiomene (anadyomene, sorta
ssa volontà divina, potenza a cui Zeus stesso non valeva a sottrarsi. Di qui il concetto delle Moire, rappresentanti appim
lienazione. Atti fuggi sul monti e in un eccesso di furore si uccise. Di che afllittala Dea, ordinò in onor di lui una cer
aturalmente portata a concepire un Dioniso sofferente e perseguitato. Di qui i molti miti riferentisi a questo Dio, nei qu
e lo accompagnò nei campi di Lidia e lo restituì al giovinetto Bacco. Di che lieto il Dio, volle compensar Mida promettend
ra quelle verdi praterie, là Pane compiacevasi di passar la sua vita. Di giorno aggiravasi colle ninfe, cacciando, scorren
ella vasta solitudine avvien che produca un vago sentimento di paura. Di qui altre favole relative a Pane. Dicevasi che a
e i viaggiatori con ogni maniera di voci strane e rumori inaspettati. Di qui si formò più tardi la leggenda, che Pane aves
mera dove si custodiva il tesoro dello Stato, il così detto aerarium. Di questo tempio sono in piedi ancor adesso otto col
nuova vita e quello della tenebrosa e inesorabile regina dell’ Orco. Di qui si capisce facilmente come nelle segrete dott
obolo, piccola moneta di bronzo, come nolo per passaggio dello Stige. Di la dai fiumi, alla porta dell’ Inferno, sta custo
venzioni antiche circa le pene riservate ad alcuni famosi malfattori. Di cui i più noti erano Tizio (Tityos), Tantalo, Sis
ni, formati col limo della terra o sorti dalle pietre e dalle piante. Di questi leggendari Eroi si possono distinguere tre
i rappresentazioni simili era nelle metopi meridionali del Partenone. Di quest’ ultime un buon numero esiste ancora, conse
empo il figlio maggiore di Antiope; ma in iscambio uccise il proprio. Di che rimase afflitta tanto che la sua vita seguent
, gridava rivolta a Latona: « lasciatni almen questa ch’ è la minore! Di tante quest’ unica ed ultima figlia ti chieggo! »
er la sua singolare bellezza, gli sguardi di Zeus che se ne innamorò. Di che accortasi la gelosa Era, mutò la sua sacerdot
fiarao. d) Perseo. 1. Acrisio ebbe una figliuola di nome Danae. Di costei prese vaghezza Zeus; ma Acrisio ammonito d
onor di lui, egli uccise Acrisio per isbaglio nel lanciare il disco. Di poi, vergognandosi di entrar in possesso del regn
nae che altro è se non la nebbiosa caligine della stagione hivernale? Di qui si sprigiona il sole primaverile, Perseo, il
olla sua sposa e cercar rifugio in Tebe ove il re Creonte l’ accolse. Di qui mosse a una guerra contro i Teleboi o Tafi, c
nfitrione, che Zeus preso d’ amore per Alcmena la fè madre di Eracle. Di qui s’ intende come Eracle, sebben figlio di Zeus
racolo di Delfo, e n’ ebbe in risposta si rassegnasse al suo destino. Di che egli montato in furore, così la leggenda, ucc
l’ estremo Occidente, ed ivi possedeva un ricco e bellissimo armento. Di questo doveva impadronirsi Eracle. Questa im pres
ad Ercole che aveva liberato quei luoghi da un così terribile nemico. Di qui il principio di un culto d’ Ercole nella reli
icerte, come già si disse parlando di Ino Leucotea (vedi pagina 206). Di che offesa Nefele abbandonò la terra, e per casti
i si recasse a prendere in Colchide e portasse a lui il vello d’ oro. Di qui la spedizione degli Argonauti. Giasone fe’ co
agli Dei che questi non sdegnavano invitarlo spesso alla loro mensa. Di che insuperbito non seppe astenersi da atti temer
bbe un bel posto tra i guerrieri per la sua abilità nel trar d’ arco. Di molto inferiore ad Aiace Telamonio era l’ altro A
, suoi discendenti. Ebbe infatti tre figli, Ilo, Assaraco e Ganimede. Di quest’ ultimo, fatto rapir da Zeus, per la sua st
sola d’ Eubea. A stento egli potè salvare la vita su un nudo scoglio. Di che lieto, nella sua temeraria presunzione, non d
nte dalla parte dei Greci, Eleno e Cassandra dalla parte de’ Troiani. Di tutti costoro il più celebre fu Tiresia, sovrano
dine la descrizione in Gentile, Storia dell’ arte greca, p. 95. 5. «  Di sguainate spade si compiace la Dea guerriera. »
emulo Loro avvolgendo con purpureo lembo A’ pié scendeva e li copria. Di nivee Bende la fronte annosa avevan riciuta, E tr
trattava la man Topera eterna. Tenean la rocca con la manca, avvolta Di molle lana; con la dritta il filo Sottil traendo,
e, come è naturale trattandosi di sorelle. » 33. Eneide, 3, 216: «  Di vergine è il volto di quegli uccelli, e sozzo il
pivano altre le divulse Membra d’ un tauro, ed altre s’ avvinghiavano Di ritorti serpenti; e chi le arcane Orgie compiva n
così ne l’ infantile oblio Dormi entro il legno sinistro e inchiodato Di bronzo, fra le tenebre profonde, Nè ti curi de l’
nel voto temeraria io sono, Pel figlio mio concedimi perdono! 50. Di qui l’ espressione proverbiale: « un letto di Pro
7 (1855) Compendio della mitologia pe’ giovanetti. Parte I pp. -389
era eziandio, in ogni mio frangente, tenne tutte le vie per giovarmi. Di che con questa mia dedicatoria intendo renderle c
antichi signori era un sangue proveniente dal vecchio padre di Giove. Di che i Romani vollero serbare solenne memoria nell
mezzo cavallo, cioè uno di que’mostri che i poeti chiamaron Centauri. Di che fu così dolente la madre che da Giove fu cang
ato il sacrificio, si consacravano le corna del toro. VIII. Vesta. Di lei tempio. Vergini Vestali. Rea, Cibèle, Opi
oi detto nell’articolo di Satùrno. III. Potenza e maestà di Giove. Di lui fulmine. Salmonèo. Dopo che ebbe Giove co
ango della terra e cui diede l’anima e ta vita col suo soffio divino. Di fatto vedendo Prometeo altro non essere l’uomo ch
avano in luoghi circondati da orride selve e da straripevoli burroni. Di queste la più famosa, perchè bellissima, era Medu
aberinto di Creta gli Ateniesi mandar doveano quell’infelice tributo. Di gran fama è questo laberinto ingegnosamente descr
Discordia o Eride, Dea che non istava mica bene a sì lieto banchetto. Di che oltre modo sdegnata gettò sulla tavola un bel
signoreggiava i venti, perchè l’aria agitata è quella che li produce. Di quest’Eolo fu fig. Etlio, il quale da’ più dicesi
o quel popolo, il quale subito nata le avesse offerto de’ sacrificii. Di ciò il Sole fece intesi i suoi figliuoli, cioè qu
d alla presenza di Cecrope piantò un verdeggiante e bellissimo ulivo. Di ciò fu gran piato fra loro a chi dovesse dare il
ella, non sofferendo sì villano oltraggio, volle finir con un laccio. Di ciò ebbe pietà Minerva e trasformolla in ragno. I
che i Greci foggiarono la loro Minerva sul tipo dell’Iside di Egitto. Di fatto Platone ed Erodoto(1) affermano che Minerva
oso serpe che stava nascosto fra l’erbe, le ferì il piede e l’uccise. Di che fu sì grave il dolore di Orfeo che ne piangev
Pelope, e moglie di Anfione, re di Tebe ed insigne suonatore di lira. Di costui ella partorì sette figliuoli, ed altrettan
qui Calliopea alquanto surga, Seguitando il mio canto con quel suono, Di cui le Piche misere sentiro Lo colpo tal che disp
nziar che se ne vien l’Aurora. Ella intanto si adorna e l’aurea testa Di rose colte in Paradiso infiora. E come il bel co
ca. Sotto la nera selva una capace E spaziosa grotta entra nel sasso, Di cui la fronte l’edera seguace Tutta aggirando va
rombe, come i superstiziosi Romani praticavano nelle ecclissi lunari. Di fatto si percuotevano bronzi e caldaie, si suonav
ceva un non so che di divino, tanto che se gli raccomandò fortemente. Di ciò risero quei corsari, ed il fanciullo trattaro
in delfini ; percui questi pesci pongono all’uomo grandissimo amore. Di che più esempii riferisce Luciano stesso e Plinio
di portare in que’ lontani paesi la civiltà e l’arte di fare il vino. Di questo viaggio fu pur cagione l’odio di Giunone,
; percui furon dette Enotrope (ab οινος, vinum, et τροπη, conversio). Di che fatto certo Agamennone, duce de’ Greci contro
il Redi, parlando del vino, dice : Sì bel sangue è un raggio acceso Di quel Sol che in ciel vedete, E rimase avvinto e p
aggio acceso Di quel Sol che in ciel vedete, E rimase avvinto e preso Di più grappoli alla rete. Ed in Ovidio(1) abbiamo
ordo di grazia potessero esprimere questa divina giovinezza di Bacco. Di una lunga chioma ancora e bellissima vedesi sempr
coste della Siria, ed il culto di lei vi fu generalmente abbracciato. Di là andarono a Citera ch’era non lungi dal contine
iso da Menelao ; ma Venere fatta accorta del pericolo « lo ravvolse Di molta nebbia, e fra il soave olezzo Dei profumati
oiano sia sbalzato con poche navi alle sconosciute coste della Libia. Di ciò afflitta la madre Venere, cogli occhi molli d
erraneo, è più di ogni altro luogo celebrata pel culto di quella dea. Di quest’isola era capitale Pafo, in cui vedeasi un
urie, la Discordia e Bellona ; E Marte in mezzo, che nel campo d’oro Di ferro era scolpito, or questi, or quelli A la zuf
erpenti, la Discordia pazza Col suo squarciato ammanto, con la sferza Di sangue tinta la crudel Bellona, Sgominavan le gen
essere stato rapito e portato in alto dalla violenza della tempesta. Di poi, dato principio da pochi, cominciarono tutti
al Flamine di Giove, e si sceglieva sempre mai fra i patrizii. VI. Di alcuni figliuoli di Marte. Oltre a Romolo e R
amma, ardente e furiosa Tra mille e mille, ancor che donna e vergine, Di qual sia cavalier non teme intoppo. Caro. Ed alt
numi, così foggiarono il loro Mercurio sul tipo dell’Ermete egiziano. Di fatto presso quel popolo in grandissima riputazio
i ciglio all’Ellesponto Giunge e al campo Troian. Qui prende il volto Di regal giovinetto a cui fioria Del primo pelo la v
 ; percui questa dea in una caccia le forò la lingua con una freccia. Di che fu sì dolente il padre Dedalione che si preci
i della Terra verso di noi le abbiam dato il venerando nome di madre. Di fatto essa nel nostro nascimento ci accoglie ; gi
sua madre, gli dava nuova forza ogni volta che, cadendo, la toccava. Di che avvedutosi Ercole, sollevatolo in aria e con
e fosse stata da’ gentili popolata di varie e numerose classi di Dei. Di fatto e boschi, e monti, e fiumi, e fontane, e ci
φατις, oraculum, perchè predicevano l’avvenire , dando degli oracoli. Di fatto fatuarii dicevansi quelli, che sembravano i
olli Ai colli stessi la parola, a gara Iteravano i detti. I convicini Di questi luoghi solitarii han finto Che Fauni e Nin
ro attribuisce e le selve, e le sorgenti dei fiumi ed i prati erbosi. Di fatto vi eran molte specie di Ninfe, che il nome
scherecce che, a differenza delle Amadriadi, eran riputate immortali. Di tutti gli alberi erano queste Ninfe, ma specialme
e, l’eletto frumento ; e perciò si disse che dettò loro le leggi (3). Di tutt’i luoghi della terra niuno fu più grato a qu
olo, e lo diede al padre in forma di vivanda, acciocchè il mangiasse. Di che avvedutosi Tereo si diede ad inseguirla insie
i, dicono i poeti(3), pel quale avvenne il famoso rapimento di Elena. Di sopra(4) abbiam discorso ed il fatale odio di Giu
i, popoli della Ftiolide, andò cogli altri duci alla guerra di Troia. Di lui non vi era più forte e prode guerriero, siech
esimo padre, ma che il primo il vinceva in sapienza, come negli anni. Di fallo esso nacque da Saturno e da Rea, come Giove
, e tremendi sono gli effetti di esso, che noi tuttodì sperimentiamo. Di fatto al mare, e quindi a Nettuno, attribuivansi
sulle medaglie di lui. Da Orazio fu detto Neptunius dux (1) IV. –  Di alcune Deità marine che hanno relazione con Nettu
itornati a vita per virtù di quell’erba, saltarono di nuovo nel mare. Di che avvedutosi Glauco e fatto accorto di quella o
dal suolo o pendono dagli alberi che son nutricati da limpide acque. Di essi que fortunati abitatori portano e le mani ed
. Dicevansi non solamente Furie, ma eziandio Erinni, Eumenidi e Dire. Di esse chiamate da Ovidio dura ed implacabile divin
ponde del quale si facevano le cerimonie de’ funerali dagli Egiziani. Di là da quel lago vi erano deliziosi boschetti ed u
v. 562, sqq. (1). Georg. IV. v. 478, seqq. (2). Stygiamque paludem, Di cuius iurare timent et fallere numen. Virg. Aen. 
8 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXXI. Il Genio e i Genii » pp. 232-241
e là verità. Bisognava dare a cose così opposte un principio opposto. Di qui nacque il dualismo indiano di Mahadeva e Baha
e lieve per l’aere labendo, « S’avvicina alla Terra ; e questa ride «  Di riso ancor non conosciuto. » « …………… « Gli s’aggi
o e tacque ; « Quando con vece assidua « Cadde, risorse, e giacque, «  Di mille voci al sonito « Mista la sua non ha : » I
a e figlia è di natura, « E in parte ha forma della madre, in parte «  Di più alto esemplar rende figura ; ecc. » (A Gino
di pianto i geniali letti ; « E non di pianto sol, ma alcuna volta «  Di sangue gli ha bagnati l’ira stolta. » 280. Il
invece accenna un altro uso della parola Genio in questi termini : «  Di una persona eccellente nella sua arte o in più di
9 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXVII. Gli Dei Dei Fiumi » pp. 285-289
e già vecchio al volto « Sembrava. Avea di pioppo ombra d’intorno ; «  Di sottil velo e trasparente in dosso « Ceruleo amma
ia, o le dardanie torri « Vedrai tosto atterrate, e tolto ai Teucri «  Di resister la speme. Or tu deh ! corri « Veloce in
nnalza, e tronchi aduna e sassi, « E con fracasso ruotali nel petto «  Di questo immane guastator, che tenta « Uguagliarsi
noso. Ed io di negra sabbia « Involverò lui stesso, e tale un monte «  Di ghiaia immenso e di pattume intorno « Gli verserò
Fato che sommerso io pera « D’oscura morte, ohimè ! come fanciullo «  Di mandre guardïan cui ne’piovosi « Tempi il torrent
10 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXIV. Vulcano e i Ciclopi » pp. 152-160
cconto di Omero, che Vulcano avesse congegnate « …….forme e figure «  Di vaghe ancelle tutte d’oro, e a vive « Giovinette
Vulcano : « ……..Avea per mano « Dieci tripodi e dieci, adornamento «  Di palagio regal. Sopposte a tutti « D’oro avea le r
llor n’avean parte polita, « Parte abbozzata, con tre raggi attorti «  Di grandinoso nembo, tre di nube « Pregna di pioggia
llegoria contenuta nell’invenzione di questo Dio e de’suoi attributi. Di che era simbolo Vulcano ? Evidentemente del fuoco
rticolarità a loro attribuita di aver cioè un sol occhio circolare «  Di targa e di Febea lampade in guisa « Sotto la torv
11 (1824) Breve corso di mitologia elementare corredato di note per uso de’ collegi della capitale, e del regno pp. 3-248
opo aver ucciso il serpente Pitone in atto di guardarlo mentre spira. Di questo mostro ecco la favola. Latona era figlia d
bbligò la Terra a giurare di non darle un asilo neppure nel suo seno. Di più fece nascere dal limo lasciato dalle acque un
ressi gl’impieghi tutti delle Muse. Ne’ suoi rapidi voli Urania svela Di natura i segreti, e dell’Olimpo. Celebra Clio la
Coronata di mirti Erato esalta Le dolcezze di amore, e le conquiste. Di piccol flauto i suoni anima Euterpe, E d’innocent
si fa sgabello al piede ; Scaglia i fulmini, l’orbe ognor scotendo, Di estinti un folto stuol empie l’inferno 1. Mer
ia in questa opinione una moltitudine di sciocchi, ed ignoranti2. Di varie altre Divinità del second’ordine. Plut
io di Epidauro, uccise Perifeto che lo aveva sfidato a battersi seco. Di là traversando l’istmo di Corinto, punì Sinni ass
na, ed in fatti furono divorati due compagni del figliuolo di Laerte. Di là la flotta approdò all’isola di Circe, famosa m
l’amor della Dea, che si trattenne volentieri per un anno nell’isola. Di là partito si recò al paese de’ Cimmerj1, per ivi
tque ab ejus sepulchro, Parthenope cognominatus. Pont. de bello Neap. Di questo colle samoso così pure cantò il nostro con
concittadino, che vivea a’ tempi di Domiziano. IV. Eunosto. Di questo giovane Dio, o Eroe piuttosto così lasciò
e lo adornavano, e fra queste in grado eminente quella della castità. Di costui innamorossi una ragazza chiamata Ocna figl
fu Apollo in Napoli adorato col nome di Ebone, di Mitra, di Serapide. Di ognuno di questi nomi imprendiamo a distintamente
perchè erano trasportati i Napoletani per lo studio dell’astrologia. Di questa scienza erano tatalmente appassionati, che
di Esiodo, ebbe questo Nume a padre Nettuno, e sua madre fu Euriale. Di lui narra la favola, che amato da Diana era già p
Italia ; si può dire, che noi abbiamo perduto molto in questa parte. Di essi i più celebri sono Sotero, Eleuterio, Olimpi
chi, aggiungendone duc ai tre rapportati da Diodoro, e da Filostrato. Di essi il più famoso è il figlio di Semele conosciu
12 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — III. Classazione generale delle Divinità pagane e Genealogia degli Dei superiori » pp. 15-19
a quella degli Eroi o Semidei ; e la quarta delle Virtù e dei Vizi 7. Di venti Dei superiori, dodici formavano il supremo
gnifica tutto), Dio secondario e campestre, mezzo uomo e mezzo capro. Di questo nume semibestiale parleremo a suo luogo, p
ente più non esistono, dice : « Natura certo, quando lasciò l’arte »  Di sì fatti animali, assai fe’ bene. » Per tôr cotal
i : è naturale ; naturalmente ; per natura, o di natura sua e simili. Di più nella lingua italiana, oltre il verbo naturar
13 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXV. Bacco » pp. 161-172
crotalo, « Cinte di nebridi, « Snelle Bassaridi, « Su su mescetemi «  Di quella porpora, ecc. » I poeti pensarono ancora
in Toscana, parlando del vino : « Sì bel sangue è un raggio acceso «  Di quel Sol che in Ciel vedete, « E rimase avvinto e
cceso « Di quel Sol che in Ciel vedete, « E rimase avvinto e preso «  Di più grappoli alla rete. » Ma la chimica soltanto
it. » (Ovid., i, 239.) « Or venut’è chi gli ha spezzato il corno «  Di tant’orgoglio. » (Orl. Fur., xxxvii.) « ………..al
14 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — IV. Una Divinità più potente di Giove » pp. 20-24
formato, e quel ch’ei più apprezza « Fu della volontà la libertate, «  Di cui le creature intelligenti « E tutte e sole fu
am che di necessitate « Surga ogni amor che dentro a voi s’accende, «  Di ritenerlo è in voi la potestate. « La nobile virt
Ordinò general ministra e duce « Che permutasse a tempo li ben vani «  Di gente in gente e d’uno in altro sangue « Oltre la
15 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXX. Delle Divinità straniere adorate dai Romani » pp. 506-510
mostro dell’assassino Caco, « Che sotto il sasso di monte Aventino «  Di sangue fece spesse volte laco. » Della qual libe
viii della Farsalia : « Nos in templa tuam Romana accepimus Isim. » Di questa Dea eran devote principalmente le donne ;
coccodrilli, là di velenose « Serpi Ibi sazia a venerar si volta ; «  Di sacri omaggi segno eziandio pose « Caudata scimia
16 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XVIII. Apollo considerato come Dio della Poesia e della Musica e maestro delle nove Muse » pp. 104-114
ali vi spazza « Fra le rovine (dei sepolcri), le Pimplèe fan lieti «  Di lor canto i deserti e l’armonia « Vince di mille
la Gerusalemme liberata. « Sai che là corre il mondo ove più versi «  Di sue dolcezze il lusinghier Parnaso. » Odesi spes
Calliopea alquanto surga, « Seguitando il mio canto con quel suono, «  Di cui le Piche misere sentiro « Lo colpo tal che di
17 (1861) Corso di mitologia, o, Storia delle divinità e degli eroi del paganesimo: Per la spiegazione dei classici e dei monumenti di belle arti (3e éd.) « Appendice. » pp. -386
ro che voleano scacciare i Romani o perire sotto le ruine del tempio. Di qui l’accanimento di quella guerra spaventevole c
, subito che abbandonarono l’ignoranza, parimente cessarono d’odiare. Di questa sorta di gente si fanno i Cristiani,147 ci
conoscono per male. Ma qual somiglianza hanno costoro co’ Cristiani ? Di questo alcuno non si vergogna, alcuno non si pent
ato a chi comandare. Sarebbero a voi rimasi più nemici che cittadini. Di presente avete meno nemici per la moltitudine dei
18 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XVII. Apollo considerato come Dio del Sole, degli Arcieri e della Medicina » pp. 92-103
che se ne vien l’Aurora. « Ella s’adorna il crine, e l’aurea testa «  Di rose colte in paradiso infiora. » I pittori pur
statue si ammirano nell’ antica sacrestia di San Lorenzo in Firenze. Di un altro figlio di Apollo convien qui parlare, pe
utte parti saettava il giorno « Lo sol ch’avea colle saette conte «  Di mezzo ’l ciel cacciato il capricorno. » (Purg.,
19 (1855) Della interpretazione de’ miti e simboli eterodossi per lo intendimento della mitologia pp. 3-62
re de’costumi, ragioni ed esempii — 8. Delle varie specie di mito. 9. Di alcune induzioni, che hanno attenenza a questo ra
già fu, che dilettando i prischi Dell’ Apollineo culto archimandriti Di quanti la natura in cielo e in terra E nell’ aria
era vita allor, tutto animava La bell’arte de’ vati. Entro la buccia Di quella pianta palpitava il petto D’ una saltante
uom, non è un divino, Non fatuo, non scaltro, è un misto, è un misto Di tutto questo : in un’immagin sola Presenta molti
erina Veemenza, indomabile fatiga, Vn’ambir prodigioso, e tutto degno Di maraviglia. Per Minerva e Giove Non so quali sien
, qui trascriviamo solo alcuni versi del cantore della Musogonia(1). Di nove ie dico vergini leggiadre Del canto amiche e
ppacificate abitazioni, essa libera si vede camminare per vie sicure. Di letiforo sangue verrà rimescolato tutto l’orbe, s
20 (1836) Mitologia o Esposizione delle favole
r sorprenderlo, e non lungi dal fonte in una densa macchia si ascose. Di là udì Cefalo chiamar aura, e agitandosi per dolo
per alcun tempo ad Apollo fedele, ad esso antepose il giovine Ischi. Di ciò Apollo, avvertito dal corvo, che poi di bianc
evevano il cappello della libertà. Pomona Dea de’ fruiti fu amata dal Di o Vertunno, cosi chiamalo perchè volgeasi a piace
lo, per cui nel seppellirli poneasi loro una moneta, sotto la lingua. Di là dell’ Acheronte era il cane Cerbero con tre te
store, avea da Nettuno ottenuto di potersi trasformare a suo talento. Di ciò orgoglioso volle provarsi con Ercole, e con l
Citerone Laio volle arrogantemente costringerlo a cedergli il passo. Di là arrivato a Tebe trovò di paese infestato dalla
no, sicchè a forza dovette ritrali sopra le navi, ed ivi incatenarli. Di là i venti il portarono al lido de’ Ciclopi in Si
Egesta Troiana, ma ivi con estremo rammarico perde il padre Anchise. Di là salpando fu dalla tempesta gettalo ai lidi del
21 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXVII. L’Apoteosi delle Virtù e dei Vizii » pp. 493-496
ione dell’ Evangelio che santificò il perdono e l’oblio delle offese. Di tutte le affezioni dell’animo, e perciò di tutte
educando i figli di famiglia, « Cantavano alla culla d’un bambino, «  Di nome Gingillino, « La ninna nanna in coro, « Degn
22 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLIV. La caccia del cinghiale di Calidonia » pp. 326-330
ù valente degli uomini ; e volevano toglierle quell’insigne trofeo62. Di che Meleagro irritato, e dalle parole venendo ai
informava, cominciò a pensare « Alla cagione ancor non manifesta «  Di lor magrezza e di lor trista squama ; » e non po
23 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXIX. Eolo e i Venti » pp. 295-
rema la terra e n’urla il monte. « Ed ei lor sopra realmente adorno «  Di corona e di scettro, in alto assiso « L’ira e gl’
ascun dì siedon tra il padre « Caro e l’augusta madre, ad una mensa «  Di varie carca delicate dapi. « Tutto il palagio, fi
24 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XV. Giunone regina degli Dei e Iride sua messaggiera » pp. 79-85
lla profonda e chiara sussistenza « Dell’alto lume parvemi tre giri «  Di tre colori e di una contenenza ; « E l’un dall’al
induzioni cercano di sostituire le positive cognizioni scientifiche. Di forme corporee ed in figura umana raramente trova
25 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXXII. Gli Oracoli » pp. 242-252
tuo futuro bene o il tuo futuro male, te lo potesse ancora concedere. Di qui nascevano i tempii, di qui i sacrifizii, di q
vero « Corresse i difetti « Del Greco leggiero ; « E Numa con arte, «  Di santa impostura « La buccia un po’ dura « Del po
26 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXVII. I Mostri marini Mitologici e Poetici » pp. 184-194
rrar non può la bocca, « Stringe la spada, e per quell’antro oscuro «  Di qua e di là con tagli e punte tocca. « Come si pu
izzi e mille strane ruote « Segue la fune, e scior non se ne puote. «  Di bocca il sangue in tanta copia fonde, « Che quest
27 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLV. La spedizione degli Argonauti alla conquista del Vello d’oro » pp. 331-341
acciare i mostri ottima sia. « E prima fa che ‘l re con suoi baroni «  Di calda cera l’orecchio si serra, « Acciò che tutti
sotterra una profonda grotta, « Che certissima porta esser si dice «  Di chi all’inferno vuol scender talotta. « Quivi s’
28 (1831) Mitologia ad uso della gioventù pp. -
già fu, che, dilettando, i prischi Dell’apollineo culto archimandriti Di quanti la Natura in cielo e in terra E nell’aria
avea vita allor, tutto animava La bell’arte de’ vati. Entro la buccia Di quella pianta palpitava il petto D’una saltante D
alla mano distruttrice del tempo. Mercurio e Batto Mercurio Di più individui sotto questo nome si parla nella fa
imporre tributo ai vinti, ma d’insegnar loro la cultura della terra. Di là passò in Egitto, ove insegnò pure l’agricoltur
ezza che era invisibile, di cui si servì per cogliere Marte e Venero. Di tutte le opere di Vulcano la più maravigliosa fu
l Cocito era una palude fangosa che terminava in quella di Acherusa. Di là dell’Acheronte errava il Can Cerbero cui alcun
i il capo di Medusa, e gli rapì i pomi da lui accuratamente guardati. Di là passò in Etiopia ove arrivò nel momento in cui
iterone, Laio volle arrogantemente costringerlo a cedergli il passo. Di là arrivato a Tebe trovò il paese infestato dalla
corpo. Gli Egizi, i Greci, i Romani avevano un gran numero di Feste. Di alcune di esse abbiamo fatto cenno ai loro rispet
29 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXIX. Plutone re dell’ Inferno e i suoi Ministri » pp. 203-215
ggiungervi. Resta dunque soltanto a trattare dei ministri di Plutone. Di maggiore importanza erano le Parche, figlie di Gi
hi qua chi là, ma poco lece « Da lui fuggir veloce più che ’l Noto. «  Di quaranta persone, appena diece « Sovra il navilio
30 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXX. Stato delle anime dopo la morte, secondo la Mitologia » pp. 216-231
ma che sia dell’Universo ; « Che sparsa per lo tutto e per le parti «  Di sì gran mole, di sè l’empie e seco « Si volge, si
rci, poveri e ricchi, e perfino re e imperatori, e papi e cardinali. Di alcuni di quei dannati che Dante non rammentò rac
31 (1895) The youth’s dictionary of mythology for boys and girls
the earth, circa 1503 b.c. Devil, see Dahak, Daityas, and Obambou. Di ′ana [Diana], goddess of hunting and of chastity.
ictyn′na [Dictynna], a Greek name of Diana as a terrestrial goddess. Di ′do [Dido]. A daughter of Belus, King of Tyre. It
d Æneas would not come, She mourned in silence, and was Dido dumb.” Di ′es Pa′ter [Dies Pater], or Father of the Day, a n
Nysæ. Dios′curi [Dioscuri]. Castor and Pollux, the sons of Jupiter. Di ′ræ [Diræ]. A name of the Furies. Dis. A name of
32 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Avvertenza » pp. -
nel comune linguaggio ; in uso delle scuole e di ogni colta persona. Di quest’opera di erudizione letteraria furono pubbl
33 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — VI. Il regno, la prigionia e l’eŚilio di Saturno » pp. 28-30
questá verrà sotto il regno di Giove, e sarà mirabile e tremenda, «  Di poema degnissima e di storia. » 21. Da questo
34 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXIII. Osservazioni generali » pp. 260-263
e che era questi un re d’Italia deificato per sì utile insegnamento3. Di tali divinità il cui ufficio si conosce e s’inten
35 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — Introduzione » pp. 6-9
ria a qualunque italiano desideri accostarsi « ……….. ove più versi «  Di sue dolcezze il lusinghier Parnaso. » Quanto poi
36 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XIII. Difetti e vizii del Dio Giove » pp. 69-72
ometeo portator del fuoco, Prometeo incatenato e Prometeo liberato. —  Di queste esiste soltanto la seconda, cioè : Promete
37 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XL. Osservazioni generali » pp. 304-308
l più vecchio dei Duci che andarono alla guerra di Troia, che cioè «  Di parlanti con lui nati e cresciuti. « Nell’alma Pi
38 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XIV. Il Diluvio di Deucalione » pp. 73-78
balìa delle onde fu spinta e fermossi in Grecia sul monte Parnaso. —  Di quale stirpe e famiglia erano essi i due fortunat
39 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XVI. La dea Latona » pp. 86-91
inferiore, perchè questa Dea aveva soltanto un figlio ed una figlia. Di questa sua folle empietà fu terribilmente punita
40 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLIII. Cadmo » pp. 321-325
ustre città, non ostante non fu felice, e neppure i suoi discendenti. Di lui ci dicono i Mitologi che si ritirò insieme co
41 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXII. Marte » pp. 138-143
onte e del macigno, » ma vi fu mista ancora « …….la sementa santa «  Di quei Roman che vi rimaser, quando « Fu fatto il n
42 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXIV. Il Dio Pane » pp. 264-269
le di pardo, in una mano la verga pastorale e nell’altra la sampogna. Di questi tre distintivi non sarà inutile dar la spi
43 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXIX. Di alcune Divinità più proprie del culto romano » pp. 500-505
LXIX Di alcune Divinità più proprie del culto romano A
44 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — VII. Saturno esule dal Cielo è accolto ospitalmente in Italia da Giano re del Lazio » pp. 31-38
tà apparisce una opinione più filosofica e biblica28) che mitologica. Di altre che sono totalmente favolose e strane avrem
45 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XIX. La Dea Triforme cioè Luna in Cielo, Diana in Terra ed Ecate nell’Inferno » pp. 115-122
tii trarmi della propria immago ; « Ed in un cervo solitario e vago «  Di selva in selva, ratto mi trasformo ; « Ed ancor d
46 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXVIII. Le regioni infernali » pp. 195-202
mezzo del campo maligno « Vaneggia un pozzo assai largo e profondo, «  Di cui suo loco dicerà l’ordigno. « Quel cinghio che
47 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XII. La Titanomachia e la Gigantomachia » pp. 60-68
caverne mormorando esala, « E tutte intorno le campagne e ’l Cielo «  Di tuoni empie, di pomici e di fumo77). » Ed è ques
48 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXV. I Satiri ed altre Divinità campestri » pp. 270-278
fiori in testa, e fiori spuntano sul terreno ov’ella posa le piante. Di mezzo alle più graziose fantasie poetiche degli a
49 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLI. Perseo » pp. 309-316
eran l’ale e di color diverso, « E vi sedea nel mezzo un cavaliero, «  Di ferro armato luminoso e terso, « E ver ponente av
50 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Indice alfabetico » pp. 516-
Indice alfabetico Di tutti i termini mitologici e scientifici spieg
51 (1806) Corso di mitologia, utilissimo agli amatori della poesia, pittura, scultura, etc. Tomo I pp. 3-423
capace di ravvisare molti preziosi avanzi della più rimota Antichità. Di fatti se nell’ applicarsi a qualsivoglia Scienza
nze, senza però aver diminuito in modo alcuno l’interno suo martirio. Di tutti i suoi beninon gli restava che una figliuol
ato vi si radunava pertrattare degli affari di grande importanza (c). Di questo tempio finalmente si racconta, che Tarquin
più antichi per più lungo tempo si mantennero in grande riputazione. Di questi e di molti altri ancora parleremo altrove.
consiparire sulla scena i personaggi modesini, figurati uagli Attori. Di quì ebbe origine la Tragedia e la Commedia. Final
(g). (a). Nat. Com. Mythol. l. 2. (b). Ovid. Metam. l. 5. (5). Di là ripetesi l’origine dello stranissimo culto, ch
le sue viscere. Gl’ Indovini asserirono, che ciò era di buon augurio. Di fatti colei diede alla luce l’anzicetto fanciullo
52 (1810) Arabesques mythologiques, ou les Attributs de toutes les divinités de la fable. Tome II
grande : e sol perche non muto Un decreto giammai, non trovi esempio Di chi voglia innalzargli nu’ ara, un tempio44. D
erreur, dans une obscure et profonde caverne. Nella sorte piu serena Di se stesso il vizio e pena47. Issipile. —  Méta
53 (1900) Myths of old Greece in story and song
rman; aided Danaë against Polydectes, 142,143; was chosen king, 144. Di ΄omed. Son of the god Mars; king in Thrace; owned
of the god Mars; king in Thrace; owned man-eating horses, 104, 110. Di ΄omed. Son of Tydeus; Greek warrior, 202, 210. Di
54 (1898) Classic myths in english literature
Com. § 29; genealogy, § 132 (5). Devas; see under Hindoo divinities. Di ′a, the island of, 176, 262; old name for Naxos; C
erseus from the waves, and entrusted them to Polydectes, his brother. Di ′do, 140, 342, 343, 348; Com. § 174. Dietrich, 403
er. Di′do, 140, 342, 343, 348; Com. § 174. Dietrich, 403; Com. § 186. Di ′ke: personification of Justice. Dindyme′ne, a sur
e, a surname of Cybele; from Mount Dindymus in Phrygia; Com. § 45 a. Di ′omede (son of Tydeus), contest with Mars, 112,113
46, 102, 103. Diony′sus; see Bacchus. Dioscu′ri; see Tyndaridæ, 282. Di ′ræ: the Furies. Dir′ce, 102. Dis; see Pluto, 83.
(Ymir), 366, 386, 388. Frost Giants, 371. Fu′riæ, Furies (Erin′y-es, Di ′ræ, Eu-men′i-des, Sem′næ: Alec′to, Tisiph′-o-ne,
penser, on the Graces, 71, 96, 200; Com. § 43 (3). Græ′æ, Gray-women ( Di ′no, Pephre′-do, Eny′o), described, 86; and Perseu
49,105,106. Plu′tus, Com. § 49. Pœ′na: (1) Greek, an attendant, with Di ′ke and Erinys, of Nemesis; (2) Latin, goddess of
55 (1909) The myths of Greece and Rome
le survivor of Deluge; son of Prometheus and father of Hellen, 24-26 Di ′a. Maiden loved and deserted by Ixion, king of th
e of, 300; Camilla rescued by, 334, 335; significance, 352, 360, 363 Di ′do. Queen of Tyre and Carthage; loved and deserte
x, 244 Di-os-cu′ri-a. Festivals in honour of Castor and Pollux, 245 Di ′ræ. Collective name given to Furies, 139 Dir′ce.
56 (1806) Corso di mitologia, utilissimo agli amatori della poesia, pittura, scultura, etc. Tomo II pp. 3-387
mezzo di quello scudo v’è un leone, che si azzuffa con un cinghiale. Di questi du animali il primo opera avvedutezza, l’a
ebbono anche dovuto fare, se fosse stata vera l’uccisione di Absirto. Di quelli poi, che tengono per vera l’uccisione mede
57 (1838) The Mythology of Ancient Greece and Italy (2e éd.) pp. -516
und in modern poets. Thus Tasso, — E già spargea rai luminosi e gelo Di vive perle la sorgente Luna. — Ger. Lib. vi. 103.
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