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1 (1874) Ristretto analitico del dizionario della favola. Volume I pp. -332
e testimonianza Di gratitudine e di rispetto Ristretto analitico del dizionario della favola per Camillo Benucci
esta Prefazione una spiega, per quanto più potremo concisa e limpida, del modo al quale ci siamo attenuti, onde render chia
esser chiari abb astanza, riguardo alla struttura fisica e materiale del nostro libro) demmo nello Studio Preliminare che
ostra coscienza è tranquilla, la nostra mente è serena. Se l’opinione del pubblico vorrà, come speriamo, coronare di splend
tte le sue opere, dalla vita fisica dell’uomo, fino alla riproduzione del filo d’erba, dallo insetto microscopico, dall’inf
nare l’opera nostra dal titolo che vi apponemmo. Ristretto analitico del Dizionario della Favola, suddiviso in articoli po
enso morale di tutta la nostra opera. Infatti, un ristretto analitico del Dizionario della Favola, dev’essere una specie di
d esplicita, dalla quale venisse loro additata la vera configurazione del senso, racchiuso sotto il velame dei simboli dell
vera e reale l’esposizione di quel singolo avvenimento, nel racconto del quale cadeva in acconcio la citazione del passo d
o avvenimento, nel racconto del quale cadeva in acconcio la citazione del passo da noi riportato. A questo proposito, e sem
oeti della antichità, ovvero incorporata dall’immortale immaginazione del Cantore dei tre Regni, nell’anima di un dannato o
immagini che lo studio della Mitologia ci rivela innestate nel culto del paganesimo, si trovano tutte nell’ Inferno Dantes
co. Il Minotauro, uomo fino alla cintola e toro nelle parti inferiori del corpo ; i Centauri, metà cavalli e metà uomini ;
to il meglio. Da ultimo, seguendo a delucidare la materiale struttura del nostro lavoro, daremo ai lettori la ragione del p
a materiale struttura del nostro lavoro, daremo ai lettori la ragione del perchè abbiam fatto precedere questa opera da tan
altro non si vuol fare che dare in essa un’idea, diremo, preconcetta del lavoro medesimo, il quale viene, in certo modo, c
di epigrafi avrebbe dato un, diremo, tacito attestato dell’importanza del nostro lavoro ; e che esse sarebbero state altret
ànno disseminata, con le loro opere antiche e moderne, la conoscenza del culto religioso dei primitivi popoli della terra.
rtanti della Mitologia pagana. In oltre in questo ristretto analitico del Dizionario della Favola, non si avrà solamente da
ngono in appoggio, rese più chiare, limpide ed indelebili, nell’animo del lettore. É, al certo, altamente utile ed importan
e, che riporti frammenti della Divina Commedia di Dante ; delle opere del Monti ; di quelle del Metastasio ; e di altri num
ti della Divina Commedia di Dante ; delle opere del Monti ; di quelle del Metastasio ; e di altri numerosi poeti e scrittor
, ebbe un amplo significato, come quella che dinotava la enunciazione del pensiero col mezzo della parola ; un discorso un
avere il sentimento della cosa. Più tardi essi congiunsero la nozione del Mito a quella più generale di simbolo o altegoria
nerale di simbolo o altegoria, e ne fecero una delle forme principali del linguaggio intuitivo e figurato della loro religi
ed osceni saturnali di Bacco ; in tutte le feste o cerimonie proprie del culto individuale di ogni deità degli antichi ; a
osè, l’universale legislatore, si è servito della simbolica allegoria del roveto ardente, per fare che i figli d’Israello s
credenze che egli voleva imporre ai popoli, onde farsi credere l’unto del Signore. Il popolo disperso d’Israele, oggi ramin
ignore. Il popolo disperso d’Israele, oggi ramingo nelle cinque parti del globo, conserva ancora, nell’attenzione del prome
amingo nelle cinque parti del globo, conserva ancora, nell’attenzione del promesso Messia, i simboli proprii delle sue reli
di proprio della religione da cui nascevano. Così fino dall’infanzia del cristianesimo noi vediamo nell’eresie degli Gnost
n esempio meno palpabile di questa verità. Tutti gli eretici novatori del detto periodo di tempo, seguirono, o meglio, cons
 ; se non a ribattere il chiodo di una verità inconcussa, e il raggio del vero scintilla ed illumina di per sè, nè abbisogn
, per mezzo dei monumenti, i quali resisterono all’opera devastatrice del tempo, e che altra volta furono destinati al cult
re di Dio. A Roma, per esempio, il tempio ove si venerò Vesta, la Dea del Fuoco, oggi è dedicato alla Madonna del Sole. Que
o ove si venerò Vesta, la Dea del Fuoco, oggi è dedicato alla Madonna del Sole. Quello dei gemelli Romolo e Remo, fondatori
, gemelli anch’essi. L’altro della Salule, a Santo Vitale. Sulle rive del lago Numicio, e propriamente al luogo ove la trad
statua di Santo Potito, la quale altro non è che un simulacro pagano del dio Marte, con la lieve variante d’aver sostituit
nzione25 tratta in processione, va per le strade della città in cerca del suo Divino Figliuolo, e quando poi dopo lungo cer
ino Figliuolo, e quando poi dopo lungo cercare, le mostrano la statua del Redentore, ella trema, impallidisce, piange di gi
o seno divino, e s’innalza nell’aria a spandere pel cielo l’esultanza del suo cuore di madre. L’antichissimo cataclisma del
l cielo l’esultanza del suo cuore di madre. L’antichissimo cataclisma del diluvio universale, del quale si legge nella Gene
suo cuore di madre. L’antichissimo cataclisma del diluvio universale, del quale si legge nella Genesi : VI-17 Ecce ego addu
lle più alte montagne. Se dunque i Miti bugiardi e le false allegorie del paganesimo, in cui tutto era fittizio ed immagina
in certo modo, trasfusi nella maggioranza dei simboli della religione del Cristo, è segno evidente che tutti i culti, tutte
ginarii, di azioni vere, in cui i simboli o miti delle numerose deità del paganesimo, balenano ad ogni tratto ; ed in cui t
dettero il posto ai miti dolci, casti, consolatori, onde la religione del Cristo si rivela all’anima dell’uomo. Allora, il
bergo della sua celeste purità, schiaccia col fragile piede, la testa del serpe insidiatore, e lo costringe a precipitare n
articolari ed isolati ; ma gioverà nell’insieme osservare il pensiero del simbolo o mito che essa racchiude sotto il velame
attentamente riflettere sui tre punti principali, che formano l’anima del nostro lavoro. Codesta studiosa osservazione dovr
ti e tradizioni de’tempi favolosi ; poscia a dimostrare la intenzione del mito, contenuto nelle cerimonie e feste di quell’
bbe ; nella Mitologia pagana, il Dio Termine, adorato fino nelle mura del Campidoglio28 ; nella religione di Maometto il Pr
o modo, spinti a questa supremazia incontrastata, nello incivilimeato del mondo antico, dalla loro relazione, e dall’ordina
ediata. L’arte nata dalla verità, dalla contemplazione delle bellezze del creato, deve tendere al suo vero principio facend
operandosi al progresso, perfezionando l’uomo ch’è l’opera più nobile del Creatore, e volgere al bello, al grande, alla vir
egor e religiose, per mezzo delle quali si attribuivano alle divinità del culto pagano, sentimenti e passioni umane. Cosi i
spaventevole, sotto alla quale è nascosta l’idea, non meno terribile, del mito che il Tempo è l’eterno e vorace consumatore
opere sacre dei più celebri dottori della Chiesa Cattolica, occorrono del continuo, angioli amorosi, genii malefici, pitone
lò !… La storia sanguinosa della rivoluzione di Francia, ci ammaestra del come si avverassero alla lettera, le predizioni t
di codesta illustre famiglia, assicurava correr voce che, nella notte del 10 aprile 1850, la dama bianca era comparsa al ca
e, confinanti con la regione dell’Egitto, sarà figlio di Nettuno, Dio del mare ; e della Terra ; avrà forme gigantesche, co
à forme gigantesche, come giganti sono le onde di sabbia che il vento del deserto solleva, e che nulla vale ad arrestare, f
ostrutti ai piedi della Libica catena, non rendano inutili gli sforzi del figlio della Terra. La tradizione favolosa, dando
giungevano a spiegarsi taluni fatti. Per esempio, nel culto religioso del Dio Api,42 venivano rinchiuse le mummie, in talun
ura di un toro ; e questo fatto semplicissimo originò l’oscena favola del Toro di Pasifae 43 la moglie del re di Creta. Om
emplicissimo originò l’oscena favola del Toro di Pasifae 43 la moglie del re di Creta. Omero stesso, il poeta sovrano, imp
ce al erto difficile ; ma vi sono molti altri simboli in cui la forma del mito non è, a prima vista, limpida e staccata. Ta
che tanto nello insieme, quanto partitamente, le simboliche allegorie del pagani, subirono positive modificazioni, nell’ass
l’ordine terrestre, venendo alle diverse deità attribuiti i caratteri del clima, della indole, del governo proprio, e perfi
do alle diverse deità attribuiti i caratteri del clima, della indole, del governo proprio, e perfino delle abitudini e dei
a corte celeste dei Persiani ordinata in modo atfatto simile a quella del re Ciro, il famoso monarca46. L’olimpo stesso del
verno, il proprio stato, le proprie attribuzioni. Nettuno era il Dio del mare ; Plutone si ebbe il governo dei regni della
lazioni principali della fascia zodiacale, additano le dodici fatiche del Dio-Atleta, il quale, alla sua volta, diventa pei
venimenti antichi, e le antiche credenze, rimanendo come una reliquia del mondo antico a continuare le religioni, e a dar p
ato, innegabile che i miti religiosi appartengono alle più remote età del mondo, e che lo studio della Mitologia, ossia del
alle più remote età del mondo, e che lo studio della Mitologia, ossia del ragionamento dei miti, è lo studio sintetico di u
enzione dei lettori a considerare la relazione che passa tra la Forma del simbolo mitologico, ed il Fondo di esso, nel qual
, ed anche un concetto della mente : può essere un fatto, un fenomeno del mondo fisico o del morale, un avvenimento natural
tto della mente : può essere un fatto, un fenomeno del mondo fisico o del morale, un avvenimento naturale o storico. In cos
e invariabilmente la stessa, e questa Forma è il racconto, i soggetti del quale sono gli attori, le figure staccate e visib
rsonalità, assume il carattere di un tipo generale, e allora la forma del mito si eleva a governare le menti. Allora l’imma
ondo s’incorpora nella Forma, come la vaghezza dell’idea nella realtà del fatto compiuto, qualunque sia la realtà di questo
sto fatto che si presenta alla mente. Un altro particolare carattere del mito o simbolo mitologico è la Spontaneità, la qu
e era incinta. Villarosa. — Dizionario mitologico ecc. vol. 1. Dio del Sole : i riti Eleusini compiersi in onore della L
quasi tutti gli dei italici essere planetarî a simiglianza di quelli del Tibet, della Cina, e dell’Arabia. Ogni cosa, pres
capro generatore è la vittima immolata dal pastore per la espiazione del gregge ; il cavallo ed il bue che, aggiogati all’
atro, fecondano col lavoro il seno della terra, diventano gli animali del sacrifizio. Poi ne vengono i simbolici segni dell
qualunque vano e superfluo ornamento di stile. Ristretto analitito del Dizionnario della favola Epigrafi Pure n
sopra la quale egli si fosse imbarcato per arrivare traverso il fiume del tempo al mare magno della eternità — Ci hanno di
? Ah ! ella è pretensione codesta da far morire di riso lo stesso Dio del Riso, il vecchio Momo. F. D. Guerrazzi — Beatrice
e luce e calore, pure ella conosce egualmente che i giorni dalla mano del tempo cadono irrevocabili nello abisso della eter
chose. Pigault Lebrun — Œuvres — Tome I. Così sul romoroso Telaio del tempo, di mia man contesta È di Dio la visibile I
vvenimenti antichi e le antiche credenze, rimanendo come una reliquia del mondo antico a continuare le religioni e a dar pr
l buon Bucolïone un di produsse La Najade gentile Abarbarea, Bucolïon del re Laomedonte Primogenito figlio, ma di nozze Fur
anche un altro Abas, da non confondersi col re degli Argivi, e che fu del paro figlio di Linceo e d’Ipernestra, altri dicon
abbricare. Altri vogliono che Ercole edificasse questa città in onore del suo amico Abdereo, che fu miseramente divorato da
iti con gli Ipomolgami. Questi ultimi detti anche Galadefagi facevano del latte di giovenca la loro principal nutrizione. F
e appunto perciò Virgilio li denominasse Oenotrii viri. La etimologia del nome di questi popoli è di una profonda incertezz
R AB A.   Questa figura essendo principalmente composta dalle lettere del nome Abraca lo stesso che Abracox o Abraxas che s
avuto quello di Abretano. 24. Abseo. — Gigante figlio della terra e del Tartaro. 25. Absirto. — Fratello di Medea. Questa
di far conoscere la sincerità dei giuramenti. Si scriveva la formola del giuramento su di una tavoletta, quindi la si gett
etto anche Perdix, nipote di Dedalo. Egli fu l’inventore della lega e del compasso. Dedalo, suo zio, ne fu così geloso che
hi anni, fossero divenuti adulti in un giorno, per vendicare la morte del padre loro, ucciso a tradimento, dai fratelli di
ella della regina Camilla. Vi fu anche un’altra Acca Laurentia moglie del pastore Faustolo che allevò Romolo e Remo, al qua
leforo il soprannome di Acesio. 43. Aceste. — Re di Sicilia, e figlio del fiume Triniso. Egli ricevette onorevolmente Enca,
nza conoscerlo il dio Bacco, e volevano a viva forza portarlo a bordo del vascello di Acete, allor che questi si oppose viv
ompensarlo della sua buona azione. Vi fu anche un altro Acete, figlio del Sole e di Persa. Egli dette una delle sue figlie
osta al mezzogiorno della Macedonia, ma più particolarmente provincia del Peloponneso, al quale si dà alcuna volta, compres
oi troviamo al principio dell’Iliade questi versi : Cantami, o diva, del Pelide Achille L’Ira funesta, che infiniti adduss
odamente. 53. Acheolo. — Figlio dell’ Oceano e di Teti. Secondo altri del Sole e della Terra. Avendo amato Dejanira, e sape
, e perchè era generale credenza che quest’albero nascesse sulle rive del flume Acheronte. 56. Acheronte. — Figlio del Sole
bero nascesse sulle rive del flume Acheronte. 56. Acheronte. — Figlio del Sole e della Terra. Egli fu precipitato nell’infe
o in Elide, ed un terzo in Italia. 57. Acherusa. — Caverna sulle rive del Ponte-Eusino. Era generale credenza che essa aves
58. Acherusiade. — Era questo il nome di una penisola presso Eraclea del Ponte : si credeva comunemente che da quel sito f
madre, essendo egli in tenerissima età, lo immerse tutto nelle acque del fiume Stige, per renderlo invulnerabile, ed egli
Briseide, dal padre Briseo. Achillealtamente sdegnato, dal procedere del Revillano, si rinchiuse nella sua tenda ; e giurò
to un ardente amore per Polissena, figlia di Priamo, e perciò sorella del morto Ettore, la dimandò in matrimonio, e quando
tà al tallone, non era accettata ai tempi di Omero, e che la opinione del Poeta sovrano è assolutamente contraria a questa
ava le lodi e le imprese degli uomini valorosi. 60. Achillea. — Isola del Ponte-Eusino così detta dal nome di Achille, al q
molti autori Greci era questo il nome di una divinità esistente prima del caos, e dalla quale tutti gli altri numi avevano
gli altri numi avevano avuto origine e principio. 73. Acmena. — Ninfa del seguito di Venere. 74. Acmone. — Figlio della Ter
rizione che fa Ovidio della sua povertà estrema. Mio nome è Acete, e del popol Tirreno A Meonia mi dier bassi parenti, Ch’
e venne meno, Ch’andò a trovar le trapassate genti, Altro non mi potè del suo lasciare, Ch’un amo ed una canna da pescare.
qua. — Di questo elemento fecero i pagani una delle più antiche deità del loro culto. Talete di Mileto, e con lui i più ant
della fertilità della loro terra cagionata dalle annuali inondazioni del Nilo. Daciò la grande ed antica venerazione che g
consacrarono altari e offerirono sacrifizii ; credettero che le acque del mare e dei flumi avessero la virtù di cancellare
e che traduciamo alla lettera : « Nè io credo già che tutte le acque del Danubio e del Fasi lavar possano gli errori della
mo alla lettera : « Nè io credo già che tutte le acque del Danubio e del Fasi lavar possano gli errori della deplorabile c
di una delle nutrici di Giunone. La favola racconta che fu figliuola del fiume Asterione e del paese Argo. In questa parol
di Giunone. La favola racconta che fu figliuola del fiume Asterione e del paese Argo. In questa parola è compreso il signif
lo cangiò in cervo e lo fece divorare dai suoi cani. Uno dei cavalli del Sole si chiamava anche Acteone. 93. Actor. — Padr
chiamato Actoride. Vi fu anche un Actor padre di due figli ricordati del paro nella favola sotto il nome di Actoridi. Ognu
curo invisibile ; composta dall’ α privativa e da αδω io vedo. Davasi del pari cotesto nome di ades al luogo sotterraneo ov
go, ed approdò felicemente a Samo, ove credendosi debitrice a Giunone del felice viaggio, si addossò spontanea l’obbligo di
ascello non potè far cammino. Persuasi che quella fosse una punizione del cielo, discesero nuovamente la statua della Dea,
do della loro nave che questa volta salpò felicemente. Admeta sul far del giorno accortasi della mancanza del simulacro det
salpò felicemente. Admeta sul far del giorno accortasi della mancanza del simulacro dette l’ailarme, e ben presto una gran
alla ricerca di quello, e finalmente ritrovò la statua sulia spiaggia del mare. Admeta persuase ai Samii che la Dea per pun
, d’Amatunta e di Pafo, e lo seguì innamorata e dolente nelle foreste del monte Libano. Marte geloso di tal preferenza avve
o culto ebbe cominciamento nella Fenicia, ov’egli regnò dopo la morte del re Biblo, di cui avea sposata la figlia, e ben pr
erimonie di commemorazione avevano principio con tutti i contrassegni del lutto. Coloro che vi prendevano parte portavano i
e donne vestite a bruno andavano a toglierle per celebrare i funerali del morto, piangendo e cantando. Il popolo riteneva q
erta stagione dell’anno, diventavano rossastre a cagione della sabbia del monte Libano, che il vento vi faceva cadere, fu r
nt de ses crimes, Fénélon Télémaque. Vi fu un altro Adrasto figlio del Re Mida, il quale per inavvertenza uccise Atiso f
Atiso figlio di Creso, e ne fu tanto addolorato, che sebbene il padre del morto lo avesse perdonato, egli non potendo regge
ssinare il suocero e s’impadronì dei suoi tesori. Ma non gioì a lungo del frutto del sangue, imperocchè Giasone, a capo deg
suocero e s’impadronì dei suoi tesori. Ma non gioì a lungo del frutto del sangue, imperocchè Giasone, a capo degli Argonaut
mperocchè Giasone, a capo degli Argonauti, venne a farsi render conto del male acquistato retaggio, e se ne rese egli stess
ecia fu venerato come un eroe. 132. Aetone. — Uno dei quattro cavalli del sole, che al dire di Ovidio, fu principale cagion
denotata Venere perchè i poeti dicono ch’ella nascesse dalla schiuma del mare. 150. Agamede e Trofonio figli d’Ergino, alt
tti, e d’una furfanteria matricolata. Essi dettero una luminosa prova del loro duplice ingegno nella città di Delto, sia pe
ice ingegno nella città di Delto, sia per la meravigliosa costruzione del famoso tempio ; sia perchè aveano trovato il modo
contesa con Achille, a causa d’una schiava per nome Briseide, figlia del sacerdote Brise, la quale Agamennone volle fosse
del sacerdote Brise, la quale Agamennone volle fosse tolta alla parte del bottino di guerra, spettante ad Achille. Essendo
ezza innalzata agli onori divini sia perchè aveva curata l’educazione del Dio Bacco, sia, come vogliono altri scrittori, pe
produceva un bellissimo frutto. La favola racconta che una figliuola del fiume Sangaro, avendo nascosto nel suo seno alcun
i perdutamente invaghito, fu dalla ninfa sua madre inviato alla Corte del re di Pessinunte per sposare una figliuola di lui
Aglaja. — Era questo il nome di una delle Grazie. 184. Aglao. — Nome del più povero degli Arcadi, che Apollo giudicò più f
e Apollo giudicò più felice di Gige perchè viveva contento dei legumi del suo piccolo orticello. 185. Aglaonice. V. Aganice
nno una vittima umana alla quale si faceva fare per tre volte il giro del tempio, e poi il Flamine sacrificatore immergeval
ltra Divinità detta Malachbelo. È generale credenza che sotto il nome del primo si adorasse il sole, e sotto il nome del se
enza che sotto il nome del primo si adorasse il sole, e sotto il nome del secondo la luna. 190. Agniteo. V. Agnito. 191. Ag
o ad Esculapio. 192. Agno o Hagno. — Fu questo il nome Ristret. Anal. del Diz. della Fav. di una delle Ninfe nutrici di Gio
e dicevano la buona ventura nelle pubbliche strade, e agli spettacoli del circo : essi si servivano perciò dei versi d’Omer
Virgilio, e di altri poeti. 216. Aidone. — Detta anche Aedone, figlia del re Zeteus, fratello d’Anfione. Questa sventurata
e Aidone, riconoscendo il suo terribile errore, pianse tanto la morte del suo unico figlio, che gli Dei, mossi a compassion
io al quale Ifimedia avea consentito la sua persona. 219. Aixa, isola del mare Egeo, seminata di roccie scoscese, e che pre
na agilità sorprendente, e nessuno lo superava in tutti gli esercizii del corpo. Però violento e brutale, e di una indole c
quale la vergine s’era nascosta, sperando di sottrarsi alle brutalità del suo persecutore. Minerva, fortemente sdegnata, ri
po di tridente spaccò la roccia, sprofondando l’empio nei cupi abissi del mare. Virgilio attribuisce la morte di Ajace alla
quell’altro sia Che ha membra di gigante, e va sovrano Degli omeri e del capo agli altri tutti ? Il grande Aiace, risponde
loroso guerriero della Grecia. Egli era vulnerabile in una sola parte del petto, nota però a lui solamente. All’assedio di
ro Iliade lib. VII. Trad. di V. Monti). Entrambi giusti apprezzatori del loro personale valore, cessarono dal combattere e
so Achille, surse una disputa fra Ulisse ed Ajace, a causa delle armi del morto eroe. Ulisse però ebbe il di sopra, e Ajace
alma sdegnata il corpo umano. E di cader le membra esangui sforza ; E del sangue che in copia ivi si sparse. Un fior purpur
sia così nettamente precisa come questa. L’anno di Roma 364, un uomo del popolo a nome Ceditio, andò a rivelare ai Tribuai
rciò sconosciuta ai Romani, non si fece alcuna attenzione dell’avviso del popolano. Però l’anno seguente i Galli s’impadron
e alla voce notturna, ordinò che si fosse inalzato un tempio in onore del Dio Ajo Locutio, nell’istesso luogo della strada
gabalo. 226. Alala soprannome dato a Bellona. 227. Alalcomede. — Nome del precettore di Minerva, al quale dopo la morte fur
rese nome. 230. Alastore uno dei Cavalli di Plutone. Fu anche il nome del fratello di Neleo, figlio di Nestore ; e quello d
Ascanio, figlio di Enea. 232. Albania, contrada dell’Asia sulle coste del mare Caspio, così chiamata perchè i suoi abitanti
el mare Caspio, così chiamata perchè i suoi abitanti erano originarii del territorio d’Alba in Italia, ch’essi abbandonaron
iò in Megara, dove uccise un leone che aveva divorato Eurippo, figlio del re di quella contrada. Alcatoo sposò poi la figli
urippo, figlio del re di quella contrada. Alcatoo sposò poi la figlia del re e alla morte di questo gli successe nel govern
ormentato dai più crudeli rimorsi e perseguitato dalle Furie, a causa del delitto che avea commesso, si rifugiò in Arcadia
nte alla nuova sua sposa, Fegeo ed Arfinoe furono fortemente sdegnati del grave affronto, ma Temeno e Axione, fratelli di A
mbini, divenissero in un momento uomini maturi per vendicare la morte del loro padre : ciò che essi fecero uccidendo non so
eguirlo il marito ed i figli, ma poi divenne così furiosamente gelosa del suo amante che disperata si precipitò nel mare. 2
o lo accolse con regale amorevolezza. …. Ameni e vaghi Tanto non fur del redivivo Adone Immaginati un di gli orti famosi,
olpo con la sua clava, lo fini a colpi di freccia. Le sette figliuole del morto, giovanette di una rara bellezza furono cos
rto, giovanette di una rara bellezza furono così dolenti per la morte del padre che si precipitano nel mare, dove vennero c
nosciute sotto questo nome ; una, figlia di Oenomao ; un’altra figlia del gigante Alcioue ; ed una terza pastorella, di cui
rgilio. 252. Alcithoe. — Una delle figlie di Minea o Mina. Burlandosi del culto con cui veniva onorato Bacco lavorò, e fece
dovea nascere, sapendo che Giove avea promesso uno splendido destino del neonato che sarebbe stato Ercole. Giunone che ave
264. Alemonide Miscelo figlio d’Alemone era anche così detto dal nome del padre. 265. Aleo. — Re d’Arcadia. Si rese celebre
78. Alfeo. — Famoso cacciatore il quale invaghitosi di Aretusa, ninfa del seguito di Diana la perseguitò lungo tempo finchè
e conosciuta sotto questo nome da un tempio che essa aveva sulle rive del fiume Alfeo. 281. Alfitomansia. — Dalla parola gr
iva così chiamata un’altra delle cinquanta Nereidi, quasi avesse cura del mare e facesse di questo elemento sua delizia ed
e morirono entrambi : dopo poco furono da Giove precipitati nel fondo del Tartaro. Sotto codesta allegoria della favola mit
ue altro simbolo della favola. Infatti gli Aloidi figli di Nettuno re del mare potrebbero essere due famosi corsari a nome
corsari fosse stato da essi debellato e fatto prigione. Mercurio dio del commercio che libera Marte altro non raffigura ch
a che un abile trafficante, il quale tratta coi vincitori il riscatto del prigioniero. L’astuzia di cui Diana si serve stri
tro, e organizzarono una caccia alla quale intervenne Atalanta figlia del re d’Arcadia. La principessa fu la prima a ferire
ui è menzione nell’articolo precedente, pure formavano nelle credenze del paganesimo due specie di deità differenti. Dalle
role greche αμα insieme ; ed αρυς una quercia. Le Amadriadi non erano del tutto inseparabili dall’albero col quale avevano
abitatrice della pianta, e seguitò ad abbatteria non curando la vista del sangue che ai primi colpi spruzzò dal tronco dell
pianta in cui avevano vissuto. 311. Amaltea. — Fu la capra che nutri del suo latte Giove, il quale in segno di riconoscenz
o nella Tessaglia. 316. Amarynthia. V. Amarusia. 317. Amata. — Moglie del re Latino, fu madre di Lavinia. Ella si strangolò
ni. — Femmine della Scizia e propriamente della Cappadocia sulle rive del flume Termidone. Attendevano alla guerra e abitav
ontanava E il cadavere ungea d’una celeste Rosata essenza che impedia del corpo Strascinato l’offesa. Omero. — Iliade Lib.
la non poteva inventare cosa più divinamente poetica, dell’ambrosia e del nettare. Questo delizioso nutrimento, questo liqu
parazione per mezzo della quale ha voluto dare un’idea della natura e del gusto dell’ambrosia. Ecco le sue parole testualme
ue parole testualmente tradotte : « L’Ambrosia è nove volte più dolce del miele : mangiando del miele si prova la nona part
tradotte : « L’Ambrosia è nove volte più dolce del miele : mangiando del miele si prova la nona parte del piacere che si p
olte più dolce del miele : mangiando del miele si prova la nona parte del piacere che si proverebbe mangiando dell’ambrosia
e queste altre : La state e l’inverno — Aveva scoperto il lato destro del petto fino al livello del cuore, indicando col di
e l’inverno — Aveva scoperto il lato destro del petto fino al livello del cuore, indicando col dito le seguenti parole : D
Da lunge e du vicino  — Tutto ciò altro non era che la raffigurazione del simbolo che l’amicizia non invecchia mai, che rim
u detto Ammone cioè Arenario, per essere collocato in mezzo all’arena del deserto e nel quale Giove era adorato sotto la fi
ll’ubbriachezza di Noè ? È dunque un fatto indiscutibile, in appoggio del quale vengono infiniti esempi, che tutte le relig
gli dei immortali e la terra. Platone asserisce essere l’Amore figlio del Dio delle ricchezze e della Dea della povertà, e
, dea della bellezza, ha avuto un culto estesissimo in tutte le parti del mondo conosciuto dagli antichi. 348. Ampelo. — Fi
i una Ninfa, fu amico di Bacco, il quale ebbe anche uno dei sacerdoti del suo culto conosciuto sotto l’istesso nome. Questa
veniva rappresentata al momento della sua nascita uscendo dalla spuma del mare. 364. Anagogie. — Feste in onore di Venere a
ersiani. 367. Anamelech. — V. Adramelecco. 368. Anapo o Anapi. — Nome del fiume nel quale la ninfa Ciane cangiata in lago a
o questa denominazione. 372. Anauro. — Fiume della Troàde, sulle rive del quale Paride custodiva gli armenti di Priamo. 373
del quale Paride custodiva gli armenti di Priamo. 373. Anax. — Figlio del Cielo e della Terra. Il suo nome che significa pa
naxarete spinse la sua crudeltà, fino a voler vedere la pompa funebre del disgraziato amatore ; ma appena gittò lo sguardo
vano i dodici ancilii in una festa che durava tre giorni al principio del mese di marzo, era proibito il celebrar nezze, o
iò che gli valse la stima generale e l’amicizia di Pallante, fratello del re Egeo. Questi, temendo che Androgeo, forte di t
una delle più deserte vie di Atene. Minos, volendo vendicare la morte del figlio, portò la guerra contro gli Ateniesi, li v
o, portò la guerra contro gli Ateniesi, li vinse ed a placare l’ombra del morto li costrinse a mandare ogni anno in Creta s
che fu detto Astianatte. Dopo la presa di Troia, ella nella divisione del bottino di guerra, cadde in sorte a Pirro figlio
gettò nel mare un anello, dicendo a Teseo che se era veramente figlio del mare, non doveva avere alcun ritegno di gettarsi
rra. Vi fu un altro Anfidione il quale fu figlio di Eleno e fondatore del famoso tribunale che dal nome di suo padre fu det
Credendo che il figlio fosse morto nella spedizione per la conquista del vello d’oro, si uccise trapassandosi il seno con
trarsi alle richieste di questo dio, ella si nascose nelle profondità del mare ; ma Nettuno la mandò a cercare da due delfi
i di Pterelao, divenne formidabile a tutt’i suoi nemici e punì Cometo del suo tradimento. Gli scrittori delle cronache mito
a Tessaglia sulle cui rive Apollo custodì per lungo tempo gli armenti del re Admeto. Fu del paro sulle rive di questo fiume
cui rive Apollo custodì per lungo tempo gli armenti del re Admeto. Fu del paro sulle rive di questo fiume che egli uccise i
e di ogni anno, si celebravano nella Grecia in onore di Angerona, Dea del silenzio, alcune feste a cui si dava il nome di A
ro la schinozia o malattia della gola. Era anche ritenuta come la dea del silenzio. Tempo e omai ch’Angerona apra la bocca
o sorella di Medea. 432. Angitia. —  V. Anguitia. 433. Anieno. — Dio del fiume Anio. Lo stesso che oggi chiamasi Teverone.
, andarono a lavare le loro ferite. 435. Anigridi. — Ninfe abitatrici del fiume Nigro. Veniva loro attribuito il potere di
irono Giove. La credenza più generalizzata è che ella fosse una ninfa del fiume Numicio, forse la stessa Anna sorella di Di
tori dicono che questo nome di Assur fosse dato a Giove, da una città del Lazio chiamata Ansur ove era particolarmente vene
ei ne disiava Segretamente l’amoroso amplesso. Ma non valse a crollar del saggio e casto Bellorofonte la virtù. Omero — Il
orire, ma ella si salvò con la fuga e si tenne celata fino alla morte del padre. Allora, credendosi in sicurtà, volle ritor
bbe ? Ella è d’ Edippo Prole. di tu ? ma, sua virtude è ammenda Ampia del non suo fallo — Alfieri — Antigone Trag. Atto II
e della setta cinica discepolo di Socrate. Per assistere alle lezioni del suo maestro, egli ogni giorno traversava una dist
tempii di Diana, vi erano delle corna di cervo. Solamente sulla porta del tempio ch’essa aveva sul monte Aventino, vi erano
recossi a Roma per sagrificare a Diana la sua vacca ; ma un ufficiale del re informo Servio Tullio della profezia, e allora
he prima di consumare il sacrifizio avesse dovuto lavarsi nelle acque del Tebro. Corace obbedì, e, mentre egli bagnavasi, i
vacca, la svenò sull’altare di Diana, ne affisse le corna alle porte del tempio, ed ebbe così tutto l’onore del sacrifizio
ne affisse le corna alle porte del tempio, ed ebbe così tutto l’onore del sacrifizio. 481. Anubi.  — Re degli Egizii che lo
una montagna della Beozia, che da lui prese il suo nome. Coll’andare del tempo tutta la catena di montagne fu consacrata a
artire gli volge le spalle. …… nel partir la neve e l’oro, E le rose del collo e de le chiome, Come l’aura movea, divina l
he mai bramoso Mi ferve in petto si che mani e piedi Brillar mi sento del disio la pugna Omero — Iliade. Cant. 13. trad. d
liminare di sopra accennato, noi abbiam detto essere, più che proprii del paganesimo, fusi in esso da simboli e da allegori
lamarono re un loro concittadino a nome Melanto, che accettò la sfida del re dei Beozii. Melanto trionfò con un’astuzia del
he accettò la sfida del re dei Beozii. Melanto trionfò con un’astuzia del suo nemico, poichè nel momento di affrontarlo, fi
figura di luna crescente. Allorquando i sacerdoti consacrati al culto del dio Api, scoprivano un toro che aveva se non tutt
nel suo giro per la città scortato da tutti gli ufficiali e dignitari del regno, e preceduto da un numeroso coro di fanciul
ero di anni, secondo i libri sacri dell’antico Egitto. Giunto il fine del periodo degli anni che il bue dovea vivere, i sac
e le cerimonie che la superstizione imponeva, lo guidavano sulle rive del Nilo, e quivi dopo averlo annegato, lo imbalsamav
ere di Plinio troviamo che il bue Apis, non volle mangiare le offerte del principe Germanico, e che questi morì pochi giorn
ro che si recavano a consultarlo, avvicinavano le orecchie alla bocca del dio, e uscivano poi dal tempio tenendole accurata
vano poi dal tempio tenendole accuratamente otturate, fino all’uscita del tempio, e quivi nella prima cosa che veniva lor f
iglio di Giove e di Latona e fratello di Diana. Egli guidava il carro del sole tirato da quattro cavalli bianchi e allora s
le nove muse, abitava con esse il monte Parnaso, l’ Elicona e le rive del fiume Ippocreno, ove pasceva il cavallo Pegaso, o
nte lavorato non fu retribuito d’alcuna ricompensa. Allorchè le acque del diluvio di Deucalione si furono ritirate, Apollo
che esse aveano lasciato, devastava le circostanti campagne. La pelle del mostro servì ad Apollo per ricoprire il tripode s
più ricco e rinomato fra tutti, e che era una delle sette maraviglie del mondo, era consacrato a questo nume come dio dell
ma vedendo che il lavoro della sua rivale, sarebbe riuscito migliore del suo, sdegnatasi ruppe il telaio. Aracne fu così a
1. Arbitratore o Arbitro. — Soprannome di Giove ritenuto come arbitro del destino degli uomini. 512. Arbitro. — V. Arbitrat
o ebbe anche un figlio chiamato Arcade. Con tale denominazione veniva del paro designato Mercurio, perchè fu allevato sulla
osciuto più comunemente sotto il nome di Anceo. 515. Arcadia. — Parte del Peloponneso i cui abitanti si resero celebri per
lmente che l’oracolo di Delfo avesse altamente biasimati gli uccisori del poeta per la stima che tutti facevano del suo gen
ente biasimati gli uccisori del poeta per la stima che tutti facevano del suo genio. Egli nacque nell’isola di Paro. 522. A
tauro Chirone, rappresentato nei segni dello Zodiaco, sotto la figura del sagettario. 524. Arctura. — Quantunque sia questo
antunque sia questo il nome proprio di una stella, pure gli scrittori del Paganesimo se ne servono per dinotare la castella
e Muse da Ardalo figlio di Vulcano, a cui si attribuisce l’invenzione del flauto. 527. Ardea. — Città del Lazio edificata d
no, a cui si attribuisce l’invenzione del flauto. 527. Ardea. — Città del Lazio edificata da Danao. Ovidio dice che essa fu
stato citato in giudizio innanzi a dodici numi fu rimandato assoluto del delitto di omicidio di cui era accusato. Vedi All
iana, che questa Dea cangiò in fontana allorchè Alfeo la perseguitava del suo amore impudico : però Alfeo avendola riconosc
una triplice trinciera di pietre, sarebbe affatto coperta dai flutti del mare. Molti altri scrittori e Plinio fra questi,
conta che Evandro d’ Arcadia, nemico degli Argiani, in commemorazione del suo odio contro di essi, quando venne a stabilirs
città di Roma che Numa Pompilio avea consacrati ai Numi. Argei erano del paro dette alcune figure di uomo fatte di giunchi
sul quale Giasone con gli altri principi greci, mosse alla conquista del vello d’oro. Si crede generalmente che fosse ques
opinione assai poco generalizzata fra gli scrittori. Argo si chiamava del paro una città dell’ Acaja, celebre per il culto
che Giove avea cangiata in giovenca. Ma Mercurio col suono dolcissimo del suo flauto, addormentò il guardiano e l’uccise. G
rincipi greci che sotto il comando di Giasone andarono alla conquista del vello d’oro, sulla nave chiamata Argo. I più famo
aberinto di quella città, che gli dette un gomitolo di filo per mezzo del quale l’eroe potè ritrovare l’inestricabile uscit
filo per mezzo del quale l’eroe potè ritrovare l’inestricabile uscita del labirinto, dopo avere ucciso il mostro. Arianna f
in onore di Arianna. 566. Aricia. — Figlia di Pallante ; principessa del regio sangue di Atene. 567. Arieina. — Soprannom
lphinos Arion. (Virgilio. — Ecl. V. — r. 56.) Arione fu pure il nome del cavallo che Nettuno fece sorgere dalla terra con
il nome del cavallo che Nettuno fece sorgere dalla terra con un colpo del suo tridente, allorchè sostenne con Minerva la di
nemici. Appena morto Arno un’orribile pestilenza distrusse gran parte del campo degli Eraclidi. Consultato l’oracolo se ne
a la vendetta di Apollo, il quale facea per tal modo espiare la morte del suo indovino ; e che il flagello non sarebbe cess
seguire quanto imponeva l’oracolo, e la pestilenza cessò. Coll’andare del tempo le cerimonie funebri in onore di Arno diven
a educata come un uomo al maneggio delle armi e a tutti gli esercizii del corpo. In un giorno di battaglia essa liberò il p
atti Zeto e Calaide, due degli Argonauti, i quali per esser figliuoli del vento Borea avevano le ali, diedero la caccia all
presso i quali è ritenuto come figliuolo d’ Osiride e d’ Iside e Dio del silenzio, ond’è che la sua statua viene rappresen
. Plutarco ci dà una logica spiegazione di ciò, dicendo che le foglie del persico hanno la figura d’una lingua, ed il frutt
Diana, ov’ella si rifuggì sperando di sottrarsi alle impudiche voglie del re. Ma la santità del luogo non fu scudo alla dis
ggì sperando di sottrarsi alle impudiche voglie del re. Ma la santità del luogo non fu scudo alla disgraziata giovanetta, p
anetta assistette alla cerimonia funebre con una gelida indifferenza, del che sdegnata Venere la cangiò in pietra. Arsinoe
figliuola di Tolomeo Lago, la quale sposò Tolomeo Filadelfo fratello del padre. Essa mori nel fiore della sua giovanezza,
nocrete, rimase incompiuto per la morte di lui e che solo la facciata del tempio fosse fabbricata con pietre di calamita. A
Arsinoe fu similmente il nome di una città Egiziana posta sulle rive del lago Meris, i cui abitanti avevano un culto parti
tinua, e dopo la morte venivano imbalsamati e sepolti nei sotterranei del labirinto. 595. Arte. — Gli antichi ne avevano fa
avevano lo stesso culto per le arti e per la povertà, la quale veniva del paro deificata da essi riguardandola come madre d
indicare la sveltezza di quel dio nella corsa e in tutti gli esercizi del corpo. 600. Arunticeo. — Avendo disprezzato le fe
testare il suo affetto alla sua nutrice si offrì ad occupare il posto del morto rimanendo per tal modo sempre a dodici il n
r tal modo sempre a dodici il numero dei seguaci di Acca nell’offerta del sacrificio agli Dei. 603. Ascalafo. — La favola l
l sacrificio agli Dei. 603. Ascalafo. — La favola lo fa essere figlio del fiume Acheronte, e della notte. Fu lui che dichia
Ascalafo, per la sua rivelazione, che gli gettò sul volto dell’acqua del fiume Flegetonte, e lo cangiò in gufo, uccello ch
l’avvertisse col suo grido di tutto ciò che avveniva la notte. Fece del molle labbro un duro rostro. Curvo, e d’augel che
ασϰος che significa un otro. 611. Ascra. — Città fabbricata ai piedi del monte Elicona da Ecalo nipote di Nettuno. Nell’an
eti e moglie di Giapeto. Da lei prese il nome una delle quattro parti del mondo. 616. Asima. — Divinità adorata nella città
i era soprannominato Tauro e rapì una giovinetta a nome Europa figlia del re di Fenicia. Di qui la favola che Giove trasfor
marito i figli della prima sua moglie, onde metterli in malo aspetto del padre. 638. Astioche. — Fu una delle figliuole di
Astioco. — Fu uno dei figliuoli di Eolo Dio dei venti, il quale dopo del padre regnò nelle isole Lipari, nome che egli in
ale dopo del padre regnò nelle isole Lipari, nome che egli in memoria del padre cangiò in quello di isole Eoliane o Eolie.
lie. 640. Astione. — Era questo il nome proprio della bella figliuola del sacerdote di Apollo Crise che dal padre viene com
e col loro corso predicessero la volontà degli Dei. Da ciò la ragione del culto degli astri generale a tutt’i popoli dell’a
notata perchè moglie di Atamaso. Ovidio dà questo nome a quella parte del mare Ionio in cui la stessa Ino o Leucotea si pre
a Minerva dei Greci. Gli antichi dissero che ella uscisse dal cerebro del padre, imperciocchè il suo nome significa saggezz
e aveva prima ricevuto da Nettuno. La favola racconta che a proposito del nome da conservarsi o cangiarsi a questa città ca
o ovvero di Minerva quante volte essi avessero saputo produrre ognuno del canto suo la cose più utile agli uomini. Nettuno
nee. — Feste in onore di Minerva. 664. Atergate. — Una delle Divinità del popolo Sirio presso il quale era tenuta come madr
nome di Pallade e di altre divinità aeree preso dall’origine favolosa del Palladio V. Palladio. 667. Ati. — Fu uno dei sace
pose in obblio essendosi perdutamente innammorato di Sangaride figlia del fiume Sango. Cibele per punire Ati del suo tradim
nnammorato di Sangaride figlia del fiume Sango. Cibele per punire Ati del suo tradimento fece morire Sangaride ; e allora A
ri scrittori Ati viene ricordato come un giovane pastore della Frigia del quale Cibele sebbene già vecchia fosse pazzamente
da essa imposto all’infido amatore. Nelle feste di Cibele i sacerdoti del culto di lei gemevano e gridavano dolorosamente,
rseo si condusse da lui, ma non ebbe miglior trattamento degli altri, del perchè sdegnato Perseo gli mostrò la testa di Med
— Fu una delle cinquanta Nereidi. 677. Atteone. — Secondo le cronache del mitologo Fulgenzio, così si chiamava uno dei cava
logo Fulgenzio, così si chiamava uno dei cavali che tiravano il carro del sole quando avvenne la caduta di Fetonte. La paro
tteone era anche il nome di un figliuolo di Autonoe figlia di Cadmo e del celebre Aristeo. Essendo un giorno alla caccia so
ivenne assai caro a Tetraso, re di Misia presso il quale Augea si era del pari ritirata per sotirarsi allo sdegno del padre
sso il quale Augea si era del pari ritirata per sotirarsi allo sdegno del padre suo. Telefo senza riconoscere sua madre ott
rcole per riuscire nello scopo prefisso deviò dal loro corso le acque del fiume Alfeo. Però avendo Augia mancato ai patti E
681. Augurio. — Specie di sortilegio che si compiva coll’osservazione del volo degli uccelli del loro canto e della maniera
di sortilegio che si compiva coll’osservazione del volo degli uccelli del loro canto e della maniera di cibarsi. Presso i P
86. Aurora. — Figlia di Titano e della Terra. Presiedeva alla nascita del giorno e si rappresentava su di un carro di metal
to una mortale ferita dall’ombra di Aiace. Autoleone placò lo spettro del guerriero con sacrifizii ed offerte e così potè v
. Automatia. — Nome sotto il quale veniva adorata la fortuna come dea del caso. 694. Automedone. — Conosciuto più comunemen
Automedonte. Cosi si chiamava il cocchiere di Achille, dopo la morte del quale passò ai servigi di Pirro, in qualità di sc
campo appresentossi. Avea nel suo cimiero e nel suo scudo In memoria del padre, un’idra, cinta Da cento serpi. D’ Ercole e
na Lidia, che regnò nell’ Assiria verso l’anno 2700 dopo la creazione del mondo. Al dio Baal si attribuisce assai comunemen
, che significa guerra. Abbiamo da Erodoto una descrizione bellissima del tempio di Baal in Babilonia, monumento famoso per
ei loro Dei. Nella lingua di quei popoli Baal-Semen significa signore del cielo. 722. Baal-Tsefon. — Dio sentinella. I magi
e agli eroi forma di porci, Ed a’ porci tu dai forme d’eroi. Le leggi del dover profani, e torci, Montre a gradi sublimi, e
. 729. Baccanti. — Si chiamavano così quelle donne, specie di seguaci del culto di Bacco, le quali lo seguirono alla conqui
l loro cammino risuonare le più clamorose grida, cantando le vittorie del loro dio. Durante la celebrazione dei baccanali,
ssa mori, ravvolta nelle fiamme. Giove allora, prima che Semele fosse del tutto spirata, per salvare la vita del figlio, di
allora, prima che Semele fosse del tutto spirata, per salvare la vita del figlio, di cui la disgraziata era incinta, estras
tanta industria a quel fanciul s’attese, Ch’unito un tempo all’utero del padre, Fini quei mesi, onde mancò la madre. Quand
ni l’agricoltura, piantò per il primo una vigna e fu adorato come Dio del vino. Egli punì severamente Penteo, per essersi o
mici, ed uscì sempre vincitore dai mortali pericoli a cui lo esponeva del continuo l’implacabile odio di Giunone ; dappoich
anti e di satiri, e con un tirso nelle mani, in atto di far scaturire del vino da una fontana. Questo fu il padre Bacco, e
ri, una che lo partori l’altra che lo adottò. Abbandonato nelle acque del Nilo, anch’egli fu salvato dalle onde, e da ciò g
silo, il quale ebbe otto figliuole femmine. 739. Bali. — Cotitto, dea del libertinaggio, aveva dei sacerdoti conosciuti sot
i divini. 751. Batto. — Così avea nome quel pastore che fu testimonio del furto degli armenti che Mercurio rubò ad Apollo.
imonio del furto degli armenti che Mercurio rubò ad Apollo. In premio del suo silenzio, Mercurio gli dette la più bella del
dalla pietà, dal santo aspetto. Cercò farla restar di sè contenta : E del vin, che nel suo povero tetto Teneva, e d’una rus
a piede Dei gradi ove sta un pian fra’l tempio e l’onde, La donna far del suo marito vede I canuti capei silvestri fronde ;
ntre pensa andare avante, Che l’ascosa radice il piè ritiene. Accorti del lor fin, con voci sante Rendon grazie alle parti
lare veniva rappresentata a cavallo d’un becco terrestre, e la Venere del mare su di un becco marino. 756. Beelfegob. — V.
ola Caldea, altro non è che una sfigurate ripetizione della creazione del mondo, la quale, presso tutt’i popoli dell’antich
lo stesso Belo. 763. Belifama o Belizama. — Nome che significa regina del cielo e che i Galli davano indistintamente a Giun
a uccise inavvedutamente suo fratello Pireno, e per sottrarsi all’ira del padre, ando a rifugirsi presso Preto, re d’Argo,
ll’ira del padre, ando a rifugirsi presso Preto, re d’Argo, la moglie del quale, a nome Antea, detta anche Stenobea, gli fe
he fu padre di Pigmalione e d’Elissa, soprannominata Didone. Belo era del paro la più grande divinità dei Bibilonesi, i qua
un tempio che fu il più ricco, sontuoso e magnifico di tutti i tempi del Paganesimo. La tradizione favolosa ricorda che la
sotto l’istessa denominazione. Quel Conon vide fra’celesti raggi. Me del Berenicèo vertice chioma Chiaro fulgente……. Catu
gio della casta luce, Al nuzial mio letto ? In queste mura Una figlia del tempo, una mortale, Un atomo di polve osa rapirmi
dosso quella veste Dà, ch’una vecchia balia oggi usa ed ave, Che tien del cor di Semele la chiave. Ovidio. — Metamorf. lib
l’imperatore Costanzo, alcuni di questi biglietti, trovati nel tempio del dio Beza, e che l’imperatore, dopo averne fatto f
a città di Mantova, alla quale dette questo nome in memoria di quello del padre suo. Vi fu anche un principe Troiano, così
e esser quella di Astrea, dea della giustizia, la quale al cominciare del secolo di ferro abbandonò la terra. 799. Bimatere
o, cangiato in orso e posto fra le costellazioni. 817. Borea. — Vento del settentrione : la favola lo fa essere figlio di A
e Senza pur sgretoiarle : o se co’salti Prendean sul dorso a lascivir del mare, Su le spume volavano de’flutti Senza toccar
poichè lo stesso Apollo, non appena i cervi erano enirati nel recinto del bosco consacrato respingeva gli assalitori mentre
ingeva gli assalitori mentre i cervi pascevano tranquillamente l’erbe del bosco. 820. Branchide. — Soprannome di Apollo che
cedente. 823. Briareo. — Detto con altro nome Egeone. Gigante, figlio del cielo e della terra ; prese parte nella guerra ch
ce il Monti : Un’ altra furia di più acerba faccia Che in Flegra già del cielo assalse il muro E armò di Briareo le cento
espugnata la città di Litnessa, ebbe da Agamennone fra le altre prede del bottino di guerra, la giovinetta Briseide ; ma po
o dei centauri ucciso da Ceneo. 834. Bronte. — Famoso ciclopo, figlio del cielo e della terra. Egli insieme ad altri due co
a invece che la moglie di Fauno, avendo contro l’uso dei tempi bevuto del vino, fosse dal marito fatta morire a colpi di ve
va adorato, abbia dato vita a questa favola. La barbara superstizione del popolo, faceva ad Osiride sacrificio di umane vit
Buteo. — Figlio di Borea. Egli fu costretto ad abbandonare gli stati del padre putativo, Amico, re dei Bebrici, il quale n
frecce. 858. Caballina. — Fontana che aveva la sua sorgente ai piedi del monte Elicona. Era consacrata alle muse ed era la
ene, perchè la parola Caballina si può anche spiegare così : Fontana del cavallo Pegaso , che al dire degli scrittori più
o. — Famoso ladro, figlio di Vulcano. Egli dimorava nelle circostanze del monte Aventino. Derubò alcuni buoi ad Ercole e li
pi si attorcigliarono intorno a quella in modo che la parte superiore del loro corpo veniva a formare un arco. Mercurio vol
VII trad. di A. Caro. 880. Caistrio o Caystrio. — Fu uno degli eroi del popolo di Efeso : aveva un tempio ed un altare su
li eroi del popolo di Efeso : aveva un tempio ed un altare sulle rive del fiume Caistro, presso quella città. 881. Cajbia V
l marito lo sorprese fra le braccia di lei ; ma Bacco placò lo sdegno del tradito consorte, facendolo re di Cipro. 897. Cal
nome veniva designato Meleagro, ritenuto come un eroe per l’uccisione del mostruoso cignale (V. Calidone) e Calidonio perch
perchè nacque nella città di Calidone. 900. Calipso. — Ninfa, figlia del Giorno, secondo alcuni ; e dell’Oceano e di Teti,
listo. — Detta anche Elicea : fu figlia di Licaone ed una delle ninfe del seguito di Diana. Giove, avendo presso per ingann
l bagno. Giunone intanto, implacabile persecutrice di tutte le amanti del suo divino consorte, cangiò Calisto e suo figlio
Quel si leggiadro e grazioso aspetto Che piacque tanto al gran rettor del cielo,. Divenne un fero e spaventoso obbietto A g
5. Calligenie. — Nutrice di Cerere, secondo alcuni scrittori, e Ninfa del suo seguito secondo altri. La più antica e la più
oprannomi di Venere, che le veniva dalla bellezza fisica di una parte del suo corpo. 909. Callirot. — Secondo Esiodo, fu fi
na simile impresa, pur dal pensarla. Essi però, lungi dal tener conto del salutare consiglio, intrapresero il lavoro ed in
nvenzione delle armature d’acciajo. 915. Camela-Dea. — Ossia divinità del matrimonio ; veniva invocata dalle giovanette al
Dea dei Romani. S. Agostino nelle sue opere ce la ricorda come la Dea del canto. 917. Camene. — Soprannome delle Muse, che
di lei nella corsa, nel maneggio delle armi e in tutti gli esercizii del corpo. Nè pria tenne de’piè salde le piante, Che
one d’amore, avesse tratti a morte violenta. 926. Campea. — Guardiana del Tartaro, la quale fu uccisa da Giove, quando ques
che si avvicinarono al cadavere di quello, solo i cani si pascessero del corpo dell’ucciso animale. Taluno, tra gli scritt
figliuolo di Satono, e re d’Italia. Ella fu così afflitta della morte del marito, che si consumò per modo che svanì nell’ar
he sia la cagna di Erigone (V. Erigone). I Romani erano così convinti del funesto potere che la Canicola avesse avuto sui d
uno sparviero, e coperta di geroglifici. I Caldei, antichi adoratori del fuoco, disprezzavano gli Dei di tutte le altre na
ietra o di legno, non potevano resistere al loro. Allora un sacerdote del Dio Canope, volle con una sfida, provare il contr
te degli Dei. Egli però andò debitore della sua rinomanza all’astuzia del sacerdote, il quale avea forato con una quantità
ote, il quale avea forato con una quantità di piccoli buchi le pareti del vaso, e dopo averli esattamente otturati con dell
empì il vaso di acqua, la quale uscì con violenza non appena l’azione del fuoco ebbe liquefatta la cera. Vi fu anche una ci
itto conosciuta sotto il nome di Canope, così detta da Canobo, pilota del vascello che conducea Menelao. Questo principe es
rì per la morsicatura di un serpente. Menelao, per onorare la memoria del suo servo fedele, fabbricò in quel luogo una citt
servo fedele, fabbricò in quel luogo una città, alla quale, in onore del morto, impose il nome di Canope o, come vogliono
i. Dante Inf. Canto XIV. 947. Capiso. — Figlio di Assaraco e padre del famoso Anchise, principe Trojano. 948. Capitolino
. Capitolino. — Uno dei più conosciuti soprannomi di Giove, a cagione del celebre tempio nel Campidoglio a Roma. In questo
i vincitori delle battaglie, a cui il Senato avea tributato gli onori del trionfo, salivano con gran pompa e solennità nel
noci. In greco la parola Κάρις vuol dir noce. 961. Carielo. — Moglie del centauro Chirone e figliuola di Apollo. Essa dett
della Siria e propria di quei popoli che abitavano nelle circostanze del monte Carmelo. Al dire di Tacito, fu un sacerdote
lle circostanze del monte Carmelo. Al dire di Tacito, fu un sacerdote del Dio Carmelo che predisse a Vespasiano la clamide
coi loro mariti, dopo una lunga discordia, cagionata da una sentenza del Senato la quale proibiva alle dame di tener cani
i Britomarte. Carna era anche la Dea che presiedeva alle parti vitali del corpo e che s’invocava principalmente per ottener
vicellajo dell’Inferno, che traghettava le ombre dei morti sulle rive del fiume Acheronte, per una moneta che esse erano ob
quelli destinati come vittime in un sagrificio a lui offerto. Al dire del citato autore, i Cartaginesi, per rimediare all’e
te come vittime espiatorie. Si narra ancora che, a soffocare le grida del fanciullo sacrificato, coloro che servivano al sa
sarebbe mai da alcuno prestato fede alle sue predizioni. La vendetta del nume sorti il suo pieno effetto. Le predizioni di
dra furono da tutti disprezzate. Ella si oppose all’ entrata in Troja del famoso cavallo di legno ; ma, secondo il solito.
tempio, la violentò ai piedi di un altare, e poscia la trascinò fuori del tempio, ritenendo come oltraggi le sventure ch’el
on era pare, Ma che non era viso più giocondo Fra le ninfe più nobili del mare. Ovidio. — Metamorfosi. — Libro IV. trad. d
gnate, pregarono Nettuno di vendicarle. Il Dio per sodisfare le ninfe del suo seguito, mandò sulle terre di Cefeo, un mostr
tana. V. Castalio. 993. Castianira. — Così aveva nome una delle mogli del re Priamo. 994. Castore e Polluce. — Fratelli di
. Divenuti adulti, seguirono Giasone nella Colchide, per la conquista del vello d’oro, e si distinsero fra i più valorosi A
idi, e che un momento dopo l’apparizione di quelle, la tempesta cessò del tutto. Da quel momento quei fuochi che sovente si
chiamavano uno Balio e l’altro Xanto V. Balio e Xanto. 1009. Cavalli del Sole. — Ovidio dice che il carro del sole era tir
V. Balio e Xanto. 1009. Cavalli del Sole. — Ovidio dice che il carro del sole era tirato da quattro destrieri bianchi, per
lla Terra. Questa diversa denominazione spiega in certo modo il corso del sole nelle dodici ore del giorno : imperocchè al
denominazione spiega in certo modo il corso del sole nelle dodici ore del giorno : imperocchè al levarsi di questo l’aurora
empo nel quale i raggi solari sono più luminosi ; Lampo dinota le ore del mezzogiorno, quando la luce è nella sua maggior f
b. II. trad. di A. Caro. E dentro dalla lor flamma si geme L’aguato del caval che fè la porta Ond’usci de’ Romani il gent
stessi l’avevano rapito. …. Per la qual cosa i Greci, col consiglio del delto Calcante, fecero fare questo cavallo a rive
ebbe in quello stato nel quale fu sotto la protezione e la defensione del Palladio, chè non si potrebbe mai perdere. E ques
le simulacro. Sopraggiunta la notte, i guerrieri nascosti nei fianchi del cavallo uscirono quando l’armata Trojana giaceva
mento di distruzione, come la base unica e principale alla tradizione del cavallo di legno. 1016. Caystrio. — V. Caistrio.
l cavallo di legno. 1016. Caystrio. — V. Caistrio. 1017. Cea. — Isola del mare Egeo, cosi nomata da Ceo, figlio di Titano,
. Fu ucciso da Venere. Vi fu anche un altro Cebrione, figlio naturale del re Priamo. Patroclo l’uccise allo assedio di Troj
e allo assedio di Troja. 1021. Cecio. — Uno dei venti che spira prima del tempo dell’equinozio. 1022. Cecolo. — Figlio di V
parole, non credendolo figlio di Vulcano, egli invocò suo padre, dio del fuoco, e il luogo dove si trovavano fu all’istant
aver fatto delle leggi sull’unione dell’uomo e della donna, per mezzo del matrimonio ; ed altri perchè essendo egiziano di
no e περαω io cerco, io assaggio. Soprannome dato a Mercurio come dio del traffico. Similmente si dava a Mercurio la denomi
to il quale non potea vivere lontao da lei. Al suo ritorno nella casa del marito, essa lo presentò di un giavellotto e di u
la madre l’ebbe partorita. 1048. Ceneo. — Soprannome di Giove a causa del promontorio di Cene, ove egli aveva un magnifico
ll’Anguillara. 1050. Centauro. — Figliuolo di Apollo e di una figlia del fiume Peneo, chiamata Stilbia. Egli si stabili su
to sopra il monte Parnaso, per salvarsi dall’innondazione delle acque del diluvio di Deucalione, fu dalle ninfe abitatrici
tunta, celebri per la loro crudeltà. Venere li cangiò in torisdegnata del sacrifizio che essi le facevano, uccidendo tutti
057. Cerbero. — Cane a tre teste guardiano della porta dell’Inferno e del palazzo di Plutone. ….. il gran Cerbero udiro Ab
rfosi. — Libro VII trad. di Dell’Anguillara. 1058. Cerceisa. — Ninfa del mare figlia dell’ Oceano e di Teti. 1059. Cercion
re aveva diversi templi famosi ed un culto generale in tutte le città del mondo antico. Le primizie di tutti i prodotti del
o. — Nettuno, fratello di Giove veniva così soprannominato dal colore del mare di cui era Dio. Similmente si denotavano tut
tà marittime col nome complessivo di Dei Cerulei. 1068. Ceruso. — Dio del buon tempo : lo sichiamava così perchè vien sempr
i creduto da tutti che in quell’astro fosse andata a dimorare l’anima del morto. La tradizione mitologica ripete che in tut
re a Giove, pregò Venere che le prestasse quella cintura. A proposito del famoso giudizio di Paride, Venere dovette toglier
Andromaca. Dopo la morte di sno padre egli andò a dimorare sulle rive del fiume Tiamio in una contrada, che fu detta Cestri
le ghiande di cui si nutrivano i suoi abitanti, prima dell’invenzione del pane, e per i suoi colombi che, secondo la tradiz
quale venivano immolate mille vittime. 1080. Chilone. — Famoso atleta del quale i Greci facevano gran conto. 1081. Chimera.
o serpenti e rettili d’ogni maniera. Di qua forse la personificazione del mostro detto Chimera. 1082. Chione. — Figlia di D
iosa della sua bellezza, che osò vantarsi d’esser più bella di Diana, del che sdegnata la Dea, le forò la lingua con una fr
urato, anche oggidì, tra i segni dello zodiaco sotto la costellazione del sagittario. 1085. Chitonea. o Chitonia. — Soprann
V’è chi dal nome suo Ciane l’appella, Nïnfa che l’à in custodia a piè del monte, Che preme di Tifeo la manca ascella. Ovid
— Metamor — Lib. V trad. di Dell’ Anguillara. 1088. Clanea. — Figlia del fiume Meandro e madre di Cauno e di Bibli. Essa f
89. Clamel. — Così venivano chiamati alcuni scogli posti all’ingresso del ponte Eusino le le cui masse abbracciavano lo spa
sino le le cui masse abbracciavano lo spazio di venti stadii. Le onde del mare, frangendosi con spaventevole rumore fra que
ibelle. — Più comunemente conosciuta sotto il nome di Cibele : figlia del cielo e della terra, e moglie di Saturno. Essa av
carro tirato da quattro leoni. Il pino le era consagrato. I sacerdoti del suo culto l’onoravano danzando intorno al suo sim
nivano chiamate alcune feste che Teseo istituì per onorare la memoria del suo pilota Naufitosio, a lui estremamente caro. 1
dei buoni. 1095. Cleinnia. — Dea dell’infamia. 1096. Cicladi. — Ninfe del mare Egeo, che furono cangiate in isole, perchè n
no, loro capo, aveva la sua officina. Buon numero di essi erano figli del Cielo e della Terra, ed altri di Nettuno e di Anf
battè contro Ercole e fu vinto. Marte allora sdegnato per la disfatta del proprio figlio volle battersi personalmente con E
uo simbolo anche dopo codesta metamorfosi, dice che egli ricordandosi del fulmine di Giove, che aveva ucciso l’amico suo, n
, fond ò una città a cui impose nome di Cilla, per onorare la memoria del servo fedele. 1112. Cimmeria o Cimmeride. — Uno d
e in una delle contrade abitate da questi popoli, sorgesse il palazzo del sonno, e l’antro per il quale si discendeva all’i
all’inferno. 1114. Cimmeride. — V. Cimmeria. 1115. Cimodoce. — Ninfa del mare. Fu una delle compagne di Cirene, madre d’Ar
rono a Cibele, quando questa Dea trasformò i vascelli d’Enea in ninfe del mare. 1117. Cimopoja. — Figlia di Nettuno e mogli
’Enea in ninfe del mare. 1117. Cimopoja. — Figlia di Nettuno e moglie del famoso Briareo, il gigante Centimano V. Briareo.
i tutti i cani che s’incontravano per la via. 1129. Cinosora. — Ninfa del monte Ida. Fu una di quelle che presero cura dell
sagrata. 1138. Circe. — Famosa maga che alcuni mitologi dicono figlia del Giorno e della Notte, ed altri del Sole e della n
che alcuni mitologi dicono figlia del Giorno e della Notte, ed altri del Sole e della ninfa Persa. Circe, la dotta e inco
eniva chiamato uno dei principali venti. 1140. Cirene. — Ninfa figlia del fiume Peneo. Apollo l’amò con passione e la condu
fu un’altra Cirene ninfa della Tracia che fu dal Dio Marte resa madre del famoso Diomede. 1141. Cirno. — Uno dei figliuoli
rciò detta Citae-Virgo, ossia la donna di Cita. 1148. Citera. — Isola del mediterraneo. La tradizione mitologica narra che
itologica narra che fu in quest’isola che Venere nascesse dalla spuma del mare gli abitanti di quest’isola avevano per quel
lo di Venere Citerea. Al dire di Pausania, Citereo era anche un fiume del Peloponneso in Elide consacrato alle ninfe Jonidi
onsacrato alle ninfe Jonidi. Le acque di questo fiume avevano al dire del citato scrittore, la virtù di guarire dalle malat
a Misia. Giasone, movendo alla testa degli Argonauti per la conquista del vello d’oro lo uccise inavvertentemente. Da quel
nori eroici. 1161. Cladeuterie. — Feste che si celebravano all’epoche del taglio delle vigne. 1162. Clara-Dea. — Dea brilla
madre degli dei, ritornando dalla Frigia, si era arrenata sulle rive del Tevere, e dove il vascello si era così fortemente
l’Epidauro che Teseo la rapì a Perifete, dopo averlo ucciso. È questa del paro l’opinione di Plutarco. ….. ed ei brandita
Giano. A quest’ultimo si dava l’epiteto di porta-chiavi, come custode del tempio che si apriva in tempo di guerra e si chiu
a nelle circostanze della foresta Nemea, resa celebre per l’uccisione del famoso leone Nemeo, fatta da Ercole. — V. Ercole.
. Climeneo. — Soprannome di Plutone. Il padre di Arpalice si chiamava del pari Climeneo. V. Arpalice. 1185. Clio. — Una del
ioni nelle cerimonie degli Aruspici. 1189. Clitio. — Uno dei fratelli del re Priamo, e figlio di Laomedone. 1190. Clito. — 
ono in un sol popolo, dopo la guerra ch’essi ebbero fra loro, a causa del famoso ratto delle Sabine. 1193. Clodonie. — Nome
e Diana la uccisero perchè essa aveva osato vantarsi di cantar meglio del primo, e d’esser più bella della seconda. Clori f
o. — Figliuolo d’Aracne : a lui s’attribuiva comunemente l’invenzione del fuso. 1203. Cloto. — Una delle tre Parche, figlia
iani, i quali credevano ch’egli avesse esistito prima della creazione del mondo, e che dalla sua bocca fosse uscito il prim
della morte. Questa credenza religiosa di uno dei più antichi popoli del mondo, è una prova dell’antichità della tradizion
ri ; venivano così indicati alcuni genii malefici, che facevano parte del seguito di Bacco. 1208. Cocalo. — Re della Sicili
icolare per questo animale, e lo ritenevano come sacro. Gli abitatori del lago Meris e i popoli di Tebe, lo veneravano con
in un urna espressamente fabbricata, e lo seppellivano nei sotteranei del Laberinto, presso la sepoltura del re. Per questo
, e lo seppellivano nei sotteranei del Laberinto, presso la sepoltura del re. Per questo culto speciale, gli abitanti della
perstizioso dell’Egitto, era ritenuto come un segno della benevolenza del cielo, quando un coccodrillo avesse divorato uno
del cielo, quando un coccodrillo avesse divorato uno de’loro bambini, del che essi si tenevano felicissimi. Però non era co
felice presagio se questi animali avessero mangiato nelle mani stesse del porgitore, mentre per contrario si teneva come pe
si. Tazio, nelle sue opere, dice che gli Egiziani ponevano l’immagine del sole nella barca che dovea trasportare un coccodr
nevano come cosa certa che durante i primi sette giorni della nascita del bue Api, — V. Api — quei terribili rettili depone
le lagrime dei dannati. Cocito era anche il nome di uno dei discepoli del centauro Chirone. 1213. Coe o Coo. — Con questo n
sotto il nome di colosso di Rodi, che era una delle sette maraviglie del mondo, e che rappresentava Apollo, solo dio dei R
onti di ferro e di pietra. Il colosso di Rodi sorgeva all’imboccatura del porto di quella città, e posava i piedi su due ba
etto indiano, per nome Cares, discepolo di Lisippo, fu il costruttore del colosso di Rodi, il quale, secondo asserisce Plin
ordine di questo imperatore, ricollocato al suo posto. Verso la metà del settimo secolo, i mori, impadronitisi dell’isola
, l’altezza delle quali giungeva a trenta cubiti. In Apollonia, città del Ponto Eusino, v’era un altro colosso dell’altezza
cingeva a togliere l’assedio, allorchè Cometo, pazzamente innammorata del generale nemico, si lusingò di guadagnarne l’amor
vano innalzato un tempio superbo. 1232.Conifalo. — Uno dei soprannomi del dio Priapo. 1233.Connida. — Precettore e confiden
nsuali. — Feste che si celebravano particolarmente con gli spettacoli del Circo, in onore del dio Nettuno Ippio. — Vedi l’a
si celebravano particolarmente con gli spettacoli del Circo, in onore del dio Nettuno Ippio. — Vedi l’articolo precedente.
a, Corebo fu ucciso da Peneleo. 1252. Coribanti o Cureti. — Sacerdoti del culto di Cibele. Essi ebbero Io speciale incarico
253. Coribante. — Secondo il parere di Aristotile, era questo il nome del padre dello Apollo di Creta. 1254. Coribantiei. —
e fu una delle mogli di Apollo : dimorava abitualmente in una caverna del monte Parnaso, conosciuta sotto l’istesso nome :
dell’Eumenidi contro Oreste. 1258. Corimbifero. — Uno dei soprannomi del dio Bacco. 1259. Corinto. — Famosa città della G
mitologica fa menzione come figlio di Paride e di Enone. Gelosa Enone del famoso ratto di Elena, fatto da suo marito, mandò
presso di lei e di non perderla di vista. Ma Paride, divenuto geloso del proprio figliuolo, che era di non comune belleza,
dei Lapidi. Fu uno degli Argonauti che presero parte alla spedizione del vello d’oro. 1268. Coronide. — Conosciuta anche s
che sotto il nome di Cortina si volesse dai pagani indicare la pelle del serpente Pitone, di cui era ricoperto il tripode
si credeva che avesse un istinto naturale di predir l’avvenire. Prima del fatto di Coronide (V. Coronide) il corvo era bian
in nero. 1271. Coscinomanzia. — V. Cocinomanzia. 1272. Cotitto. — Dea del libertinaggio, particolarmente adorata nella Trac
Cotitto, quegli lo avesse fatto assassinare. 1273. Cotto. — Figliuolo del Cielo e della Terra e fratello di Briareo. Aveva
to una pioggia di felci di cui è sparsa l’isola Crau, all’imboccatura del Rodano. Plinio chiama quel luogo un monumento del
V. Creontide. 1284. Creonte. — Fratello di Giocasta. Egli s’impadronì del regno di Tebe dopo la distruzione della famiglia
eja-Virgo. — Così veniva denominata Elle, sorella di Prisso, dal nome del suo avo Cretheo, di cui nell’articolo precedente.
sacco di Troja, avendola Cibele nascosta, onde sottrarla agli insulti del vincitore. ….. e men tra loro Era la donna mia….
a chiamo, ecco d’avanti Mi si fa l’infelice simulacro Di lei, maggior del solito. Stupii, M’aggricciai, m’ammutii. Prese el
etta per pasto. Tutte le volte che il mostro compariva, le giovanette del cantone tiravano a sorte la loro vita. Appena la
occò l’età in cui doveva, come le altre, essere esposta alla voracità del rettile, il padre di lei la mise furtivamente su
vano sagrificati su’suoi altari. 1302. Crioforo. — Uno dei soprannomi del dio Mercurio. 1303. Crisaore. — Secondo l’opinion
figlia di Crise, sacerdote di Apollo, veniva cosi denominata dal nome del padre. Dopo la caduta di Tebe, nella Cilicia, ess
ro I trad. di V. Monti. Essendosi Agamennone ricusato alle preghiere del vecchio, questi ottenne da Apollo che una terribi
gamennone, ricusò di combattere nelle file dei Greci, finchè la morte del suo anico Patrocolo, non gli fece rompere il suo
la risoluzione di uccider Crisippo di propria mano. Infatti armatasi del brando di Pelopo, lo trafisse lasciandogli l’arma
Crisomattone. — Con questo nome i greci indicavano il famoso agnello del vello d’oro. 1309. Crisore. — V. Criforo. 1310. C
greco Κριδη, che significa orzo. 1312. Crocale. — Ninfa che fu riglia del fiume Ifmeno. 1313. Croco. — Più comunemente cono
. Croco. — Più comunemente conosciuto sotto il nome di Croto : figlio del dio Pane e di Eufema. Dopo la morte fu annoverato
321. Crono. — Soprannome che veniva dato a Saturno, ritenuto come dio del tempo. 1322. Crotopiadi. — Nome collettivo dei di
ei capitani che assediarono Troja. 1325. Ctonlo. — Uno dei soprannomi del Dio Mercurio. 1326. Cuba. — Divinità tutelare dei
lo, onde ne l’elmo avea De le sue penne un candido cimiero In memoria del padre, e de la nuova Forma in ch’ei si cangiò, tu
inquietudine. Divinità alla quale la favola attribuisce la formazione del corpo umano. Essa aveva un impero assoluto sulla
uogo che si chiamava comunemente il Cavallo. 1341. Dafne. — Figliuola del fiume Peneo, che fu passionatamente amata da Apol
sottrarsi con la fuga alle amorose persecuzioni di quel dio, la ninfa del fiume padre della perseguitata, la cangiò in laur
di Niobe, che fu ucciso da Apollo. 1349. Damoso. — Uno dei soprannomi del dio Mercurio. 1350. Damaste. — Soprannominato Pro
uno dei soprannomi di Cerere, come era detto Damastio il decimo mese del loro anno. Con poca differenza di giorni, corrisp
ome Linceo, mentre le sorelle di lei, che seguirono il crudele volere del padre, furono condannate nell’inferno ad attinger
sciuti anche sotto il nome di Coribanti o Cureti. Gli uni erano figli del Sole e di Minerva ; gli altri di Saturno e di Alc
ano queste medesime feste in una loro particolare maniera, in memoria del loro ritorno dall’esiglio, e della loro riconcili
a, d’aver favorito e protetto le bestiali deboscie di Pasifae, moglie del re. Dante così favella a proposito di quanto acce
ono delle ali che Dedalo attaccò con grossi pezzi di cera alle spalle del figlio, dopo aver fatto per sè altrettanto, ed av
mento, che nel primo caso i miasmi della terra, e nel secondo i raggi del sole, non avessero liquefatta la cera. Il figliuo
orfosi. — Libro VIII trad. di Dell’Anguillara. 1374. Dee. — Divinità del sesso femminino, adorate dai pagani con culto e c
cerimonie particolari. Venivano distinte in tre categorie, cioè : dee del cielo, dee della terra e dee dell’inferno. Fra le
certo si è che il culto delle Dee Madri, rimonta ai primissimi tempi del paganesimo ed è stato il più diffuso ed universal
ogni dove le vestigie di questo culto. 1376. Del. — Esseri sovrumani del culto religioso dei pagani. L’idea della divinità
così profondamente impressa nel loro cuore, che se pure disconoscenti del vero Dio, gli sostituirono altri esseri superiori
suo incontrastato potere, fosse subordinato alla volontà inesorabile del Destino. I pagani riconoscevano diverse classi di
erano riconosciuti dei che per l’apoteosi. Fra i più antichi obbietti del culto idolatra bisogna annoverare il sole, la lun
ii maiorum gentium, detti anche dii consentes o consulentes, cioè dei del consiglio. Dei subalterni. Dii minorum gen
Iddio sconosciuto. Diodati — Falli degli apostoli Capo XVII. Dei del cielo. Sotto questa denominazione complessiva
terra. Erano : Cibelle, vanerata come madre degli dei, Vesta, dea del fuoco, gli dei Lari o Penati, Priapo, come dio de
i, Priapo, come dio dei giardini, i Fauni, le Ninfe e le Muse. Dei del mare. L’Oceano e Teti sua consorte ; Nettuno e
bri. In Omero e in Esiodo, poeti che entrambi han fatto la genealogia del maggior numero degli dei pagani, si trova ripetut
Egizii ed i Fenici, che sono i popoli riconosciuti come i più antichi del mondo, ne avessero dato il primo esempio. È opini
ssimo in ancor tenera età. Il desolato genitore fa ritrarre la figura del morto figliuolo, e gli rende nel silenzio delle d
nnumerevoli deità, che formarono per tanti anni il sostrato animatore del culto pagano ; poichè non bisogna credere che il
apoteosi d’un defunto imperatore, era sempre preceduta da un decreto del senato, il quale imponeva che dopo la cerimonia g
fferti dei sacrifizii, e resi tutti gli onori della divinità. Al dire del cennato scrittore, la cerimonia dell’apoteosi era
era che ne somigliasse il volto su di un letto d’avorio nel vestibolo del palagio dei Cesari, ed il senato, in abito di cor
loro spalle quel letto e lo deponevano nel centro dell’antica piazza del mercato, ove il novello imperatore recitava l’ora
za del mercato, ove il novello imperatore recitava l’orazione funebre del suo predecessore. Dopo di ciò tutto il corteggio
del suo predecessore. Dopo di ciò tutto il corteggio prendeva la via del campo di Marte, ove un magnifico catafalco, coper
dipinture e di lavori d’avorio, era preparato onde ricevere l’effigie del defunto imperatore. Il letto sul quale riposava l
mezzo alle flamme ed al fumo s’innalzava nell’aria, quasi che l’anima del morto volasse nel cielo fra gl’immortali suoi par
adre di Diomede. 1380. Delfilo. — Figlio di Stenelo. Fu intimo amico del famoso Capaneo, e lo segui all’assedio di Tebe. 1
uida ad Enea, quando questi discese all’inferno. Ed ecco all’apparir del primo sole Mugghi ò la terra, si crollaro i monti
ogni arme intanto Sgombrar di casa, e la mia fida spada Mi sottrasse del capo. Indi la porta Aperse, e Menelao dentro v’ac
ao dentro v’accolse, Cosi sperando un prezïoso dono Fare al marito, e del suoi falli antichi Riportar venia…. Virgilio — E
otto il nome di Dedalione. 1387. Delopea. — Una delle più belle ninfe del seguito di Giunone, la quale la promise ad Eolo,
 — Libro IX. trad. di Dell’Anguillara. Appena Ercole si fu rivestito del fatale tessuto, si sentì come bruciare da un fuoc
— Detta anche Delfisa : sibilla che era nel tempo stesso sacerdotessa del tempio di Delfo. 1393. Delfico. — Soprannome di A
oni degli scrittori dell’antichità, sulla origine dell’appropriazione del nome di Delfino a questa costellazione. Taluni pr
racconta che un pastore, per nome Coreta, stando un giorno a guardia del suo gregge, nelle circonstanza del monte Parnaso,
Coreta, stando un giorno a guardia del suo gregge, nelle circonstanza del monte Parnaso, s’avvide che le sue capre, avvicin
. Il luogo ove si apriva quell’antro, era in uno degli scondiscimenti del monte Parnaso ; e da quel tempo si dette opera a
poscia Tomi, figliuola della Terra, lo ebbe in costodia fino ai tempi del diluvio di Deucalione, epoca in cui Apollo, essen
ella mano, da cui traeva dolcissimi e maravigliosi suoni, s’impadroni del santuario, uccise il drago che la Terra avea post
che la Terra avea posto a custodia di quello, e si rese solo padrone del celebre oracolo, che da quel tempo fu detto l’ora
alla luce i fratelli Palici. — V. Palici e Talia. 1404. Delo. — Isola del mare Egeo, una di quelle che componevano il grupp
i Delo Tuo nome allor, che in le Latona sorse A partorir li due occhi del cielo. Callimaco — Inno a Delo. trad. di Dionici
asse nella loro isola, e all’epoca in cui essi supponevano il ritorno del dio, celebravano in suo onore feste e cerimonie d
come sacri, e dati in custodia ai più cospicui ed illustri personaggi del patriziato romano. 1411. Demofonte o. Demofoonte.
u quella il giro della terra avesse creato il cielo. In seguito prese del fango infiammato, lo lanciò negli spazii dell’ari
teogonia altro non è se non il grossolano e favoloso involucro sotto del quale i primi abitatori del mondo antico racchiud
il grossolano e favoloso involucro sotto del quale i primi abitatori del mondo antico racchiudevano il mistero della creaz
tutta la vita. È questa una credenza perfettamente simile, e identica del tutto, come si vede, all’angelo custode della rel
(V. l’articolo precedente). 1418. Dendrolibano. — Vale a dire albero del Libano. Da questo albero si facevano le corone pe
cabili. Giove stesso, il padre degli dei, era sottomesso alla volontà del destino. Al dire di Ovidio, i destini degli dei e
el sacerdoti di Giove e delle cerimonie : e parole unite ad un editto del magistrato, per le quali dice, non esser costrett
ati composti pei pubblici sacerdoti. Leggiamo pure, nel primo scritto del libri di Fabio Pittore, nel quale spesso vi sono
tore, nel quale spesso vi sono queste che ci ricordiamo : È religione del sacerdoti di Giove, badare che la pronta cavaller
nello se non che aperto e vuoto. Non è permesso portar via dalla casa del sacerdote di Giove, il fuoco sacro ; è necessario
piedi s’inchini, quel giorno il bastonare è sagrilizio. Non è costume del Sacerdote di Giove ; nè nominare, nè toccare la c
sfolgorante d’oro e che era ritenuto come una delle sette meraviglie del mondo, e come il più superbo monumento di simil g
Diana, per essere gemella di Apollo. Didima avea anche nome un’isola del gruppo delle Cicladi, ove Apollo avea un famoso o
idima —  ; e secondo altri perchè questo Dio era ritenuto come autore del giorno e della luna. 1444. Didone. — Figlia di Be
guaci, e dalla sua più giovane sorella, a nome Anna, parti coi tesori del trucidato consorte. Una tempesta spinse la flotti
ne, che vuol dire donna risoluta. Il Metastasio per l’effetto scenico del suo celebre melodramma, Didone abbandonata, fa ch
Dante. — Inferno — Cant. V. 1445. Diespitero. — Vale a dire padre del giorno ; soprannome dato a Giove dalle voci latin
a l’elmo e dallo scudo D’inestinguibil flamma, a tremolio Simigliante del vivo astro d’autunno, Che lavato nel mar splende
aveva un tempio superbo, esclusivamente dedicato agli osceni misteri del suo culto. Dioniso è pure il nome di uno dei tre
rce. 1472. Dirceto. — V. Derceto. 1473. Diree. — Figlie della notte e del fiume Acheronte. Erano, secondo la tradizione fav
arono il pomo, finchè Paride per ordine di Giove, assuntosi il carico del giudizio, pose termine alla querela in favore di
il suo volo in Epiro, nella selva di Dodona, ove disse agli abitatori del paese, che era volontà di Giove, che in quel luog
ità che s’invocava al momento di condurre la novella sposa nella casa del marito. Si dava questo soprannome a Giunone, come
nella celebrazione degli sponsali, perchè la sposa avesse preso cura del tetto maritale. 1498. Dorcre. — Al dire di Cicero
sposò suo fratello Nereo, da cui ebbe cinquanta figlie, che dal nome del padre furono dette le cinquan-Nereidi. I poeti si
adre furono dette le cinquan-Nereidi. I poeti si sono sovente serviti del nome Dori, proprio di una particolare divinità ma
sua madre. 1500. Dori. — V. Dorea. 1501. Dorielio. — Figlio naturale del re Priamo : Ajace lo uccise all’assedio di Troja.
racia. 1502. Doro. — Una delle cinquanta Nereidi. 1503. Doto. — Ninfa del mare : fu un’ altra delle Nereidi. 1504. Draconig
adizione mitologica, che mentre Enea rendeva i funebri onori al corpo del padre Anchise, uscisse dal sepolcro un enorme dra
di tutte le vivande preparate pel sacrifizio, e poi rientrò nel fondo del sepolcro senza far male ad alcuno. Virgilio dice
credè che quel drago altro non fosse che il genio tutelare dell’anima del defunto. Drago d’Aulide. Un giorno mentre
, e che nel decimo anno le armi greche avrebbero avuto il coronamento del trionfo. Draghi di Cadmo. V. Cadmo. D
i, che vomitavano flamme. 1506. Dranceo. — Uno dei grandi della corte del re latino, felice e bel parlatore, ma uomo sleale
parlatore, ma uomo sleale e vigliacco. Fu uno dei più accaniti nemici del re Turno. 1507. Dria. — Fu figlio di Fauno. La Tr
ità, che fuggiva perfino la vista degli uomini. Anche nelle cerimonie del suo culto era espressamente proibito agli uomini
go, re della Tracia, figlio di Driaso, veniva così designato dal nome del padre ; i discendenti di Licurgo furono detti per
ro. Driope era anche il nome di un popolo dimorante nelle circostanze del monte Parnaso. 1514. Druidesse. — Le mogli dei Dr
l monte Parnaso. 1514. Druidesse. — Le mogli dei Druidi, sacerdotesse del culto religioso dei Celti, venivano designate con
ondate della più alta considerazione, ed avevano ingerenza nelle cose del loro culto. Esse comandavano e regolavano tutto c
lle altre sacerdotesse che vivevano nel celibato, ed erano le Vestali del culto. E v’erano finalmente altre sacerdotesse, c
che ora, di vivere sotto il tetto conjugale. 1515. Druidi. — Ministri del culto idolatra presso i Galli Celtici. Questo nom
tarii, e per sino i generali ed i re, quando non osservavano le leggi del paese, senza che il popolo avesse menomamente mor
per la stessa ragione, il secondo mese dell’anno e il secondo giorno del mese. 1517. Durichia. — Isola dipendente da quell
ndo implorato il soccorso degli dei, onde sottrarsi alle persecuzioni del fiume Paflo, fu cangiata in isola. 1520. Eaci. — 
comunemente il nome di Iano a questa divinità, ritenuta come simbolo del mondo che gira sempre. Secondo il citato autore,
la giovanezza. La tradizione favolosa racconta che Giunone, invidiosa del supremo potere di Giove, che avea da sè solo proc
a il licor santo e divino. Le viene a sdrucciolare un piede e cade, E del nettar celeste empie le strade. E perchè ella era
i che fu celebre cacciatrice, ed estremamente esperta negli esercizii del corpo. Comunemente veniva riguardata come sorella
e sue mani il destino degli uomini e degli dei ; quello della terra e del mare ; che distribuisce onori e ricchezze ; che p
ede alle battaglie ai consigli dei re, ai parti, ai sogni ec. Al dire del citato scrittore, Ecate veniva riguardata come ma
a così quel sacrifizio nel quale si svenavano cento buoi. Coll’andare del tempo fu trovato che cotesto sacrifizio era di co
rivano gran numero dei suoi sudditi, le due giovanette, uniche figlie del re, si offrirono vittime volontarie, onde placare
, padre di Penteo. Fu uno di coloro che la favola dice nati dai denti del drago di Cadmo — V. Cadmo — e che aiutarono quest
co, e l’abbandonò ad essere divorata dalle fiere. Ercole, consapevole del fatto, liberò la madre ed il figlio. 1547. Ecelis
li ecclissi, essi ritenevano che questi fenomeni della natura fossero del più funesto presagio. 1548. Ecmone. — Uno dei fig
a fossero del più funesto presagio. 1548. Ecmone. — Uno dei figliuoli del re Priamo. In un combattimento sotto le mura di T
9. Eco. — Ninfa, figlia dell’ Aria e della Terra, che abitava le rive del fiume Cefiso. La tradizione della favola racconta
avesse disturbato un colloquio amoroso che Giove aveva con una ninfa del seguito di sua moglie, Giunone, saputo l’inganno,
sedio di Troja. Caduta questa città, Ecuba toccò ad Ulisse come parte del bottino di guerra ; ma essa non potè vincere il p
le rive di Troja, dopo aver reso splendidi onori funebri al figliuolo del figlio suo, e fu condotta presso Polinnestore, re
di sua propria mano uccideva i due figliuoli di lui. Però le guardie del re trascinarono fuori della reggia Ecuba e la lap
abone, si vedeva ancora nella Tracia una sepoltura, detta il sepolcro del cane, e nella quale fu rinchiusa la spoglia morta
. Ecuba, trista misera e cattiva, Poscia che vide Polissena morta, E del suo Polidoro in su la riva Del mar si fu la dolor
padre, onde scongiurare i terribili destini che si legavano alla vita del fanciullo, lo consegnò ad uno dei suoi ufficiali,
speso. Un pastore, passando per di là, attratto dalle grida lamentose del bambino, lo prese e lo portò a Polibio, re di Cor
onfiato, e lo fece educare. Edipo, divenuto adulto, credendosi figlio del re Polibio, volle consultare l’oracolo per conosc
ante il viaggio la condusse in un bosco, e calpestando i sacri dritti del sangue, la violentò. Chelidonia, giunta presso la
donia, giunta presso la sorella, piangendo disperatamente, la informo del proprio disonore. Le due sorelle allora giurarono
a casa di Pandareo, ove esse eransi rifugiate, e quivi impadronitosi, del suocero lo caricò di catene e così legato lo espo
suocero lo caricò di catene e così legato lo espose ai raggi ardenti del sole ed alle morsicature degl’insetti. Edone, all
morsicature degl’insetti. Edone, allora, disperata della trista sorte del padre, corse vicino a lui per consolarlo colle su
8. Edulia. — V. Educa. 1559. Edusia. — V. Educa. 1560. Eeta. — Figlio del Sole e di Persa : fu re della Colchide e padre di
ardente, perciò i pagani ne fecero uno dei soprannomi di Vulcano, dio del fuoco. 1562. Efeso. — Celebre città dell’ Asia mi
sorgeva in una pianura irrigata dal fiume Caistro, nelle circostanze del mare Egeo. Rinomati autori pretendono che la esis
celebre. Il famoso tempio di Diana, che fu una delle sette meraviglie del mondo, fu fatto costruire a spese di tutti i regn
meravigliose opere dell’ingegno umano, e vi appiccò il fuoco la notte del sesto giorno del mese detto dai Greci Hecatombeon
e dell’ingegno umano, e vi appiccò il fuoco la notte del sesto giorno del mese detto dai Greci Hecatombeon, 356 anni avanti
le spese necessarie alla ricostruzione, purchè sulla porta principale del tempio fosse inciso, in lettere d’oro, il suo nom
Alessandro e continuarono, mediante enormi sagrifizii, la costruzione del loro tempio, che essi menarono nuovamente a termi
ia interamente. Secondo la favola Efeso fu anche il nome di un figlio del fiume Caistro, il quale in compagnia di Creso, pr
istro, il quale in compagnia di Creso, prese parte alla fabbricazione del famoso tempio di Diana, di cui nell’articolo prec
Ecbatana, l’imperadore lo fece annoverare fra le divinità. Coll’andar del tempo gli vennero innalzati dei templi, sacrifica
prannome dato e Venere per essere particolarmente adorata nelle isole del mare Egeo. Egea era anche il nome di una delle Am
la famosa Medea, abbandonata da Giasone, ma quasi che le maledizioni del cielo seguissero le orme di questa, le sventure l
l re di Creta dichiarò la guerra agli Ateniesi per vendicare la morte del figlio, ed avendoli vinti, impose loro un sanguin
dell’adolescenza ed avea ricevuta dalla principessa Trezenia la spada del padre, onde Egeo avesse potuto riconoscerlo ; ma
dre, onde Egeo avesse potuto riconoscerlo ; ma Medea, saputo l’arrivo del giovane in Atene, comprese ogni cosa e fece il po
Medea. Però la nemica sorte di Egeo non era stanca di farlo bersaglio del suo furore, poichè in quel turno di tempo la sort
anno, per patto della sconfitta, dovevano essere esposte alla ferocia del mostro di Creta, e Teseo dovè, come gli altri, so
come gli altri, sottostare alla comune fatalità. Egeo con le lagrime del più profondo dolore vide partire il figlio suo di
le raccomandò con le più calde preghiere di far cangiare le nere vele del vascello, che faceva il terribile viaggio, con al
ando in essa l’idea informata della solitudine, che profonde i tesori del raccoglimento altesmoforo ed al saggio, amico del
no le cerimonie di questi sagrifizii i sacerdoti, consacrati al culto del nume che si adorava, scavavano una fossa in mezzo
ora intrise, venivano dagli altri sacerdoti sospese alle mura interne del tempio, onde i fedeli avessero potuto santificars
di Apollo e poi abbandonò la disgraziata donna. 1585. Egina. — Figlia del flume Asopo, la quale fu con passione amata da Gi
uila la rese madre di Eaco e di Radamanto. Asopo, venuto a conoscenza del fallo di sua figlia, si dette a cercarla premuros
iglia, si dette a cercarla premurosamente, e saputo da Sisifo il nome del seduttore, giurò di vendicarsi anche di lui ; ma
e per sottrarre Egina alla paterna vendetta, la nascose in una isola del Golfo Saronico, detta Enone o Enopia. Fu in quest
rove miglior fortuna, si ritirarono nella isola di Tirea, nelle acque del golfo Argolica, presso i confini dell’Argolide e
a Libia, ai quali si dà propriamente il nome di Agipani e che al dire del citato scrittore, erano perfettamente simili alla
pi, la sedusse a forza di oro, ma non riuscì a spegnere colla sazietà del possesso, l’ardente desiderio che questa donna be
ofronte, non aveva riconosciuto il figlio. Appena pero i primi albori del giorno illuminarono della loro luce serena l’orri
ste abbandonato Pelopea, questa consegnò al figliuolo Egisto la spada del padre, e lo mandò alla Corte di Atreo, il quale p
to, questi rispose che gliela aveva data la madre. Tieste alle parole del figlio, ed alla evidenza delle pruove, trovò comp
zione dell’oracolo riguardo all’incesto, e cercò di calmare il dolore del figlio il quale, indegnato contro Atreo per l’inf
ne, Per sua sciagura, il pari ai numi Oreste, Che il perfido assassin del padre illustre Spogliò di vita. Omero — Odissea
ell’antichità. Egitto secondo alcuni fu figlio di Belo e d’una figlia del fiume Nelo. Altri pretendono che fosse figliuolo
Neilco, e fondatore della città di Priene. 1594. Egia. — Ninfa figlia del Sole e di Nereo, fu una delle più belle fra le Na
iva chiamata una figliuola di Epione e di Esculapio : essa fu sorella del famoso Maccaone. V. Macaone. 1596. Egnatia. — Nin
ivano immolate. 1597. Egobolo V. Egibolo. 1598. Egocero. — Soprannome del dio Pane, che a lui veniva da una parola Greca ch
La cronaca tradizionale ripete che la forza di Egone non fosse minore del suo appetito, mentre ad un banchetto a cui era st
di Giove a lui venuto da un ricchissimo tempio che aveva in una città del Peloponnese chiamata Elts. 1615. Elefante. — Si r
nomati, sono ritenuti come veri e positivi. Elena fu figlia di Leda e del re Tindaro ; fu sorella di Castore, di Polluce e
bene doppiamente legata alla famiglia di Priamo coi più santi vincoli del sangue, non si astenne dal seguire gl’impulsi del
i più santi vincoli del sangue, non si astenne dal seguire gl’impulsi del suo animo vizioso e corrotto, e quando vide immin
vide imminente la caduta della città, pensò di riguadagnare la grazia del suo primo marito Menelao, col tradire i Troiani.
o schiavo di Pirro, figliuolo di Achille, seppe guadagnarsi l’affetto del suo signore, avendogli predetto molti prosperi su
Andromaca vedova di Ettore, che a lui era toccata in sorte come preda del bottino di guerra nella presa di Troja. …… e fu
re nostro, era a quel regno Di greche terre assunto, e che di Pirro E del suo scettro e del suo letto erede Troiano sposo,
uel regno Di greche terre assunto, e che di Pirro E del suo scettro e del suo letto erede Troiano sposo, a la trojana Andro
ni di Agamennone. …… Ove introdotti Siate a costni, pensier fla mio, del tutto, Il darvi e loco, e modo, e tempo, ed armi
pide dice che l’iniqua madre di Eletira per accontentare il desiderio del drudo Egisto, l’ avesse faita sposare ad un conta
ompassione della trista sorte di lei, lunge dall’ abusare dei diritti del matrimonio la servì come uno schiavo fedele, fino
Clitennestra. Elettra, spaventata dal delirio e dalle smanie crudeli del fratel suo, consutò l’oracolo e questi ordinò ad
ran quantità di elettro, che è una specie di metallo, la quinta parte del quale è argento e il rimanente è oro : da ciò il
oso della spedizione contro i Telebei, Elettrione, fra le molte prede del bottino di guerra, condusse seco un immenso numer
nome di una giovanetta che secondo la tradizione favolosa era figlia del Sole e della ninfa Rodi. Essendo morta vergine, i
35. Eliache. — Cosi avevano nome le feste che si celebravano in onore del Sole. 1636. Eliadì. — Venivano con tal nome conos
iute le sorelle di Fetonte, figliuole di Elio e di Climene. A cagione del nome del fratello di cui esse piansero la morte s
orelle di Fetonte, figliuole di Elio e di Climene. A cagione del nome del fratello di cui esse piansero la morte sulle rive
agione del nome del fratello di cui esse piansero la morte sulle rive del Po, e dove furono cangiate in pioppi, esse veniva
la loro metamorfosi, quelle pietose continuarono a piangere la morte del loro caro, e che le gocce di ambra che il tronco
. Monti. — La Musogonia — Canto Ottava II. 1641. Elide. — Provincia del Peloponneso, celebre nell’antichità per gli spett
Iperione, e fu dai suoi zii, i Titani, annegato nell’Eridano. Al dire del citato cronista, Basilea non vedendo il figliuolo
igliuolo, si pose a ricercarlo lungo le rive di quel flume, ma stanca del faticoso cammino s’addormentò e vide in sogno il
si sarebbe chiamata Elio, cioè il Sole. 1643. Eliopoli. — Cioè città del Sole ; quest’antica contrada dell’Egitto è celebr
ittà del Sole ; quest’antica contrada dell’Egitto è celebre pel culto del Sole. Alcuni scrittori pretendono che sia la stes
Eliopoli i corpi imbalsamati dei loro parenti e render loro gli onori del rogo. Da questo costume religioso è forse nata la
a questo costume religioso è forse nata la prima origine della favola del raro uccello Fenice, a proposito del quale Metast
ta la prima origine della favola del raro uccello Fenice, a proposito del quale Metastasio ha scritto : Che vi sia, ciascu
un superbo e splendidissimo tempio, esclusivamente dedicato al culto del Sole. In quel tempio era un oracolo i cui respons
grande lamina inargentata, specie di specchio che rifletteva i raggi del sole, e collocata in modo che tutto il tempio ne
ngo tempo meditava. Però avendo il confidente risposto all’obbiezione del suo signore, che non occorreva recarsi di persona
di papiro e mandarlo all’oracolo, Trajano finse di aderire alle brame del suo favorito, e mandò ad Eliopoli un plico suggel
ssa Eliopoli, prima di chiamarsi Corinto, nome che le fu dato a causa del calore del clima e dell’aridità del terreno. 1644
i, prima di chiamarsi Corinto, nome che le fu dato a causa del calore del clima e dell’aridità del terreno. 1644. Elisa. — 
into, nome che le fu dato a causa del calore del clima e dell’aridità del terreno. 1644. Elisa. — Nome primitivo della regi
igna le faceva patire, ebbe il coraggio di mettersi in mare a cavallo del famoso ariete dal vello d’oro, e traversare lo st
o sotto la forma di essa ; o secondo altri perchè l’eterna giovanezza del dio del vino, è benissimo raffigurata da questa p
la forma di essa ; o secondo altri perchè l’eterna giovanezza del dio del vino, è benissimo raffigurata da questa pianta, s
i giunco, a cui essi davano il nome di Elene. 1654. Elpa. — Figliuola del Ciclope Polifemo, Ulisse la rubò al padre, ma i L
l Ciclope Polifemo, Ulisse la rubò al padre, ma i Lestrigoni alleati, del famoso gigante, la tolsero al rapitore, e la rest
rsi al pericolo con la fuga, e si arrampicò su di un albero, ai piedi del quale il leone andò a distendersi aprendo continu
a generalmente che tutt’i malati che dormissero una notte nel recinto del tempio a lei dedicato, si trovavano l’indomani ri
l recinto del tempio a lei dedicato, si trovavano l’indomani risanati del tutto. Era inoltre Emitea ritenuta come protettri
crudele comandamento ; ma non avendo potuto piegare il crudele animo del re, si recò sul luogo del supplizio, e quivi vede
non avendo potuto piegare il crudele animo del re, si recò sul luogo del supplizio, e quivi vedendo la sua amata Antigone
o la sua amata Antigone sospesa al nodo che essa stessa aveva formato del suo velo, l’abbracciò fortemente, e pazzo di dolo
pazzo di dolore, empì l’aria di altissime grida, imprecando sul capo del padre le maledizioni del cielo. Ed essendosi il r
aria di altissime grida, imprecando sul capo del padre le maledizioni del cielo. Ed essendosi il re stesso portato a vedere
padre, e l’avrebbe ucciso, sè questi non si fosse sottratto al furore del figlio con la fuga. Allora Emone rivolse contro s
e braccia serrarla, E plorarne la morte, e le tradite Nozze, e l’opre del padre. Il padre a lui, Tosto che il vede, alto sc
li onde tormentarli. Forse Empusa altro non è che la personificazione del rimorso. 1669. Encaddiri. — Presso i Cartaginesi
idabile fra i Titani che vollero dare la scalata al cielo. Era figlio del Tartaro e della Terra. Anche a proposito di quest
terraneo rimbombo mentre la parola Tifeo, implica in sè stessa l’idea del fumo ; immagini e configurazioni queste, che si a
una divinità. 1672. Endeide. — Detta anche Endia o Endeja. Fu figlia del centauro Chirone, e moglie di Eaco, che la rese m
la coppia degli Dei tutelari degli spagnuoli. 1676. Enea. — Principe del ramo secondario della reale famiglia di Troja : f
Omero — Iliade — libro V. trad. di V. Monti. Vide la luce sulla riva del Simoenta, ai piedi del monte Ida, e fino all’età
V. trad. di V. Monti. Vide la luce sulla riva del Simoenta, ai piedi del monte Ida, e fino all’età di cinque anni fu allev
un eroe ; compiuta la quale tolse in moglie Creusa, una delle figlie del re Priamo, e la rese madre di un figlio, chiamato
nell’animo dei già fuggenti trojani, il desiderio di portare il corpo del prode greco in Troja, quale trofeo del valore dei
desiderio di portare il corpo del prode greco in Troja, quale trofeo del valore dei suoi soldati. Enea tentò varie volte d
figliuolo Ascanio, e tutti ripararono momentaneamente in una caverna del monte Ida. In questa occas one Creusa sua moglie
l monte Ida. In questa occas one Creusa sua moglie disperse le tracce del consorte Enea, il quale da quella notte non potet
re, additò al principe trojano in modo forse più enigmatico ed oscuro del solito, la meta a cui doveva mirare. Enea tratto
cui doveva mirare. Enea tratto in inganno dall’apparente significato del responso, si portò nell’isola di Creta, ma una vi
rare la loro memoria impose il nome della prima ad una città e quello del secondo ad una punta di terra conosciuta anche og
’anni matura, e di bellezza Più d’ogni altra famosa era da molti Eroi del Lazio e de l’Ausonia tutta Desiata e ricerca……. …
onia tutta Desiata e ricerca……. …… A questa il mio paterno Oracolo, e del ciel molti prodigi Vietan ch’io dia marito altro
a cui stirpe il mio nome e ’l mio sangue Ergerassi a le stelle. Or se del vero Punto è ’l mio cor presago, egli è quel dess
sto i Rutoli, nei quali non era ancora sopito il rancore per la morte del loro re Turno, collegatisi con Mezenzio re dell’E
Enea, il quale accettò l’intimazione nemica e ben presto sulle sponde del fiume Numico nell’Etruria, segui una sanguinosa b
ratto, e l’opinione degli storici è che egli si annegasse nelle acque del fiume. La favola però dice che Venere, vedendolo
, dopo avere con materna sollecitudine lavato il suo corpo nelle onde del Numico ; sulle sponde del quale, ad eterna memori
ollecitudine lavato il suo corpo nelle onde del Numico ; sulle sponde del quale, ad eterna memoria del fatto fu innalzato u
rpo nelle onde del Numico ; sulle sponde del quale, ad eterna memoria del fatto fu innalzato un tempio, ove all’eroe trojan
e di Dejanira. Unito a Peribea ebbe da questa Tideo che fu poi padre del famoso Diomede. Eneo in età assai avanzata fu cac
suoi nipoti, ma vi fu rimesso da Diomede. Egli però stanco delle cure del regno, e reso impotente al grave ufficio dalla ve
o dalla vecchiezza, abbandonò il reggimento dei suoi stati investendo del supremo potere Andremone suo genero, e si ritirò
tori che durante la vita di Eneo, avesse avuto luogo la famosa caccia del cignale di Calidonia. È questo, per altro, un par
iochia. — La più antica città di cui si abbia nozione nella geografia del mondo antico. Leggesi nella Genesi, che fu fabbri
i Henoc. Poi egli si mise ad edificare una città e la nominò dal nome del suo figliuolo Henoc. Genesi — cap. IV. trad. di
rese madre di due figli Pelio e Neleo. 1684. Enisterie. — Ossia feste del vino. Cerimonie che venivano celebrate in Atene d
ella città di Enna in Sicilia. 1686. Ennofigaso. — Uno dei soprannomi del Dio Nettuno. 1687. Ennomo. — Così aveva nome uno
ni nel decenne assedio della loro città. Achille lo uccise sulle rive del fiume Xanto. 1688. Eno. — Così aveva nome una del
. 1690. Enoe. — Antica città dell’Attica posta sulle rive di un fiume del quale, secondo la tradizione, gli abitanti arrest
nella gran maggioranza, ch’egli fosse figliuolo della ninfa Arpina, e del Dio Marte. Al dire di Pausania, e di qualche altr
che gli aveva predetto ch’egli sarebbe ucciso da suo genero, essendo del continuo assediato dalle richieste che gli si fac
furono fino a tredici coloro i quali restarono vittime della crudeltà del vincitore, il quale secondo il patto, non essendo
epolcro dei tredici morti nel singolare duello. 1692. Enone. — Figlia del fiume Cebreno nella Frigia. Fu una delle più bell
lia del fiume Cebreno nella Frigia. Fu una delle più belle abitatrici del monte Ida. Apollo se ne invaghì perdutamente, ed
a e di Bacco. Allorchè Radamanto, dopo la conquista fatta delle isole del mare Egeo, ne fece la distribuzione, ad Enopione
Orione, il quale, non potendola ottenere diversamente, per le ripulse del padre di lei, la sedusse. Enopione giurò di vendi
5. Enorigeo. — Soprannome che si dava a Nettuno come personificazione del mare deificato. Presso gli antichi ad Enorigeo si
sparsi Con essi andrian per lo gran vano a volo. Ma la possa maggior del Padre eterno Provvide a tanto mal, serragli e ten
para, la principale, fu sua abitual residenza. Eolo esperto nell’arte del navigare, erasi coll’ajuto di studii astronomici,
astronomici, dedicato alla conoscenza dei venti, ed all’osservazione del flusso e riflusso della marea, cosicchè spesso pr
itenuta dai cronisti della mitologia, come quella in cui Vulcano, dio del fuoco, avesse posto la sua fucina. Per questa rag
. — Presso i Fenicii era l’Eva della creazione ; ossia la prima donna del mondo, la quale consigliò ai suoi figliuoli di ci
ino al sepolcro di lui. 1705. Eoo. — Così si chiamava uno dei cavalli del sole, e propriamente quello che dinota l’oriente.
la quale sotto le forme di giovenca, lo dette alla luce sulle sponde del Nilo, dopo di aver ricuperato le sembianze umane.
i morire. Io, dal canto suo, abbandonò l’Egitto per andare in traccia del figlio, e dopo molte ricerche, lo trovò in Siria
del figlio, e dopo molte ricerche, lo trovò in Siria presso la moglie del re Biblo. Epafo divenuto adulto, tolse in moglie
. — Specie di divinazione che gli Aruspici facevano coll’osservazione del fegato delle vittime. Questa parola deriva da due
si esiliò volontariamente e qualche tempo dopo fermatosi sulle sponde del flume Assio, dette il suo nome a quella contrada
Tanto la parola Epifane che Elicius racchiude il senso della presenza del padre degli dei sulla terra, rivelata agli uomini
senza del padre degli dei sulla terra, rivelata agli uomini per mezzo del rimbombo del tuono, e del balenare dei lampi. 172
re degli dei sulla terra, rivelata agli uomini per mezzo del rimbombo del tuono, e del balenare dei lampi. 1729. Epigeo. — 
sulla terra, rivelata agli uomini per mezzo del rimbombo del tuono, e del balenare dei lampi. 1729. Epigeo. — Fu figliuolo
sua sorella Gea, fu detta Rea ossia la terra. Con questi nomi al dire del cronista Sanconiatone, i greci denotavano esclusi
a questo nome alle ninfe della terra come si chiamavano Uranie quelle del cielo. 1731. Epigone. — Presso i pagani si chiama
elide. 1733. Epimeletti. — Si dava questo nome collettivo ai ministri del culto di Cerere, i quali, durante le funzioni sac
e cerimonie di quella dea, erano addetti particolarmente alla persona del re. 1734. Epimeni. — Presso gli Ateniesi, al rica
i cercò la sua mandra ma non avendola rinvenuta s’incaminò alla volta del suo villaggio. Estremamente sorpreso di trovar tu
non riflette se non dopo il fallo. Era questo il nome di un figliuolo del Titano Giapeto e di Climene, e fratello di Promet
ore, non avesse voluto vendicarsene. Egli per altro trascurò l’avviso del fratello ed accolse il falal dono che Giove gli f
elebrare le vittorie riportate in guerra contro i nemici. Coll’andare del tempo si cantò l’Epinicio per acclamare coloro ch
— Soprannome data a Venere per indicare che essa era nata dalla spuma del mare. 1743. Episcafie. — Dalla parola greca σϰηη
brava con grande apparato nell’isola di Rodi. 1744. Episcira. — Ai 12 del mese di Sciroforione (Maggio) celebravasi nella c
qualificazione si trovava aggiunta al nome di Venere sull’iscrizione del piedestallo della statua che questa dea aveva nel
eco per tutta la vita. 1749. Epona. — Era questo il nome che i romani del paganesimo, davano alla divinità protettrice degl
anche la città di Corinto. Finalmente avendo sedotta Antiope, figlia del re di Tebe, Nitteo, si vide costretto a sostenere
nque anni, durante il quale tempo non si poteva entrare nel santuario del tempio, ma bisognava rimanere nel vestibolo di es
del tempio, ma bisognava rimanere nel vestibolo di esso. Nei misteri del culto Eleusino vi erano pero delle cerimonie talm
rciò veniva apparecchiato solo per essi. I sacerdoti Epuloni godevano del privilegio di vedere esenti le loro figliuole dal
e da lui istituite in onore di Marte, dio della guerra. Nel giorno 26 del mese di Febbrajo, che ricadeva nel periodo di que
no che venisse detta Era, per significare Sovrana essendo ella moglie del re dei numi ; ed altri pretendono che Era signifi
a cogliere il frutto sanguinoso dell’odio. Gli Eraclidi dopo la morte del loro persecutore, si resero padroni del Peloponne
o. Gli Eraclidi dopo la morte del loro persecutore, si resero padroni del Peloponneso, ma poco tempo dopo la peste decimò s
te scacciati da Atreo, ed allora essi compresero che per impadronirsi del Peloponneso, dovevano attendere la terza generazi
ignificazione di protettori delle famiglie. 1763. Ercina. — Figliuola del famoso Trofonio e compagna ed amica di Proserpina
ca significano gloria e soccorso. Se, per contrario, la grande figura del figlio di Alemena, è la creazione dovuta ad un qu
origine straniera o di diversi Ercoli : tutti i tratti caratteristici del mito, sono essenzialmente greci, rimanendo persin
nostri lettori su di un passo delle opere di Erodoto, la confutazione del quale ci servirà di chiusa a questo breve cenno.
di due Ercoli, uno egiziano e l’altro fenicio, costituendo come tipo del secondo l’Ercole greco. A questo proposito emerge
zare le azioni dell’eroe, e conseguentemente a snaturare la creazione del mito. La tradizione favolosa ci presenta l’Ercole
sulla terra e sul mare, per compiere i suoi alti destini. Il cerchio del suo pellegrinaggio non si estende, ciò non ostant
lui. Nato dopo di Ificlo, Ercole fu privato, per gelosia di Giunone, del dritto di successione al trono del supposto suo p
u privato, per gelosia di Giunone, del dritto di successione al trono del supposto suo padre : Giove non potendo rimediare
altri scrittori, Mercurio portò il neonato nell’Olimpo, e profittando del sonno in cui era immersa Giunone lo depose sul se
nta figlie furono tutte rese madri da Ercole. Del resto la tradizione del leone del monte Citerone, non è che una copia di
furono tutte rese madri da Ercole. Del resto la tradizione del leone del monte Citerone, non è che una copia di quella del
radizione del leone del monte Citerone, non è che una copia di quella del leone Nemeo, la cui pelle riveste l’Ercole greco.
il tributo che i Tebani intendevano pagare. Ergino allora alla testa del suo esercito, marciò contro Tebe, ma fu nella bat
esso fu ucciso in questo combattimento che valse ad Ercole, in premio del suo valore, la mano di Megara figlia di Creonte.
egli, con la sua forza soprannaturale, aveva fatto cadere sulle rive del flume Cefiso, ove si combatteva. Compiuta codesta
accorda con Euripide per far perire i figli di Ercole sotto le frecce del suo arco micidiale. Secondo Diodoro, Giunone soff
. Secondo Diodoro, Giunone sofflò il delirio della follia nella mente del figlio di Alemena, dopo la riposta dell’oracolo.
he non è lo stesso presso tutti i cronisti della favola, che il tempo del servaggio di Ercole, à secondo alcuni la durata d
cole, il compimento delle quali valse all’eroe l’allegorica grandezza del mito, racchiuso sotto il simbolo della sua forza
antaggio positivo ne venne ad Ercole, poichè a contare dall’uccisione del mostro, le sue frecce ebbero la terribile facoltà
ontro il Centauro Euritione che voleva a viva forza sposare la figlia del re di quella contrada. Il brutale amante cadde so
se come cavalcatura e che montato su di esso traversò a nuoto il mare del Peloponneso. I cavalli di Diomede, segnano un’alt
uale dopo di essersene impadronito, fondò la città di Abdera in onore del suo amico Abdero, ucciso in una battaglia. Poi, c
na battaglia. Poi, combattendo contro le Amazzoni ; egli si impadroni del famoso scudo della loro regina. Il conquisto dei
e dei conquistati armenti. Ercole penetrò nella inaccessabile caverna del masnadiere, e lo strangolò fra le sue braccia V.
Che d’un salto in quel baratro gittossi Per lo spiraglio, e là v’era, del fumo La nebbia e l’ondeggiar più deuso, e’l foco
ersando la contrada di Tartessia, egli innalzò due colonne in memoria del suo viaggio, sulle due opposte montagne che termi
ritornato a Tartessia, offrit un olocausto al sole in ringraziamento del dono ricevutone. Passando in seguito nella Liguri
io. Un’altra delle fati che di Ercole fu la distruzione degli uccelli del lago Stinfalo os sia delle Arpie le quali con la
elle sfide bacchiche. Gli antichi aveano simbolizzato codesta avidità del bere, la quale non à nulla di grossolano, quando
cole fu colpito da tale disperazione, che volle gittarsi nelle fiamme del rogo di lei, ma gli astanti ne lo impedirono. Sba
cangiando il primitivo nome di quell’isola la chiamò Icaria in onore del defunto. Dedalo riconoscente perciò gli fece inna
ato. Avendo in seguito ucciso un enorme serpente che desolava le rive del fiume Sangaride, fu da Giove annoverato, sotto il
carriera delle gesta di Ercole, poichè irritato contro Literso figlio del re Mida, il quale massacrava tutti coloro a cui d
cole preso una parte attivissima nel memorabile fatto della conquista del Vello d’oro. Secondo questo scrittore, Ercole cos
ssero abbandonato su di un’isola deserta Ercole, perchè l’enorme peso del suo corpo faceva affondare la nave, e che abbando
ll’andare in questa città, che Dejanira ebbe a sopportare l’oltraggio del centauro Nesso, il quale si vendicò su di Ercole
del centauro Nesso, il quale si vendicò su di Ercole mediante il dono del fatale Altro. (V. Delanira). Soggiornando in Trac
è lontano dalla città di Trachina senza che Dejanira conosca il luogo del suo soggiorno. L’eroe serviva allora la regina On
namoratosi di questa, non l’avesse completamente dimenticata, asperse del filtro di Nesso la tunica che mandò al marito, ed
’idra il fatal tosco Le sue carni pascea. lo sventurato Lica, non rea del fallir tuo, sgridando. Domandò per qual fraude a
inevitabilmente della loro impronta particolare il colossale profilo del dio eroe. Per esempio, fra i tratti particolari d
colossale profilo del dio eroe. Per esempio, fra i tratti particolari del culto d’Ercole presso i romani, figura l’uso di c
a e quasi soprannaturale, la quale apparisce egualmente nell’infanzia del figlio d’Alemena, e nello sviluppo della sua masc
sono un arco ed una clava. La testa e gli occhi, paragonati al resto del corpo sono piccoli ; i capelli corti e folti, la
orti e folti, la parte inferiore della fronte saliente, l’espressione del volto è grave e seria. Le spalle, le braccia, le
partenga a Lisippo, artista greco non meno illustre. Il celebre torso del Belvedere, rappresenta anche un Ercole in riposo,
rcole. 1765. Ere. — V. Es. 1766. Eresidi. — Ninfe che prendevano cura del bagno di Giunone. Nella città di Argo veniva dato
quella dea. Esse godevano di tanta pubblica venerazione che gli anni del loro sacerdozio servivano di data nei pubblici mo
liuolo di Macario che così si chiamava. 1768.Eretrio. — Uno dei figli del Titano Fetonte il quale dette il suo nome ad un
onisti dell’antichità, per avere egli fatto uccidere tutt’i sacerdoti del suo paese, temendo, non senza ragione, il potere
i della favola viene riguardata come madre degli astri, forse a causa del nome di suo marito. È questa peraltro un’opinione
ta come figlio di Buta e di Venere, e atleta famoso nel combattimento del cesto. Avendo un giorno sfidato alla lotta Ercole
e, questi accettò col patto che premio della pugna fossero, per parte del principe, i suoi stati, e per parte sua gli armen
ime andavano senza esser guidate ad offrire il loro collo al coltello del Flamine sagrificatore ; che l’urna dei sacrificii
tare senza che alcino ve l’avesse deposta ; e che finalmente il fuoco del Sacrifizio si trovava acceso sull’ara senza bisog
in cui rimproverava a Menalca la sua indifferenza crudele. Coll’andar del tempo, quella canzone fu ripetuta in tutta la Gre
te della negromanzia, in cui era famoso. Venuto per altro in certezza del tradimento di sua moglie, Anfiarao decise di part
1785. Erinno. — Così avea nome una poetessa di Lesbo che le cronache del tempo fanno contemporanea di Saffo. 1786. Erisitt
mare, e che entrata nel mare Jonio, si fosse fermata nelle vicinanze del promontorio di Giunone, fra Chio ed Eritre. Narra
in Eritrea, spontaneamente accondiscesero a quanto imponeva il sogno del pescatore, e fatta una corda dei loro capelli, ti
sunto fra gli astri, sotto la costellazione di Boote, ossia guidatore del carro. 1793. Erizia. — Una delle Esperidi. 1794.
a Ἐρυδρδς che significa rosso, si dava questo nome ad uno dei cavalli del Sole. Al dire del Mitologo Fulgenzio, il nome di
ifica rosso, si dava questo nome ad uno dei cavalli del Sole. Al dire del Mitologo Fulgenzio, il nome di Eritreo gli veniva
dire del Mitologo Fulgenzio, il nome di Eritreo gli veniva dal levare del sole, i cui raggi sono in quel momento di un colo
di, e crebbe di aspetto bellissimo, riunendo in sè la bellezza fisica del padre e della madre. Ancor giovanetto, bagnandosi
rate — è eloquente quanto la parola facile, che era una delle qualità del dio Mercurio. 1799. Ermatene. — Così si chiamava
i attributi di Mercurio. 1800. Ermete. — Essendo Ermete uno dei nomi del dio Mercurio, si chiamaveno Ermee alcune feste ce
a. — Si dava cotesta denominazione ad un simulacro che aveva il corpo del dio Mercurio e la testa di Nitra V. Nitra. 1802.
mania, il quale dopo la morte venne annoverato fra gli dei, in premio del suo eroico valore. In quasi tutti i monumenti del
ennone, dall’avo Pindaro che nell’assenza di Menelao teneva le redini del governo e della famiglia di lui. Però Menelao for
e disprezzo. Mentre Euripide dal canto suo ci presenta Ermione amante del marito fino alla gelosia e ce la mostra rimprover
, divenuta schiava di Pirro — V. Andromaca — di averle rubato l’amore del proprio consorte. …. Te il tuo consorte abborre,
ide, non potendo Ermione vincere la gelosia che le ispirava la vedova del famoso Trojano, stabilì in segreto accordo con Or
giovine Leandro, abitante della città di Abido, posta sulla spiaggia del mare dalla parte dell’Asia. Essendo da imperiose
o Gli Amori di Ero e Leandro. Avendo una tempesta sconvolte le onde del mare per più giorni, a Leandro su per sei notti,
non vide : intorno intorno Muta l’occhio volgea sovra l’immenso Dorso del mar, se a comparir vedesse Lo sviato garzon. Spen
degli onori divini, e di quella adorazione che il culto superstizioso del pagane imo tributava alle proprie divinità. Segue
, che ordinariamente erano circondati da un bosco sacro, sul limitare del quale sorgeva un altare, dedicato all’eroe sepolt
so rese anche alle donne. 1812. Erofila. — Nome di una sibilla figlia del pastore Teodoro, e di una ninfa del monte Ida. Er
ila. — Nome di una sibilla figlia del pastore Teodoro, e di una ninfa del monte Ida. Erofila predisse ad Ecuba le sventure
, e la cronaca racconta di lei che, prima di cedere all’infame voglie del cognato, ma già innamorata di lui, lo avesse aiut
che Diana aveva in quella città, e che era una delle sette meraviglie del mondo. Vi sono alcuni autori i quali pretendono c
dio, avendo cercato invano di piegarla colle sue preghiege, sdegnato del cattivo animo di lei, con un colpo di caduceo la
nella destra una bilancia. Esculano propriamente detto, era il padre del dio Argentino perché il rame e più antico dello a
la sua reale famiglia. Esaco tolse in moglie la ninfa Sterope, figlia del fiume Cedrene, la quale morì poco dopo le nozze.
chiamavano quelle isole che il fiume Acheolo formava all’imboccatura del mare Jonio. La tradizione mitologica raccontata d
tò presso il centauro Chirone da cui poi apprese la medicina. Trasse del corpo dell’estinta fuori L’ancor vivo fanciullo,
e custodito da un cane. Il pastore Aristano vide brillare sulla testa del fanciullo un’aureola celeste. Coll’andare del tem
de brillare sulla testa del fanciullo un’aureola celeste. Coll’andare del tempo in tutte le circostanti campagne, corse la
sue metamorfosi racconta che Esculapio avesse sposato Lampezia figlia del Sole. Dopo la sua morte Esculapio fu da tutta la
di Città, Aglaope, raggiante, Apatexicacos, salvatore, Filolao, amico del popolo, e molti altri derivanti dai nomi dei luog
rati, e soprattutto il serpente che era intimamente legato ai misteri del culto di questo Dio. Presso gli egiziani, e press
e diverse divinità avessero avuto una comune origine ; e che il cuito del serpente come emblema di sanità è un resto del fe
igine ; e che il cuito del serpente come emblema di sanità è un resto del feticismo egiziano, il quale fu dall’ Oriente tra
sraeliti troviamo ripetuto che persino Mosè avesse esposto alla vista del suo popolo un serpente di bronzo la cui vista gua
di bronzo la cui vista guariva dalla peste. Più tardi, nell’infanzia del cristianesimo vediamo nelle sacre pitture un serp
A fianco a lui si vedeva ordinariamente un cane, e talvolta la figura del giovanetto Telesforo ritennto come simbolo della
otesse della dea Pallade Minerva, forse perchè esse compievano i riti del loro culto, nel più profondo silenzio. 1830. Esim
ù profondo silenzio. 1830. Esimnete. — Da una statua che Vulcano fece del dio Bacco, e che secondo la tradizione fu da Giov
nimali, ma faceva disseccare gli alberi e le piante. Adunatisi i capi del governo, il re decise di comune accordo con quell
do i troiani che avevano dei figli non avessero esposto alla voracità del mostro, quello tra i loro figliuoli che la sorte
sione figliuola dilettissima di Laomedonte, la quale, ostìa innocente del disumano olocausto, fu incatenata alla spiaggia a
uire Ercole, ma questi, che dovea muovere in Colchide, alla conquista del Vello d’oro, lasciò Esione ed i cavalli che il re
ivere nella stessa città come un semplice particolare. Esone fu padre del famoso Giasone, che egli sottrasse con ogni amore
one narra che Giasone, divenuto adulto al suo ritorno dalla conquista del Vello d’oro, trovando suo padre vecchissimo pregò
de Esone ringiovanisse ; e che in fatti Medea, cedendo alle preghiere del suo amante fece scendere dal cielo un carro tirat
non che Esone, essendo stato obbligato da Pelia suo fratello, a bere del sangue di toro, fosse morto in seguito di ciò pri
appiccata, e che Giasone al suo ritorno avesse per onorare la memoria del padre fatto celebrare dei giuochi funebri dagli A
donna, per nome Esperide, da cui trassero il nome collettivo. Al dire del citato scrittore, esse erano d’una tale bellezza,
te dalla Notte, a somiglianza delle Gorgoni, delle Parche, di Nemesi, del Destino ec. ec. Forse le Esperidi furono generalm
diamo espiato da Ceixo re di Trachina, e poi da Eumolpo dopo la morte del centauro Nesso ; Demofoonte, re di Atene, espia O
offerir parola, conficcare nel terreno l’arme che era stata strumento del suo delitto. Se l’espiatore accettava l’incarico
— Libro II Trad. di A. Caro. Così purificossi Achille dall’uccisione del re dei Lelegi. Allorchè il delitto non erasi cons
fu espiato Orazio, per l’uccisione di sua sorella Camilla, all’epoca del famoso duello dei tre Orazii contro i tre Curiazi
altari, l’uno a Giunone protettrice delle sorelle, e l’altro al Genio del paese ; offrirono su questo altare molti sacrifiz
dote espiatore girava intorno a questo, aspergendolo alternativamente del sangue delle vittime e dell’acqua lustrale. Non s
la, viscere, ed inspicere, considerare. 1844. Estipielo. — Istrumento del quale si servivano gli Aruspici per estrarre le v
poeti più accreditati della favola, concordano tutti sulla divisione del tempo primitivo, in quattro età o periodi, conosc
tà o periodi, conosciuti sotto il nome di Età dell’oro, dell’argento, del rame, e del ferro. La prima di queste età, ebbe c
, conosciuti sotto il nome di Età dell’oro, dell’argento, del rame, e del ferro. La prima di queste età, ebbe cominciamento
à dei mortali non ebbe più limite, e la terra ricoperta dalle tenebre del peccato, grondò lagrime e sangue. Peraltro tutto
delle rivelazioni tradizionali, imperocchè noi vediamo dalle cronache del tempo, che sotto il regno di Saturno, vale a dire
o ad innalzare un tempio alle tre Grazie, e ad istituire le cerimonie del loro culto. Per questa ragione, egli era riguarda
conosciute sotto il nome collettivo di Eteocle. 1840. Eteoclo. — Uno del sette capi dell’armata Greca che mosse alla famos
cieli distinti dai corpi luminosi. Al dire di Esiodo, alla creazione del mondo, l’essere supremo formò da principio l’eter
tore, l’etere, nacque col giorno, dall’Erebo e dalla Notte, figliuoli del Caos. 1852. Eternità — I Romani ne avevano fatto
rlo a costo della sua vita. 1854. Etilia. — Una delle molte figliuole del re Priamo. Caduta in potere di Protesilao, che la
rsi nel paese ove avea preso terra colle sue prigioniere. Coll’andare del tempo Protesilao fabbricò in quel luogo una città
e. — Detta anche Etionome, fu secondo la tradizione, una delle figlie del re Priamo. Etione era anche un nome dato di soven
valli. 1856. Etna — La tradizione della favola racconta che la fucina del dio Vulcano, e quella dei ciclopi che fabbricavan
ano delle lave ardenti dell’Etna, per leggere in quelle la predizione del futuro. La cerimonia si faceva gettando nelle vis
predizione del futuro. La cerimonia si faceva gettando nelle viscere del vulcano, ogni specie di vittime, le quali se veni
Priamo resisterebbe agli attacchi dei greci, onde è che questi fecero del terribile avversario il bersaglio vivente dei lor
di lui, sotto le mura della contrastata città. Correva il decimo anno del famoso assedio, allorchè Ettore, inorgoglito dall
uccise di sua mano Patroclo, il compagno d’arme, l’amico, il fratello del famoso Achille. Ed Ettore, veduto il suo nemico
nti. Questi, disperato d’aver perduto il suo amico, giurò la perdita del valoroso Troiano, e armatosi corse con disperato
nni. Ciò bon ostante egli attacca valorosamente il terribile nemico, del quale, forse, avrebbe trionfato, se Giove e Miner
locemente, intorno alle mura, non lo avesse ridotto in pezzi. ….. Ma del morto crop Impietosito Apollo ogni bruttura Ne ti
nspirarono al vecchio re Priamo, di ridomandare al vincitore il corpo del figlio. Achille si lasciò intenerire dalle preghi
ore il corpo del figlio. Achille si lasciò intenerire dalle preghiere del vecchio padre, il quale, traverso le lagrime del
rire dalle preghiere del vecchio padre, il quale, traverso le lagrime del suo dolore, conservava la maestà dell’alto suo gr
dell’alto suo grado ; e gli permise di riportare in Troia il cadavere del valoroso guerriero, il quale con pompa solenne po
secondo il costume degli antichi. …….. lagrimando Dal feretro levar del valoroso Ettore il corpo, e postolo sul rogo. Il
po, e postolo sul rogo. Il foco vi destar. Rïapparita La rosea figlia del mattino, s’accolse Il popolo d’intorno all’alta p
chiamato Polibio. La favola fa menzione di un’altra Eubea, figliuola del fiume Asterione : essa insieme alle sue sorelle A
Giove e di Proserpina, e nativo di Atene. 1866. Eubulia. — Ossia dea del buon consiglio. Era adorata in Roma, ove aveva un
7. Eubulo. — Figlio di Demetrio di Maratona, il quale fu, per decreto del senato, premiato con la sacra dei corona, in segn
ero ripetuti nell’avvenire, fu fatta una legge, con la quale la Pitia del tempio di Delfo, doveva avere cinquanta anni comp
2. Eufemo. — Uno degli Argonauti e propriamente quello che alla morte del pilota Tifi ebbe l’incarico di timoniere. La trad
i. In segno di allegria si metteva la statua di questo dio nella sala del banchetto e sovente sulla tavola stessa. La parol
ello ambe d’un pelo. D’età pari e di dosso a dritto filo. Il vibrator del curvo arco d’argento, Febo educolle nel pïerii pr
dia Trad. di F. Bellotti. 1883. Eumeo. — Così avea nome il figliuolo del re di Scio, isola del mare Egeo, che fu il più fe
ti. 1883. Eumeo. — Così avea nome il figliuolo del re di Scio, isola del mare Egeo, che fu il più fedele seguace d’Ulisse.
, di cui fra tutti D’Ulisse i miglior servi alcun non era. Che i beni del padron meglio guardasse. Omero — Odissea — Libro
annimati da Cicerone col nome collettivo di Dioscuri. Questa opinione del celebre oratore non è peraltro adottata da molti
ì si chiamavano collettivamente i principali ministri delle cerimonie del culto di Cerere. Il loro sacerdozio aveva per ogn
esto personaggio di origine egiziana. Secondo alcuni, egli era figlio del poeta Museo, e secondo altri di Orfeo. La tradizi
enere una sfida nella loro arte, avvenne strada facendo che una corda del liuto di Eunomo si fosse spezzata ; e nel tempo i
esi ritenevano per fermo che le cicale cantavano solamente sulle rive del fiume Alex o Alice, (che divideva le due città di
i Reggio. 1891. Eunosto. — Nella città di Tanagra, posta sulla sponda del fiume Asopo in Acaja, vi era un tempio eretto ad
. Caro. Eurialo avea similmente nome un figliolo di Mecisteo, nipote del re Talao. Omero dice di lui che insieme a Diomede
egli Argonauti che si rese celebre per la sua agilità negli esercizii del corpo, e per l’arte che aveva di risanare le feri
gravemente piagato nel dare insieme ad Ercole la caccia agli uccelli del lago Stinfalo, fu completamente risanato da quest
le ombre, e col suono della sua lira discese nei più profondi recessi del Tartaro, e vide i pallidi abilatori di quel cieco
pra legge iniqua : Quivi perduta ogni fatica ogn’opra. Gettata vide : del tiranno crudo I patti rotti, fu tre volte udito I
lato ritornò sulla terra e passò sette interi mesi sulle deserte rive del fiume Strimonio, riempiendo l’aria dei suoi gemit
che essendo stati gli Argonauti spinti da una tempesta sulle spiagge del suo regno, egli avesse dato loro un naviglio onde
fu morto da Achille, si fecero tutti uccidere, difendendo il cadavere del loro capitano. 1905. Euristeo. — Figlio di Steneo
aritata una sola volta nella vita, e dal momento che veniva insignita del suo sacro carattere, doveva far giuramente di viv
08. Eurizione. — Detto anche Euritione. Il più crudele fra i ministri del tiranno Gerione. Ercole lo uccise insieme al suo
mmise. Molto ne dolse a quegli eroi, che incontro Se gli avventaro, e del vestibol fuori Trasserlo, e orecchie gli mozzaro
de prendendo la via dell’isola di Creta, ove giunse per l’imboccatura del fiume Lete, che passava a Goritna. Giove sotto i
è significa bianchezza, e che da ciò si chiamasse Europa quella parte del globo, i cui abitatori sono bianchi. Europa si ch
ollodoro fu questo principe, che chiamò Europa una delle cinque parti del mondo. Questa opinione non è generalmente adottat
ano a galla come avviene comunemente dell’ olio, e ciòperchè, al dire del citato scrittore, le acque dell’ Eurota erano mal
re generate dalle Furie. Finalmente si chiamava Eurota un altro fiume del Peloponneso, il cui nome primitivo era Imero. Ess
Euterpe — Una delle nove Muse detta così perchè rallegrava col suono del flauto e degli altri istrumenti da fiato, di cui
lla prima colonia stabilita dagli Arcadi in Italia, nelle circostanze del monte Aventino. Evandro insieme all’uso dell’agri
rcole stesso, vi sacrificò, in suo onore, un giovine toro. Coll’andar del tempo questo sacrifizio fu ripetuto una volta l’a
medicina presso i Sicioni, i quali lo invocavano ogni giorno all’ora del tramonto. Il suo nome che significa che vive feli
tesi viaggi fatti nel regno delle ombre dagli eroi e dagli dei stessi del paganesimo, altro non sono che altrettante cerimo
i defunti. 1923. Evoè. — Grido che ripetevano le baccanti nelle feste del loro dio. V. Evan. Esse dicevano propriamente Eco
ente Ecohe Baeche. F 1924. Fabaria. — In Roma nel primo giorno del mese di giugno si celebravano sul monie Celio, al
monie Celio, alcuni sacrifizii, nei quali si offeriva alla dea Carna del lardo e della farina di fava. Da ciò fu chiamato
925. Fabiani. — Nome particolare che si dava dai Romani, ai sacerdoti del dio Pane, detti anche Luperci. In Roma essi erano
26. Fabio. — Uno dei figliuoli di Ercole, che egli ebbe da una figlia del re Evandro, per nome Vinduna. Al dire di Festo, e
. 1931. Faja. — La cronaca favolosa dà questo nome alla cignala madre del famoso cignale di Calidone, e che desolò per più
famoso cignale di Calidone, e che desolò per più tempo le circostanze del borgo di Crommione, uel territorio di Corinto. Te
scia da Anite, che ella non faceva se non se ubbidire al comandamento del dio della medicina ; concepì qualche speranza, pr
re materie, i quali avevano la configurazione delle differenti membra del corpo umano, cui si dava il nome collettivo di Fa
ride, ne tagliò in pezzi il cadavere onde far disperdere ogni traccia del misfatto. Però Iside raccolse con amorosa diligen
da valenti artefici, copiare in cera e in altre materie quelle parti del corpo che mancavano allo amato cadavere. Qualche
vente personificata la Fama e posta nel numero delle multiplici deità del paganesimo. La tradizione mitologica ce la presen
e per udire orecchi, Vola di notte per l’oscure tenebre De la terra e del ciel senza riposo. Stridendo sempre, e non chiude
za con un coltello, e in cotal guisa offrivano alla dea il sacrifizio del proprio sangue, agitando la testa in tutt’i sensi
ente Bellonarii, ma oltre a questi ve ne erano degli altri nel tempio del dio Silvano, in quello di Serapide, d’Iside e in
antaso. — Uno dei tre sogni che la tradizione mitologica fa figliuoli del Sonno. Il suo nome gli veniva dai differenti fant
nere, un giorno, trasformata in vecchia, fosse stata ricevuta a bordo del bastimento di Faone, e tragittata da lui con ogni
ve gli donò un vaso di alabastro ripieno di un unguento maraviglioso, del quale appena Faone si fu unto il corpo, diventò d
re di allontanare i cattivi effetti dell’affascinamento, delle magie, del mal’occhio, etc. Generalmente si appendea un picc
iva attribuito al destino. I pagani accagionavano tutto alla fatalità del destino, alla quale gli stessi numi erano sottome
talità inesorabili, le quali dovevano restare compiute, a simiglianza del fato estremo della città Priamea. La prima di cod
roja, che i cavalli di Reso re di Tracia, non avessero bevuto l’acqua del fiume Xanto, nè mangiato l’erba dei campi trojani
cipe era non solo amico ed alleato dei trojani, ma legato coi vincoli del sangue alla real casa Priamea, per aver tolta in
e alla real casa Priamea, per aver tolta in moglie Astioca, figliuola del re Priamo. Eppure il destino inevitabile fece in
aduta della città trojana, la quale è stata quella fra tutte le altre del mondo conosciuto dagli antichi, che è cosiata più
e ad una indovina chiamata Fauna come quella che annunziava i decreti del destino, e prediceva l’avvenire osservando il vol
i romani davano a taluni giovani, i quali nei sacrifizii delle feste del dio Fauno, percorrevano le strade in modo indecen
l’antichità pagana è tutto composto di favole, che rinchiudono l’idea del simbolo mitologico e che sono suddivise, secondo
fra le divinità romane. 1957. Fauna — Si dava questo nome alla moglie del dio Fauno la quale, secondo la tradizione, era di
mesi di decembre e di febbraio, alcune pubbliche cerimonie, in onore del dio Fauno, ed alle quali perciò si dava il nome d
non solo dal paese di Oenotria, ma persino da tutta l’Italia. Al dire del citato scrittore, allorquando il sacerdote, che c
al suo svegliarsi era ritenuto dai pagani come rivelazione dei voleri del dio Fauno. Presso i romani questo dio aveva un cu
ebri piloti, e che perciò mostravano di poco curarsi di lui, come dio del mare ; onde egli avrebbe fatto perire fra le acqu
atto. 1963. Febade — Nome che si dava in generale a tutti i sacerdoti del tempio di Apollo in Delfo, ed in particolare alla
restò appena ebbe visto Ippolito, ammaliata dalla non comune bellezza del giovane. A poco a poco crebbe così fattamente la
empo in cui la sua funesta passione la distruggeva, passava molte ore del giorno vicino a quell’albero, bucandone le foglie
che le travagliava la mente. 1977. Fegoneo. — Soprannome particolare del Giove di Dodona, che a lui veniva dalla credenza
niva dalla credenza che avevano i pagani che egli abitasse nel tronco del faggio che rendeva gli oracoli di Dodona. La paro
le interrogazioni in versi esametri. 1980. Feniee. — Uccello favoloso del colore della porpora, che gli antichi credevano u
olo sotto la figura di un uccello grande come un’aquila, con le piume del collo dorate e le altre colore della porpora bian
matiche e di gomma, e che coricatosi in quello, si consumava ai raggi del sole. Dalle midolle, ritenevano gli egiziani, che
della Fenice, sotto il regno di Sesostri ; la seconda durante quello del re Amasi ; la terza durante il regno dei Tolomei,
e il regno dei Tolomei, e finalmente la quarta verso gli ultimi tempi del regno di Tiberio, imperatore romano, del quale, a
uarta verso gli ultimi tempi del regno di Tiberio, imperatore romano, del quale, al dire di Dione Cassio, fu ritenuta come
ed altri, si sono avvalsi nei loro scritti di questa credenza pagana del risorgimento, dalle proprie ceneri della Fenice p
il nome di un flume nella Tessaglia, che univa le sue acque a quelle del fiume Asopo. Fenice si chiamava del pari un’istru
, che univa le sue acque a quelle del fiume Asopo. Fenice si chiamava del pari un’istrumento da corda assai in uso presso g
a corda assai in uso presso gli abitatori della Tracia, a causa forse del nome se ne attribuiva l’invenzione ai fenici. Fen
usa forse del nome se ne attribuiva l’invenzione ai fenici. Fenice fu del pari chiamato un figliuolo di Amintore, re dei Do
giovane figliuolo. Amintore, cieco di libidinosa passione, accortosi del tranello, maledisse il figliuolo, e lo consacrò a
acrò alle furie dell’inferno. ………l’ira fuggendo E un atroce imprecar del padre mio Amintore d’Orméno. Era di questa Ira ca
i Achille, che lo accolse con ogni cortese amorevolezza e lo fece aio del proprio figlio. ………M’accolse Lietamente il buon
to a soffrire l’ineffabile dolore di veder morto l’amico dilettissimo del suo cuore. Allora Fenice fu spedito dai Greci in
re. Allora Fenice fu spedito dai Greci in traccia di Pirro, figliuolo del morto eroe, ed egli lo accompagnò sottò le mura d
che significa tenebre. 1982. Fennide. — Così avea nome una figliuola del re di Caonia, la quale visse, secondo le cronache
uo onore, dette perciò Ferefattie. 1985. Ferepola. — Ossia portatrice del polo. Gli abitanti di Smirne innalzarono alla dea
me quelle che hanno un carattere particolare nelle credenze religiose del paganesimo romano. 1988. Ferie Latine. — Riferisc
ie fossero istituite da Tarquinio per solennizzare Roma come capitale del Lazio. I magistrati delle principali provincie al
i tutti uniti sacrificavano a Giove Laziale, un toro e gli offerivano del latte ed altre specie di libazioni. Da principio
dai poeti e dai cronisti della favola come i quattro staccati periodi del tempo primitivo. V. Eta’. Ma sebben v’era rissa,
chità avesse proibito ai primitivi abitanti della terra che servirono del vino come bevanda, di far uso di altri bastoni fu
 — Una delle cinquanta ninfe Nereidi. 1993. Fessonia o Festoria — Dea del riposo : veniva particolarmente onorata dai guerr
rticolarmente onorata dai guerrieri che la invocavano dopo le fatiche del campo. 1994. Feste — Straordinarie ed innumerevol
serbandoci di parlare partitamente delle principali feste e cerimonie del paganesimo, a misura che l’ordine alfabetico che
suoi tempii. Fetonte era similmente il nome di quel famoso figliuolo del Sole e di una ninfa per nome Climene. Le cronache
nsultò, dicendogli che egli non era, come se ne dava vanto, figliuolo del Sole. Fetonte punto al vivo dalle oltraggiose par
di potere per un sol giorno illuminare la terra, conducendo il carro del Sole. Non si potrà negar giammai. Fetonte. Ch’un
ù certa prova. Della proferta il giovinetto altiero Troppo si confidò del suo valore, E disse, un giorno voler esser duce D
dissuaderlo dal proprio divisamento, ma vane riuscirono le preghiere del genitore ; poichè Fetonte, facendosi forte del pa
iuscirono le preghiere del genitore ; poichè Fetonte, facendosi forte del paterno giuramento, e disprezzando ogni pericolo,
pericolo, montò sul carro conducendo egli stesso i bianchi destrieri del Sole. Ma ben presto ebbe a pentirsi della sua aud
furono cangiate in pioppi per aver pianto troppo lungamente la morte del loro fratello — V. Eliadi. La scorza intanto tut
ad. di Dell’ Anguillara. Fetusa e Lampezia avevano nome due figliuole del Sole, e della ninfa Neerea. Esse erano le custodi
icilia — V. Lampezia. Il nome di queste due immortali ha qualche cosa del linguaggio simbolico, che rivestiva generalmente
condo che riferiscono le cronache mitologiche alludeva allo splendore del Sole e Lampezia a quello della Luna. Neerea poi,
i collegava alle loro religiose credenze. È scritto che i parieggiani del tiranno Pisistrato, volendo che gli ateniesi lo a
ale egli era scolpito insieme alla sua cavalla. 2001. Figliuoli degli del . — Presso i pagani, e particolarmente dai loro cr
i della divinità, per modo che la tradizione mitologica, ci ammaestra del vero allorquando ci dice che tutte le volte che u
 — Figlio di Augia, re d’Elide, il quale fu da Ercole posto sul trono del padre suo, perchè volle opporsi alla ingiustizia
gli la ricompensa dei suoi servigi. L’eroe sdegnato contro la slealtà del re, lo uccise e pose File al governo del regno. 2
e sdegnato contro la slealtà del re, lo uccise e pose File al governo del regno. 2009. Filemone. — V. Bauci. 2010. Fileni. 
incontrarono coi Cerenesi quando avevano percorso un ben lungo tratto del loro territorio. Senonchè, quelli di Cirene pensa
ne e dice che ella non aveva l’età di venti anni, quando per la morte del padre fu fatta regina. Un’antica tradizione, narr
emofoonte dovè fare ritorno in Atene, ove lo chiamavano le gravi cure del suo regno ; e onde calmare il dolore disperato di
emofoonte rispose all’innammorata donna, fissandole perfino il giorno del suo arrivo. Venuto quel giorno. Fillide, si recò
te il nome di Amfipoli, conosciuta comunemente sotto la denominazione del sepolcro di Fillide. La tradizione allegoria dell
zione allegoria della favola aggiunge che gli dei mossi a compassione del triste fato di Fillide, l’avessero cangiata in al
acea dell’alto fonte Cirene si destò ; sedute in cerchio Milesia lana del color del cielo Alle fusa avvolgevano le ninfe Fi
alto fonte Cirene si destò ; sedute in cerchio Milesia lana del color del cielo Alle fusa avvolgevano le ninfe Filodoce e……
ole greche φιλω amo e λη terra si dava questo nome ad uno dei cavalli del sole, nella significazione di amante della lerra,
cui si trovava. Finalmente un giorno, colpita quasi da un ispirazione del cielo, ella trapunse su di una tela, con un ago d
la liberò, la condusse seco, e la rinchiuse nelle più segrete camere del suo palazzo insieme al piccolo Iti, figlio di Ter
hetto che il marito dava in occasione della festa di Bacco. Alla tine del convito Filomena comparve e gittò sulla tavola in
nvito Filomena comparve e gittò sulla tavola innanzi a Tereo la testa del figlio suo. All’orribile vista, Tereo forsennato
ondinella ; alludendo, con poetica immagine, alla mestissima dolcezza del canto di questi uccelli. Ovidio fa di questo avve
ha l’insegne regie ancora in testa ; E dimostra il dolor, ch’egli ha del figlio, Con la sdegnata vista atra e molesta : Up
il suo duol di fronde in fronde Con una melodia soave e bella : Tien del suo incesto ancor vergogua e cura E non osa alber
nò a far nel regio tetto E non ebbe vergogna della gente : Nel sangue del figliuol ancora ha il petto Macchiato, e se talor
dire di Plutarco quando Filonome li ebbe partoriti, temendo lo sdegno del padre suo, ebbe il coraggio di gettarli nel fiume
o, pensando così di nascondere una colpa con un delitto. Però al dire del citato scrittore, il dio Marte preservò dalla mor
spergiuro, lo punirono con quelle istesse armi ch’erano state cagione del suo tradimento ; imperocchè nel passare per l’iso
e case, Al padre tuo là nell’ Etea contrada Le opime spogliè invierai del campo : E trofeo de’ miei strali alla mia pira Tu
sedio della città Priamea, e resisi i greci padroni di essa Filottete del tutto risanato da Esculapio della sua ferita al p
che lo rese padre di due figliuoli Pandione e Plesippo. Coll’ andare del tempo innammoratosi di una figliuola di Dardano,
innocenti figliuoli. La cronaca aggiunge che gli dei non soddisfatti del supplizio che avevano imposto a Fineo, lo dettero
degli altarî a questi consacrati e dove il culto dei pagani offeriva del continuo incenzi, voti e sacrifizi. Al dire dello
dire di Esiodo tutti i fiumi erano ritenuti nelle credenze religiose del paganesimo, come figliuoli dell’ Oceano e della n
e. — Dal latino flamen. Si dava questo nome ad un ordine di sacerdoti del culto religioso dei romani e la cui istituzione,
re sacerdoti o ministri Flamini, scelti fra i più cospicui personaggi del senato romano : l’altro era composto di-dodici in
l’ imperatore, che lo aveva creato e ciò a testimonianza dell’ odio e del disprezzo che i romani ebbero per lui. Similmente
sacerdote era presso i romani tenuto in grande venerazione e onorato del rispetto universale. Egli andava sottomesso ad al
Falacro, di cui fanno menzione ben pochi cronisti dell’ antichità, e del quale è quasi spento e sconosciuto il nome stesso
onumenti dell’ antichità. Finalmente i pagani avevano anche il flauto del dio Pane, perchè ne attribuivano a questo nume l’
u detta Flegiade. La tradizione mitologica ce lo presenta come figlio del dio Marte e di una giovanetta per nome Crisa figl
distrutti da continui terremoti, dalla peste, e finalmente dal fuoco del cielo che piovve sopra di loro. Un moderno scritt
mpio a non disprezzare gli dei. È per altro a notare che questo passo del classico scrittore, si trova contradetto in altri
sto passo del classico scrittore, si trova contradetto in altri brani del suo poema. 2033. Flegonte. — Al dire di Ovidio er
. Flegonte. — Al dire di Ovidio era questo il nome di una dei cavalli del Sole e propriamente di quello che presiedeva all’
dei cavalli del Sole e propriamente di quello che presiedeva all’ ora del mezzogiorno. 2034. Flora. — Ninfa delle isole For
chiamarono Clori ed i latini Flora. L’allegoria mitologica rivestita del suo poetico ammanto, ci rivela che Zeffiro attrat
Roma ; lo che ci dimostra che la dea Flora è una più antiche divinità del paganesimo. Plinio ci parla di una statua di ques
lle sostanze che la cortegiana aveva lasciato a Roma. Poi coll’andare del tempo furono assegnati alla celebrazione delle fe
sei giorni, terminando alle calende di Maggio. Florali si chiamavano del paro i giuochi istituiti in onore della dea Flora
o il regno di Romolo furono istituiti questi giuochi, i quali al dire del cennato scrittore, furono soventi volte sospesi,
il solito oscenissimo spettacolo. Favonio amico di Catone, lo avverti del riguardo che avevano per lui i suoi concittadini,
, si dava questo nome ad uno dei tre Sogni che la favola fa figliuoli del Sonno. I pagani credevano fermamente che Fobetore
l piccolo Foco che l’uccise sul colpo. Eaco, loro genitore, informato del fatto e conscio delle continue dissenzioni dei su
a stessa Pfammate. 2040. Folo. — Centauro, figlio della ninfa Melia e del dio Sileno. Le cronache della favola narrano di l
caccia al famoso cinghiale di Erimanto, si fosse riposato nella casa del Centauro Folo, il quale lo accolse con ogni amore
una lauta cena. Durante il banchetto, avendo voluto Ercole assaggiare del vino che era di proprietà di altri centauri, ques
— Detto anche Forcide, era al dire di Esiodo, figliuolo della Terra e del Mare. Atlante lo vinse in un combattimento ed egl
atore. La dea Fornace presiedeva ai forni e propriamente alla cottura del pane. 2050. Foroneo. — La tradizione storica ce l
d’ Inaco, re di Argo, e come colui che avesse insegnato agli abitanti del suo paese, a vivere sotto leggi miti e dolci, lad
Fin qui la storia. Secondo la tradizione favolosa, Foroneo fu figlio del fiume Inaco e fu in compagnia degli altri due fiu
a contesa surta fra queste due divinità, a chi fosse toccato il regno del paese di Argo. I tre fiumi giudicarono in favore
rtemente sdegnato li disseccò tutti. 2051. Fortuna. — Tra le divinità del paganesimo, la Fortuna fu quella che si ebbe il c
nte per mano Plutone fanciullo, per dinotare che la fortuna è arbitra del dio delle ricchezze. Vi sono molte medaglie dell’
dell’abbondanza, per dimostrare che essa è la dispensatrice dei beni del mondo, e appoggia la mano destra sul timone di un
russe quel monumento pochi anni dopo la sua costruzione. Coll’ andare del tempo il culto della Fortuna divenne generale in
infinita moltiplicità delle statue e dei templi di questa dea, erano del pari infiniti e svariati i nomi ed i soprannomi c
che i pagani le davano. Così tutte le tradizioni dell’antichità sono del continuo intercalate dai nomi di Fortuna feminea,
dorata sotto la denominazione di Dea Proenestina. Nerone al principio del suo regno, fece costruire in onore di questa dea
icato tutto di una certa pietra, che aveva la durezza e la bianchezza del marmo, e finalmente sulla spiaggia del mare, vici
eva la durezza e la bianchezza del marmo, e finalmente sulla spiaggia del mare, vicino alla città di Anzio, sorgeva un altr
vili mortali E a cangiare i trionfi i più superbi Nella lugubre pompa del sepolcro ; ……………. ………nonna del mare Te ïnvoca chi
onfi i più superbi Nella lugubre pompa del sepolcro ; ……………. ………nonna del mare Te ïnvoca chi su nave di Bitinia Accingesi a
ll’antichità, che le freccie di Apollo altro non erano se non i raggi del sole ; cosicchè quando la tradizione della favola
quale ordinariamente vien cagionata dall’ eccessivo calore dei raggi del sole, fu la cagione della morte di tutti i figli
ratissima madre. V. Niobe. Allorquando la peste distrusse tanta parte del campo greco, al tempo dello assedio di Troja, si
similmente la tradizione mitologica, la quale ripete che dalle acque del diluvio di Deucalione e propriamente dalla fermen
le acque del diluvio di Deucalione e propriamente dalla fermentazione del fango che quelle lasciarono sulla terra, fosse na
re uccisa l’Idra di Lerna, bagnò le sue freccie nel sangue avvelenato del mostro, per modo che le ferite fatte con quelle a
ivi trattamenti della matrigna, onde egli esortato anche dai consigli del suo ajo, fece segretamente preparare una nave e t
che essa era una dea vedova. A ciò solo si limitano le delucidazioni del citato scrittore. 2059. Fulmine. — La tradizione
to con un culto particolare. Al dire di Servio, fra tutte le divinità del paganesimo solamente Giove, Minerva e Vulcano pos
ua moglie Evadne si lanciò, onde le sue ceneri fossero unite a quelle del suo diletto. Qual giorno il Sol, qual mal Carreg
amente l’ agglomeramento, la densità, il colore e tutti gli accidenti del fumo. V. Capnomanzia. 2061. Fuoco. — Fra tutte le
identi del fumo. V. Capnomanzia. 2061. Fuoco. — Fra tutte le divinità del paganesimo, il Fuoco, fu quella il culto della qu
e degli elementi, e quello che racchiude in se l’ immagine più fedele del Sole, così tutte le nazioni si accordarono nel ve
adorava il Fuoco. In Persia si spingeva anche più oltre l’ adorazione del fuoco. In questa contrada, vi erano alcuni dati r
uraglie senza tetto, dove il popolo correva devotamente in alcune ore del giorno, a fare le sue preghiere innanzi ad un gra
sino le dame appartenenti a cospicue ed illustri famiglie si recavano del paro all’ adorazione del fuoco, gettavano nella f
a cospicue ed illustri famiglie si recavano del paro all’ adorazione del fuoco, gettavano nella flamma flori odoriferi e p
no era moribondo, il fuoco veniva spento in tutte le principali città del regno e non si riaccendeva se non quando fosse st
o e non si riaccendeva se non quando fosse stata fatta la coronazione del novello signore. Comune ed estesissima era la cre
oso tempio di Vesta in Roma. Non è quindi a maravigliare se nel culto del paganesimo non si vedesse alcun sacrifizio, nè al
per nome Vulcano, quello che insegnò agli uomini il modo di servirsi del fuoco. Da ciò l’ allegoria del mito simbolico, ch
nsegnò agli uomini il modo di servirsi del fuoco. Da ciò l’ allegoria del mito simbolico, che fa Vulcano dio del fuoco. 206
del fuoco. Da ciò l’ allegoria del mito simbolico, che fa Vulcano dio del fuoco. 2062. Fuochi di Castore e Polluce. — V. Ca
lla Terra, e concepite dal sangue di Saturno ; sebbene in altre opere del citato scrittore egli asserisca che esse erano fi
della Discordia e nate nel quinto della Luna. Eschilo le fa figliuole del flume Acheronte e della Notte, e le nomina Dire.
e colpe degli uomini, non solo nell’ inferno, con gli eterni castighi del Tartaro ; ma anche sulla Terra, ove esse straziav
gilio ne dipinge le orrende visioni cagionate dalle furie nella corte del re Latino, Tu puoi, volendo, armar l’un contra l
reste il cui animo fu lacerato in mille modi dalle Furie vendicatrici del suo matricidio. Non è strano che divinità cotanto
rdicesimo rione di Roma sorgeva il tempio consacrato alla dea Furina, del quale era custode un sacerdote eletto fra i quind
ina, del quale era custode un sacerdote eletto fra i quindici flamini del popolo chiamato Flamen furinalis. Vicino a questo
e collettivo di Furine alle Furie. 2065. Furinale. — Nome particolare del flamine sacerdote della dea Furina. V. l’ art. pr
sto soprannome la dea Giunone, particolarmente onorata in Gabia città del Lazio. Virgilio la chiama : Juno Gabina. 2070. Ga
a proposito di lei, che essendo la sua padrona tormentata dai dolori del parlo, Galantide fosse uscita per breve tempo dal
ll’animale, credendo che avesse sollevata Alcmena dagli atroci dolori del parto. La tradizione mitologica parlando del cast
mena dagli atroci dolori del parto. La tradizione mitologica parlando del castigo inflitto a Galantide dalla sdegnata regin
era anche per questa, che gli eroi avevano accesso in cielo. Al dire del citato scrittore, la via lattea era fiancheggiata
dei più potenti. Una splendida via nel ciel riluce : Candida si, che del latte s’ appella : La nobiltà del ciel vi si ridu
a nel ciel riluce : Candida si, che del latte s’ appella : La nobiltà del ciel vi si riduce, La plebe alberga in questa par
dal seno di Giunone allorquando essa, per consiglio di Minerva, nudrì del suo latte il piccolo Ercole, abbandonato in un ca
n copia, macchiando di numerosi punti bianchi l’incontaminato azzurro del cielo. Una tradizione popolare, confondendo il no
ualmente si fa, fra i due nomi di Galassia e di Galizia, i quali sono del tutto differenti nella loro etimologia. 2074. Gal
a, de’ prati più florita, Ed elevata più di nobil alno, Splendida più del vetro, d’ agnelletto Morbida più, più liscia di c
lime, più lucente Del ghiaccio, dolce più ch’ uva matura. Delle piume del cigno ancor più molle. E di rappreso latte ; e di
ori Mia genitrice. Ovidio — Metamorf. Libro XIII. — Fav. VIII. trad. del Cav. Ermolao Federico. La tradizione mitologica
III. trad. di Dell’ Anguillara Ma accortosi Polifemo della presenza del suo rivale e fatto conscio di quanto era avvenuto
elle. Lo persegue il Ciclope, ed abbrancata Una roccia che parte era del monte, La scagliava divelta, e benchè il masso So
ò sepolto intero. Ovidio — Metamorfosi — Libro XIII. Fav. VIII trad. del Cav. Ermolao Federico La parola Galatea deriva
nità, uno dei principali numeri degli Illei, antichi popoli abitatori del monte Etna in Sicilia, ove veniva adorato con un
a di questo bambino, consultò gl’indovini Galeoti per sapere la sorte del figlio ; ed essi le risposero che il fanciullo sa
; le quali davano la buona ventura e predicevano l’ avvenire. Al dire del citato scrittore, codeste incantatrici vendevano
prima che questo periodo di tempo fosse passato. Oltre a ciò, al dire del citato scrittore, i sacerdoti galli, avevano una
dei pagani. Si chiamò finalmente Gallo un giovine amico e confidente del Dio Marte, il quale lo poneva a guardia della sua
nte suo, da Vulcano marito di lei. Sdegnato Marte della poca solerzia del suo confidente, lo cangiò in quello animale che p
gnifica nozze, i greci davano questo nome a Giunone, come protettrice del talamo nuziale. Nel mese di Gennajo si celebravan
ve il nettare ministra. Ovidio — Metamorfosi — Libro X Fav. IV trad. del Cav. Ermolao Federico Codesta allegoria favolos
Gargaro. — Presso i pagani si dava questo nome alla più alta sommità del monte Ida, dove Giove aveva un tempio ed un altar
ltare a lui consacrati. Al dire di Omero, fu sulla più alta estremità del Gargaro, che Giove andò a posarsi onde essere tes
ne la grande venerazione che quei popoli tributarono a quest’animale, del quale fecero una delle divinità del loro culto, a
poli tributarono a quest’animale, del quale fecero una delle divinità del loro culto, adorandola assai di sovente sotto la
per nome Sanconiatone, riferisce che Ge fu figlia d’Ipisto, e moglie del proprio fratello Urano, che la rese madre di molt
il governo di Argo, allorquando Danao per sottrarsi alle persecuzioni del fratello Egitto, si ricoverò in quella città. Gel
i. — Il terzo fra i dodici segni sotto la cui configurazione, al dire del cronista Manilio, i pagani riconoscevano il dio A
i schiarimenti. 2099. Gentali. — Anche sul conto di questi altri numi del paganesimo, è discorde il parere degli scrittori,
inio ci fa tenere nelle sue opere dell’antichità ; cioè, che al tempo del paganesimo, dovevano esistere più numi e genii, c
a rivestito d’un manto bianco e con un cornacopia nella mano. Al dire del cronista Apulejo, i pagani ritenevano ancora che
avvenire l’altra pel passato ; il mese di Gennajo stando sul limitare del nuovo anno guarda in certo modo da una parte l’an
a delle configurazioni allegoriche più spiccate dei tipi mitologici e del linguaggio figurato del paganesimo. 2104. Geomanz
llegoriche più spiccate dei tipi mitologici e del linguaggio figurato del paganesimo. 2104. Geomanzia. — Dalle due parole g
le isole Sporadi, si celebravano dai greci delle altre feste in onore del dio Marte, a cui dall’isola istessa si dava la de
della Sicilia, in cerca della rapita Proserpina. Quando la dea stanca del lungo e faticoso cammino prese riposo nella capan
acedemonia, e che avevano la durata di tre giorni. Vicino al sepolcro del giovanetto Giacinto si vedeva una statua di Apoll
o i sacrifizi, mentre i giuochi furono istituiti e celebrati in onore del principe giovanetto, favorito del dio Apollo V. L
rono istituiti e celebrati in onore del principe giovanetto, favorito del dio Apollo V. L’articolo seguente. 2115. Giacinto
rza di gravità ricadeva sulla terra, Giacinto trasportato dall’ardore del giuoco corse per raccoglierlo, ma sventuralamente
n quel fiore che porta anche oggli lo stesso nome. Infatti dal sangue del morto spuntò un fiore del color della porpora, su
he oggli lo stesso nome. Infatti dal sangue del morto spuntò un fiore del color della porpora, sulle cui foglie era impress
lutto quelle note emblema : Ovidio — Metamorf : Libro X Fav V trad. del Cav. Ermolao Federico È questa almeno la tradiz
rimonie funebri in generale, e le esequie in particolare. Coll’andare del tempo si dette l’istesso nome di Gialemo alle can
V. Nenie. 2118. Gialmeno o Ialmeno. — Figlio della bella Astioche e del dio Marte. Fu uno degli eroi che più si distinse
ivisa fra questi due principi e che essi tenevano a vicenda le redini del loro governo. È detto ancora, che Saturno, per mo
anza, avesse dotato Giano di una rara prudenza, e lo avesse rivestito del doppio donativo di ricordare il passato, e di sap
io — I Fasti — Libro I. trad. di Giambattista Blanchi. Gli venivano del paro attribuite due facce, alludendo al potere ch
Ovidio — I Fasti — Libro I. trad. di G. B. Bianchi. Nelle cerimonie del culto di Giano, gli si facevano dei sacrifizi, in
to di Giano, gli si facevano dei sacrifizi, in cui gli veniva offerto del farro misto al sale, e del pane condito di mele.
o dei sacrifizi, in cui gli veniva offerto del farro misto al sale, e del pane condito di mele. Moltiplici erano i nomi e i
Teleste ebbe i natali. Ovidio — Metamorf. — Libro IX Favola X, trad. del Cav. ermolao federico. Giante era similmente il
monte Viminale, la quale i romani avevano ben chiusa all’avvicinarsi del nemico. Immantinenti però la porta si apri ad un
dell’erbe e delle piante : e ciò egli fece per prolungare l’esistenza del suo amatissimo genitore già vecchio ed infermo.
al de l’arti sue Più gli aggradasse, a sua scella gli offerse. Ei che del vecchio infermo e già caduco Suo padre la salute
a possanza, e l’uso Di medicare clesse, e senza lingua E senza lode e del futuro ignaro Mostrarsi in pria, che non ritorre
dizione narra che egli avesse fatto nei suoi stati innalzare in onore del dio, suo padre, cento templi, sulle cui cento are
rdini, cioè Priapo, Flora, Pomona e Vertunno. Fra le sette meraviglie del mondo antico, andavano annoverati i giardini pens
, che avendo l’oracolo predetto a Pelia, zio di Giasone ed usurpatore del trono, che sarebbe stato alla sua volta spogliato
sarebbe stato alla sua volta spogliato, da un principe degli Eolidi, del potere che aveva usurpato, Pelia perseguitò il pi
mal sofferendo di rimanere ancora nascosto nell’ombra e nel silenzio del suo ignorato ritiro ; mosse a consultare l’oracol
la restituzione di quel diadema che era paterno ed esclusivo retaggio del giovanetto. Giasone seguì alla lettera quanto gli
n cammino per alla volta di Jolco. Strada facendo giunse in vicinanza del fiume Anauro, o secondo altri Anavo, ma non potet
erverso, avendo osservato l’interesse che il popolo prendeva a favore del giovanetto, e sapendosi odiato, cercò di eludere
uovere alla volta della lontana e barbara Colchide, onde impadronirsi del famoso ariete dal vello d’oro, e portarlo in Grec
lchide, lo avrebbe pubblicamente assunto al trono di sua spettanza, e del quale gli avrebbe fatta piena restituzione. Giaso
no che si riprometteva di percorrere. Giasone, compiuti i preparativi del viaggio, riunì tutti coloro che erano accorsi per
i mariti gli avevano tutti ammazzati e regnando Isifile già figliuola del re Toante, Giasone avendo insieme con i compagni
andola incinta. Quelli è Jason, che per cuore e per seuno Li Colchi del monton privati fene Egli passò per l’isola di L
tto stranio cielo Quel che cercau gli eroi, gloria e periglio. Chiede del padre mio ! M’appar !.. Me misera : Crudeli Dei !
a salma… Soffro ! Ei parla !… E di subito a torrenti Dentro mi scorre del gioir la piena. Come un Nume in delirio m’avvolge
eggia, onde porre in opera quant’era necessaria a secondare le vedute del suo amante. Aete aveva imposto a Giasone alcune c
he egli riteneva insormontabili ; e quasi a farsi giuoco dell’audacia del giovane eroe, aveva prescritto che per avere il p
’audacia del giovane eroe, aveva prescritto che per avere il possesso del vello d’oro, avesse dovuto in un sol giorno, prim
ri, i quali avevano i piedi e le corna di bronzo, e che erano un dono del dio Vulcano : quindi attaccarli ad un aratro di d
a, bisognava combattere ed uccidere il dragone mostruoso che vegliava del continuo alla difesa del prezioso deposito. Giaso
d uccidere il dragone mostruoso che vegliava del continuo alla difesa del prezioso deposito. Giasone sicuro dell’appoggio d
ò con una bevanda incantata, preparata da Medea stessa, e profittando del souno del terribile nemico, lo uccise, s’impadron
bevanda incantata, preparata da Medea stessa, e profittando del souno del terribile nemico, lo uccise, s’impadroni del prez
e profittando del souno del terribile nemico, lo uccise, s’impadroni del prezioso vello, e quindi, presa con sè Medea, s’i
o a Joico si presentò a Pelia, onde pretendere da lui la restituzione del trono paterno, che ora gli era doppiamente dovuto
questo d’aver mezzo di ringiovanirlo, e indusse le proprie figliuole del re, ad uccidere il genitore, persuadendole che lo
ompì qualche anno dopo, imperocchè riposando un giorno sulla spiaggia del mare, all’ombra di quella nave già tirata a secco
di quella nave già tirata a secco, una grossa trave cadde dalla tolda del vascello e fraccassò il cranio del dormente. Gias
una grossa trave cadde dalla tolda del vascello e fraccassò il cranio del dormente. Giasone dopo la morte fu venerato come
’allegoria mitologica di questo Gehud favoloso ; e la bibblica figura del patriarca Abramo che al cenno di Jehova si accing
one, Mercurio cangiò in sparviere, sdegnato che egli avesse col suono del suo flauto rotto il sonno di Argo, al momento ist
πος sacro, e ϰεραξ corvo, si dava questo nome ai ministri o sacerdoti del dio Mitrà, perchè essi avevano il costume di rive
di piante, di strumenti, e più sovente ancora delle differenti membra del corpo umano. Queste ultime anzi furono le figure
ci, non solo per le diverse attitudini ed usi delle differenti membra del corpo dell’uomo ; quanto per la moltiplicità di e
econdo altri ad Ecate. Essi Vano ad un ordine distinto fra i ministri del culto religioso di Atene, ed erano destinati part
ali presiedevano alla spiega dei misteri religiosi, ed alle cerimonie del culto. Altri vogliono invece che quest’appellazio
stirpe Strutto non fosse. OVIDIO — Metamorf : Libro I. Fav. IV. trad. del Cav. ERMOLAO FEDERICO. E qui cade in acconcio di
questi spaventati fuggirono chi in questa e chi in quell’altra parte del globo, sotto la figura di animali diversi. ……..
Cilleneo sotto le penne. Ovidio — Metamorf : Libro V. Fav. Iv. trad. del Cav. Ermolao Federico. Un’antica tradizione narr
ebbe potuto mai sconfiggerli, se un mortale non fosse venuto in ajuto del sommo Gione. Allora fu che Pallade Minerva, veden
fisse i Giganti a colpi di fulmini, precipitandone porzione nel fondo del Tarlaro e seppellendone altri sotto il monte Etna
Tifeo Gli perseguisse. Ovidio — Metamorfosi — Libro V Fav. IV trad. del Cav. Ermolao Federico E qui, a proposito di que
za ; e che il gigante Ariade, il cui cadavere fu trovato sulle sponde del fiume Oronte, ne aveva cinquantacinque ; e che fi
misura di liquido, e che era la più grande da essi adoperata. Al dire del cronista Flegone, furono ai suoi tempi, rinvenuti
polcro, lungo cento cubiti, entro il quale era stato deposto il corpo del gigante Macrofiride. Plinio asserisce, che essend
u trovato un cadavere lungo quarantasei cubiti ; e finalmente al dire del cronista Solino, fu mostrato al proconsole romano
ale romano, impadronito della città di Tingi, fece aprire il sepolcro del gigante Anteo, e avendone fatto misurare il corpo
l Boccaccio nella sua Genealogia degli dei, scrive che in una caverna del monte Erice, in Sicilia, fu rinvenuto il corpo di
appena toccato si ridusse in polvere, meno tre denti, ed una porzione del cranio, che furono portati nella città di Erice,
, ove regnava perpetua la notte. Gige era anche il nome di un pastore del re di Lidia per nome Candaule, del quale la crona
ge era anche il nome di un pastore del re di Lidia per nome Candaule, del quale la cronaca mitologica narra uno strano avve
uisa di porte. Avendo aperta una di quelle, rinvenne chiuso nel corpo del cavallo lo smisurato cadavere di un uomo, che ave
e morire lo stesso Candaule, suo sovrano, e giunse a rendersi padrone del regno. Le cronache dell’antichità aggiungono che
quale fu favorevole a Gige, per il che egli restò pacifico possessore del trono. Qualche tempo dopo questo avvenimento, Gig
antichi popoli della Scizia Europea, i quali dimoravano sulle sponde del fiume Tanai. Seguendo l’opinione del citato scrit
i quali dimoravano sulle sponde del fiume Tanai. Seguendo l’opinione del citato scrittore, questi popoli furono sconfitti
Amazzoni in una battaglia che combatterono contro di esse sulla riva del Termodonte. Rimaste vincitrici, le Amazzoni impos
vi prendevano parte, erano nudi, per essere più liberi nei movimenti del corpo. Da principio i giuochi Ginnici non venivan
, ballavano durante i sacrifizi delle feste in ouore d’Apollo. Al dir del cronista Ateneo, era questa una specie di danza b
i filosofi, i quali facevano professione di rinunciare a tutti i beni del mondo, e darsi esclusivamente alla contemplazione
el disprezzo dei beni della fortuna ; e nell’abborrimento dei piaceri del senso. Nelle antiche tradizioni indiane, è scritt
2157. Gioeasta. — Moglie di Lajo, re di Tebe. Per volere inevitabile del destino fu moglie di Edipo, che era nell’istesso
gedia trad. di F. Bellotti. Secondo Euripide invece, ella più forte del destino sopravvive al suo dolore ; resta in Tebe,
ecipitarsi nella Notte. Aveva nelle mani le redini di uno dei cavalli del carro di Diana, ossia la Luna, per significare ch
avalli del carro di Diana, ossia la Luna, per significare che all’ora del Crepuscolo serale, suole abitualmente levarsi la
lo, come uno dei più infelici giorni, il quinto di ogni mese. Al dire del citato scrittore, nel 5.° giorno di ogni mese le
eorgiche, si attiene alle istesse idee, dicendo che nel quinto giorno del mese erano nate le Furie e l’Orco ; e che la terr
rto, il settimo, l’ottavo, il nono, l’undecimo e il dodicesimo giorno del mese, erano ritenuti come fortunati. Tito Livio r
i come giorni felici o infelici, a seconda degli avvenimenti. Al dire del sudetto scrittore, questa superstiziosa credenza
mani per aver questi, quando combatterono contro i Galli sulle sponde del fiume Allia, fatto un sacrifizio nel giorno dopo
itava la superstiziosa credenza dei romani riguardo ai diversi giorni del mese. Infatti gli scritti dell’antichità rivelano
molti che disprezzavano coteste ridicole credenze, riguardo ai giorni del mese. Così la storia ci ammaestra della bella ris
saggio e onnipossente, E degli uomini padre e degli Dei : Tu provvida del mondo anima e mente : Tu regola dei casi o fausti
i gli altri suoi figliuoli, se Rea, non avesse dato al marito, invece del pargoletto Giove, una pietra ravvolta nelle fasci
IV a Émilie sur la Mythologie. Esse lo allevarono facendolo nutrire del latte della capra Amaltea ; mentre i Cureti o Cor
ea, la quale avea loro imposto di soffocare colle loro grida i vagiti del neonato, affinchè Saturno non avesse avuto mai so
dei suoi fratelli, pensò di detronizzare il padre, onde impadronirsi del regno dell’ universo ; ed avendogli la Terra pred
ad. di DIGNIGI STROCCHI. Restò così per alcun tempo pacifico signore del mondo ; finchè i Giganti non tentarono di dare la
soluto di tutto, sebbene sottomesso anch’ egli alla legge inevitabile del Destino V. DESTINO. Il culto di Giove e i misteri
i sacrificavano a Giove, erano la pecora, la capra ed il toro bianco, del quale si doravano le corna prima del sacrificio.
ora, la capra ed il toro bianco, del quale si doravano le corna prima del sacrificio. Similmente venivano a lui offerte la
ssente divinità, ove mai non venivano svenate vittime umane, bruciava del continuo l’ incenso più prezioso. Al dire di Paus
rudele non fu seguitato, e le are di Giove rimasero, sino alla caduta del paganesimo, monde di umano sangue. Ovidio dice ch
Intorno al foco sottoposto. OVIDIO — Metamorf.. Libro I Fav. V. trad. del Cav. ERMOLAO FEDERICO. Fra gli alberi, l’ulivo e
pienezza delle sue fisiche qualità ; con folta barba scendente a metà del petto ; colle spalle larghe e quadrate ; seduto s
un’aquila con le ali spiegate. La tradizione aggiunge che al muovere del suo capo divino, tremasse il mondo. egli dal seg
do. egli dal seggio Più sublime, appoggiato in sull’eburneo Scettro, del capo la tremenda chioma Squassò tre volte e quatt
mare E stelle ne tremaro : OVIDIO — Metamorf : Libro I Fav. V. Trad. del Cav. ERMOLAO FEDERICO. I più accreditati mitolog
a, perchè il trono sul quale egli era seduto, dimostrava la stabilità del suo potere : l’aver egli la parte superiore del c
mostrava la stabilità del suo potere : l’aver egli la parte superiore del corpo denudata, significa ch’egli era visibile al
egli ascoltava le preghiere degli uomini, qualunque si fosse la parte del mondo da essi abitata. Per contrario gli abitanti
accogliere benignamente i voti e le preghiere di tutti. A somiglianza del largo ed esteso numero delle mogli e dei figliuol
filosofi e i cronisti dell’antichità hanno parlato, nelle loro opere, del Giove pagano assai diversamente di quello che han
asseriscono che vi fossero stati più di un Giove. Secondo l’ opinione del cennato scrittore, nell’Arcadia si riconoscevano
o scrittore, nell’Arcadia si riconoscevano due Giovi, l’uno figliuolo del Cielo, e padre di Minerva, dea della saggezza ; e
o per padre Saturno. La tradizione mitologica, appoggiando l’opinione del classico scrittore sopra cennato, ripete che dei
nascondere la origine di lui, lo dissero figliuolo dell’Etere, ovvero del Cielo, lo chiamarono Giove, e ne fecero la prima
nno confuso con Cam, figliuolo di Noè. Da questa prima configurazione del Giove pagano, ne venne poi che ogni popolo dell’
persi per tutta la terra, avessero indefinitivamente esteso i confini del loro impero ; il quale non solo abbracciava la Tr
nti lettere sulle quali essi andavano a cadere, si cavava il presagio del futuro. La parola Giromanzia deriva dal greco ύρο
o — Conosciuto più comunemente sotto il nome di Ascanio, fu figliuolo del famoso Enea. Secondo Virgilio, nella notte in cui
lia, e in alto onor locata, Perchè nacqui sorella e perchè moglie Son del re degli Dei. OMERO — Iliade — Libro IV. trad. di
IV. trad. di V. MONTI. Gli abitanti di Samo, e quelli di Argo, erano del continuo in dissenzione fra di loro, perchè si di
tor, che présami da Rea, Quando sotto la terra e le profonde Voragini del mar di Giove il tuono Precipitò Saturno, mi nudri
sono di opinione che Giunone fosse stata allevata dalle tre figliuole del fiume Asterione, conosciute sotto il nome di Pors
— secondo asserisce Diodoro — nel territorio dei Gnassi, sulle sponde del fiume Tereno, ove, al dire del citato scrittore,
el territorio dei Gnassi, sulle sponde del fiume Tereno, ove, al dire del citato scrittore, si vedeva ancora ai suoi tempi
none contendeva sovente con Giove, e questi non solamente l’ingannava del continuo, assumendo moltiplici e differenti aspet
ata dalla gelosia, avesse più d’una volta contracambiato i tradimenti del marito, con altrettanti oltraggi conjugali, dando
forse vi sarebbe riuscita, se Teti Nereide, non avesse avvisato Giove del pericolo, e chiamato il gigante Briareo a difende
ericolo, e chiamato il gigante Briareo a difenderlo. La sola presenza del terribile Centimano V. Briareo — valse ad arresta
lenni di tutto il paganesimo, sparso e riconosciuto in tutte le parti del mondo autico. Il racconto dei pretesi prodigi da
one deriva dalla parola latina juvare, a simiglianza della etimologia del nome di Giove, che deriva da juvans pater. V. Gio
ccupati in questi esercizi, che sviluppano così potentemente le forze del corpo, procurando a questo una sanità vigorosa e
iuochi di Cerere detti anche Cereali, V. Cereali, i Giovenali, quelli del Circo ecc. ecc. e finalmente i giuochi detti Nero
l’Iliade, ci descrive i giuochi funebri celebrati da Achille in onore del morto amico Patroclo, e l’istesso autore ci ha ne
lestra, al cesto, a l’arco. Ognun vi si prepari, ognun ne speri Degna del suo valor mercede e palma. Virgilio — Eneide — Li
Pe’larghi dossi e per le coste i lividi Rosseggianti di sangue. Ambi del tripode A tutta prova la conquista agognano, Ma n
uò mai l’altro dismuovere E atterrarlo, nè il puote il Telamonio, Che del rivale la gran forza il vieta. Gli Achei nojando
nvito : Nobile figlio di Laerte, in alto Sollevami, e sollevo io te : del resto Abbia Giove la cura. E cosi detto, L’abbran
i stessi facevano per le acque stigie, che avendo la Vitto ria figlia del fiume Stigie, soccorso Giove nella guerra contro
he gli spergiuri venivano immediatamente puniti ; e tanto che al dire del cennato scrittore, vi sono state delle persone co
ripete che la giustizia figlinola di Giove stava nel cielo sul carro del padre suo, al quale dimandava vendetta contro gli
hiese dei suoi favori ed ella aderì volentieri volentieri alle voglie del suo amante immortale ; il quale in premio dei fav
ntento, e vedendo che Enea incalzava da vicino Turno, montò sul carro del fratello, e lo sottrasse alla vista del suo nemic
vicino Turno, montò sul carro del fratello, e lo sottrasse alla vista del suo nemico. Ma tutto ciò non valse ad impedire il
Gli fa gir legati Con le man dietro, i destinati a morte Per onoranza del funereo rogo. Virgilio — Eneide — Libro XI trad.
prestanti figli De’magnanimi Teucri, e sulla pira Scagliandoli, destò del fuoco in quella L’invitto spirto struggitor, che
se………… Omero — Itiade — Libro XXIII trad. di V. Monti. Coll’ andare del tempo questo barbaro uso, fu seguitato ; e ai fun
do dei più importanti. Glauco avea nome uno dei figliuoli d’Ippolito, del quale la tradizione racconta, che essendo caduto
ell’amo adunco. Sembra menzogna il fatto : (ma qual frutto Io m’avrei del mentir) ? toccando l’erba, Si diero ad agitarsi i
ai per entro all’onde. Con ceremonie di compagno, accolto Fui da’numi del mare. Ond’io m’andassi Sciolto da tutte qualitadi
ad ogni prova. Ovidio — Le Melamorfosi — Libro XIII, fav. IX Traduz. del Cav. Ermolao Federigo. Egli veniva adorato sotto
uello che servi di scorta agli argonauti, quando mossero al conquisto del vello d’oro V. Argonauti. Ancora di un altro Glau
’Ippoloco ; e come uno dei comandanti dei Licii, che sotto gli ordini del famoso Sarpedone, soccorsero i Trojani nell’assed
, e generosi sproni M’aggiunse di lanciarmi innanzi a tutti Nelle vie del valore, onde de’miei Padri la stirpe non macchiar
dio marino, di cui parlammo più sopra. Egli si rese celebre nei fasti del paganesimo, per la sua destrezza e per la sua for
destrezza e per la sua forza ; cosa che gli valse più volte gli onori del premio nei giuochi Ginnici. Narra la tradizione c
coraggio di Glauco, il quale ebbe il premio della lotta. Con l’andare del tempo egli fu vittorioso otto volte nei giuochi N
ale raffigurava l’universo. Sulle antiche medaglie portanti l’effigie del sovrano che le avea coniate, si vedeva spesso un
del sovrano che le avea coniate, si vedeva spesso un globo nella mano del principe, come simbolo della sua potenza. 2187. G
e modo il fatto che si rapporta a questo nodo così chiamato. Il padre del fameso Mida, re di Frigia, aveva un carro, il cui
gliato il nodo ; si ritrasse con tutto il suo seguito, come se avesse del tutto compiuta la predizione ; cosa che fu confer
ispira sempre un volto sereno e giovanile, Gordio le palesò il motivo del suo viaggio, e quella fanciulla, che era della sc
anetta che volesse accompagnarsi con lui, onde insegnargli la formola del sacrificio. Essa accondiscese al suo desiderio, e
u di un carro. Mentre gli abitanti della Frigia stavano in attenzione del compimento dell’oracolo, videro andare alla loro
sul quale avea fatto il viaggio. 2190. Gorgizione — Uno dei figliuoli del re Priamo, e della bellissima Castianira, la qual
al di là dell’oceano, vicino alla dimora della Notte, alla estremità del mondo. Secondo la tradizione favolosa, a cui si a
ono su tre isole dell’Oceano, e che alla sopraintendenza degli affari del loro governo, non avevano che un solo ministro, d
li, che facevano il traffico sulle coste dell’Africa, ove scaricavano del continuo oro, pietre preziose, denti di elefante,
Stanno sui monti a ber l’aura di Zefiro ; E meraviglia a dir ! mercè del vento E non d’altri imenei gravate il fianco Fugg
coli che vi si trovavano. Riferisce Omero che ivi pascevano i cavalli del carro del Sole. 2196. Gracco — Gracco Tiberio, pa
i si trovavano. Riferisce Omero che ivi pascevano i cavalli del carro del Sole. 2196. Gracco — Gracco Tiberio, padre dei du
marino altro non crano che la personificazione mitologica delle onde del mare, le quali biancheggiano di spuma, appena si
e figliuole di Giove e di Eunomia, ninfa Oceanina ; altri come figlie del Sole e di Egle ; altri di Giove e di Giove e di G
i che il mezzo più efficace a persuadere è quello di piacere. Al dire del citato scrittore, le Grazie facevano parte del se
lo di piacere. Al dire del citato scrittore, le Grazie facevano parte del seguito di Venere, dea degli amori ; e venivano r
mirto, e la terza finalmente una freccia. Questa è almeno l’opinione del citato scrittore ; quantunque altri cronisti suoi
no le Grazie come vergini ; sebbene Omero ne dà una per moglie al dio del Sonno ed un’altra a Vulcano. Un uso assai strano
questa singolare costumanza, volevano forse gli antichi ammaestrarci del come non si debba prestar fede alle apparenze ; c
Paros, una delle Cicladi, avevano similmente un tempio alla custodia del quale sopraintendeva un sacardote, la cui durata
e le tre Grazie fossero le dispensatrici dell’allegria, della sanità, del benessere, della eloquenza e perfino della gratit
ta la Grecia antica, avendo soccorsi d’aiuti è di danaro gli abitanti del Chersoneso, in una grave congiuntura in cui versa
alla riconoscenza. Finalmente, secondo asserisce Macrobio, le statue del dio Apollo si scolpivano sempre aventi nella sini
3. Grifone. — Uno dei tanti mostruosi animali, di che la mitologia fa del continuo menzione. Secondo la cronaca, questo ani
menzione. Secondo la cronaca, questo animale era nel fisico un misto del leone e dell’aquila ; aveva una lunghissima coda,
audacia ; il becco uncinato d’aquila, la prudenza. I greci e i romani del paganesimo non ebbero essi l’idea primitiva dei G
configurazioni fisiche di leone e di aquila, unite insieme nel corpo del Grifone, esprimevano il concetto più alto della d
amo che il Grifone si trova come uno degli attributi di Apollo, ossia del Sole ; e veniva sovente consacrato a Giove stesso
la sua vittoria contro il Minotauro V. Teseo, Minotauro. Coll’andare del tempo questa danza fu eseguita anche nella città
eseguivano guivano ballando, figurassero i numerosissimi andirivieni del Labirinto, ove Teseo uccise il mostro. 2207. Guad
sì avea nome un piccolo fiume, che metteva foce nel golfo di Cadice e del quale i pagani avevano fatto il loro Lete le cui
dei loro Penati. Si vuole che Romolo li avesse istituiti in occasione del parto di una scrofa, che dette alla luce trenta p
ritenuti come i fondatori della loro religione. Un’antica tradizione del paese, diceva, che il profeta Ud avesse fatto abb
inque dei Gahi, e propriamente quello che presiedeva alla prima parte del giorno, vale a dire nell’inverno, dalla levata de
a alla prima parte del giorno, vale a dire nell’inverno, dalla levata del sole fino alle 3 del pomeriggio ; ed in estate de
l giorno, vale a dire nell’inverno, dalla levata del sole fino alle 3 del pomeriggio ; ed in estate del sorgere del sole fi
erno, dalla levata del sole fino alle 3 del pomeriggio ; ed in estate del sorgere del sole fino a mezzodi. Nei libri Zendi,
levata del sole fino alle 3 del pomeriggio ; ed in estate del sorgere del sole fino a mezzodi. Nei libri Zendi, Havan viene
Hell. — Idolo adorato un tempo in Sassonia, e propriamente sulle rive del flume Fromo, nella contea di Dorset. Sono ben poc
Heriafadur. — Fu da principio un re guerriero degli Asi. Coll’andare del tempo, e probabilmente dopo la morte di lui, il n
adizione favolosa dei cinesi, si dà questo nome al secondo successore del famoso Fo-Hi, fondatore della monarchia di mezzo.
ando egli entrò trionfante nella città, annientando tutte le vestigie del culto. 2224. Hopamè. — Divinità suprema del Tibet
entando tutte le vestigie del culto. 2224. Hopamè. — Divinità suprema del Tibet, nella cui lingua significa splendore infin
a tradizione, Hopamè regnava solo ed indivisa nella parte occidentale del mondo. I 2225. Ibi. — Uccello tenuto in gra
esta un tal rimedio, a cui si piega, con assai facilità, la lunghezza del suo becco e del suo collo. Nei ruderi dell’antico
dio, a cui si piega, con assai facilità, la lunghezza del suo becco e del suo collo. Nei ruderi dell’antico Egitto, si trov
o il suo tesoro, per modo che Ulisse, stanco della tenace importunità del vecchio, arrestò i cavalli e disse alla moglie ch
ionata, Penelope si copri il volto col velo, e volgendosi dalla parte del marito, non disse parola. Icario allora, interpet
di lei, lasciolla andar col marito ; e in memoria di questo fatto, e del casto rossore che avea veduto sul volto della fig
Icaro spinse l’audace suo volo troppo oltre le nubi, così che i raggi del sole, saettando caldi ed infuocati le spalle del
bi, così che i raggi del sole, saettando caldi ed infuocati le spalle del temerario giovanetto, liquefecero la cera per mod
Libro VIII, trad. di dell’Anguillara Da questo fatto, quella parte del mare Egeo fu detto mare Icario. La tradizione mit
egnò l’arte di coltivare le viti e di fare il vino. Icaro con l’andar del tempo insegnò l’istessa arte ad alcuni pastori de
ελυς simile ; e ειϰω rassomiglio. Si dava questo nome ad un figliuolo del Sonno, fratello di Fantoso e di Morfeo. Riferisce
quali somigliava con una perfezione incredibile. Da cio l’etimologia del suo nome Icelo come dio, e Fobetore come uomo V.
ha l’istinto di distruggere i coccodrilli che infesterebbero le rive del Nilo senza di lui. Scrive il citato autore, che l
tore, che l’Icneumone, dopo essersi avvoltolato nel fango profittando del momento in cui il coccodrillo dorme con la bocca
ibro II. Trad. di V. Monti. Un’antica cronaca dice anche a proposito del monte Ida, che essendo una volta caduto del fuoco
ca dice anche a proposito del monte Ida, che essendo una volta caduto del fuoco dal cielo, poco tempo dopo il diluvio di De
i quella montagna, osservarono che il ferro essendosi fuso pel calore del fuoco, scorreva liquefatto. Essi appresero da que
parente di Giasone, lo seguì nella Colchide per la famosa spedizione del Vello d’oro. Ida prese anche parte alla caccia de
famosa spedizione del Vello d’oro. Ida prese anche parte alla caccia del cinghiale di Calidone. Riferisce Omero, che Ida a
rabone, che si dava il soprannome di Dattili Idei, ai primi abitatori del monte Ida, e a tutti i discendenti di quelli. 223
ote, perchè egli, avea voluto a forza togliere ad Atalanta le spoglie del cinghiale di Calidone — V. Meleagro. 2239. Idi. —
vascelli, e si distinse in più di un fatto d’arme, per l’intrepidezza del suo valore. Il gran mastro di laurta Idomeneu Gu
rebbe allo sguardo, nel metter piede nell isola nativa. Nettuno, pago del voto cruento, fece all’istante calmare la tempest
porto. Ma ben presto l’incauto guerriero ebbe a pentirsi atrocemente del voto disumano ; imperocchè la prima persona che g
oprio figliuolo, l’unico suo figliuolo, il quale avvisato dell’arrivo del re, era corso con trasporto d’amore, a dare al pa
re, era corso con trasporto d’amore, a dare al padre diletto il bacio del ritorno. A lingua umana non è concesso descrivere
o figliuolo. Indarno però la voce dell’amore pa terno parlò all’anima del fanatico religioso i miti e soavi sensi della pat
meneo risolvè d’immolare il proprio figliuolo sulle are sanguinolenti del dio del mare. Fra gli autori antichi ve ne ha mol
solvè d’immolare il proprio figliuolo sulle are sanguinolenti del dio del mare. Fra gli autori antichi ve ne ha molti i qua
ni e gl’Innalzarono eroici monumenti. Tale non è per altro l’opinione del cronista Diodoro, il quale asserisce nelle sue cr
ile, che una sola goccia di esso, applicato su di una parte qualunque del corpo, cagionava istantaneamente la morte. Le cro
servì per tutta la vita. 2248. Idullo. — Così si chiamava la vittima del sacrificio, che si offeriva a Giove negli idi d’o
d’ogni mese. 2249. Ifi. — Padre di Eteoclo e di Evadne, che fu moglie del famoso Capaneo. Allorquando Evadne fuggì segretam
nte onde andare a morire sul rogo stesso, che dovea divorare il corpo del suo diletto consorte, caduto sotto le mura di Teb
l’alto di una rupe, ove colle lagrime agli occhi, la supplicò in nome del suo amore paterno a far ritorno presso di lui. Ma
presso di lui. Ma Evadne sorda, per disperato dolore, alle preghiere del vecchio genitore, si precipitò sotto i suoi occhi
ghiere del vecchio genitore, si precipitò sotto i suoi occhi sul rogo del marito, per morire con lui. Ifi fuori di sè alla
ise una notte il letto di Patroclo, quando questi si recò nella tenda del suo amico Achille. Dormi Patroclo in altra parte
efte, di cui parla la sacra bibbia, avessero preso l’idea configurata del sacrificio d’Ifigenia. Ifianassa, secondo Sofocle
e con quel devoto e castigato contegno, che imponeva la divina maestà del luogo ; avessero mostrato un sacrilego disprezzo
ii, onde placare lo sdegno della dea. Tolta così questa prima ragione del male, venne facilmente a capo, con la protezione
gione del male, venne facilmente a capo, con la protezione di Apollo, del suo intento, ed infatti, poco tempo dopo, ridonat
ta completamente la salute alle reali inferme, Melampo divenne genero del re. 2251. Ificlo. — Fu figlio di un re di Tessagl
ni. Ificlo eseguì alla lettera le istruzioni di Melampo e coll’andare del tempo divenne infatti padre di varii figliuoli, f
va l’impossibilità ; ma finalmente stretta dalle continue ingiunzioni del marito, nè sapendo qual’altro pretesto trovare, o
e si recò in un tempio in compagnia di Ifide, onde implorere l’ajuto del cielo. Infatti dopo avere per qualche tempo prega
na madre si accorse che Ifide camminava più spedito ; che il colorito del suo volto, lasciando quella tinta rosea propria d
pur ora eri donzella. Ovidio — Metamorf. — Libro IX Favola X, trad. del Cav. Ermolao Federico. Ifide stessa altamente co
moderni ci hanno tramandato su questo nome conosciutissimo nei fasti del paganesimo. Plutarco, Pausania e molti altri scri
figliuola. e come tale la fece allevare in Argo, nella propria corte del consorte Agamennone. Venuto questi coll’andar del
nella propria corte del consorte Agamennone. Venuto questi coll’andar del tempo a conoscenza delle cosa non vide mai di buo
a dal Racine, nella sua Iphigénie, che è una delle più belle tragedie del teatro tragico francese ; e dove chiama Erifile,
o brevemente la tessitura storica, valendoci di essa come esposizione del fatto. Trattenuta l’armata greca nel porto di Aul
F. Bellotti. Agamennone stette lungamente sospeso tra il compimento del proprio dovere come re e come guerriero ; e la te
det suo cuore di padre ; ma finalmente il pensiero della grandezza e del benessere della patria, trionfò in lui ed egli co
iceva, Achille voleva sposarla. Clitennestra prestò fede allo scritto del re e si pose immediatamente in viaggio, con l’ama
si pose immediatamente in viaggio, con l’amata figliuola, alla volta del campo greco ; ma appena giuntavi le fu palesato i
enia, il poeta greco ce la presenta da principio atterrita alla vista del terribile destino che le era preparato ; implorar
sommissione ; e Agamennone persuade alla regina e a tutti i testimoni del fatto maraviglioso, che Ifigenia fosse stata tras
e corpo E d’egregia figura, e lo cui sangue Tutta cosparsa avea l’ara del nume Euripide — Ifigenia in Aulide — Tragedia tr
ampo greco, avesse fatto credere che Diana, placata dalla sommessione del padre e della figlia, si sarebbe contentata del s
ata dalla sommessione del padre e della figlia, si sarebbe contentata del sacrificio di una cerva invece di quello di Ifige
a lettera falsificata in cui era scritto, contraffacendo la scrittura del re, di lasciar partire la figlia Ifigenia per all
crittura del re, di lasciar partire la figlia Ifigenia per alla volta del campo greco ; ove la giovanetta sarebbe senza dub
va, ella fu inviata in Tauride nella Scizia ove fu fatta sacerdotessa del tempio, e dove per doveri della sua carica l’era
o d’iniziare le vittime umane, che doveano sacrificarsi alla divinità del luogo, e di prepararle al sacrifizio ; mentre l’a
col pretesto di una cerimonia espiatoria, che dovea farsi sulle rive del mare, s’imbarca, con Oreste e Pilade portando sec
orò perdutamente di lei, e la rese madre di due giganti, che dal nome del loro supposto padre, furono detti Aloidi. Vedi qu
do un giorno con sua madre a celebrare i misteri di Bacco, sulla riva del mare, entrambe furono rapite da alcuni corsari tr
favoriti. 2255. Ifito. — Re dell’Elide, che si rese celebre nei fasti del paganesimo, per aver ritornato in vigore la celeb
to la figura di una donna giovane ed imponente d’aspetto ; coi tratti del volto d’una bellezza regolare e severa ; con una
da qualche belva. La cronaca della favola ripete invece, che le ninfe del luogo, innamorate della stupenda bellezza del gio
te invece, che le ninfe del luogo, innamorate della stupenda bellezza del giovine Ila lo avessero rapito. Ercole intanto ch
per ricercarlo facendo risuonare gli echi di quelle rive abbandonate del nome mille volte ripetuto dell’amico carissimo :
Ilaria e Febea. — Queste due giovanette si son rese celebri nei fasti del paganesimo per il ratto che Castore e Polluce fec
mbino ancora nelle fasce ; e conoscendo, per prova, il perverso animo del marito, fece passare Difilo figlio di Polinnestor
madre, presiedesse al doloroso mistero dello sgravo. Durante i dolori del parto, le donne facevono dei sacrifizi a questa d
aggio re avesse promulgata codesta legge, per avere esatta conoscenza del numero dei cittadini romani. 2268. Ilo. — I croni
lo incaricò di portare alla madre le sue imprecazioni. Ilio informato del funesto errore, in cui Deianira era caduta ad ist
formato del funesto errore, in cui Deianira era caduta ad istigazione del perverso Centauro, scusò la madre presso di Ercol
re, che con gran pompa si celebravano una volta l’anno sulla spiaggia del mare ; e siccome a quelle feste intervenivano tut
enivano tutte le dame ateniesi, così Imene seppe che anche la diletta del suo cuore si sarebbe recata alle feste e spinto d
e feste. Infatti egli pose ad esecuzione il suo disegno e con l’ajuto del travestimento e della sua fisonomia dolce ed imbe
cominciate e Imene assaporava la felicità di star vicino alla diletta del suo cuore, una mano di corsari piombarono improvv
loro preda si dettero in braccio al riposo. Imeneo allora profittando del sonno dei rapitori propose alle sue compagne di a
ce lo stesso fatto, aggiunge che appena Imero si fu anneganelle acque del fiume che poi prese il suo nome, uscisse dalle on
ne asseriva che le api di quella montagna avevan cibato Giove bambino del loro miele ; e che in ricompensa di ciò, il padre
egli uomini. Secondo la cre naca favolosa, erano figlie della Notte e del fiume Acheronte. Esse venivano sovente confuse co
resso i pagani come un animale senza pudore. 2276. Inace. — Fondatore del regno di Argo e stipite fondamentale degli Inachi
uovo letto al fiume Anfileo, cangiò questo col pr oprio nome. Al dire del citato autore, e se condo riferisce la tradizione
o. A giudici della contesa furono chiamati Inaco, ed altri due fiumi, del paese e questi di comune accordo giudicarono in f
ui i più ricordati sono Foraneo ed Io. 2277. Inarima. — Piccola isola del mar Tirreno conosciuta oggi sotto il nome d’Ischi
quale un bel giorno fu rubata serza che si potesse scoprire l’autore del furto. Narra la cronaca che il poeta Sofocle, ebb
ndosi lo stesso sogno ripetuto per tre notti di seguito, all’indomani del terzo giorno si presentò al tribunale dell’Areopa
duta la vita in una battaglia, contro Mezenzio, combattuta sulle rive del fiume Numico, il corpo di lui non si potè più rin
e misteriosa, la quale per mezzo di assiduo studio sugli avvenimenti del passato, procurava di scoprire l’avvenire, e quan
doperavano il terreno e finalmente di Piromanzia, quando si servivano del fuoco. Oltre a queste principali specie di divina
llo Inferno dalla parte della penisola Achenesiade, vicina ad Eraclea del Ponto. Virgilio asserisce, che Enea discese nei r
a che conduceva all’Inferno, era brevissima, ond’è che i concittadini del celebre scrittore, non avevano la costumanza adot
’Inferno. Plutone e sua moglie Proserpina, avevano lo impero assoluto del regno delle ombre, e Eaco, Minosse e Radamanto, g
i, avevano largamente popolata la religione pagana. Nel primo entrar del doloroso regno Staano il Pianto, l’Angoscia e le
rco. Ella trattò con vero cuore di madrigna, Elle e Frisso, figliuoli del primo letto di suo marito ; e tanto che, sapendo
tto di primogenitura, sarebbe a questi spettato di succedere al trono del padre loro, a detrimento dei propri figliuoli, pe
così quando si cercò il modo di far cessare la carestia, i sacerdoti del maggior tempio di Tebe, subornati dall’oro della
rte di Semele, perseguitò Ino, sorella di quella, per aver preso cura del piccolo Bacco, figlio di Giove e di Semele ; e gi
in un accesso di questa abberrazione schiacciò contro il muro il capo del proprio figliuolo Learco. Tosto in mezzo alla re
nte le infantili membra. Ovidio — Metamorf — Libro IV Fav. VII trad. del Cav. Ermolao Federico Ino quasi pazza alia vist
e sapere da lei quale sarebbe per essere il proprio destino, e quello del figlio suo ; e Carmenta, invasa dello spirito div
enere, ricevè Ino e il figliuolo Melicerta fra le divinità secondaire del suo regno. V. Leucotoe e Matuta. 2287. Intereidon
nsieme a Deverra e Piluno, per essere protette contro le persecuzioni del dio Silvano. Non si saprebbe in verità dare una s
si raggiri dei sacerdoti pagani, i quali si avvalevano dell’ignoranza del popolo, come han fatto i sacerdoti di tutti i tem
edema il suo castigo. Ovidio — Metamorf. — Libro II. Fav. XII. trad. del Cav. Ermolao Federico. 2291. Invincibile. — Era
brate solenni feste in onore di Giove Invincibile. 2292. Io. — Figlia del fiume Inaco. La cronaca mitologica racconta di le
da giovenea trasmutava. Ovidio — Metamorf. — Libro I Favola X, trad. del Cav. Ermolao Federico. Ma la bellissima giovanet
ardia all’Aristorid’Argo. Ovidio — Metamorf — Libro I. Fav. X. trad. del Cav. Ermolao Federico. Ora avvenne che mentre Io
to la custodia instancabile di Argo, pascolava un giorno sulle sponde del fiume, Inaco padre di lei, attratto dalla bellezz
e mano della sua divina persecutrice, Io giunse finalmente sulle rive del Nilo, ove oppressa della fatica e dalla stanchezz
che le concedesse il riposo. Giunone allora commossa dalle preghiere del marito, ridonò ad Io la primitiva sua forma umana
i, è detto che Giunone, per vendicare sull’odiata giovanetta la morte del suo fedele Argo, avesse mandato ad Io una grossa
la Scizia, in Europa, nell’Asia, e si arrestò finalmente sulle sponde del Nilo. Eschilo, nella sua tragedia intitolata Prom
fosi di Io in giovenca. Pausania riferisce che lo non fosse figliuola del fiume Inaco, come vuole la maggioranza degli auto
i, rubata ai proprii genitori, in Argo, come rappresaglia vendicativa del ratto di Europa, Figlia di Agenore, re di Fenicia
nome d’Iperborei, a quei popoli che abitavano le parti settentrionali del mondo conosciuto dagli antichi, quasi si volesse
me d’Iperboreo, si dava poi dai pagani ad Apollo. Secondo l’opinione del cennato scrittore, eravi nel paese abitato dai po
i Urano. Secondo la tradizione a cui si attiene Esiodo, egli fu padre del sole e della luna, e dei maggiori pianeti. Diodor
he avendo conosciuto con l’assiduità delle sue osservazioni, il corso del sole, e il movimento di rotazione degli altri cor
periodo ed il ritorno delle stagioni, che sono la conseguenza diretta del movimento dei corpi celesti. Avendo comunicate qu
este sue cognizioni agli uomini, fu dagli antichi ritenuto come padre del sole e della luna. Nè a ciò si arrestano le notiz
ove si adorava la Giunone di Samo, si ammiravano tre colossali statue del celebre artefice Mirone. 2299. Ipoprofeti. — Nome
mmediatamente punito dell’ atto sagrilego, perchè da una delle pareti del tempio scaturì una larga vena di acqua marina, la
ei cavalli di Nettuno e che erano anche assegnati alle altre divinità del mare. Sebbene l’esistenza degl’Ippocampi sia da m
centauri, che avevano nel tempo stesso della natura umana e di quella del cavallo. È a notare per altro che non sono pochi
atto scaturire questa sorgente, che poi da lui prese il nome di fonte del cavallo, dalle due parole greche ιππος cavallo, e
dalle due parole greche ιππος cavallo, e ϰροσα fontana. Coll’ andare del tempo le nove muse furono anch’esse dette Ippocre
empo le nove muse furono anch’esse dette Ippocreni, perchè abitatrici del monte Elicona sulla cui sommità scaturiva quella
Moglie di Piritoo — V. Deidamia. Ippodamia chiamavasi anche la figlia del sacerdote Brise, che fu causa primiera della ines
avea nome la figliuola di Enomao, re di Pisa, nell’Elide, a proposito del quale la tradizione mitologica narra, che giunta
mia sarebbe conceduta a quel principe che lo avesse vinto nella corsa del carro ; sottoponendosi però ad essere ucciso se f
e, guidando egli stesso il proprio carro, fu arrestato sulla spiaggia del mare da un enorme toro furioso, i cui terribili m
ieri che indocili alle redini, nè più riconoscendo la voce, e la mano del proprio padrone, lo trascinarono nella loro corsa
ella loro corsa precipitosa per modo che, dopo poco, altro non rimase del bellissimo giovanetto che, un ammasso informe lac
o della famosa tragedia d’Euripide, intitolata Ippolito. …. Al di là del confin nostro V’ è una spiaggia deserta, che fa l
iandosi, e shuffando Multa schiuma dintorno, al lido lende. Alla mira del cocchio, e giunge, ed ecco Dal tempestoso immane
Ma i freni. Le putedre mordendo, a furia slanciansi. Nè senton più nè del nocchier la mano, Nè le briglie, nè il carro. E s
nire a raggiungerlo nella città, ove egli si trovava, e giustificarsi del delitto che gli veniva apposto. Ippolito intrapre
onori divini : e Diomede gli fece innalzare un tempio, alla custodia del quale, vigilava un sacerdote perpetuo, e gli dedi
pellatura, prima di andare a marito, piangendo sulla sorte sventurata del virtuoso Ippolito. Coll’ andare del tempo, i sace
piangendo sulla sorte sventurata del virtuoso Ippolito. Coll’ andare del tempo, i sacerdoti sparsero la voce, che Ippolito
iamente in quella conosciuta sotto il nome di Boote, ossia condultore del carro. Un’antica tradizione racconta, che ai temp
veniva l’ Ippopotamo considerato come il simbolo di Tifone, a cagione del suo naturale maligno e nocivo agl’ uomini. Per al
sanguinoso, e piena l’anima di soave tenerezza filiale, salvò la vita del proprio padre, facendo fuggire Toante nell’isola
nauti, capitanati da Giasone, mossero verso la Colchide, al conquisto del famoso vello d’ oro, Ipsipile accolse regalmente
e in Grecia, ritornato presso di lei. Ipsipile fiduciosa nelle parole del suo amante, lo lasciò partire ; ma Giasone appena
difesa di lei e giunsero a salvarle la vita. 2322. Ipsisto. — Al dire del cronista Sanconiatone, fu marito di Berut, la qua
ta Ge ; nomi questi che significano il Cielo e la Terra e che al dire del citato scrittore, i greci dettero alle loro due p
legno e li adorarono, istituendo anche alcune feste annuali, in onore del loro morto genitore. 2324. Iria. — Così avea nome
tichità, dà ad una delle tre Arpie. Le altre due, secondo l’ opinione del cennato scrittore avevano, nome Ocipeta ed Ello.
a più mirabile dell’arcobaleno, formato dalla ripercussione dei raggi del sole, sulle gocce d’acqua contenute dalle nuvole
a, abbia Iride come messaggera della sua volontà. 2326. Irieo. — Nome del padre di Orione. Narra la cronaca mitologica a cu
onde rinchiudervi i suoi tesori. 2327. Iringa. — Una delle figliuole del dio Pane e della ninfa Eco. Non bisogna confonder
a suo tempo. 2328. Irminsul. — La più antica e la più famosa divinità del culto religioso dei popoli sassoni. È opinione di
di varii accredita ti scrittori che quei popoli l’ avessero in conto del loro Marte ; ma vi sono anche altro opinioni che
da qualunque balzello. 2331. Ischenio. — Nipote di Nettuno, in onore del quale si celebravano in Grecia, delle pubbliche f
no sovente sulla spalla sinistra la testa della dea Iside. Al sorgere del sole, esse cantavano le lodi della loro dea, e pa
, cosa che ha fatto dire che esse andavano a piedi nudi. Dai precetti del loro culto, era proibito alle Isiache di mangiar
mente il capo completamente raso. 2335. Iside. — La maggiore divinità del culto religioso degli Egiziani. Discordi e contra
ono l’ agricoltura e le arti, che ingentiliscono la vita. Coll’andare del tempo, essendo Osiride morto in seguito delle per
atello Tifone, Iside ne pianse lungamente la morte e onorò la memoria del suo consorte e fratello, con splendidi e magnific
dizione egiziana, prendendo argomento dallo straripamento delle acque del Nilo, che avveniva in una data epoca dell’anno, d
ceva che il Nilo, ingrossato dalle lagrime che Iside versò alla morte del benamato consorte, straripava e rendeva fertiliss
umina dei primi suoi raggi, e gli Egiziani, che sono i primi sapienti del mondo, mi chiamano col mio vero nome Iside regina
corde. Plutarco asserisce che assai comunemente sulla parte superiore del sistro d’Iside, veniva scolpita la figura d’un ga
— Tragedia. trad. di F. Bellotti. 2338. Ismenidi. — Ninfe abitatrici del fiume Ismeno. V. Ismeno. 2339. Ismenia. — Soprann
annome di Minerva, che a lei veniva dall’avere un tempio sulla sponda del fiume Ismeno. 2340. Ismenio. — Figlio della ninfa
il dono d’indovinare. Ismenio, fu dalla madre partorito sulle sponde del fiume Ladone nella Beozia ; e da ciò quel fiume f
elle acque fossero avvelenate, fece il giro di tutta Ia parte opposta del paese onde rintracciare una sorgente d’acqua pura
piede di Cadmo, con quello di fiume Ismeno. Ismeno era anche il nome del maggiore dei figli di Anfione e di Niobe— V. Niob
sola, fosse morto. Lo stesso Demetrio nelle sue cronache di relazione del viaggio, aggiunge che una di quelle isole era la
ra e truce usanza ; la quale consisteva nel tagliare a pezzi la carne del morte e frammischiarla a quella degli animali por
si si cibavano dell’orribile vivanda riserbando solo intatta la testa del morto, che poi legata in oro formava un idolo, a
e modo la storia d’ Issione. Egli avea preso dimora nelle circostanze del monte Pelion, ove sposò Dia, figliuola di Deioneo
scavare una larga fossa piena di legna e di carboni accesi, sul luogo del passaggio, Deioneo cadde in quella e vi perdè mis
odo ch’ egli fu costretto ad errase per molto tempo, fuggendo la luce del giorno, nè potendo trovare ricovero alcuno. Final
e retribuì della più nera ingratitudine le larghezze dell’ospite suo, del quale sedusse la moglie, intrattenendo per più te
endo per più tempo con essa, un’ infame tresca. Avvertito il principe del tradimento d’Issione, volle accertarsi coi propri
principe del tradimento d’Issione, volle accertarsi coi propri occhi del fatto incredibile ; onde fece travestire coi ricc
oi stati. La tradizione mitologica prendendo argomento dal soprannome del principe, racconta invece che il padre degli dei,
palesò il vero e con un colpo di fulmine, precipitò Issione nel fondo del Tartaro, dove Mercurio per suo ordine, legò lo sc
to dalla sua ruota, e fu quando Proserpina fu da Plutone fatta regina del regno delle ombre. 2346. Isione. — Principe della
stirpe degli Eraclidi e figliuolo di Alete, re di Corinto. Alla morte del padre suo, gli successe nel governo di quella cit
ci fossero istituiti da Teseo, in onore di Nettuno, il quale come dio del mare aveva sotto la sua particolare protezione l’
tuali esperimenti che si eseguivano nei giuochi istmici, coll’ andare del tempo poi, a renderli maggiormente solenni, si ag
promontorio che sovrasta a quelio avrebbe riconosciuta la supremazia del Sole. Da quel tempo gli abitanti riconobbero Nett
me dio protettore dell’ ismo di Corinto. 2350. Itaca. — Piccola isola del mare Jonio nelle circostanze di Cefalonia. Nei fa
iccola isola del mare Jonio nelle circostanze di Cefalonia. Nei fasti del paganesimo, l’isola d’Itaca è famosa come la patr
Omero — Odissea — Libro VIII. Trad. di I. Pindemonte. Oggi la patria del famoso inventore del cavallo troiano, altro non è
ro VIII. Trad. di I. Pindemonte. Oggi la patria del famoso inventore del cavallo troiano, altro non è che un piccolo scogl
’acqua attinta nelle parti inferiori della città, fino alla estremità del monte Itome, ove sorgeva il tempio dedicato a Gio
e versavano in un vasto serbatoio espressamente scavato in una parte del tempio, tutta quell’ acqua che poi serviva ad uso
compassione, le cangiarono in stelle, e le posero nella costellazione del toro, ove esse piangono ancora il fratello. Da ci
costellazioni. 2361. Jafet. — Nella sacra scrittura è questo il nome del terzo figliuolo del patriarca Noè ; ma non pochi
. Jafet. — Nella sacra scrittura è questo il nome del terzo figliuolo del patriarca Noè ; ma non pochi fra i più accreditat
quale viene ricordato nelle cronache dell’antichità, come l’inventore del flauto. Non pochi scrittori dànno a questo person
e di Jagnede. V. Marsia. 2363. Jale. — Così avea nome una delle ninfe del seguito di Diana, che si trovava in compagnia del
fi, in isposa destinava. Ovidio — Metamorf. — Libro IX Fav. X. trad. del Cav. Ermolao Federico. 2365. Japeto. — Plù comun
Virgilio — Eneide — Libro III trad. di A.Caro. 2368. Jodama. — Madre del famoso Deucalione, che ebbe dai suoi amori con Gi
roi di cocchi agitatori. Spesso in palestra nobile Gustando il frutto del conteso alloro. Le patrie soglie ornarono Di trip
nde fare che Teseo, re di quella contrada, avesse preso i discendenti del morto eroe, sotto la sua protezione. E quando Eur
ima della Tessaglia, giaceva sulla spiaggla dell’arcipelago, ai piedi del monte Pelio. Fu in questa città che Giasone, dopo
questa città che Giasone, dopo il suo ritorno dalla famosa conquista del vello d’oro, celebrò i giuochi funebri in onore d
lini che ella aveva. Apollo intanto, mosso a compassione sulla sorte del proprio figlio, incaricò Mercurio di andare in so
ino, lo portò nel tempio di Diana. Quivi la sacerdotessa custoditrice del tempio, inspirata da Apollo, concepì una passione
la sua età giovanissima, lo fecero depositario dei ricchissimi tesori del tempio. Intanto Creusa era stata tolta in moglie
e lo chiamò col dolcissimo nome di figlio. Riflettendo poi che l’età del giovanetto era in esatta corrispondenza con la da
poi che l’età del giovanetto era in esatta corrispondenza con la data del suo viaggio, lo riconobbe per figliuolo, e gl’ im
oscenza di quanto aveva operato suo marito Xuto, considerò l’adozione del giovanetto Jone, come un tradimento, mirante solo
ndò ad alta voce giustizia. I sacerdo ti non potendo negare la verità del fatto, condannarono Creusa ad essere precipitata
nto, si ricoverò presso l’ altare d’ Apollo, in vocando la protezione del dio. Ma già i seguaci di Jone erano sul punto di
apparendo d’improvviso, consigliò Creusa a fare che Jone fosse erede del trono degli Erettidi, non palesando a Xuto la ver
fosse erede del trono degli Erettidi, non palesando a Xuto la verità del fatto, e non togliendo al buon re l’illusione d’u
l’Inirinda e dell’ alto Orenoco, così si chiamava la personificazione del dio del bene, ritenuto come principio assoluto di
da e dell’ alto Orenoco, così si chiamava la personificazione del dio del bene, ritenuto come principio assoluto di tutto c
acimana regolava le stagioni e presiedeva alle ricolte. Come antitesi del principio del bene, rappresentato da Kacimana, vi
va le stagioni e presiedeva alle ricolte. Come antitesi del principio del bene, rappresentato da Kacimana, vi era Arimane g
feste accompagnate da giuochi, da banchetti e da sacrifizii in onore del dio Kaleda. 2381. Kama. — Detto anche Kamadeva. G
albero chiamato in botanica Tulasi, che è una delle numerose varietà del gran fico delle Indie, e che è notevole per la su
otevole per la sua ricca e splendida floritura. Le statue e le pagodi del dio Kama erano sempre ornate di ghirlande di quei
e ornate di ghirlande di quei fiori. 2382. Kamis. — Divinità indigena del Giappone, e propriamente di alcune città di quell
immortalità eroica. Si vede la grande relazione che passa fra i Kamis del Giappone e gli Eroi o Semidei della mitologia gre
’ anima, come lo specchio riflette e palesa tutti i pregi e i difetti del corpo. 2383. Kang-l o Cang-v. — Nella mitologia c
hiamati Tei-Kuan, Zui-Kuan, e Tan-Kuan dipendano dagl’ ordini supremi del dio Kang-i, ma abbiano delle particolari attribuz
gici. 2384. Kano o Kanon. — È questo il nome che nel culto mitologico del Giappone, detto con vocabolo particolare Buddaism
viene riguardato come figliuolo di Amida e come creatore della luna e del sole. Nella città di Osaka il dio Kanon ha un ric
cimmie, che morì annegato in un pozzo. 2386. Kaor-Buk. — Gli abitanti del regno di Asem dànno questo nome al dio dei quattr
r, e che da quel giorno essi divennero i tre più grandi e famosi numi del culto religioso dei Tuata-Dadan. Generalmente si
li sembianze. 2391. Keraone. — Presso gli spartani era questo il nome del dio, che presiedeva particolarmente ai banchetti
siedeva particolarmente ai banchetti e segnatamente alla preparazione del vino. 2392. Kuan-in. — Nella Cina è questo il nom
di d’ Egitto, le quali andarono considerate come una delle maraviglie del mondo. La tradizione vuole, che nella costruzione
i attribuiscono al re Kopto la costruzione della sola piramide grande del centro ; mentre si vuole che le altre due più pic
ù. Narrano le cronache che Kansa fratello della regina Devakì, nemico del dio Visnù, anelava di far propria la corona di Va
volta che ella partorì un maschio, resa accorta dalle dolorose prove del passato, fece allontanare il piccolo Krisna, che
i, sui quali si batteva per ordine della regina, stordisce i ministri del suo dispietato furore, i quali si lasciano rapire
ppena neonato, possente siccome un vero dio, uccide i Daitri scherani del perfido zio, che movevano contro di lui per compi
ano segrete mandatarie di Kansa, e domandano a Nunda di poter nudrire del loro latte il bambino ch’egli porta seco. Krisna
cide. Finalmente sottraendosi ancora per varii anni alle persecuzioni del traditore Kansa, giunge all’età della giovanezza,
in una misura di biada che i greci chiamavano Cipfelo. Da ciò il nome del bambino. 2398. Labdaco. — Figlio di Fenice re di
cronaca storico-favolosa egli è ricordato come il padre di Laio e avo del famoso Edipo. 2399. Laberinti. — Fra le maravigli
di Laio e avo del famoso Edipo. 2399. Laberinti. — Fra le maraviglie del mondo, i pagani comprendevano i due famosi laberi
e maraviglie del mondo, i pagani comprendevano i due famosi laberinti del lago di Meride in Egitto, e quello di Grecia nell
umento vicino alla città dei coccodrilli, e propriamente sulle sponde del lago Meride. Al dire del citato scrittore, questo
dei coccodrilli, e propriamente sulle sponde del lago Meride. Al dire del citato scrittore, questo maraviglioso edifizio co
teneva dodici immense sale coperte ; sei delle quali guardano il lato del mezzogiorno, e le altre sei quello del settentrio
i delle quali guardano il lato del mezzogiorno, e le altre sei quello del settentrione, mentre una stessa muraglia le circo
dodici re, che avevano intrapresa, continuata e finita la costruzione del laberinto, e vi si conservavano anche i cadaveri
oto. Però il cronista Pomponio Mela, aggiunge che il famoso laberinto del lago Meride era opera dell’architetto Psanmetico,
e a questi due laberinti, annoverati, come dicemmo, fra le maraviglie del mondo antico, ve ne sono altri due, i quali sebbe
n una scure nella mano. Questo cangiamento negli attributi indicativi del sommo Giove, è attribuito, secondo la tradizione,
una figlia di Eurota, re della Laconia ; ed avendo ereditato il regno del suocero, dette alla città capitale indistintament
rceva il filo della vita. V. Parche. 2404. Lacinia. In un promontorio del golfo di Taranto, nella penisola Italiana, sorgev
mpose di smettere dall’ opera incominciata, minacciandolo di privarlo del solo occhio che avea (avendo Annibale perduto un
ome, fu detta borgata dei Lacidi ; e che poi divenne famosa nei fasti del paganesimo per aver dato i natali a Milziade ed a
celebri ninfe Dafne e Siringa. Delle canne che crescevano sulle rive del fiume Ladone, si servì il dio Pane per costruire
di una figliuola di Autolico, chiamata Anticha, che poi lo rese padre del famoso Ulisse. Al dire dello storico Apollodoro,
erva, perchè presiedeva alla guerra ed alla divisione delle spoglie e del bottino. 2411. Lafistio. — Soprannome di Giove, c
quale essi gettavano, come omaggio alla divinità, la più ricca parte del bottino tolto ai nemici, in monete, in verghe d’o
piedi d’una montagna, un gran lago consacrato alla luna, sulle sponde del quale, ogni anno si radunavano, ad epoca fissa, g
o, le parti contendenti, divise in due schiere, andavano sulle sponde del lago, e un rappresentante individuale per le due
i una focaccia, egualmente simile a quella gettata dal rappresentante del partito avverso. Il partito la cui focaccia veniv
eca che molti scrittori chiamano Taide, e l’ Alighieri, nel 18° Canto del suo Inferno, denomina Taida. Ella richiese al fam
mila dramme per una notte di piacere, onde provocò la famosa risposta del saggio, che le disse : Non compro un pentimento
ra in culla, allorchè morto suo padre, l’usurpatore Lico s’impossessò del trono. Dopo qualche anno però, morto Lico e i suo
ad. di F. Bellotti. È questo il famoso Lajo che morì ucciso per mano del proprio figliuolo Edipo. V. Edipo. Se alcun tra
ano fra le mani. Questa tradizione della favola, alterata coll’andare del tempo, dette presso i pagani, vita alla simbolica
e che Demetrio Poliocerte vinse contro Tolomeo, Lamia cadde in potere del vincitore. Condotta innanzi a Demetrio, seppe coi
etamente quelle lampadi, onde mantener vive le superstiziose credenze del popolo, che giovavano altamente ai tenebrosi mane
le arti. Anche nelle feste di Vulcano, riguardato dai pagani come dio del fuoco e inventore delle lampadi ; ed in quelle di
ducheo. V. Daducheo. 2422. Lampezie. — Una delle figliuole di Neera e del Sole. …. e le Dive sono i lor pastori Faetusa e
ato Ulisse e i suoi compagni, sulle spiagge di quell’isola, i seguaci del guerriero greco uccisero alcuni buoi, che facean
ampezie avea similmente nome una delle Fetontidi, fu anch’essa figlia del Sole e della ninfa Climene. Al paro delle sue sor
le sue sorelle fu cangiata in pioppo, per aver troppo pianto la morte del fratello Fetonte. V. Fetontidi. In alla di lei m
onfitta al suolo. Ovidio — Metamorf. — Libro II Fav. II e III. trad. del Cav. Ermolao Federico 2423. Lampo. — Figlio di
ente Lampo, ossia Risplendente. Era questo il nome di uno dei cavalli del sole, e propriamente di quello che presiedeva al
Sole rifulge in tutto il suo spendore. Gli altri tre cavalli bianchi del carro solare aveano nome Atteone, Filogeo, ed Eri
eo, ed Eriloo, che altri scrittori chiamano anche Eritreo. V. Cavalli del sole. 2425. Lampsaco. — Città dell’ Asia minore.
. Lampsaco. — Città dell’ Asia minore. Essa viene ricordata nei fasti del paganesimo, perchè Priapo, dio delle dissolutezze
nga asta di guerra, e con forza prodigiosa la lanciò contro i fianchi del cavallo, ove lasciò una profonda concavità. Ma tu
persuadere i trojani, e il loro fato si compì, tale essendo il volere del destino inesorabile. L’azione intanto di Laocoont
i e innalzandosi su di esso di tutta la testa e della parte superiore del corpo, lo strinsero per modo che quasi lo soffoca
i Laocoonte e dei suoi figliuoli fu da tutti ritenuta come il castigo del suo sacrilegio per aver osato di ferire il cavall
Virgilio — Eneide — Libro II. trad. di A. Caro : Il gruppo in marmo del Laocoonte, scolpito da Fidia è una delle più stup
tupende opere dell’arte greca. 2429. Laodamia. — Figlia di Achemone e del famoso Bellorofonte. Giove l’amò con passione e l
Sarpedone che fu poi re di Licia. Omero riferisce che Diana sdegnata del superbo orgoglio di Laodamia, la uccise a colpi d
ito, fece fare una statua che riproduceva fedelmente la cara immagine del suo sposo ; e per farsi una dolce illusione, semp
ave al suo cuore innamorato, fece mettere nel proprio letto la statua del marito. Qualche tempo dopo uno schiavo andò a rif
rprendere in turpi abbracciamenti con un uomo. Acasto, geloso custode del proprio onore, si recò immantinenti nella camera
di tanta macchia il decoro della famiglia. Ma accortosi della verità del fatto, fece togliere la statua di Protesilao dall
nassa e Crisotemi, quando Agamennone cercò di placare l’ira inesorata del Pelide. V. Ifianassa. Laodice fu del paro una fig
cercò di placare l’ira inesorata del Pelide. V. Ifianassa. Laodice fu del paro una figliuola di Priamo, re di Troja e di Ec
ndola madre di sei figliuoli maschi e imponendole di tenere le redini del governo, fino a che il primo dei suoi figliuoli a
figliuoli, temendo d’essere un giorno spogliata della clamide reale e del supremo poteretanto caro al suo cuore ambizioso.
le milizie arcadi. Laodice fu a parte di ogni buona e cattiva fortuna del padre, e lo seguì da per ogni dove, finchè caduta
le cinquanta ninfe Nereidi. 2433. Laomedonte. — Figlio di Ilo e padre del famoso Priamo. Regnò in Troia per lo spazio di ve
bre per aver fatto circondare di fortissime e salde mura, la capitale del suo regno ; e tanto che quest’opera fu dai pagani
struire, onde proteggere la cittadella di Troia dal furore delle onde del mare, furono riguardati come opera di Nettuno ste
ono riguardati come opera di Nettuno stesso. Anzi avendo con l’andare del tempo le onde fatto rovinare uno degli argini, fu
sa dopo la costruzione degli argini, si era vendicato della mala fede del re, distruggendo uno di quei ripari che erano ope
za, ripotono che Laomedonte, onde abbellire e fortificare la capitale del suo regno, si fosse servito dei tesori consacrati
opolo troiano con una terribile pestilenza, e Nettuno mandò dal fondo del mare un’orrendo mostro marino, che divorava tutti
n placherebbe la sua terribile ira, se non quando la stessa figliuola del re Laomedonte venisse esposta al mostro per esser
er esser divorata. Laomedonte allora, piegando all’inesorabile volere del destino, fece incatenare la propria figliuola, os
. Lapis. — In memoria della pietra che Saturno aveva divorata, invece del proprio figliuolo Giove, si dava un tal soprannom
ai Lapiti, alla cui testa erano Teseo ed Ercole. 2438. Lara. — Figlia del fiume Almone. Narra la cronaca mitologica che es
cerimonie Larentali si compivano fuori le porte di Roma, sulle sponde del Tevere. 2440. Larenzia. — Detta più communemente
nati ; e che essi ritenevano come gli dei domestici, i genii tutelari del domestico focolare, e come i custodi d’ogni famig
no anche dopo la morte nel seno della propria famiglia, proteggendola del loro soprannaturale potere. I seguaci di Plutone
oro offerte private, il che avveniva quotidianamente, si offriva loro del vino, dell’incenso, dei fiori e perfino una porzi
re inghirlandate di viole mammole, di rosmarino e di mirto, e all’ora del pranzo si facevano in loro onore delle libazioni
no la cura speciale di allontanare i nemici. Fra le maggiori divinità del paganesimo, ve n’erano alcune che facevano parte
o dei Lari. Fuori le porte di Roma, e propriamente nell’ampio ricinto del campo Marzio, sorgeva un pubblico tempio consacra
la Tessaglia, posta propriamente sul monte Peneo, è celebre nei fasti del paganesimo per essere la patria di Achille ; e pe
o, aveva un magnifico tempio a lui consacrato. 2443. Laristo. — Fiume del Peloponneso. Riferisce Pausania, che sulle sponde
tino. — Figlio di Fauno e della ninfa Marica, fu il più famoso dei re del Lazio. Kra Signore, Quando ciò fu, di Lazio il B
e Latino ad armarsi contro d’ Enea. Ben presto però ebbero a pentirsi del loro sconsigliato divisamento ; poichè Enea, in u
campale sconfisse interamente l’esercito di Latino, e impossessatosi del trono, sposò la principessa e regnò per quarantas
2449. Latobio. — Presso gli antichi popoli norici, era questo il nome del loro Esculapio, ossia del dio della sanità. Vogli
i antichi popoli norici, era questo il nome del loro Esculapio, ossia del dio della sanità. Vogliono alcuni autori, che Lat
nizzarono dopo la morte. 2450. Latona. — Al dire di Esiodo, fu figlia del Titano Ceo, e di Tebe sorella di lui. Omero la fa
esto dio, mosso e compassione delle lagrime di lei, fece con un colpo del suo tridente sorgere, dal fondo dell’oceano, l’is
e sgravarsi. Però appena la divina prole di Giove ebbe veduta la luce del giorno, Giunone spinta sempre dalla sua gelosia,
llo I due figli divini. Ovidio — Metamorf. — Libro VI Fav. III trad. del Cav. Ermolao Federico Finalmente dopo d’aver pe
ella Licia, ove la cronaca narra che oppressa un giorno, dagli ardori del sole e dalla stanchezza, sedutasi in riva ad uno
llo, e che Iside, la dea suprema, fosse la vera madre di lui. Al dire del citato scrittore, Latona per sottrarre Apollo all
sorgeva in mezzo ad un lago, chiamato Bute. Da questa ultima opinione del classico autore, sembra che i greci, altro non ab
gio egiziano, nascosto), volendo significare, che prima della nascita del sole, tutte le cose create erano nascoste nell’os
no nascoste nell’oscurità delle tenebre, che ravvolgevano nella notte del caos primitivo la creazione intera. In consideraz
più famoso fu quello che sorgeva nell’isola di Delo, vicino a quello del figliuol suo. Al dire di Pausania, un altro tempi
alla parola latina Latona, si è data forse origine alla denominazione del santo cattolico, conosciuto con l’appellativo di
Parmenisco Netapontino, il quale per le sue immense ricchezze godeva del primato su tutti i suoi concittadini, ebbe la tem
Tersandro, re di Cleone. Esse furono tolte in mogli da due figliuoli del re Aristodemo, anch’essi gemelli. Dopo la morte,
a della dea, posta su di un carro, e poi andarsi a lavare nelle acque del fiume Almone, e propriamente nel sito ove questo
a della lavazione si celebrava il 25 marzo, e fu istituita in memoria del giorno in cui fu portato dalla Frizia in Roma, il
la porte di Roma veniva detta Lavernale, per essere nelle circostanze del bosco, consacrato a Laverna. 2454. Lavinia. — Fig
el bosco, consacrato a Laverna. 2454. Lavinia. — Figlia di Latino, re del Lazio e della regina Amata. Fu erede del trono pa
inia. — Figlia di Latino, re del Lazio e della regina Amata. Fu erede del trono paterno. V. Latino. Narra la cronaca che es
ni si vide scopo alle ricerche matrimoniali di molti principi ed eroi del Lazio e dell’ Italia. Sola d’un sangue tal, d’un
’anni matura, e di bellezza Più d’ogn’altra famosa, era da molti Eroi del Lazio, e dell’ Ausonia tutta Desiata, e ricerca.
Poco tempo dopo infatti Enea, coi suoi trojani, approdò sulle spiagge del Lazio, ed ebbe a sostenere, contro Turno re dei R
e della regina, contrastò ad Enea colle armi il possesso di Lavinia e del regno di lei. ……. Chè tra noi Col nostro sangue
torì un figliuolo, a cui mise il nome di Silvio. Intanto gli abitanti del Lazio cominciarono a mormorare della lontananza d
liani, che taluni scrittori vogliono che fossero gli stessi abitatori del Lazio, sudditi del re Latino. Un’ antica tradizio
crittori vogliono che fossero gli stessi abitatori del Lazio, sudditi del re Latino. Un’ antica tradizione alla quale si at
dizione alla quale si attiene Virgilio stesso, ripete che nel palazzo del re sorgeva un albero d’ alloro, il quale, per ess
. di A. Caro. 2458. Laziale. — Dal costume che avevano alcune città del Lazio di sagrificare a Giove durante le feste lat
so un trattato di alleanza coi latini, volle, per eternare la memoria del fatto, che si fosse fabbricato uno splendido temp
tasi nel popolo, quando la plebe pretese d’ aver parte nelle elezioni del consolato. I quattro giorni del Laziar formavano
pretese d’ aver parte nelle elezioni del consolato. I quattro giorni del Laziar formavano le cosidette ferie latine. 2460.
Lazio. — Ossia contrada dei latini. La tradizione ripete, a proposito del nome di questo paese, che deriva dalla parola lat
tamante e di Ino e discendente della stirpe di Cadmo. Egli fu vittima del geloso odio di Giunone, la quale perseguitò tutti
lezza ; e che avendola un giorno veduta mentre si bagnava nelle acque del fiume Eurota in Laconia, si fosse trasformato in
secondo la cronaca, desolava le campagne di Tebe. Il mio Lelapo (che del cane a me donato Tal era il nome) ad una voce é c
d una voce é chiesto. Ovidio — Metamorf : — Libro VII. Fav. XI trad. del Cav. Ermolao Federico. Ripete la tradizione a
na e delle circonvicine città si riunì onde darle caccia. Sulle peste del mostruoso animale fu slanciato il famoso cane di
L’ una fuggir, l’ altra latrar ti sembra. Così pìacque ad un nume (se del fatto Qualche nume ebbe cura) che le belve Restas
due nel corso invitte. Ovidio — Metamorf. — Libro VII Fav. XI. trad. del Cav. Ermolao Federico. Nei fasti della mitologi
dei suoi amori con Europa lo regalò alla sua concubina. Con l’ andare del tempo il re Minosse l’offrì in dono a Procri, il
2468. Lemno. — Conosciuta anche sotto l’appellazione di Lemnos, isola del mare Egeo ove, secondo la tradizione mitologica c
vitto coraggio di Leonida e dei suoi trecento spartani, per la difesa del passo delle Termopili, si celebravano nella Laced
le passato qualche tempo sostenne una triplice sfida, prima al giuoco del disco ; poi a chi fra i due avesse attinto maggio
i scriveva il cennato storico, non si era mai potuto toccare il fondo del lago di Lerna, qualunque fosse stata la macchina
à di quelle acque. Finalmente lo stesso Pausania aggiunge che le onde del lago di Lerna, che giacevano sempre, all’apparenz
pre, all’apparenze, in una immobilità assoluta, quando si era a mezzo del lago, turbinavano così rapidamente ch’era impossi
rsi ardere la fronte dal rossore della vergogna. 2477. Lesbo. — Isola del mare Egeo, celebre per aver dato i natali alla fa
lle spiagge della Lestrigonia, mandò due dei suoi seguaci verso il re del paese, per nome Antifate. Ma i messaggieri all’in
ifate. Ma i messaggieri all’ingresso della reggia trovarono la moglie del re, la cui speventevole vista gli inorridì per mo
 ; Omero — Odissea — Libro X. trad. di I. Pindemonte L’immane voce del mostruoso signore rimbombò per tutta l’ isola, sì
l dorso all’Ida acquosa. Ovidio — Metamorf : — Libro X Fav. I. trad. del Cav. Ermolao Federico 2480. Lete. — Uno dei fiu
onde Letee irrigavano i campi Elisi, e sulle rive di esso si aggirava del continuo una sterminata folle di ombre di tutti l
nelando di tuffarsi in quelle acque, e bere in esse il completo oblio del passato. A piè di questa era di Lete il rio Ch’a
ete, che metteva foce nel Mediterraneo, vicino al capo delle sirti, e del quale la tradizione mitologica ripete, che dopo a
, posciacchè né cagione, nè fine alcuno si trovava, per deliberazione del senato si videro i libri sibillini. I due nomini
sentimento di ospitalità veniva spinto tant’ oltre, durante il tempo del Lettisternio, che ogni antico rancore spariva e s
e implorare dai numi la fine di una terribile pestilenza. Ma, al dire del cennato autore, questa cerimonia riusci completam
e e Mercurio ; aggiungendo la particolarità che, intorno al banchetto del convito, era posto un solo letto, con la statua d
dalla terra, senza di che il bambino passava per illegittimo. Al dire del cronista Vossio, la dea Levana era la stessa che
giuochi funebri, in onore di suo padre Anchise. 2485. Leuce. — Isola del Ponto Eusino, della quale la tradizione mitologic
uto recarsi nell’isola di Leuce, ove Aiace stesso lo avrebbe risanato del tutto. Infatti qualche tempo dopo, avendo seguito
accia. Dafne delusa dalle apparenze, concesse a Leucippo di far parte del suo seguito ; e siccome egli, se pure vestito da
ò a Dafne e alle compagne di lei il desiderio di bagnarsi nelle acque del fiume Ladone. Leucippo allora dovè, come tutte le
o il fatto nella sua completa integrità. In quanto a noi, non essendo del carattere della nostra opera far disamina nelle d
 Uno dei soprannomi di Diana che a lei veniva da un luogo, sulle rive del fiume Meandro, nella contrada della Magnesia, ov’
e le sue compagne si precipitarono in mare, fu da questa che l’isola del mar Tirreno, sulla spiaggia occidentale d’Italia 
dea prisca di Belo. Ovidio — Metamorfosi — Libro IV. Fav. III. trad. del Cav. Ermolao Federico Narra la cronaca mitologi
so la desiderata giovinetta. Orcamo intanto, avvisato da certa Clizia del tranello che per amore gli faceva Apollo, cieco d
cieco di furore, e cedendo alle perfide insinuazioni, che per gelosia del divino amante, l’abbandonata Clizia gli suggeriva
solo in gran copia da quelle piante, che ricevono largamente i raggi del Sole. E finalmente la gelosia di Clizia, che fu c
sò violentare una giovanetta nativa di Temessa. Istrutti gli abitanti del turpe atto di Liba, lo afferrarono e legatolo ad
rcondato da un bosco sacro, e offerire ogni anno la più bella vergine del paese. I temessiani si sottomisero colla passiva
izii dei pagani. Il sacerdote che presiedeva alla cerimonia, spargeva del vino, del latte e sovente altro liquore in onore
agani. Il sacerdote che presiedeva alla cerimonia, spargeva del vino, del latte e sovente altro liquore in onore di quel nu
e le libazioni accompagnavano sempre tutti i sacrifizii. Quando l’uso del vino non era generalizzato a tutta la Grecia, le
e alla Bibbia — Le libagioni, che erano quasi appen dici e condimenti del sacrifizio, sono fior di farina, olio, vino, sale
. Liberali. — Feste celebrate dai romani nel giorno 17 marzo in onore del dio Bacco. Sebbene codeste cerimonie fossero, al
 Soprannome di Bacco, detto propriamente Liber pater, perchè come dio del vino, era ritenuto come quello, che faceva parlar
ia, per sapere quale sarebbe il destino della loro città, la risposta del dio fu che quella sarebbe stata distrutta non app
ndo riferisce Pausania, avvenne che un pastore coricatosi verso l’ora del pomeriggio con la testa appoggiata al sepolcro di
esto avvenimento, una pioggia dirotta ingrossò siffattamente le acque del torrente Sus, che rotto gl’ argini, straripò con
codesto soprannome allé Muse e sopra tutto ad alcune Linfe abitatrici del monte Libetrio, nelle circostanze di Elicona. Su
e nell’Etruria la ninfa Bigoide avesse scritto un libro, che trattava del tuono, dei lampi e della interpretazione che dove
ittori, il nome di Libitina si dava sovente a Proserpina, come regina del regno dei morti ; ma Plutarco asserisce, che ques
soprannome era imposto a Venere, la quale era anche la configurazione del principio della vita, come madre dell’ amore, ond
uomini si ricordassero della loro caducità. È questa anche l’opinione del cronista Dionigi d’ Alicarnasso. In Roma la dea L
tina una data somma di danaro per ogni persona che moriva. I ministri del tempio, che erano incaricati a riscuotere quella
egnavano su di un apposito registro, chiamato Libitinœ ratio, il nome del morto e la somma versata. Tutto il danaro era con
elicato contro uno scoglio, allorchè ebbe rivestita la tunica intrisa del sangue del centauro Nesso, inviatagli da Deianira
tro uno scoglio, allorchè ebbe rivestita la tunica intrisa del sangue del centauro Nesso, inviatagli da Deianira, e che res
mutasse in duro sasso. Ovidio — Metamorf : Libro IX. Fav. III. trad. del Cav. Ermolao Federico. 2510. Licaone. — Così av
o Federico. 2510. Licaone. — Così avea nome uno dei tanti figliuoli del re Priamo, e propriamente quello di cui Omero dic
di servaggio. In quel torno di tempo, Achille furibondo per la morte del suo amico Patreclo, Perchè si piangi ? Mori Patr
ne, lo raggiunse di nuovo, e fu inesorabile contro il misero Licaone, del quale non curando le preghiere ed il pianto, lo u
ianto, lo uccise di sua mano, immergendogli il brando fra la giuntura del collo ; e poi trascinandolo per un piede, lo scag
gliò nel mare. Strinse Achille la spada, e alla giuntura Lo percosse del collo. Addentro tutto Gli si nascose l’ affilato
sottoposto. Quando Imbandite di quelle ei fè le mense, Io sui Penati, del signor ben degni, Travolsi il tetto con ultrice f
col desio Delle solite stragi si converte Contro gli armenti, e ancor del sangue esulta. Le vesti in peli cangiansi, ed in
arcadi, i quali in tutto ciò non vedevano nulla di esagerato. Al dire del citato scrittore, gli abitanti dell’Arcadia riten
ell’ istesso tempo che Cecrope regnava in Atene ; e che sul principio del suo regno fu caro ai suoi popoli, che egli cercò
di cui si rese col tempo colpevole Licaone, e dalla stessa etimologia del suo nome, che in greco significa Lupo, han dato f
primo re d’ Arcadia. Infatti Suida, uno dei cronisti più accreditati del paganesimo, racconta che Licaone per indurre i su
lo nella sua reggia, sotto le sembianze di uno straniero. I figliuoli del re, per accertarsi della verità di quanto asseriv
o uccidere un fanciullo, mescolarono le carni di questo, alle vivande del reale banchetto, persuasi che solamente Giove avr
ale banchetto, persuasi che solamente Giove avrebbe potuto accorgersi del loro infame operato. Però verso il cadere del sol
rebbe potuto accorgersi del loro infame operato. Però verso il cadere del sole, una violenta tempesta si scatenò, impetuosa
compivano i sacrifizi con gran mistero. Liceo era anche un soprannome del dio Pane, col quale egli aveva un tempio sul mont
ove da tempi remotissimi si celebravano i giuochi e le feste in onore del dio Pane. 2515. Licio. — Soprannome che Danao det
arse la voce che Apollo, avea voluto far comprendere, con la vittoria del lupo, che uno straniero doveva avere la supremazi
fiamma di una lucerna. 2517. Lico. — Fratello di Nitteo e usurpatore del trono di Tebe spettante per diritto a Lajo. Quest
tato eroe dall’ alto di una rupe. Questo Licomede è lo stesso in casa del quale Teti mandò il figliuolo Achille, onde imped
chille e Deidamia. 2520. Licopoli. — Città dell’ Egitto, sulle sponde del Nilo, il cui nome significa Città dei Lupi. Al di
veniva anche detta Volunnia, perchè secondo la tradizione fu liberta del senatore Volunnio. Il poeta Cornelio Gallo l’ amò
ccia di Marc’ Antonio triumviro, il quale alla sua volta la dimenticò del tutto, pazzo com’ era d’ amore, per la bellissima
e insieme, e fuggir : fuggì lo stesso Bacco, e nel mar s’ ascose, ove del fero Minacciar di Licurgo paventoso Teti l’ accoi
fetto terribile della vendetta di Bacco. Licurgo è similmente il nome del più famoso legislatore della Lacedemonia, del qua
go è similmente il nome del più famoso legislatore della Lacedemonia, del quale la cronaca mitologica fa menzione per aver
iecamente le leggi che egli aveva dettate. I cronisti più accreditati del paganesimo, ripetono che, allorquando Licurgo si
ro oracolo avea loro promesso che Sparta sarebbe il più florido stato del mondo conosciuto, quante volte essi avessero scru
ù a parlare di lui. È opinione di vari accreditati cronisti e storici del paganesimo, che dopo qualche tempo Licurgo si rit
υειν che significa dissipare, si dava codesto soprannome a Bacco, dio del vino, come dissipatore della malinconia. 2526. Li
ella malinconia. 2526. Ligo. — Uno dei figliuoli di Fetonte, dal nome del quale la contrada di cui egli era signore, fu det
ondo Virgilio, una delle compagne di Cirene, famose per la bianchezza del loro collo, e per la ricchezza della bionda capel
ono dolce e soave e voce argentina. 2529. Lilea. — Najade, figliuola del fiume Cefiso, la quale, secondo la tradizione, de
ficazione, si dava questo nome ad un fiume nell’ Arcadia, nelle acque del quale, secondo la tradizione mitologica, le ninfe
precedente. 2537. Limneo. — Detto più comunemente Linneo : soprannome del dio Bacco quando lo si riguardava come protettore
o come protettore dei laghi e dei stagni, quando era adorato come dio del vino. 2538. Limnoria. — Una delle cinquanta Nerei
inato alle sue figliuole. V. Danao, Danaidi ed Ipernestra. Alla morte del suocero, Linceo salì sul trono di Argo, e mori do
nse di accoglierlo con ogni cortesia, ma venuta la notte, profittando del sonno in cui quegli era immerso, tentò di uccider
in lince trasformato. Ovidio — Metamorfosi — Libro V. Fav. XI. trad. del Cav. Ermolao Federico 2543. Linie. — Feste cel
come autore di tre trattati ritenuti come preziosi, uno sull’origine del mondo ; un altro sulla natura degli animali e del
natura degli animali e delle piante ; e il terzo finalmente sul corso del sole e della luna. 2545. Lione. — Secondo scrive
questo antichissimo istrumento di musica, che era uno degli attributi del dio Apollo, viene da taluni autori antichi attrib
ono i poeti per improvvisare. 2545. Liriade. — Ninfa oceanide, amante del fiume Cefiso, il quale, secondo la favola, la res
le corna sul capo. Forse in tal modo veniva onorato quel dio sul lido del mare. 2551. Lituo. — Così si chiamava quella spec
iere ch’ella rivolse agli dei, ond’essere liberata dalle persecuzioni del dio Priapo. 2555. Loto. — Secondo riferisce Pluta
rande relazione che gli egizii credevano avesse quel fiore coll’astro del giorno ; forse perchè il Loto apparisce, sulla su
se perchè il Loto apparisce, sulla superficie delle acque, al levarsi del sole, e poi si richiude in sè stesso all’ora del
le acque, al levarsi del sole, e poi si richiude in sè stesso all’ora del tramonto. Questo fenomeno naturalissimo in tutte
grande somiglianza che il nocciuolo di quella pianta ha con la forma del cuore umano, e le sue foglie con quella della lin
one egiziana, in cui il fior di Loto è sempremai introdotto. Il succo del fior di Loto, è quel liquore che parve talmente s
ovelle indietro Non bramava tornar : colà bramava Starsi, e mangiando del soave loto, La contrada natia sbandir dal petto.
i quelle feste, erano pagati col danaro che si ricavava dalla vendita del legname, tagliato in una porzione di quel bosco.
e la invocavano i Greci, secondo riferisce Cicerone, come protettrice del parto, a somiglianza dei romani che invocavano Gi
ode e conduttore degli astri. È detto ancora che Lucifero avesse cura del carro del Sole, e che insieme alle ninfe Ore, ne
uttore degli astri. È detto ancora che Lucifero avesse cura del carro del Sole, e che insieme alle ninfe Ore, ne attaccasse
sco sacro. V. Lucarie. Grazie a Lucina sien : tu questo ottieni Nome del sacro bosco ; o perchè, o diva, Della luce il pri
di Luciniana, restavano immobili per qualunque si fosse l’impetuosità del vento che avesse sconvolto l’atmosfera. 2565. Lug
tezione di Giove, e perciò lo avevano consacrato a quel dio. Il corso del mese di Luglio era presso gli antichi una festa q
nua, imperocchè oltre ai giuochi Apollinari, ai Minervali, e a quelli del Circo, che si celebravano in Luglio, ai cinque di
mpre eguali, ed il suo corso costantemente lo stesso nell’ampia volta del firmamento, si convinsero che la luna fosse immor
propizia. Il cronista Macrobio, che è uno dei più accreditati autori del paganesimo ; asserisce anzi che tutte le divinità
esso i popoli dell’Egitto noi ritroviamo le tracce, ancora sensibili, del culto religioso ch’essi tributarono alla Luna ; m
, le straghe, le maghe, e sopratutte quelle della Tessaglia, contrada del mondo antico ove la più cieca superstizione aveva
donne, ed erano dominati da esse ; mentre per contrario gli adoratori del dio Luno, conservavano per tutta la vita la loro
in sè stesso il significato tanto della Luna individualmente, quanto del mese a lei consacrato. In lingua ebraica la parol
l cronista Sparziano, già da noi più sopra citato, ripete a proposito del culto tributato al dio Luno dai pagani, una stran
come proprî figliuoli. Agli esposti bambin (stupende cose !) Fresca del parto orribil lupa venne. Chi crederia che a lor
le feste, che si celebravano, con grande solennità in Roma, in onore del dio Pane, e che, secondo asserisce Ovidio, cominc
nel terzo giorno dopo gli Idi di febbraio. Per altro questa opinione del famoso poeta, è combattuta dal cronista Valerio M
le feste Lupercali furono istituite dal pastore Faustolo. a principio del regno di Romolo. In memoria di quella festa e dop
in tale occasione, tutti i giovani che vi prendevano parte, correvano del tutto ignudi, tenendo in una mano il coltello di
Però i due fratelli, e tutti i giovani che erano con essi, accortisi del fatto, si spogliarono sollecitamente delle loro v
rda la parte storico-mitologica della nostra opera, che sul principio del regno di Augusto le Lupercali cominciavano a cade
o era quasi scomparso. 2572. Luperci. — Nome collettivo dei sacerdoti del dio Pane che celebravano le Lupercali. V. l’artic
i. V. l’articolo precedente. Questi sacerdoti che erano i più antichi del culto religioso dei romani, furono, secondo alcun
ne il nome proprio di lustro ad un periodo di cinque anni. Indice del Primo volume Introduzione pagina I Studio pre
ivi 1007 Cauto » ivi 1008 Cavalli di Achille » ivi 1009 Cavalli del Sole » ivi 1010 Cavalli di Enea » ivi 1011 Ca
» ivi » particolari » ivi » conosciuti » ivi » incogniti » ivi » del cielo » ivi » della terra » ivi » del mare » iv
i » ivi » incogniti » ivi » del cielo » ivi » della terra » ivi » del mare » ivi » dell’inferno » ivi 1377 Deidamia
ntemoisia, moglie di Tantalo pagina 36 N° 921. Camilli (leggi a capo del rigo) » 68 1. Pindaro. — Il maggior poeta
degli eruditi, dal più remoto oriente, fino ai paesi più occidentali del mondo antico, in tempi anteriori ad ogni storico
a degli auspicii ; o se sia veramente patronimica, per la derivazione del capo della loro razza, a nome Pelasgo. I Pelasgi,
prestoriche età, sul continente della Grecia. sulle spiagge ed isole del mare Egeo, nonchè nell’ Asia minore e nell’ Itali
acca. 11. .Brahma. — Voce sanscrita, che è il nome dell’ente supremo del sistema religioso degli Indù. presso i quali è un
ma anche di devota contemplazione. Secondo le antiche scritture sacre del culto indiano. Brahma è la gran sorgente, da cui
di codesto nume, e solamente Strabone afferma che negli ultimi tempi del paganesimo soltanto fu venerato con culto divino.
i, al sistema di filosofia che prima seguivano. Furono dunque eretici del primo e secoudo secolo dell’era volgare, e siccom
a che uni il culto di Gesù Cristo, a quello dei personaggi più famosi del Politeismo. 21. Cainiti. — Eretici che professa
no, e di tutte le persone descritte nei libri ebraici come avversarii del Dio degli Ebrei. 22. Adamiti, Peratensi, Abelit
passo, riportiamo il brano della vita di Zeusi, famoso pittore greco del V secolo, avanti Gesù Cristo, scritta da Carlo Da
Dati : « Scherzava nella culla il bambino Ercole quasichè si burlasse del gran cimento ; e avendo preso con ambe le mani l’
Tiresia (insigne indovino di Tebe) che vaticinando presagiva il fato del gran fanciullo, il quale giaceva nella culla. Era
vendicava le usurpazioni. Dicemmo di lui : Venerato fino nelle mura del Campiglio , perchè il suo simulacro era ivi relig
ivi religiosamente conservato come quello di uno dei più antichi numi del paganesimo romano. 29. Caaba detta anche Caabah
o modo, spinti a questa supremazia incontrastata, nello incivilimeato del mondo antico, dalla loro relazione, e dall’ordina
ediata. L’arte nata dalla verità, dalla contemplazione delle bellezze del creato, deve tendere al suo vero principio facend
operandosi al progresso, perfezionando l’uomo ch’è l’opera più nobile del Creatore, e volgere al bello, al grande, alla vir
spazio una lunga ed esatta esposizione di essi, riporteremo il passo del libro l deire al Cap. XXVIII della Bibbia. quando
, astronomo inglese. Nacque nella Contea di Yorck, verso il principio del secolo XIII. Si rese celebre nella storia della s
l secolo XIII. Si rese celebre nella storia della scienza come autore del primo trattato di astronomia che l’Europa abbia p
eare e Byron, il più gran poeta dell’ Inghilterra, l’immortale autore del Paradiso perduto, nacque a Londra nel 1608. Disce
di Milton vieino Thame nella provincia d’ Oxford. Mori l’ 8 novembre del 1674 nel 66. anno della sua vita. I suoi avanzi r
a storia delle Crociate. Essa traeva il suo nome da una piccola città del Poitou, poco lungi dalla quale, sorgeva il castel
766 e vi ottenne la laura Dottorale. A lui si attribuisce la scoperta del magnetismo animale preso come base di un metodo c
di Prussia, capoluogo della provincia di Brandeburgo e della reggenza del suo nome. È posta sulla riva destra dell’Havel. I
ignoto, ed allora si andava in cerea di un altro bue. Se moriva prima del tempo, tutto l’Egitto era in lutto, ed il bue era
— Giove volendo punirla per aver cospirato contro di lui nella guerra del Titani, ordinò a vulcano di sospenderla in aria p
persiana. figlio di Cambise persiano e di Mandane nata da Astiage re del Medi onde dall’oracolo fu detto mulo, perchè figl
na delle vittime che caddero nella generale uccisione degli adoratori del fuoco, ordinata da Argiasp. 50. Dionisio. — So
2 (1880) Lezioni di mitologia
da quando ebbi la ventura di conoscervi dappresso nella conversazione del celebre Conte Federigo Sclopis, allora Presidente
a conversazione del celebre Conte Federigo Sclopis, allora Presidente del Senato, visitandovi io poi con assai frequenza ne
per tempo, v’intitoli, fra le Opere che tutte riunisco e do alla luce del sommo Toscano del nostro secolo, fra le Opere del
oli, fra le Opere che tutte riunisco e do alla luce del sommo Toscano del nostro secolo, fra le Opere del Niccolini da voi
isco e do alla luce del sommo Toscano del nostro secolo, fra le Opere del Niccolini da voi tanto ammirato, la Mitologia Teo
ome dell’Autore, potrebbe esser indirizzato all’eccellente traduttore del Ramaiana. Ad ogni modo, non cancellate da’ vostri
lla quale, trenta anni appresso, e’ consentiva la stampa di una parte del Corso medesimo agli Editori Fiorentini: « Ben vol
Lezioni da me recitate nell’Accademia di Belle Arti nel primo anno del mio Corso. Li prego nulladimeno di fare avvertire
fatto di più » 2. Veramente unanime fu l’ammirazione per le versioni del Niccolini, lodato rispetto ad esse anche da criti
mpate tutte le Lezioni dell’Autore, si acquisterà migliore intelletto del suo metodo4 e de’ suoi fini, e apparirà splendida
olsero alla Natura; e quindi l’universo che annunziar dovea la maestà del suo Autore, tempio d’idoli divenne, e gli Dei fur
rinnova, il vincitor delle tenebre, la vera sede di Dio, che, al dir del Profeta, vi pose il suo padiglione. Ma col proced
, che, al dir del Profeta, vi pose il suo padiglione. Ma col proceder del tempo l’uman genere, dai vizj e dalle sciagure av
quella dei Giudei se ne eccettua, che Iddio scelse pel sacro deposito del suo culto) comincia dalle favole: onde io ho giud
r lare in primo luogo delle opinioni che sulla formazione degli Dei e del mondo avevano le diverse idolatre nazioni; poiché
i gloriosi che passaro a Coleo: » vi sembrerà di errare sulle sponde del Fasi estremo, e di veder veramente dalle glebe in
a riconoscere lo stesso tiranno di Coleo, e domato il terrore custode del vello di Frisso dai potenti incantesimi di Medea,
il consuma, si divide, o sembra far guerra. Stazio, sublimo artefice del terrore, ci sarà guida, e vedromo ancora in Eschi
la Grecia potente spiegò  tutte le sue forzo por vendicare l’ingiuria del violato ospizio di Menelao; eccoci all’istoria d’
Chi fra voi non rivolgorà la sua attenzione ai versi di tanto poeta, del « Primo pittor delle memorie antiche. » di quel
la patria e la sua viltà, e fìnalmente Priamo che bacia le mani lorde del sangue del suo figlio per riaverne il cadavere. Q
la sua viltà, e fìnalmente Priamo che bacia le mani lorde del sangue del suo figlio per riaverne il cadavere. Quinto Calab
rionfali dei Greci ingannati dalle infide faci di Nauplio. Sul soglio del Re si assise l’adultero Egisto. L’amore e le temp
ne si espresse) se nell’Iliade egli è simile al sole quando nel mezzo del giorno riempie di sua luce l’universo, nell’Odiss
lui avrà il suo compimento l’istorica Mitologia. Mancherei allo scopo del mio istituto se, esaurite le favole teologiche ed
etta, che per l’utilità quasi gareggia colla famosa istoria dell’arte del disegno. I lumi di tanto scrittore diminuiranno l
cosa indicata. Imparata che avrete dagli antichi la difficil pittura del pensiero, agevolmente vi si presenterà il modo di
nza, la Ragione, e mille altre divinità della Morale, che nel segreto del loro cuore più che i falsi numi adorate furono da
ia delle arti, sacra eredità dei nostri maggiori. Comandate ai nemici del nome Italiano l’invidia e l’ammirazione, per cui
one le opere della vostra mano? Non mi stanno sugli occhi le promesse del vostro ingegno, e l’altezza delle comuni speranze
o la tradizione delle diverse idee tenute dagli antichi sulla origine del mondo e degli Dei. La presente Lezione è destinat
o la sua produzione. Si unì finalmente col mot, o mud che è lo stesso del fango, e secondo altri una corruzione nata dalla
ti e le nubi onde fu innondata la terra. Le acque separate dal calore del sole si riunirono coU’aria; le nuvole si urtarono
allora a moversi sopra la terra. Ecco le idee dei Fenicj sull’origine del mondo, nelle quali, quantunque la materia sia pos
o. Egli così a un dipresso si esprime. Una era la forma della terra e del cielo, le di cui nature erano in sieme confuse. S
alzandosi al cielo, per sua natura produsse il rapido circolare moto del sole e dell’altre stelle. Il fango, unito alla ma
balzarono come pesci nell’elemento che loro conveniva. Col progresso del tempo la terra, inaridita dal sole e dai venti, p
mo Cudworth, che mostrò le contradizioni di Eusebio di Cesarea. Non è del nostro istituto il comporre sì ardua lite: riport
tta Neph, da cui era opinione di alcuno che fosse formata la macchina del mondo. Questa era simboleggiata nel sembiante di
rj. In tanta discordia di opinioni, non posso che riportare le parole del mentovato scrittore. « Nel principio Iddio formò
le, ma che la Luce penetrando l’Etere, aveva il mondo intiero coperto del suo splendore. Questa luce era la primogenita deg
scri zione della battaglia dei Giganti contro gli Dei che è nel poema del mentovato scrittore. Ho cer cato, traducendolo pe
turno. Produsse ancora i Ciclopi: Brente, Sterope, Arge, fabbricatori del fulmine a Giove e simili agli Dei. Ebbero ancora
gni dall’ali nere, Momo dio della Maldicenza, l’Inquietudine compagna del Dolore e del Rincrescimento, l’Esperidi custodi d
nere, Momo dio della Maldicenza, l’Inquietudine compagna del Dolore e del Rincrescimento, l’Esperidi custodi dei pomi d’oro
, che da Ercole fu ucciso. Ceto generò pure da Forci il Drago custode del giardino delle Esperidi. Tati dall’Oceano ebbe tu
re dì Ecate, divinità veneranda sopra tutte, cui Giove die l’arbitrio del cielo e della terra e del mare, che sempre era fr
randa sopra tutte, cui Giove die l’arbitrio del cielo e della terra e del mare, che sempre era fra gli antichi principio di
redetto gli avevano che uno dei suoi figli gli avrebbe tolto l’impero del cielo, onde questo padre snaturato tutti gli divo
suoi genitori presentò a Saturno una pietra coperta di fasce, invece del figlio che occultò in Creta; onde questa isola va
i Giove; e i Cretesi mendaci ardiscono di mostrare ancora il sepolcro del padre degli uomini e degli Dei. Giove, essendo ad
no cento teste di serpente. Pericolava il Cielo; Giove stava in forse del suo trono; ma rimediò alla comune paura l’arme pe
i Dei, secondo i Greci, conservataci da Esiodo, il di cui poema non è del tutto privo di bellezze, come Banier sentenzia ar
empio alla promessa. Giove innanzi la battaglia così parlò: Uditemi, del cielo e della terra Illustri figli, onde io quel
’ira sua. D’eterno Vigor ridonda l’animoso petto, E tutta appar l’ira del dio. Dal cielo Spesso all’Olimpo folgorando move,
e intorno : D’ inestins^uibil fuoco arde la selva: Arde la terra; già del mare i flutti E l’immenso oceano: e già la vampa
ricopre, e lega Catena eterna le superbe mani; E Giove solo col poter del ciglio Li circondò di triplicati nodi. Lezion
parte di cielo, e questa dicevasi tempio: però Lucrezio dice i templi del cielo; quindi fu comune questa denominazione a tu
distribuite. Ma di questa varietà erano causa i moltiplici attributi del nume, o la pluralità degli Dei che nel tempio era
no i templi di Giove, di Cielo, della Luna, rotondi quelli di Venere, del Sole, di Cerere e di Bacco, e riquadrato era quel
ta in Aulide col sangue d’Ifigenia, e un padre immolava all’ambizione del regno la sua primogenita figlia. Euripide, Senec
l sangue delle vittime. Con queste corone alcuni cingevano la sommità del capo, altri le tempia, altri il collo. S’indorava
gevano di bende: nè a questo uso sceglievasi il rifiuto, ma la gloria del gregge. Puro esserne doveva il colore, perfette l
mi. Infatti, al dir di Giovenale, qual’ostia non merita di vivere più del colpevole? La viva acqua dei fiumi purgar doveva
deva nel proprio sangue, il di cui spruzzo sovente sulla bianca veste del sacerdote rosseggiava. Purgate ed aperte le vitti
time non percoteva la scure, ma scannava il coltello. Omero, nel lido del mare risonante, mostra nell’Odissea nerissimo tor
este nera gli atri animali, che mansuefar doveano l’eterna mestizia e del re di Stige e dei numi consorti nell’impero e nel
nella pena. Cupe fosse ricevevano il tiepido sangue, e l’olio invece del vino versavasi sulle viscere che fumavano all’imp
zione. Quindi Omero ci occuperà di nuovo, leggendovi nella traduzione del sq pra lodato autore la terribile espiazione offe
o il rogo. Che più: Fra le consorti, nell’Oriente, quando il cadavere del marito incendevasi, vi era gara di morte. Cessata
, vino e farina. Saliti sopra il tumulo, chiamavano tre volte l’anima del trapassato, ne spruzzavano di chiarissime acque i
or sov’esso Il suo dechina, e il freddo volto esangue Scalda co’ baci del suo pianto aspersi. Giunto al luogo prefìsso, egl
oter; vuol altro il Fato; Debbo in Troia morir: tu soffri adunque Che del mio capo la recisa spoglia Sia sacro dono all’ami
’amistade, e pegno Di dolorosa tenerezza. — Ei tosto Le lunghe anella del suo crine, aurato Degli omeri flagello, e della f
e della fronte Maestosa alterezza, in su la bara Tronca col ferro, e del defunto amico N’empie le mani, e le si accosta al
cibo. Disse, ha d’uopo la turba; alle sue navi Tu la rinvia; quei che del rogo han cura Restin qui meco e i primi duci, io
n doppio rivo Di biondo mei, di liquid’olio. A questo, Quasi a seguir del lor Signor la sorte, Tristo pegno di fé, mescono
de’ Teucri il sangue Che giurai d’ immolarti; il voto io compio, Godi del dono mio; s’Ettor vi manca Non ti lagnar; peggio
i, che a pasto Del foco no, ma de’ miei cani il serbo. — Fallace voto del furor: dall’alto Vegliano uniti in sull’Ettorea s
orgevano nel tempio stesso d’Olimpia a Giunone e alla Terra. Miracolo del mondo era l’ara formata di corna inalzata ad Apol
etto, il Parnete, l’Anchesmo; e quando gli Argonauti vollero sul lido del mar risonante erger un altare ad Apollo, fu loro
ede dei Rutuli, chiama, presso Virgilio, Giove e le are in testimonio del patto violato. Solevansi gli altari pure toccare
narreranno. — Seneca, la di cui descrizione ho tradotta come le forze del mio ingegno il permettevano, vi racconterà il sec
auro i tibicini. Quindi seguivano vaghi fanciulli e giovinette gloria del loro sesso, che ministravano al sacrificio. Il mi
che facevansi con un ramo di ulivo, o con istrumento a ciò destinato, del quale può vedersi la figura nelle medaglie argent
scopo venendo a favellare di quei sacrifìzj, i quali vorrei per onore del genere umano che non fossero mai stati in uso, co
ali: Aspetterassi da costoro pietà, e moderazione? » Dopo il discorso del principe degli Oratori, l’accennato parere non pu
con il proprio sangue. Infelice fanciul, bagni il tuo regno. Ahi: più del padre il tuo volto deforme Non ritiene le nobili
la mesta faccia. Che l’ultimo rossor facea più bella, Come più dolce del morente sole E il raggio, allor che la vicina not
la vicina notte Fa guerra al dubbio giorno, e il mesto impero Chiede del mondo la regina antica. Tace attonito il volgo, e
a Pirro: e nuovo Prodìgio, Pirro in ferir lento, appena Sentì la voce del furor paterno Nascose il brando nel virgineo pett
eneceo, e di questi furori e di questi delitti sono ricchi gli annali del genere umano. Grato era a Baal il fumo de’ cadave
ore compassione desterà nei vostri cori di quella che sentiste udendo del sacrificio di Astianatte e di Polissena. Sacrific
suono delle loro grida. Fra gli stessi Giudei vi era una valle, detta del ruggito, dove s’immolavano i bambini dai padri, p
iate libertà di morte. — E la vergine udendo i regi detti, I bei veli del sen bianco custodi, Arrossendo, sciogliea con man
sulla fredda spoglia: E, tributo miglior, recano i Frigi Meste corone del lor pianto asperse. Ecuba, verso 518 e seg. All
immagini di mestizia esauste nel volto dei circostanti, le sembianze del misero padre, imitando Euripide, coperse di un ve
V imeneo, che essa non ardì a Menelao manifestare. Racine, prima lode del Teatro francese, ha adottata questa credenza, ed
vi cosa grata traducendo la parlata di Clitennestra, e la descrizione del sacrifizio, che di bellezze classiche ridonda. Ud
di Lucrezio sull’istesso soggetto, che ho desunti dal volgarizzamento del Marchetti. A questi succederà Euripide, e finalme
All’armata navale… » Lucrezio , Della Natura ec. lib. i. Racconto del nunzio. Tutto dirò se non lo vieta il core. Che s
la cara vita, Per la patria e pei Greci ecco ch’io dono: Volentieri del mio sangue spargete L’ara del nume: così piacque
e pei Greci ecco ch’io dono: Volentieri del mio sangue spargete L’ara del nume: così piacque ai fati, Io vi ubbidisco; il m
ra dechiiiava i lumi. Ma un gran portento all’improvviso oprossi. Che del vibrato ferro udì ciascuno Distintamente il colpo
na cerva, e vasto il corpo E belle avea le forme, e tutta avea Sparso del sangue suo Tara del nume. Con quella gioia che pe
corpo E belle avea le forme, e tutta avea Sparso del sangue suo Tara del nume. Con quella gioia che pensar ti puoi Allor C
lanti terrore, e sulle bende L’ irta chioma si alzava orribilmente, E del nume il furor gli agita il petto. Esclama: Udite,
e odonlo i Greci, E guatano Erifile: all’ara innanzi Stavasi, e forse del feral coltello Le dimore accusava, e il volsjo am
sorte: il core Pietà furtiva percotea. Ma Troia Gli si fa innanzi, e del tuo sangue è prezzo. Sventurata Erifile. Allor si
enti, e il mar risponde Coi muggiti, la riva geme e spuma. Volontaria del rogo arde la fiamma; Balena il cielo, e s’apre: u
di perfezione in che collocate sono, se non arricchite dall’ eredità del sapere. Così le statue non furono dapprima che ro
antichità sta nascosa? Osserva Winkelman, che coloro i quali trattano del nascer di un’arte, sogliono il più delle volte, f
nello Zodiaco sono i Gemini additati. Furono collocate col progresso del tempo le teste sulla cima di queste pie tre: cosi
escludeva l’oro ancora dalle figure degli Dei. Giovenale, favellando del Giove di Creta di Tarquinio Prisco, lo chiamò di
tare la divinità; il che fu loro di doppio vantaggio cagione, giacché del vincitore evitarono gli scherni, ed ai Greci vani
e terribile ripiene. In questi luoghi si celebrarono i primi misteri del Gentilesimo: sacro era per gli Arabi il bosco d’E
legio: pure concesso fu diradarli, propiziando con sacrifizio al nume del luogo. Celebri sono nell’antichità i boschi di Ap
ne presso gli antichi si legge. Famosa è quella che Lucano ne ha data del bosco di Marsiglia, che i soldati romani atterrar
arsiglia, che i soldati romani atterrarono, non liberati coll’esempio del capitano dal timore comandato dalla maestà del lo
liberati coll’esempio del capitano dal timore comandato dalla maestà del loco, ma pesata, come egli dice, l’ira di Cesare
le e presuntuosa questa impresa. Quindi ho voi garizzato quella parte del Tieste di Seneca, ove si descrive il bosco che er
ietà osservati, dei quali si ragionò nella passata Lezione. Racconto del nunzio. Sta della rocca Pelopea gran parte Conver
bitati voti, E allor che il nume i fati apre, lo speco Mugge. Traendo del fratello i figli, Dalle Furie condotto, occupa At
l fermi crolla La dubbia salma: alfìn sull’empio zio Cade, e lo bagna del comune sangue . Nè il tiranno cessò. Strascina al
umenti mi accingo a tesservi, confortato dalla lusinghiera esperienza del vostro compatimento. Sia da Giove il principio. L
reta, più d’ogni altra greca città, questo vanto si arroga; e l’antro del monte Ditteo ferace di querci fu della puerizia d
go d’Itome mostrano un fonte, dove le ninfe lavarono le tenere membra del padre degli uomini e degli Dei, quando i Cureti l
le per Cortina scorre, e che, secondo Pausania, servì allo stesso uso del fonte Itomeo detto Clessidra. Nè meno pretende a
ella nominata regione. Che che ne sia, l’istoria dei natali di Giove, del parto di R.ea, dell’inganno di Saturno deluso da
e di Melissea, Tisoa, Agno, si disputano nell’antichità l’aurea culla del fi"lio di Saturno. Nè mancò chi le colombe e l’aq
la del fi"lio di Saturno. Nè mancò chi le colombe e l’aquile ministre del folgore gli assegnasse in educatrici. Lasciò scri
l primo alimento; e ninna certamente gli antichi immaginarono nutrice del Tonante più degna. Secondo alcuni erano così le c
va il sonno di Giove; le ninfe Melie, recandolo in seno, lo nutrivano del latte amalteo e del mèle dell’ape, detta Panacri
; le ninfe Melie, recandolo in seno, lo nutrivano del latte amalteo e del mèle dell’ape, detta Panacri da Callimaco; onde n
in un’antichissima gemma veduta dal Bandini. Protessero l’educazione del nume i Coribanti, che furono detti Cureti ancora,
l’aquila, quasi base delle sue alte venture. Non placarono i henefizj del figliuolo 1’ troce animo di Saturno, il quale mem
ungere i Cecropi fallaci, che ricevuti gli stipendj, derisero la fede del giuramento, onde il nume sdegnato in sciinmio li
il nume sdegnato in sciinmio li converse. Giove, nonostante, trionfò del padre; gli tolse il trono, lo avvinse, e piombar
nel Tartaro, dove gli die per custodi Cotto e Briareo. Tanto la sete del regnare poteva ancora negli Dei! Nè bastò al sire
colla maestà de’ suoi versi ci dipinge l’aquila, assisa sullo scettro del dio, che l’ale e gli occhi dechina per la dolcezz
sullo scettro del dio, che l’ale e gli occhi dechina per la dolcezza del suono, e cader lascia dagli artigli la folgore et
iurati tentò rapirgli l’occupato trono; Egeone, che contro il fulmine del Saturnio picchiar faceva cento scudi, ed altretta
ice dominio credo significassero ponendo un terzo occhio sulla fronte del nume. Così effisriato era Giove Patroo veduto da
cielo la terra. Il celebre ratto di Europa che die nome ad una parte del mondo, è fra le segnalate imprese di Giove. Teocr
donne ancora Eran negli occhi. Alfin proruppe: sogni. Perchè turbate del tranquillo letto La sicura quiete? e chi dei numi
so il lido Ivano: qui s’unia la bella schiera, Perchè amava le rose e del sonante Mare il fiotto gradito. Europa avea, (Mer
otto gradito. Europa avea, (Meraviglia a vedersi) aureo canestro Opra del dio Vulcano: in dono il diede A Libia allora che
ve, e bronzo Io: le donava Forme più care di bellezze eterne Il nume: del canestro all’orlo estremo V’era Mercurio effigiat
io diletto Di primavera dai beati alunni. Chi il soave narciso, e chi del croco A gara toglie l’odorosa chioma, Chi le viol
Soavemente gli tergea la spuma, E lo baciava. Ei sì dolce muggia. Che del flauto Migdonio udire il suono Giurato avresti. L
rmano, e rìde il mare Di tanto pegno altero. Anco i Tritoni Abitatori del veloce flutto Suonano a nozze la ricurva conca. C
a nozze la ricurva conca. Con una mano Europa al lungo corno S’attien del tauro; coll’altra raccoglie Della purpurea veste
un dio Io varco. — Disse, e le rispose il toro: Fa cor, fanciulla, e del furor dell’onde Ridi: io son Giove; e l’amor tuo
e quella pure di Temi, amore lo prese della sorella; nè la reverenza del sangue comune protesse Giunone delusa. Il pudore
; Castore e Clitennestra dal secondo; il cigno, ministro alle voluttà del dio, dicesi collocato fra gli astri alla destra m
enticò delle dee. Latona lo fé’ padre di Apollo e Biana, li due occhi del cielo; la bionda Cerere generò da lui Proserpina,
fatte di marmo di Taso, e due altre di marmo egiziano. Sulle colonne del tempio sono rappresentate in bronzo tutte le citt
tte le città che gli Ateniesi chiamano colonie di Adriano. Il recinto del tempio è per lo meno di quattro stadj (cinquecent
secondo di una modestia rara, che dagli affari pubblici e dalle cure del governo lontano lo tenne; il terzo di amore supre
ve, detto pure Olimpico, comandava dei Greci l’ammirazione. La statua del nume era frutto dei trofei riportati dagli abitan
al dio. Con solenne artifìcio effigiata era nella facciata anteriore del tempio la pugna di Enomao e di Pelope. Giove stav
le sembianze famose. Nel interno dell’edifizio scolpita era la caccia del cignale, terrore dell’Erimanto, e le imprese di E
ra vinta. Una corona che imitava le foglie di ulivo cingeva la fronte del nume, che nella destra tenea una Vittoria, pure d
rie che pareano darsi la mano per danzare; altre due stavano ai piedi del nume. I gradiniMalla parte anteriore erano ornati
tra Ercole che coll’Amazzoni a combattere si prepara. Oltre i gradini del trono, vi erano ancora due colonne che gli erano
la madre, e mille altri mitologici argomenti. Nel più eminente luogo del trono, sulla testa del simulacro, vi erano le Gra
i mitologici argomenti. Nel più eminente luogo del trono, sulla testa del simulacro, vi erano le Grazie e le Ore, le une e
ti spaventa. Non temer, che quel dio vero e soprano, Ch’ha lo scettro del ciel, mai gliel consenta Quel dio, che con la sua
ollo si congiugne, Fere, e tronca la testa empia e superba, E macchia del suo sangue i fiori e l’erba. Argo, tu giaci, e 1
ore e sdegno. Che rode alla gelosa moglie il petto, Per l’acque giura del tartareo regno, Che mai più non avrà di lei sospe
voce a dire; E poi che’l caso suo conobbe espresso, Il ciel ringraziò del buon successo. » Metamorfosi, lib. I. Lezion
destra l’aquila o la vittoria, come abbiamo veduto nella descrizione del Giove Olimpico. Non ostante questi simboli, infin
Giove. L’ulivo e la querce gareggiavano fra loro per ornare la fronte del nume. Ma tutte queste differenze potrete scorgere
i chiamato, poiché nella religione pagana gli era attribuito l’impero del mondo, e l’arbitrio delle sorti mortali. Col nome
soglio, col fulmine nella destra e coir asta nella sinistra. Che dirò del celebrato Giove Capitolino, cui doni mandava il m
ti. Fulminatore e Folgoratore fu appellato, essendo il fulmine l’arme del Saturnio, e vi alludeva Orazio dicendo: « Nè. la
sopra le altre opere di Leocrate insigne scultore. In alcune medaglie del nominato imperatore vi è l’iscrizione di Giove To
mperatore vi è l’iscrizione di Giove Tonante. Molte sono l’etimologie del cognome Feretrio dato a Giove: io, non invidiando
Romani assediati dai Galli fama era che avesse consigliato di gettare del pane negli accampamenti di Brenne, onde togliergl
a per gli uomini innanzi che l’Evangelo insegnasse la sublime scienza del perdono, onde Giove Vendicatore ebbe adorazioni d
use, Plutarco. Giove Espiatore commemorò Erodoto, e chi era macchiato del sangue degli amici e dei parenti ne abbracciava l
ole. Pongo fine e questo lungo catalogo leggendovi la descrizione che del Giove del Museo Pio dementino, detto forse dagli
fine e questo lungo catalogo leggendovi la descrizione che del Giove del Museo Pio dementino, detto forse dagli antichi Mi
, detto forse dagli antichi Milichio, cioè propizio, ha data il padre del famoso Ennio Quirino Visconti, che secondo il par
Visconti, che secondo il parere di molti si giovò totalmente dei lumi del figlio. A questa succederà la promessa Elegia di
alle ginocchia il fulmine, sua arme. Ma il placido e sereno contegno del volto espresso in quell’aria, « …qua coslum tempe
« …qua coslum tempestatesque serenat, » può farci credere che invece del fulmine reggesse, come divinità propizia, una pat
elle di Domiziano, e come ancor le tre Grazie che adornavano il trono del Giove di Fidia in Olimpia, e vedonsi in mano di G
n mano di Giunone in una rara medaglia mezzana, di Faustina giuniore, del Museo Albani, e finalmente le Ore, o Stagioni, co
Altera Roma, Che fosti allor che la guerriera tromba Crollava i sassi del tuo Giove, e quando L’aste sabine nel Romano foro
accio, e dalla sua Rocca piangendo, gli infelici amori, Onta e furore del vicino Giove, Così spiegava; fortunato foco. Che
i, Onta e furore del vicino Giove, Così spiegava; fortunato foco. Che del mio Tazio a me le schiere insegni: O belle agli o
ine: Ahi, voglia il ciel che nuova preda ai vostri Penati io venga, e del mio Tazio sia Prigioniera felice: Addio romani Mo
he il fraterno mostro Un dì tradisti col seguace filo, Famoso inganno del Dedaleo errore. All’ausonie donzelle io sarò colp
del Dedaleo errore. All’ausonie donzelle io sarò colpa Empia ministra del virgineo foco, E di quell’ara che il mio pianto i
l mio felice letto Giaceran l’armi: ma la quarta volta Odo lo squillo del vicino giorno Nunzio, e nel mare cadono gli stanc
i stanchi Astri: provar ti voglio, o caro sonno, E ai scorni chiederò del mio diletto. Vieni agli stanchi lumi ombra benign
il campo. Coglie il tempo Tarpea: già nell’ostili Tende penetra: qui del monte insegna L’ignoto calle, e col fatai nemico
onore di esser patria a Giunone, regina degli Dei, consorte e sorella del Tonante. La prima città colla testimonianza di Om
a divina fanciulla fu affidata ad Eubea, Prosimna ed Acrea, figliuole del fiume Asterione, come lasciò scritto nel suo Viag
nutile il ripetervi a quale inganno dovesse Giunone il divenir moglie del proprio fratello: aggiungerò solamente che vi all
tasi nella Eubea, non poteva dal suo ritiro toglierla veruna promessa del ravveduto marito. Il consiglio di Giove non trova
ributi ed i nomi. I più comuni avrete nella descrizione della Giunone del Museo Pio Clementino. Degli altri, favelleremo in
he le sole braccia ch’erano già riportate in antico. « Siccome l’aria del volto, l’ornato della testa, la grandiosità dell’
ettro, simboli consueti della regina degli Dei. L’elevazione indicata del braccio sinistro, e la soave inclinazione del cap
. L’elevazione indicata del braccio sinistro, e la soave inclinazione del capo verso la destra, non lasciano dubitare nè de
i di bue, l’eleganza e la gentilezza dei panneggiamenti, la finitezza del lavoro in ogni minima parte ce la danno per un’op
he si ammirava nel tempio di Platea in piedi appunto, e molto maggior del naturale. Ma ora nè possiamo distinguere con prec
d’Olimpiade, personaggio incerto, in uno scavo intrapreso per ordine del cardinale Barberini, e diretto da Leonardo Agosti
berini, e diretto da Leonardo Agostini antiquario. Dalla similitudine del diadema con quello che si osserva in alcune medag
tradistinta, non riflettendosi che la bellezza sublime dei lineamenti del volto lungi dall’indicarci qualche ritratto, ci m
e può avere relazione alle antiche costumanze. Notabile è l’ornamento del capo gentilmente ripiegato al dinanzi. Questa spe
le piegate si obbligavano a prendere simili piegature. La guarnizione del lembo era detta dai Greci πεϛα:, instita o segmen
Atti gentili, e quelle Arti celesti che dal bello han nome E son alma del bel, gli acconci Detti E i soavi Colloquìi, e qua
a tempra Arti, che all’uopo adattamente appresta, Tutto vince la dea: del cinto armata Marte fé’ schiavo, e del monile ador
e appresta, Tutto vince la dea: del cinto armata Marte fé’ schiavo, e del monile adorna Vide al suo piede il già pentito sp
ti Certa sii d’ottener. De’ tuoi trionfi Godo al par che de’ miei; nè del mio zelo Chieggo mercé: solo Giunon rammenti Che
or gentile La dea rispose) ohimè: poss’io divisa Dalle tue braccia, e del tuo affetto incerta Così a lungo restar? Troppo m
l tuo affetto incerta Così a lungo restar? Troppo mi punge La memoria del fallo a cui mi trasse Sconsigliata pietà, troppo
llo a cui mi trasse Sconsigliata pietà, troppo m’ è grave L’ombra sol del tuo sdegno: in te rispetto. Adoro in te quanto d’
lo spiacerti, il mio rimorso Assai ti vendicò, punimmi assai Un girar del tuo ciglio. Il so, del mondo, De’ mortali la cura
morso Assai ti vendicò, punimmi assai Un girar del tuo ciglio. Il so, del mondo, De’ mortali la cura alla tua mente Commise
Altro mai non m’avria. Non rinfacciarmi Terreni affetti: al solo ben del mondo Dati fur quegli amplessi, onde temprasse Di
ar. — Deponi, o cara, L’importuno sospetto (impaziente Ripiglia il re del cielo): occhio profano Di nume, o di mortai non f
non fìa che turbi Le nostre gioie: inaccessibil velo Anche al guardo del sol farà riparo Al tuo vago pudor. — Tronca un am
, e fremito di fronde, Crollar di rami e gorgogliar di fonti Al gioir del suo nume Ida festeggia. » Iliade, Canto XIV, v.
e ragioni, fra le quali la più comune è perchè delle donne nei dolori del parto affidata le era la tutela. Nelle medaglie d
ncora per la stessa ragione era detta. Juga dicevasi, perchè al giogo del matrimonio sottoponeva i coniugi, che davanti al
a sua guerra contro i Liguri avea promesso di edificare alla consorte del Tonante. Insigne nella storia delle arti è il tem
la dea sia appunto la sposa e la germana di Giove, e per l’ornamento del capo, e per una certa nobile fiso nomia che è sua
ri preso per una tanaglia, alluda forse alla maravigliosa generazione del dio della guerra. Mi resta solo ad osservare che
’espressione merita distinta lode, è in tutto il resto delle membra e del panneggiamento d’uno stile così diverso che non p
l’ integrità. » Nascita di Marte narrata da Flora. Io già fui ninfa del beato campo, Che vide gli ozi della gente prima.
gue formai Un fiore, e ancor nella sue foglie scritta Sta la querela: del giardin felice Tu, misero Narciso, ancor sei lode
te non fer gli Dei Altro fanciullo. A che di Croco io parlo E d’Ati e del fìgiiuol di Mirra infame. Famoso pianto della Cip
e armi sonante. All’Ocean che tutto il mondo abbraccia Iva Giunone, e del marito i furti Tutti volgea nella sdegnosa mente
e della via La cagion le richiedo: ella m’espone A un tempo il loco e del cammin la meta: Le do conforto di soavi detti; El
ento d’ indicare e non di comporre questa lite; e seguendo l’ istoria del nume, dirò che adulto fu alleato a Giove nelle gu
la fortuna diede a Nettuno l’arbitrio delle onde. Divenuto abitatore del nuovo regno, amore lo prese di Anfitrite ribelle
acque dalla vasta bocca vomitate. A questa, per allontanare lo sdegno del nume, fu offerta Esione, cara a Laomedonte sopra
a favola dicendo, che Laomedonte si servi per edificare i muri iliaci del denaro offerto nei sacrificii a Nettuno e ad Apol
a conca col tridente, e talvolta di cerulea veste coperto. Al cocchio del nume alcuni aggiunsero i destrieri, altri i vitel
fìnse il poeta che Nettuno al tumulto levasse il capo grazioso fuori del mare, e che ai suoi detti i rivali fratelli le co
ce i cavalli e le balene al cocchio di Nettuno, che fa ridere il seno del tranquillo Oceano. Platone, presso gii Atlantidi,
assegnato il dominio della loro regione. Aluchete fu detto, dal suono del mare imitatore del muggito, o perchè usanza era d
o della loro regione. Aluchete fu detto, dal suono del mare imitatore del muggito, o perchè usanza era d’immolargli un toro
gli diede, città sessanta stadii da Egio lontana. Nisireo da un’isola del mare Carpazio; Egeo da Egide isola dell’Eubea. Si
minazione che deriva dalle idee tenute dagli antichi sulla ca-’ gione del terremoto, secondo essi prodotto dalle acque; ond
Iliade, ammirato da Longino, merita di esservi letto nella traduzione del celebre Monti. « Nè invan si stava alla vedetta
folte antenne si vedea davanti. Ivi, uscito dell’onde, egli sedea; E del cader de’ Greci impietosito, Contro Giove fremea
è fra le antiche la statua di Nettano: noi vi distinguiamo l’immagine del dio del mare non solo dall’ idea del volto, che h
antiche la statua di Nettano: noi vi distinguiamo l’immagine del dio del mare non solo dall’ idea del volto, che ha qualch
: noi vi distinguiamo l’immagine del dio del mare non solo dall’ idea del volto, che ha qualche tratto della fìsonomia di G
uno scettro, non lascia di determinare questo strumento, pel tridente del dio del mare, o pel bidente del dio dell’Inferno.
tro, non lascia di determinare questo strumento, pel tridente del dio del mare, o pel bidente del dio dell’Inferno. Siccome
minare questo strumento, pel tridente del dio del mare, o pel bidente del dio dell’Inferno. Siccome l’aria del volto e la n
del dio del mare, o pel bidente del dio dell’Inferno. Siccome l’aria del volto e la nudità della persona escludono Plutone
. Osservabile è l’integrità di questo simulacro, e la grana finissima del marmo, quasi diafano, in cui è stato scolpito. »
ti, al dire di Cicerone, seguito da Arnobio, quattro, oltre il figlio del re degli Dei, furono i Mercurii: il primo nacque
alente e di Foronide, ed è lo stesso che Trofonio: il terzo dal Nilo; del quarto s’ignorano i genitori, ma fu anch’ egli ad
a varietà doveva necessariamente dubitarsi dagli antichi della patria del nume. Omero ed Or feo lasciarono scritto che nacq
ivendo l’Arcadia, indica tre fonti nel campo Feneotico, dove le ninfe del divino fanciullo, allora nato, lavarono il tenero
io, e non Ercole, da Giunone ingannata suggesse il latte, che a parte del cielo die nome. Omero, o chi sia l’autore degli
u partorito, abbandonò la culla. Nato nella mattina, sonava alla metà del giorno stesso la cetra, e verso la sera rubò i bo
ava alla metà del giorno stesso la cetra, e verso la sera rubò i bovi del lungi saettante Apollo, superando la soglia del r
o la sera rubò i bovi del lungi saettante Apollo, superando la soglia del rovinoso antro dove agli amplessi della madre, fr
i della madre, fra le tenebre care agli amanti, veniva lo dio signore del fulmine. Escito, incontrò presso la casa una lènt
imento all’ineffabile astuzia di Mercurio. Gettò i sandali nell’arena del mare, e con foglie di mirto e di mirica ordì pei
e dei mortali. Giunse intanto Apollo nell’Onchesto, scoperse l’autore del furto dagl’indizii datigli dal vecchio di cui fav
voso monte Cillenio; il giocondo odore che diffondeasi accusò la casa del nume fanciullo, cui minacciò, se non manifestava
avesse nascoso i rapiti giovenchi ad Apollo, che rimase maravigliato del sottile inganno, e più dell’accennato istrumento,
uire tutti i consigli di Giove. Questi sono i principii dell’infanzia del nipote di Atlante narrati per Omero. Luciano, che
e di Atlante narrati per Omero. Luciano, che sovranamente era fornito del talento di spargere il ridicolo su tutto, amplifi
li da Apollo gli aggiungesse il nume, poiché ne divise l’ ira facendo del dono esperimento. Degli altri simboli ed ufficii
conti come è scolpito Mercurio fanciullo, e Mercurio Agoreo o Preside del Foro. Mercurio fanciullo. « L’eleganza dello sca
l Foro. Mercurio fanciullo. « L’eleganza dello scalpello, la venustà del soggetto, rendono pregevolissima questa statuetta
che ora spieghiamo. La fìsonomia fina e vivace, rilevata dalla forma del naso alquanto ripiegata all’insù, caratterizza l’
cia il miuimo dubbio che questo marmo ci offra il pesante Morfeo, dio del Sonno, rappresentato anch’egli coll’ali sulla fro
anch’egli coll’ali sulla fronte nei marmi antichi, quantunque l’atto del silenzio, che esprime appressando l’ indice della
io, come ne fan fede molte antiche gemme, fra le quali una bellissima del Museo Strozzi, ed un’altra della collezione Stosc
per quanto colla sua avvedutezza si avvisasse di celare ogni indizio del furto, non potè sfuggire alla vista di un vecchio
appunto che brilla insidiosamente sulle sue labbra, e l’aria vezzosa del volto, son rammentati da Luciano in uno dei suoi
acché è la sola nella quale siasi conservata questa singolare insegna del messaggiero dei numi. Ha egli il suo petaso, o ca
non solo come nume della Eloquenza, ma ancora come divinità tutelare del Commercio. La verificazione di quanto affermiamo
za pubblica e le statue, fra le quali un Lucio Vero giovine, maggiore del naturale, un’Augusta in forma di Venere, un istri
he quello di Cillenio, il quale da Cillene, monte di Arcadia e patria del nume, secondo la più comune opinione deriva. L’al
……………………Udite ch’ebbe Mercurio, ad eseguir tosto s’accinse I precetti del padre, e prima ai piedi I talari adattossi. Ali s
Di questa descrizione di Virgilio si giovò GianBologna nel simulacro del nume, al quale un vento è sostegno mentre s accin
. Di Mercurio chiamato Acacesio, da Acaco figlio di Licaone educatore del nume, era celebre il tempio presso i Megalopolita
ponevano per indicare le strade, e verso di esse rivolgevano la testa del nume, sotto la quale ogni avvolgimento della via
riete, fu detto Mercurio, perchè presso i Tanagrj vi era un simulacro del dio scolpito da Calami antichissimo artefice, in
rizia città dell’Arcadia, e Melopoo perchè commessa gli era la tutela del gregge. Cammillo, cioè ministro degli Dei, lo dis
Pausania, da molte gemme annulari, e da due antichi bassirilievi, uno del Museo Chiaramonti, l’altro del palazzo Albani, re
ri, e da due antichi bassirilievi, uno del Museo Chiaramonti, l’altro del palazzo Albani, recentemente dal celebre Zoega il
Albani, recentemente dal celebre Zoega illustrato. Diminuirà la noia del tessuto catalogo r illustrazione del famoso Visco
ga illustrato. Diminuirà la noia del tessuto catalogo r illustrazione del famoso Visconti sopra la statua chiamata l’Antino
glio di Maia. Farò a questa succedere una breve Ode di Orazio in lode del nume, la quale ho volgarizzata non con fedeltà di
leagro. Se di Teseo per altro ha la nostra statua la serena avvenenza del volto, non ha però nè i lineamenti coi quali in a
lle forme giovanili, non ha però nè la pelle leonina, nè la grossezza del collo, nè la proporzione della testa nè finalment
serva in questo stesso Museo, Disconvengono però a Meleagro i tratti del sembiante totalmente diversi e nella j^resente st
quella che si osserva nei Meleagri; disconviene la graziosa pendenza del capo, propria di un nume che s’ inchina ad ascolt
e dei mortali; disconviene finalmente l’assenza totale dei distintivi del vincitor della belva di Calidone, che non solamen
crespato. A lui secondo la minuta descrizione di Galeno, l’aria soave del volto e lo sguardo dolcemente penetrante; a lui l
a destinazione di questa statua, non essedovene alcuno caretteristico del Mercurio Eisagonìo, che presiede alla palestra e
no tuttora i segni non equivoci di Mercurio? Questa è sotto gli occhi del pubblico nella Galleria Farnese, dove con piacevo
aggiungendo al peso delle sopraccennate congetture quello gravissimo del confronto riconosciuto dagli eruditi come il mezz
Mercurio tratta la comune denominazione, potrei dire che l’avvenenza del volto e l’increspatura dei capelli suscitarono l’
damento per tale opinione nel nome di Adrianello che davasi, ai tempi del Nardini, al sito dell’Esquilino dove fu scoperto
ima in un ignudo nobile e giovanile. La testa non cede nella bellezza del disegno e dell’esecuzione ad alcuna che sia mai s
l numero delle copie antiche che ci rimangono ne dà una maggiore idea del merito dell’ originale, che tale è senza quistion
o, ove era forse la villa dell’imperatore Gallieno. Oltre il Mercurio del Palazzo Farnese, n’ esistevano altre tre repliche
non avea veduto l’originale. « Mi resta da osservare che il contorno del basamento antico nel quale è incassato il piantat
Parafrasata Cillenio dio, gloria dell’avo Atlante, Che il fero culto del recente mondo Colla palestra ornasti, e col sonan
e Della minaccia, onde fu pegno l’ira D’eterno amore: A te fanciullo del rapito armento La cura con miglior senno commise,
. Fra i più chiari figli di Giove, Apollo si distingue, il signore del canto, l’eterno rettore dei corsieri del sole, il
llo si distingue, il signore del canto, l’eterno rettore dei corsieri del sole, il custode del futuro, di cui dilegua le te
signore del canto, l’eterno rettore dei corsieri del sole, il custode del futuro, di cui dilegua le tenebre; il re della De
artorì Latona con la sorella, emula illustre che seco divide l’impero del cielo, e va superba della luce fraterna. In Delo
iò, partoriente (per servirmi dell’espressione di Dante) li due occhi del cielo. Apollo, benché dio, soggiacque a molte sve
ontro il Tonante, diresse infallibili saette sui Ciclopi fabbricatori del fulmine, arme di Giove, e ministro della morte ve
he l’arco dell’esilio pria saetta. » Sull’Amfriso pasceva le cavalle del re, e nel pingue lago Bebeide lavava le chiome, g
iuro Laomedonte. Nè la pattuita mercede segui la fatica: più generoso del re dell’acque, non fece piangere Apollo i popoli
oso del re dell’acque, non fece piangere Apollo i popoli per la colpa del re, ma propizio ai Troiani diresse l’arco di Pari
contro Achille, di lui solamente minore. Egli, che al dire di Orazio, del mentito destriero col timido inganno non avrebbe
perchè fu aiutatore di Alcatoo per edificare l’ inestricabile errore del laberinto. Tale grido correva fra i Megaresi, com
; col secondo, di piombo, d’invincibil odio cagione, saettò la figlia del fiume Peneo, emula di Diana nella castità e nei c
dine di scagliare una freccia da vicino e senza l’arco, la situazione del giovinetto mezzo nascoso dietro al tronco, indica
oma vezzosamente raccolta, e quasi all’ uso donnesco, è tutta propria del figlio di Latona, sebbene conviene particolarment
dine esistono ancora al presente, e sono 1’ attestato della celebrità del loro originale. Quella della Villa Al bani è in b
lcemente il cigno Canta. Apritevi, o porte, ecco lo dio Della danza e del canto: ai modi alterni Deh v’accingete, o giovine
ncor l’ammiro. Adesso udite: Silenzio: udite la canzon d’Apollo. Tace del mar la formidabil onda Quando canta il poeta i ce
ormidabil onda Quando canta il poeta i certi dardi E il divin plettro del Licoreo nume. Nè più Teti nel mare ulula Achille,
se canta A senno suo: chi al par di lui lo puote. Che siede a destra del gran Giove, e vince Con beata armonia le cure ete
e nel temuto incontro Arrossì la sorella; in lui cotanto Potea l’amor del giovinetto Admeto: — Io Peane, diciam — fu l’inno
lo che con Delfo, nobilitato dalle imprese, dal tempio e dall’oracolo del nume. Pausania, tesoro di pellegrine cognizioni p
Ma Femonoe divenne allora molto celebre: ella fu la prima interprete del dio, e lo fé’ parlare pure per la prima volta in
re pure per la prima volta in versi esametri. Non ostante Boeo nativa del luogo, e conosciuta per Inni che fece per gli abi
ttribuisce a stranieri venuti dalle contrade Iperboree la costruzione del tempio ove Apollo dava i suoi oracoli: asserisce
r interpreti delle sue risposte. « Si pretende che la prima cappella del dio fosse composta dai remi di un lauro di Tempo,
ppella fu edificata da uno di Delfo chiamato Ptera, che coll’equivoco del suo nome, che in greco significa ala, diede luogo
 I pochi uomini che avanzarono all’acque avendo guadagnata la sommità del Parnaso coi lupi e le altre hestie feroci, che co
lla Terra, ehhe una fanciulla chiamata Tia, che fu la prima insignita del sacerdozio di Bacco, e celebrò Torgie in onore de
la prima insignita del sacerdozio di Bacco, e celebrò Torgie in onore del dio; dal che, dicono, è nato che tutte le donne p
ollo e da questa Tia: alcuni gli danno per madre ancora Melene figlia del Cefiso. « Col tempo la gente del paese chiamò la
danno per madre ancora Melene figlia del Cefiso. « Col tempo la gente del paese chiamò la città non solamente Delfo, ma Pit
le il senso: — Apollo scoccherà una freccia mortale contro il bandito del Parnaso, e lo distenderà ai suoi piedi. Macchiato
o scopo. I Focesi per le istigazioni dei loro capi, si resero padroni del sacro deposito, ch’era conservato in questo tempi
emio concedevasi a colui, che avesse cantato i) più bell’inno in onor del nume. Nella prima celebrazione Crisotemi di Creta
consultare l’oracolo: ma che essendo divenuto cieco, facesse poco uso del talento di ma-ritare il suono colla voce. « Nella
orsa degli uomini armati. » Fin qui Pausania. Daremo quel che avanza del suo racconto nella se^’uente Lezione. Udite intan
racconto nella se^’uente Lezione. Udite intanto da Orazio nuove lodi del nume. Nume, che ultor della fastosa lingua Sentì
a migliore, Vinto dai preghi della Cipria dea E dalla voce tua, padre del canto. Eterna gloria della lira argiva. Febo che
ro l’armonìa serbate. Ed i numeri miei. Dite Latona, E lei che adorna del fraterno lume La notte, e sola soffre occhio mort
poeta. Orazio, Ode V, lib. iv. Lezione decimasettima. Monumenti del tempio di Delfo. Pausania, nell’enumerazione
nazioni, dalle quali erano stati offerti. Io sopprimerò questa parte del racconto di lui, perchè non conviene allo scopo d
rsiani. A dritto dunque gli eressero una statua in Delfo. Nel recinto del tempio vedrete subito un toro di bronzo, opera di
esi, Si presenta quindi a vostri occhi il dono dei Te^eati in memoria del trionfo che riportarono su gli Spartani. Consiste
zione di quello di Troia, opera di Antifane Argivo. « Sul piedistallo del medesimo vi è un’iscrizione la quale riferisce ch
ale riferisce che le statue onde è circondato provengono dalla decima del bottino, che gli Ateniesi conqaistarono dai Persi
Dalle mani famose di Fidia sono nati tutti questi simulacri. « Presso del nominato cavallo si mirano pure altre offerte deg
ad Apollo. Oggi non vi è danaro nè in questo luogo, nè in alcun altro del delfico tempio. Segue il dono dei Gnidii, eh’ è u
Ateniesi hanno ancora edificato un portico colle ricchezze dei popoli del Peloponneso e dei loro alleati. Rostri di navi e
acifica Ercole. La Minerva e la Diana sono di Chioni, le aitre statue del monumento di Dillo e di Amicle scnltori di Corint
ne perdono. Ma nel momento che tocca la riva, e che attacca il canape del suo naviglio a un albero, ovvero ad uno scoglio.
e due vittorie marittime di Artemisio e di Salamina. Due altre statue del nume sono ofierta degli Epidauri e dei Megaresi.
ue del nume sono ofierta degli Epidauri e dei Megaresi. Nel pavimento del tempio di Delfo bellissime sentenze leggevansi, e
o notissime, spettando ai Sette Sapienti della Grecia, e parlerò solo del come è concepita la risposta dell’oracolo, per qu
ta ad Omero, la quale si legge nella colonna a cui sovrasta la statua del principe dei poeti. — Felice ed infelice, giacché
to. « Presso la fontana Cassotide sorge un edifizio, ove sono pitture del celebre Polignoto, dedicate ad Apollo. Si chiama
bella. Crolla sdegnosa la leggiadra testa, E accresce onor la libertà del crine, Che sopra i delicati omeri ondeggia. Ferma
copia sicura. Molto può tormi, e molto avanza, e sono Maggiori i beni del timor. Fingete Che pera alcun dei figli miei: sar
alla plebe il re non vieta. Ode l’ardire dei superbi detti Latona, e del dolor le furie a gara Accrescon rabbia all’animos
a la cervice, ed esce Dalla gola col sangue. Egli già prono Dai crini del corsier balza, e la terra Bagna di sangue. Dell’a
ano tutti: audace E Niobe sola. In nere vesti avvolte Stavano intorno del funereo letto Con sparse chiome le sorelle meste.
onservano ancora un certo ondeggiamento, come quello della superfìcie del mare il momento dopo che è cessato il vento. Guar
è non piuttosto contro il campo degli Achei per vendicare l’oltraggio del suo sacerdote, vendetta memorabile che è l’occasi
fuori, non giunge ad oscurare le luci, o a contrarre il sopracciglio del dio del giorno. Il lungi-saettante si ravvisa nei
non giunge ad oscurare le luci, o a contrarre il sopracciglio del dio del giorno. Il lungi-saettante si ravvisa nei suoi sg
agli omeri sembra che, secondo la frase d’ Omero, suoni sulle spalle del dio sdegnato. Una eterna gioventù si diifonde mol
e alla vittoria di Pitone, che allora non potrebbe esser 1’ argomento del simulacro, o alla medicina, di cui Apollo è il nu
lture lo adornassero, come l’ApoUine di Vaticano, e la celebre statua del Gladiatore Borghese. Giulio II aveva acquistata l
l Laocoonte nel suo giardino Vaticano colla direzione, come si crede, del Buonarroti. Il marmo è un finissimo greco di somm
be riunite dei loro pezzi antichi. Quello che avanza circa la qualità del marmo, onde è formato l’Apollo è assicurato dalla
empi (il celebre Mengs) che non contento di aver rapita la meraviglia del secolo colle sue sorprendenti pitture, ha meritat
arte. I dubbi sull’originalità dell’Apollo si riducevano alla qualità del marmo, all’essersi trovata in Anzo, e ad alcuni a
scultura. « Verificato pertanto che sia marmo delle cave di Grecia e del più bello, cade il fondamento di di tutto il disc
eratori, e sa a quanto giungesse il lusso dei Cesari e la non curanza del pubblico di Roma per le arti del disegno. E poi,
il lusso dei Cesari e la non curanza del pubblico di Roma per le arti del disegno. E poi, una villa che onoravano tanto spe
per le arti del disegno. E poi, una villa che onoravano tanto spesso del loro soggiorno i signori del mondo allor conosciu
oi, una villa che onoravano tanto spesso del loro soggiorno i signori del mondo allor conosciuto, potea ben meritare l’orna
e perciò si trovano degli errori nei capi d’opera, non solo dell’arti del disegno, ma delle lettere ancora e delle scienze,
di allentanarsi in ciò dal rigido vero per servire alla destinazione del simulacro, che, veduto nel sito dove dovea colloc
mente da alcuni altri; e perciò sono restate ignote quasi 1500 statue del solo Lisippo, ognuna delle quali, secondo Plinio,
zione, Lasciando da parte quelli che non possono convenire all’azione del nostro, ne rammenta Plinio due di Filisco, un di
i rimedii e della salute; per mostrare che il morbo eccitato dall’ira del nume cessava poi per la sua clemenza col mezzo de
la terra confuse col diluvio universale, perciò adattatissimo simbolo del fine di una mortalità impetrato dalla potenza d’A
sibile. Questa mirabile statua tanto supera tutti gli altri simulacri del dio, quanto l’Apollo di Omero è più grande degli
Non vi son nervi nè vene che a quel corpo diano delle ineguaglianze e del movimento: ma par che un soffio celeste, simile a
circondano le muse e lo accarezzano. Fra tutti i rimastici simulacri del padre degli Dei, nessuno ve n’ha che si avvicini
tà in cui egli manifestossi alla mente di Omero: ma. in questa statua del figlio di Giove seppe l’ artefice, eguale a quel
’autore della celebre statua dell’Apollo di Belvedere, e alla qualità del marmo in cui è scolpita. Affermò non potersi supp
amor, che diede Non sorte ignara, ma il furor di un nume Iva superbo del domato mostro. Quando mirò curvar l’arco a Cupido
fuggir tanto; io pur freno il mio corso; Pensa a chi piaci: abitator del monte E pastore io non sono, e qui gli armenti E
a cetra Marito il suon degli animosi carmi: Certo è il mio strale, ma del mio più certo Fu quello onde ho piagato il core.
omano trionfo. E tu custode Fida starai presso l’auguste porte Tutela del sacrato arbor di Giove. Fia teco il vanto di perp
osse l’onor della frondosa cima, Raro dono al Poeta, e che di Giove E del fulmine suo l’ire prescrive. Ovidio Metamorf.
ta beltà si trovi in tutte le statue di Apollo. « La più bella testa del nume, dopo la celebre di Belvedere, è senza dubbi
Belvedere, è senza dubbio quella d’una poco osservata statua sedente del medesimo, di grandezza maggiore del naturale, nel
una poco osservata statua sedente del medesimo, di grandezza maggiore del naturale, nella Villa Ludovisi. È questa intatta
a unita al busto, e affatto intera, sta nella camera dei Conservatori del Campidoglio; la terza è nel Museo Capitolino, e l
sieme dietro alla testa. Le donzelle li tiravano su tutti air intorno del capo, in cima al quale annodavangli in guisa che
oro ignote. » Fin qui Winkelmann nella sua insigne istoria dell’arti del disegno. In un’altra operetta sull’Allegoria, non
l ch’io sappia, ancora nella nostra lingua, e che vi esporrò nel fine del mio Corso mitologico, così favella il sopra lodat
o mitologico, così favella il sopra lodato Autore intorno alla chioma del nume. « La capellatura bionda di Apollo può esser
re considerata egualmente come allegorica, facendo allusione al Sole, del quale questo dio è l’imagine: ma senza attaccarci
ra, nella quale Anacreonte desiderava che fossero dipinti i capelli del suo favorito: gli voleva neri nell’interno e sple
Per questa ragione in Atene si diede il nome di θαυμαντις13, indovino del dio, vale a dire di Apollo, a quelli che morendo
in una figura seduta di Apollo, coi capelli annodati sopra la sommità del capo, ordinario ornamento alle giovinette, il qua
e vincitore nel suo combattimento con Marsia. Sopra una pietra incisa del Gabinetto di Stosch, Temi gli presenta una tazza
be raggiunto ancora che la velocità di lui fosse rapida quanto quella del Sole. «  Plutarco fa menzione di un Apollo tenent
e il Sole di cui annunzia il comparir sull’orizzonte. Il frontispizio del settimo volume dell’ Antichità Greche di Gronovio
Apollo deve averli da questa isola banditi. A Delo vi era una statua del nume con un arco nella destra, e le tre Grazie po
teneva istrumento musicale: una il flauto, l’altra la siringa, quella del mezzo la lira: si pretendeva che questa statua fo
« Nell’insigne simulacro di Apollo, che abbiamo descritto (l’Apollo del Belvedere), ci ha rappresentato r artefice la pos
e della poesia, il nume dei Vati, il condottier delle Muse. Nell’aria del volto animato dall’estro, nelle labbra semiaperte
Febo che il più nobile e il più celebrato, perchè servisse di emblema del citaredo imperatore. Possiamo dunque inferirne ch
mpagnava nei portici di Ottavia le nove Muse di Filisco. La mae stria del lavoro, non meno che la celebrità del luogo dove
e Muse di Filisco. La mae stria del lavoro, non meno che la celebrità del luogo dove erano esposte queste statue alla luce
nate di smeraldi in luogo di bacche. La gemma che distingue la corona del nostro Apolline può riferirsi a simil costume: qu
e lo dimostrano molte medaglie, fra le quali un medaglione di Commodo del Museo Carpegna ora in Vaticano, un busto colossal
, tratta le armoniose corde della dorata lira. E Tibullo: L’estremità del peplo, o palla, sembrava scherzare fra i talloni,
ra apta baltheo, secondo la espressione di Apuleio, pende dagli omeri del nume per una specie di armacollo. Tali cetre più
i. Febo con l’allor lusinga La nuova strada al suo poeta. musa, Narra del Palatino Apollo il tempio: Del tuo favor l’impres
te i lidi, E cela dell’Jonia onda il muggito. Or la nave lulea fama è del mare Che al pallido nocchier non detta i voti. Qu
e lulea fama è del mare Che al pallido nocchier non detta i voti. Qui del mondo pugnar le mani: ascose Mole di pini con div
mmensi Sciolse al Pitone, che l’ imbelle Lira Temeva: disse: salvator del mondo, O maggiore degli avi Ettorei, Augusto: Vin
o scettro infranto. Cesar stupito dall’Idalia stella Grida: Son nume: del mio sangue è fede Questo. — I Tritoni accompagnar
ntrade alle quali la mal cauta Cerere affidò la sua figlia. Delo cuna del dio, e sola fra tutte le terre pietosa a Latona,
to di Mitridate saccheggiata, la fortuna dell’onde recò alle spiaggie del Peloponneso per farlo oggetto di culto ai Greci p
io che in Delfo ad Apollo sorgeva. Stazio volendo esprimere il dolore del dio per la morte di Anfìarao, reputò di non poter
, che primeggia fra gli antichi pittori. Pitio lo dissero dalla morte del serpente Pitone, che le membra anelanti abbandonò
ioè ospitale, fu venerato dai Pellensi nell’Acaia, e presso il tempio del nume celebravansi il certame chiamato Teoxenia, i
ansi il certame chiamato Teoxenia, istituito da Castore e da Polluce, del quale era premio, secondo Pindaro, una veste, e s
esa dopo l’Anguillara. Avventura di Fetonte. Per sublimi colonne era del Sole Alta la reggia: vi risplende l’oro, E le fia
into, ed ha velate L’eterne mem.bra di purpurea veste. Stanno al lato del nume i mesi, i giorni. Gli anni, i secoli, e post
nverno Le chiome irsute son di neve asperse. Stupisce all’alta novità del loco Il giovinetto, ma le scorge il Sole Con gli
il Sole Con gli occhi omniveggenti, e dice: figlio, Che vuoi? qual è del tuo venir la mente? Egli risponde: Dell’immenso m
’attesto ignota Ai lumi miei: — taceva appena il nume, Che fé dimanda del paterno cocchio Fetonte, e per un dì chiese il go
cammin: lo vince appena Il recente vis^or d’Eto e Piroo: Altissima è del ciel mezzo la via: Sempre nuovo terror mi scote i
io, e l’ampia bocca Di lion fero, le curvate braccia De lo scorpione, del vicino cancro La diversa minaccia. Èlieve forse G
cuore il tuo guardo potesse. Figlio, sorprender le paterne cure. Mira del ricco mondo i doni e scegli: Non soffrirai ripuls
i udì Fetonte, E la dimanda incalza: il petto insano L’ardor possiede del paterno carro. Le concesse dimore invan frappose
nire alla sorella, impone All’Ore il carro preparar: veloci I comandi del dio seguon l’ancelle, E traggon fuor dalle sublim
brarsi: in core Tardo pentir gli nasce, e te condanna, Fasto infelice del paterno sangue. Come legno che Borea ha vinto, e
lascia Il pallido nocchiero al vento, ai voti, Che si faccia non sa: del ciel gran parte A tergo stassi, e più davanti: i
non lascia il freno, Nè lo ritiene. Non conosce il nome Dei destrieri del Sol; nel vano cielo Gli sparsi mostri minacciar r
per genitore ora Iperione, or Fallante. Fingono i Mitologi che prima del fratello nata, uffìcii di levatrice prestasse all
montagne, sedea ancor bambina, come narra Callimaco, sulle ginocchia del genitore, quando fece al padre la prima richiesta
heranno tosto i Ciclopi gli strali e l’arco pieghevole: ma il portare del lume, il cinger vesta fino al ginocchio orlata ac
ofi’erse. — Così detto volea la fio’liuola toccare la veneranda barba del padre (questo atto presso i Greci facevasi dai su
servire per Nettuno, e consisteva in un vaso per abbeverare i cavalli del nume. Spaventaronsi le ninfe quando videro gli or
ione di due simulacri di questa divinità, tratta dal Museo Clementino del celebre Visconti. Quindi Ovidio, che ho tradotto
ia da cacciatrice nella sinistra. E poi si può dare che l’espressione del nostro simulacro non sia quella della caccia, ma
. Credemnum non è altro, anche secondo Eustazio, che vìncolo o laccio del capo; ottimamente dunque si appropria questo nome
ento di ciò è la favola Omerica, nella quale si narra che questa diva del mare die il suo credemno al naufrago Ulisse perch
ad altro soggetto; così ne ha circondata la fronte l’Urania colossale del Palazzo Farnese, e quel che è più osservabile que
e questa nostra Diana, Omero stesso, ch’è il fondamento dell’opinione del Winkelmann, dà il credemno ad Andromaca, nuzial d
e; lo dà a Penelope, come abbian sopra notato, e Coluto nel principio del suo poema ne adorna le ninfe dello Scamandro. « V
tesse non sono aliene da questo nume, a cui è sacra una delle sommità del Parnaso. La nostra Diana si rende con ciò tanto p
rebbe dire che la nostra statua non Diana rappresenti, ma Agave madre del cacciatore Atteone, e cacciatrice anch’essa e in
ppena giunge al ginocchio, la faretra appesa agli omeri, l’attitudine del corso espresso in tutte le membra, il cane che Ta
to in cervo Con non tue corna, e voi, cani feroci. Ch’il sangue saziò del signor vostro. Colpa fu di fortuna, e non delitto
hiome e il volto L’onde vendicatrici: e detti aggiunge Che nunzi sono del futuro danno: Or ti lice narrar che senza velo Mi
o col latrato accenna Ai compagni la preda: accorron tutti Rapidi più del vento, Ileo feroce, E Lelape, e Teronte, Agre che
manco lato Si avventa, e manca alle ferite il loco; Geme, e se umano del suo pianto il suono Non è, nò meno si conviene a
sulla traccia di qualunque animale. Di qui partita trovò sulla vetta del monte Parrasìo delle cerve saltanti, alta e mirab
desti sul Miso Olimpo con quella luce inestinguibile, che dai fulmini del tuo padre deriva. Quante volte, diva, provasti l’
sci le bestie feroci, affinchè i mortali ti chiamino come me divinità del soccorso: lascia pascere sui monti le capre selva
poiché quantunque abbia divinizzate le membra sotto la frigia querce del monte Oeta, egli è quello istesso Ercole vorace,
ditrice di cervi amasti sopra le altre; Britomarte certa saettatrice, del di cui amore preso Minosse errò pei monti di Cret
le fiere coi cani. La lodano quelli che furono chiamati per la caccia del cignale di Calidone: infatti i segni della vittor
e colle quali Diana in diversi simulacri effigiata si vede. « Quello del Museo d’Ercolano, così Winkelmann si esprime, sta
le sembianze d’una vergine, eh’ essendo dotata di tutte l’attrattive del suo sesso, sembra ignorarle. Non. ha però umile e
to coronato, introdotta per sciogliere Fazione, ci palesa l’innocenza del suo seguace, ed ordina che nella patria onori gli
ll’eroe. Dall’onde Quando levossi orribil suono, e scossa Fu la calma del pigro aer: gemendo Fin dall’abisso una tremenda v
l’ossa nasconde. Sospirando vi corro, e m’ accompagna La guardia sua: del generoso sangue L’orma ci guida. Son tinte le rup
i erano consacrati. Adempio all’obbligo della mia promessa ragionando del famoso tempio sacro a Diana in Efeso, che si anno
pio sacro a Diana in Efeso, che si annoverava fra le sette meraviglie del mondo. Era antichissimo, ma non fu però nel suo p
tichità di questo tempio mentre le stesse Amazzoni vennero dalle rive del Termodonte per sacrificare a Diana Efesina nel di
ive del Termodonte per sacrificare a Diana Efesina nel di lei tempio, del quale avevano cognizione; e ciò perchè qualche te
vata in un olmo, in cui apparentemente era la statua di Diana. Quello del quale io parlo era meno antico. Ecco la descrizio
ella sodezza in quel morbido terreno, ed inzuppato d’acqua, vi posero del carbone pestato, e sopra esso pelli di montone co
este colonne ve n’eran 36 ben lavorate collo scalpello, e una di mano del celebre Scopa. L’architetto che condusse a fino q
ggior difficoltà a collocar una pietra di maggior mole sopra la porta del tempio. » Crederebbesi che Plinio, mancandone la
el luogo in cui si dovea collocare. Si potrà ben credere che il tetto del tempio fosse di tavole di cedro, conforme avverte
fede a ciò ch’egli dice della scala, per cui salivasi sino alla cima del tetto e ch’era fatta d’un solo tronco di vite, qu
r piccole statuette di Diana in argento, può ben provare la celebrità del culto di quella dea. Sembra peraltro che la descr
Plinio, Dinocare, ristesse che disegnò la città di Alessandria, e che del monte Atos voleva fare una statua ad Alessandro.
simo luogo una statua d’oro in onore d’Artemidoro, uno degli artefici del tempio. Dice Yitruvio che questo tempio d’ ordine
ra cade. Or calca nelle liete erbe nascenti La promessa dell’anno, or del cultore, Pianto maggior, miete i maturi voti; Cad
va. È lieve Sembianza all’ira sua folgor che abbatte Ed arde i templi del suo Giove: orrenda Luce vibrano gli occhi, e fiam
giacque Anceo Per valor temerario. — Ai detti aggiunse Strale potente del seguace voto, Ma di pioppo s’oppon frondoso ramo.
ondoso ramo. Yibra un dardo Giasone ancora: il caso Lo porta al tergo del fidato cane. Che si volge al signore e muor latra
e i nostri vanti Non usurparti, o donna: ah non t’inganni La fiducia del volto, e il nuovo amante. — E a lei la preda e la
fiducia del volto, e il nuovo amante. — E a lei la preda e la ragion del dono Tolgon. Le mani per furor si morse L’eroe, g
i dubbi interrompe Meleagro, e nel sen ribagna il ferro Ancor fumante del fraterno sangue. — Ai templi degli Dei doni porta
al grembo scosse L’ infausta prole. Con la man temuta Toccando i fili del fatato stame Disser le dive: Egual tempo doniamo
i tutta pera in ammassato pianto La scelerata casa: Eneo felice Godrà del figlio la vittoria, e solo Testio starassi nella
morte, Io lo confesso, eppur ch’egli è mio figlio Sento: dunque vivrà del vostro sangue Vincitore crudele, e re superbo? Vo
o son madre: ahi dove, Dove sono i pietosi antichi voti: Cara memoria del dolor materno, Ove se gita? nel primiero foco Meg
ria fiamma. Sente da cieco fuoco arder le membra L’ignaro Meleagro, e del suo duolo Col coraggio trionfa: ignobil morte Sen
quarta. Dei nomi più famosi di Diana. Diana, onde non esser minore del fratello, chiese a Giove molti nomi e li ottenne.
stelle abbandonasse, colla speranza dei furti amorosi, che nei sassi del monte Latmo celar pretese « Ai tanti occhi del c
morosi, che nei sassi del monte Latmo celar pretese « Ai tanti occhi del cielo. » Origine alla finzione diede forse Endim
cane. Illitia presso i Greci appellavasi, perchè negli acerbi dolori del parto invocata. Orifea la nominavano, perchè le s
barbaro costume nella flagellazione dei fanciulli fino all’effusione del sangue. Gli altri cognomi di questa divinità hann
iando dalla sua forma, altro questa non c’indica senonchè l’antichità del simulacro. Siccome ne’ vetusti tempi i sassi in f
ini, che potè dalle loro mummie trarre 1’ origine. Questo rozzo corpo del simulacro è stato poi di varii emblemi arricchito
ito, che tutti han relazione all’idea che si eran formata que’ popoli del significato della lor divinità. A questa sola spi
altra guisa lavorato e disposto. Può questo ancora essere il simbolo del disco lunare, come lo è sovente nelle antichità d
di varie frutta, denotanti il più antico cibo degli uomini. Il resto del petto è coperto dallo Zodiaco, su cui ci son visi
è coperto dallo Zodiaco, su cui ci son visibili i segni dell’Ariete, del Toro, de’ Gemini, del Cancro e del Leone, e sul q
co, su cui ci son visibili i segni dell’Ariete, del Toro, de’ Gemini, del Cancro e del Leone, e sul quale sembran danzare q
son visibili i segni dell’Ariete, del Toro, de’ Gemini, del Cancro e del Leone, e sul quale sembran danzare quattro donne
n una certa somiglianza al gran tempio di Efeso, una delle maraviglie del mondo, anzi la più stupenda, al dire di parecchi
di queste sue opere. Una somiglianza di quel gran tempio, o piuttosto del sacello della dea, esiste in piccolo, lavorata in
manca. « Si comprende però che avea maggior risalto che il rimanente del lavoro, perchè la gemma è alquanto scavata nel si
etonte prodotti. Uditene il racconto da Ovidio che ho tradotto: Cura del nume era l’Arcadia: impera Ai fiumi irresoluti il
di Diana il manto E le sembianze veste, e dice: ninfa. Parte migliore del seguace coro. Da qual monte ritorni? — Il molle f
:); e chi resiste A Giove? al cielo vincitor ritorna Il nume, e porta del pudor rapito Dolci vestigi. Odia Calisto il bosco
dea Giove si celi. Allorché vide le compagne note Lascia ogni tema, e del bel numer’una Tosto diviene. Ah come mal si cela
a. Ammuta; e casta Se non era Diana, in mille segni Leggea l’ingiuria del virgineo fiore. Ben lo vider le ninfe. Avea la lu
ntroduce, con quella grazia ch’è tutta sua, Giove afflitto dai dolori del parto, che non il soccorso di Lucina implora, ma
izii di levatrice, onde sonora nell’armi balzò dal capo divino la dea del sapere. Omero, nel quarto libro dell’ Iliade, no
tello di Beozia, Alalcomenia disse Minerva; e questo luogo per patria del nume vien confermato da Strabone, che riporta che
di Del tuo gran padre, e sola De’ celèsti vibrarne osi gli strali, Nè del cangiato vibrator s’accorge La folarore divina: T
Nettuno, oppose al toro, ovvero al fremente cavallo nato dal tridente del nume, la maniera di edificare una casa. A lei, pe
l Museo Capitolino. Pallade è stata rappresentata con Giunone, allato del trono di Giove, in piedi. La sua figura, vale a d
a. Nel numero delle rappresentazioni rare è quella d’una pasta antica del Gabinetto Stosciano, che offre Pallade sonante du
come le copie dei quadri dai bagni di Tito conservati alla biblioteca del Vaticano lo provano: l’uno e l’altro colore posso
indicare il fuoco, giacché Pallade è stata riguardata come l’immagine del fuoco etereo. Nel rovescio di una medaglia di Mar
a (al dire di Winkelmann) ha sempre l’aspetto serio, e par l’immagine del pudor verginale scevra di ogni debolezza di sesso
de all’alto. Essa ha generalmente i capelli annodati a molta distanza del capo i quali poscia sotto il legame or più or men
ato d’ elmo, qual vedesi presso il Giove seduto in cima alla facciata del tempio di questo dio sul basso rilievo del sacrif
duto in cima alla facciata del tempio di questo dio sul basso rilievo del sacrifìcio di Marc’ Aurelio, e su una medaglia di
uesta fregiata da due civette, uccello a lei sacro per la somiglianza del colore delle sue pupille con quelle della dea. Gl
ri animali, e per ciò l’attribuivano a Pallade che uscita dalla testa del padre degli Dei tutta armata non respirava che ba
lla Verità. Che gli antichi per altro supponessero la spoglia istessa del mostro piuttosto che la sua immagine sull’egida d
o in compagnia delle Muse non ha voglie tanto feroci. In fatti la dea del sapere non poteva stare in compagnia più propria
tare in compagnia più propria che quella delle Belle Arti, e il parto del cervello di Giove che colle figlie di lui e della
ade unite. » Descrizione delle armi di Pallade. « Ma l’altra dea ch’è del gran padre immago, Arme arme intuona, e dalle spa
E della guerra lagrimosa indossa Tutta la maestosa orrida pompa. Pria del temuto Agitator dei nembi Veste l’usbergo, indi a
rchi Di Tartareo velen spande la morte. Quindi il capo immortai grava del pondo Dell’elmo d’oro altocrestato, e tale Che po
o dei quali indicava di un nume la gloria e la possanza. Minerva, dea del valore e del sapere ad un tempo, ne sortì molti,
ndicava di un nume la gloria e la possanza. Minerva, dea del valore e del sapere ad un tempo, ne sortì molti, ed io ne ripo
di Pallade si dicessero perchè tremendi di aspetto, e simili a quelli del biondo imperator delle foreste. Col titolo di Mar
hio da Alcandro, giovine feroce, che il popolo consegnò alla vendetta del suo legislatore. Ma egli magnanimamente lasciò l’
ra che si conservassero tutte l’armi di Diomede, che dall’opportunità del luogo invitato, scese coi suoi compagni in questo
na parte il tridente, dall’ altra la testa di Pallade, perchè col dio del mare divideva di questa città l’impero e la tutel
oderno, sostenesse il suo olivo, pianta diletta a Pallade, ed emblema del soprannome di Pacifera. Benché lo stile di questa
e bellicoso e feroce della vergine guerriera, ed insieme l’etimologia del suo nome greco di Pallade e del latino di Minerva
ne guerriera, ed insieme l’etimologia del suo nome greco di Pallade e del latino di Minerva. Se il secondo ha avuto l’origi
tere squadre d’eroi, contro cui, al dire di Omero, si adira la figlia del forte padre. E se il primo l’è stato imposto dal
la a Minerva, e di risarcirla con altri simboli proprii di questa dea del valore e del sapere. Non è già che non apprendiam
e di risarcirla con altri simboli proprii di questa dea del valore e del sapere. Non è già che non apprendiamo dagli antic
di questo nobile panneggiamento appariscono queste sulla parte manca del petto alquanto interrotte come in drappo che rest
ad una superfìcie aspra sottopostagli, la quale aiteri quella caduta del panno, che sarebbe determinata naturalmente dalla
iverse negli antichi monumenti le immagini della dea di Atene coperta del paludamento della guisa stessa che la nostra è ra
di Zopiro esprimente il giudicio di Oreste, e nel bassorilievo simile del Palazzo Giustiniani, dopo Minerva aggiunge il suo
o improprio aggiungere alla nostra statua una testa antica non armata del suo consueto cimiero, che invece le si è fatto re
affinchè lo fanciulle in tal giorno anniversario non tocchino l’acqua del fiume Inaco, e che gii uomini non riguardino Pall
egna nel volto Decoro eterno. E allor che in Ida venne Alla gran lite del pastor troiano, Nell’Oricalco, o al trasparente g
pastor troiano, Nell’Oricalco, o al trasparente gorgo Non si specchiò del Simoenta: e Giuno Di mirarsi obliò. Venere sola S
tano Eurota Quindi si terse, e versò puro unguento, Che a lei stillar del proprio orto le piante, E le corse un color come
a Coronea volgeva Le frementi cavalle, e che scorrea L’are e la selva del Coralio fìume, E l’opre dei Beoti, un carro solo
ean le membra ignude: Cheta tranquillità teneva il monte, E nel mezzo del cielo il sol regnava. Nel sacro loco erra Tiresia
empre. Tu per lievi cose Prendesti, o dea, terribil pegno: i lumi Hai del mio figlio per corvette e damme? — Sì Cariclo dic
cor pietà percosse, E all’amica dicea: Donna divina, Ritratta i detti del furor; non feci Io cieco il figlio tuo, che grato
a feral: la madre afflitta Errerà per le selve, e l’ossa sole Troverà del suo figlio; e tu felice, Diva, sei stata, che dai
figlio. Deh non piangere, o cara: il tuo fanciullo Attendon doni che del nostro amore Saranno eterna fede: illustre vate A
hi augelli Vedrà le sorti ascose a Cadmo, ai figli Di Labdaco: udiran del sacro petto L’avverate risposte. E gran sostegno
po scosse, e fato Diviene il cenno dell’eterna fronte. Tutto ha Palla del padre, e solo a lei Fra le figlie il concesse: o
a ferita, colla quale Saturno mutilò Celo padre di lui, e dalla spuma del mare. Appena nata, dai capelli e dal volto spreme
adorate dagli antichi, nate da genitori diversi. La prima di queste, del Cielo e del Giorno figlia, ebbe tempio in Elide;
li antichi, nate da genitori diversi. La prima di queste, del Cielo e del Giorno figlia, ebbe tempio in Elide; la seconda,
ina, o volgare, con la celeste. Epimenide Cretese, seguendo un parere del tutto op posto, pensa che di Saturno ed Evenirne
Venere fosse figlia. L’opinione più comune si è quella che alla spuma del mare fecondata dal sangue di Celo ascrive il nasc
di Diana come destinata in sposa d’Anchise. Crebbe l’amore nel petto del Troiano non contenuto dalla riverenza che come de
promise all’amante. Ma gli fé’ severo comando di tacere la vera madre del figlio che nascerebbe, e d’ imputarlo alla ninfa
mente in due opere in marmo, una delle quali è il monumento circolare del Campidoglio, l’altro uno dei due bellissimi cande
circolare del Campidoglio, l’altro uno dei due bellissimi candelabri del Palazzo Barberini. La lepre gli era particolarmen
particolarmente consacrata per cognite ragioni. Alcune pietre incise del Museo Stosciano offrono Venere tenente un pomo e
irenze è simile alla rosa che esce fuor dalla boccia al primo apparir del sole dopo una bella aurora, e par che senta quell
gnuda esporsi al di lui sguardo. È nella stessa attitudine una Venere del Museo Capitolino serbatasi meglio che tutte le al
ade, di Diana e di Proserpina medesima, sta cogliendo fiori nei prati del l’Etna in Sicilia. Tal fregio di capo è stato pur
ltre l’additarsi vie maggiormente con questo vaso rovesciato l’azione del bagno, dove era stile degli antichi di ungersi, è
ea. Questo alabastro serve appunto per determinare meglio il soggetto del simulacro, perchè non converrebbe a Diana veduta
tunque nè guerriera, nè cacciatrice, ne volle usare neppure il giorno del contrastato giudizio. L’amore degli ornamenti che
a: genere di braccialetto che le donne sogliono portare nella sommità del braccio sinistro. Questa sommità conviene per l’
ommità conviene per l’ appunto alla nostra statua, e la foggia stessa del serpe è rammentata da Polluce, che fra gli ornati
bri che solean portarsi egualmente ai polsi che nella parte superiore del braccio al gomito, nomina espressamente le serpi.
co scalpello. Sarà stato dunque un nome che l’avarizia, o l’ignoranza del possessore avrà anticamente falsificato. Quanto f
cognome, che secondo Pausania deriva da Citerà, isola nell’estremità del golfo Beotico. Venere Armata ebbe dagli Spartani
ungo alla serie di questi cognomi tre descrizioni di statue di Venere del Visconti, dalle quali quante cognizioni per ritra
ento di Giasone, non omette l’ immagine di Venere collo scudo in mano del dio Marte: l’affibbiatura della cui veste caduta
melle si vede in un singolarissimo bassorilievo affìsso in un cortile del Palazzo Lancellotti. « Non tanto l’aria del volto
evo affìsso in un cortile del Palazzo Lancellotti. « Non tanto l’aria del volto e le graziose fattezze convenienti alla più
mile, anzi la stessa colla presente statua: o si consideri la voltata del capo, o l’attitudine delle braccia, o l’andamento
deri la voltata del capo, o l’attitudine delle braccia, o l’andamento del corpo, il panno, l’urna, e fin l’acconciatura dei
te pervenuta sino a dì nostri? Il vaso è un idrio servito per l’acqua del bagno; la cura della beltà han cercato gli antich
anche più stretta, per esser ella nata dalle acque, cioè dalla spuma del mare, onde fu detta Afrodite. Era perciò venerata
d eran sacri a lei i porti e i promontori:: come consta fra gli altri del Circeo da una iscrizione vetustissima scolpita su
pera di Vulcano, non fosse di sua invenzione, ma come parecchie altre del suo poema avesse preesistito all’Eneide, sarebbe
esti furono scelti per adombrare la Venere, annoverata fra gli autori del nome Romano. Cesare stesso, che nella pugna Farsa
è poi trattata con molta trascuratezza. La novità dell’ invenzione e del soggetto è quella che le dà qualche pregio, e non
ta, come la più litigiosa delle divinità, che mal soffrendo la novità del reirno maritale, turbava i silenzi della pace cel
con alcuni lacci nascosi, che legarono tosto la dea quando fé’ prova del dono del figlio. Portava questo dio, come piace a
ni lacci nascosi, che legarono tosto la dea quando fé’ prova del dono del figlio. Portava questo dio, come piace ad Euripid
scluso dal corso. Se alcuno era superato da chi lo seguiva, per legge del giuoco era costretto a dargli la face ardente. Lu
uestione. Questo utile ritrovato attribuiscono a Prometeo, più antico del dio, secondo lo Scoliaste di Sofocle, e ch’ebbe
cauto: mostrò agii Dei l’altrui felicità, la propria vergogna; favola del Cielo divenne, e non vi fu alcuno deg’ Immortali,
Marte. La piromanzia, cioè la pretesa maniera d’ indovinare col mezzo del fuoco, ascrivono pure a Vulcano, di cui Virgilio
ure con un cappello di colore violetto per indicare il fuoco celeste, del quale era depositario. Questo cappello è ovale, o
to dio. Sopra un antico monumento della Villa Negroni, sopra un’ urna del Campidoglio, e sopra un basso rilievo della Villa
medaglie di Tessalonica. Vulcano fu l’artefice dell’infausta Pandora, del cane in bronzo di Procri, e di quel famoso scettr
, e ‘1 segna D’orme diverse, e a suo piacer l’informa. E pria le cure del gran mastro alletta Non più visto lavor d’immenso
a l’aggiogate coppie Drizza pel solco e le punzecchia; alcuni Giunser del campo in sul confin: qui lieto Il buon padron gli
di covoni e monti. Cheto in disparte su d’un trono erboso Siede il re del villaggio, e lieto ammira Le rusticali suo dovizi
turato e d’erbe Sapide e pingui e di rappreso latte, Non senza i doni del licer celeste Che l’uom rintegra, agli anelanti s
le dalla moglie di Zeftìro vi esposi allora che questa gelosa matrona del Tonante fu l’oggetto delle mie ricerche. Ma tal f
ima semplicità delle favole non nega a Giove la gloria di esser padre del dio della guerra. Tero, che in greco suona lo ste
barbare nazioni fu educato. 16 Coi principii della favolosa infanzia del nume vollero gli antichi significarci che dei men
re da Vulcano i due amanti. Sdegnato il dio lo converse in un uccello del suo nome, giacché Alettrione in greco significa l
ca lo stesso che gallo, e porta ancora la pena della sua negligenza e del rossore di Marte, annunciando ai mortali il giorn
a della ferocia fosse di lui propria offerta. Si annovera fra i vanti del dio 1’ aver dato il nome a quel luogo celebre in
dimenticato il suo comando? Frena la collera che t’ inspira la morte del figliuolo. Anche dei più prodi di lui hanno già m
nulla è di mortale in un Dio. Omero nell’Odissea racconta gli amori del nume con Venere. Tutti gli Dei, come vi esposi ne
golla severamente, cosa che conciliò al principe tutta la benevolenza del popolo. L’equivoco del nome di Sol e Sole, dice q
che conciliò al principe tutta la benevolenza del popolo. L’equivoco del nome di Sol e Sole, dice questo autore, ha potuto
torico alle favole è impresa pericolosa, e dubito che Palefato troppo del suo sistema si compiacesse. Varii cognomi sortì M
ici. Fu detto Enialio da Enio, la quale è lo stesso che Bellona, ed è del nume sorella, come ad altri piace, genitrice. Il
na biga condotta dai suoi figli il Terrore e la Fuga. Una sola figura del Palazzo Borghesi lo mostra con un anello alla gam
manteneva l’Impero. Marte che va presso Rea Silvia, origine favolosa del potere di Roma, era rappresentato sugli elmi dei
rappresentato, dice Winkelmann, come un giovine eroe, e senza harba: del che pur ci fa fede un antico scrittore. Ma un Mar
Ciprio ha pensato che dalla barba di Adriano, il quale nell’immagine del dio della guerra è rappresentato in una statua de
uale nell’immagine del dio della guerra è rappresentato in una statua del Museo dementino, siano derivate le immagini di Ma
ate le immagini di Marte barbato, una delle quali è il chiamato Pirro del Campidoglio. Ma Quirino Visconti ha osservato che
cie contrade, e mentre varca L’Orsa gelata, con error diverso Lo trae del loco la tempesta eterna. Schiere di nubi contro i
oi raggi perde il sole, e fugge L’atre sedi la luce inorridita: Degna del loco è la custodia: al primo Ingresso al forsenna
, e sol vi splende Un fuoco alle cittadi arse rapito. Stan le spoglie del mondo intorno intorno, E le cime del tempio ornan
adi arse rapito. Stan le spoglie del mondo intorno intorno, E le cime del tempio ornan le genti Debellate. Nel ferro eran s
dulterio illustre Anco il Sol non avea: cercava appena Mercurio il re del tempio, allor ch’il suolo Tremò repente, e riperc
, stridon le porte Di perenne adamante. Ecco ritorna, ^E le belle ire del valor guerriero Ha nel volto; di sangue Ircano è
Ha nel volto; di sangue Ircano è lordo II manto, ed il crudel spruzzo del carro Cangia il color dei larghi campi; a tergo P
io, o fratel: d’Arcadia i colli Questi non sono per rugiada lieti, Nè del Liceo l’aura clemente. — Il Nume Gli fa risposta
Cerere, onde Giove, che coi domestici stupri cercò diminuire le cure del regno, come è costume dei potenti, insidiò ancor
vesti prendesse, ed in oscurissima spelonca nascosa fuggisse la luce del cielo e l’aspetto degli Dei. Tutti i frutti della
ivino maravigliosamente cresceva. Ammiravano i genitori la robustezza del fanciullo, e loro cadde in pensiero di osservare
tè coll’aiuto di questi versi il celebre Visconti dare la spiegazione del basso rilievo di una patera non ancora compreso.
i. Ovidio, Virgilio, e un gran numero di poeti latini si sono serviti del nome di Cerere per significare il pane. Si faceva
e; infatti lo porta sopra molti monumenti. Differiva poco dalla forma del calato, col quale si è qualche volta confuso. Il
icinanze di Palestrina; il secondo oflriva la figura di un gran vaso, del quale l’ apertura è larga. Quando se ne servivano
n pezzo di pino. N’era rigorosamente prescritto l’uso nelle cerimonie del culto di Cerere. Le offrivano delle vitelle, e qu
la lettura nei diversi ragionamenti sopra Cerere, Udite intanto parte del primo libro: Il ratto di Proserpina. Lungi, prof
, e anelar sembra nel corso, I penetrali delle sacre cose Apritemi, e del ciel vostro i secreti, E narrate con qual face l’
mpa. Un’altra Volta avrian rotta gli elementi in guerra L’antica fede del concorde mondo, E della terra ai liberati figli S
accia opposte Briareo sanguigno. Le custodi Parche Le minacele vietar del re di Dite. Avanti il soglio del severo capo Spar
Le custodi Parche Le minacele vietar del re di Dite. Avanti il soglio del severo capo Sparsero la canizie, indi i ginocchi
con civile tromba Empie insegne sollevi, onde ai profani Giganti sian del ciel le strade aperte? Dimanda a Giove una consor
ianza A cui cresce terrore il duol; la bocca Solleva e tuona: al suon del lor tiranno Taccion gli abissi impauriti, e frena
A Dite e al ciel, che l’una e l’altra soglia Puoi varcar solo, e che del doppio mondo Formi il commercio: va, dividi i ven
rnale: dell’antica notte 1 principi ne attesto, e te di Stige, Pallor del cielo, inviolato flutto. Se Giove non consente, a
occupa già; l’ascolta Giove, e rivolge nella sacra mente Vari pareri: del richiesto nodo Qual sarà il frutto? e chi col pur
a: ambe le sprezza Cerere bionda, e il suo pegno commenda, Ahi: cieca del futuro, ai campì Etnei, Infidi lari alla commessa
mitare con fedeltà maggiore la natura: poi s’inalzarono fino all’idea del bello ideale. Ogni accessorio fu bandito, e non f
i, Febe sua sorella ne divenne la terza sovrana, ed ella alla nascita del suo nipote gliene fece un dono, e gli diede il co
i cadaveri demetrii (grecsignifica Cerere) senza dubbio per la natura del corpo umano, e per la maniera nella quale è decom
il senso dell’ allegoria, la quale indica la consumazione dalla terra del nostro corpo, che conserva più lungamente le ossa
ni di Minerva. Mercurio, utile in questa intrapresa, precede il carro del rapitore, e sembra voler consolare la figlia di C
dei cigni, o da cavalli guidati dall’Amore, come si vede in due gemme del Museo Stosciano. E mi si conceda di portare lo st
a. (continuazione). Etna al Cielo anteponi tanto si fida Nell’ingegno del loco: Un dì fu parte L’Etnea contrada degli Auson
olse indietro i lumi Dicendo: Salve, o sospirata terra, Più cara a me del cielo; io del mio sangue La gioia ed il dolor, di
i lumi Dicendo: Salve, o sospirata terra, Più cara a me del cielo; io del mio sangue La gioia ed il dolor, di questo petto
dubita di ravvisarvi due simulacri di Cerere. Sopra una pietra incisa del Gabinetto di Stosch questa dea è in un carro tira
iconoscere Trittolemo sulla bella coppa di Farnese, già nel Gabinetto del re di Napoli: quello che è tenuto da questa figur
ento della città di Metaponto nella Magna Grecia, esistente nel Museo del Duca Caraffa Noya a Napoli. Nel rovescio vi sono,
ete avrebbon dovuto esser meglio disegnate ed incise nella collezione del signor Pellerin. Si vede in esse Proserpina coron
alle spiche la testa di Cerere: e quindi le credo foglie dello stelo del grano anziché di canna palustre, quali furono giu
moltiplicità delle medesime senza interruzione delle forme principali del nudo e senza affettata ricercatezza di partiti, r
e riconoscibile da ogni intendente quel che esponiamo sulr artifizio del bellissimo simulacro, altrettanto è dubbio tutto
el bellissimo simulacro, altrettanto è dubbio tutto ciò che può dirsi del soggetto rappresentato. « Ha ottimamente riflettu
iflettuto il chiarissimo signor Abate Amaduzzi che senza imbarazzarsi del ritratto, che è forse ideale, i papaveri e le spi
l marmo ravvisata la dea dell’agricoltura. Stranissima era l’opinione del Venuti che la credeva una Giulia Pia: men strana
lta, come la precedente, dal cortile della Cancelleria. La semplicità del disegno sembra che ne formi il carattere principa
grandiose linee determinano la fisonomia, poca varietà è nei partiti del panneggiamento, e quella sola che vi regna nasce
amento, e quella sola che vi regna nasce dalla diversità dei contorni del nudo che ne è coperto: hasta però contentare 1’ o
trascurato: ma essendo quelle linee parallele, che formano le pieghe del panneggiamento, con tale intelligenza disposte e
nfusione in qualche distanza, anzi fanno emergere le forme principali del nudo; davvicino sembrano una esatta imitazione de
che fu propriamente cognominata Alma, e riconosciuta come la nudrice del genere umano. « Il ristauro è stato eseguito su q
rappresentazioni teatrali entrate anch’ esse per una parte non ultima del culto greco e romano, ed essendo particolarmente
mente Cerere la compagna di Bacco, nume propriamente autore e preside del teatro. » Udite il fine del primo libro di Claud
acco, nume propriamente autore e preside del teatro. » Udite il fine del primo libro di Claudiano sul ratto di Proserpina.
Il ratto di Proserpina. (Continuazione). E sede augusta Ida alla dea: del tempio La rispettata pietra un pino adombra Con d
r tremendi, Ch’erran d’Averno per li neri prati A Oocito ghirlanda, e del tranquillo Lete bevon gli stagni, onde lor spuma
rudel, quasi presaghi Sian della preda che il signore attende. (Fine del primo libro di Claudiano). Lezione trentesimaq
forie due donne maritate, di legittimi natali, scelte da un’assemblea del loro sesso. La spesa della festa era, secondo il
udere questa opinione, ma il famoso Visconti ha combattute le ragioni del critico francese. Si celebravano le Tesmoforie ne
l critico francese. Si celebravano le Tesmoforie nell’undecimo giorno del mese detto dai Grecì pianepsione, ch’ equivale al
ebri giuochi secolari, documento dell’ altezza di quel popolo signore del mondo, che fissò i limiti dell’umana natura, il q
una troia gravida, che prima era lavata in Cantaro uno dei tre porti del Pireo. Nei primi tempi non v’ era spesa, ma Arist
uello degli Epopte, o Vescovi, nell’adito, cioè nella parte interiore del tempio. Dei veli pendenti assicuravano il segreto
l marito industre Sospende al fianco la purpurea veste. Lei la Regina del Liceo seguiva, E la potente, che dell’asta all’om
la foggia dorica senza colonne esteriori, quando n’accrebbe la maestà del tempio sotto Demetrio Falereo il celebre Filone,
t’ultimo lo sa chiunque ama la virtù, e non cerca di scemarle la fede del genere umano con insensati sofismi. Nel numero de
à delle loro dimande gli scoperse per profani, e condotti ai prefetti del tempio furono, come rei di grave colpa, uccisi. I
pire un vaso forato, come quello che i poeti diedero alle Danaidi ree del sangue dei loro sposi. Era vietato iniziare i for
sciolga meco fragile legno pel mare. — E a tanto arrivava lo scrupolo del rigoroso silenzio, che cogli Dei stessi credevano
e dal Meursio su questo soggetto, nella seguente Lezione. Udite parte del secondo libro di Claudiano. Il ratto di Proserpi
n lascivo volo Regni, e fai lieto di rugiada l’anno, Mira le ninfe, e del signor del tuono L’altera prole, che nei nostri c
olo Regni, e fai lieto di rugiada l’anno, Mira le ninfe, e del signor del tuono L’altera prole, che nei nostri campi Degna
ferrigno.. Non tanti nelle penne Iride accoglie Variati color: vince del loco L’aspetto i fiori, cresce in facil colle Il
rge dal crine Le feconde rugiade: — e toglie al prato Il fior memoria del suo pianto: invade Il volgo delle ninfe i varii b
uo pianto: invade Il volgo delle ninfe i varii boschi. La rapina così del timo Ibleo Trae l’api allora che le ceree schiere
gigli, e chi le tempia Coll’amaraco adorna, e va di rose Coronata, e del bel ligustro adorna Il sen, che tanto paragon non
i Eleusini, gran parte dell’antica religione. Nel decimoquinto giorno del mese di Agosto, detto dai Greci Boedromione, avev
era la festività di Giunone. Nel quarto giorno vi era la processione del calato, canestro, il quale si portava in un carro
ppresentata in un basso rilievo antico pubblicato dal Lami nell’opera del Meursio sul soggetto di cui si tratta. L’ottavo g
benemerito della nostra Religione, abolì con molte altre ridicolezze del Paganesimo ancora i misteri Eleusini, che furono
mpie di foglie Agresti e i fiori accoppia, e sé corona Fatale Augurio del sortito letto. L’onnipotente dea la destra stessa
e la placata cresta Tien Primavera. Coi sagaci cani Colei che scorre del Partenio i boschi Or sprezza i cori, e di frenar
e del Partenio i boschi Or sprezza i cori, e di frenar con vago Serto del crin la libertà non sdegna. Ecco ch’in mezzo dei
ogli stanchi serpi L’asse trattiene: lo zulfureo tergo Segnano l’orme del fumante giro. Come occulto guerrier cerca la stra
on erranti briglie il terzo erede Di Saturno ricerca ove l’uscita Sia del mondo fraterno: era ogni via Chiusa, e duro contr
gna a soffrire il Sole, e vanno Rapidi più che rovinoso fiume; Vincon del Parto la saetta, i venti, II volo del pensier: sp
più che rovinoso fiume; Vincon del Parto la saetta, i venti, II volo del pensier: spuma di sangue Il freno, e tinge le fum
na: Ah noi ricorda: Addio per sempre: altro tentar ne vieta Reverenza del Padre: in tua difesa Non vagliam vinte da maggior
mondo, e danna A tanto lutto il nostro Cielo? I gioghi Te piangeranno del Menalio monte, E il mesto cinto, e tacerà di Delf
soccorri. — Da tai detti il feroce, e dalle belle Lacrime è vinto, e del primiero amore Sente i sospiri, e alla fanciulla
facil riso la mestizia eterna Mansuefece. Flegetonte s’alza Al venir del suo re, d’ardenti rivi Spuma l’ispida barba, e tu
L’invido umore dai Tantalei labbri. Tizio le membra spaziose inalza E del pallido campo i nove giri Tutti discopre. Tanto e
bre pie, E vigil canto nelle soglie echeggia: — Giuno nostra madre, o del Tonante E genero e fratel, sonni concordi Traete:
oeti, per quanto lo concedeva la tenuità delle mie forze e la vastità del subietto. È sentimento di alcuni che due Veste vi
no, che Pale ancora fu detta; e Y altra figlia di lui. La somiglianza del nome le fece confondere, ed alla seconda si attri
buiti ad Orfeo disse che la dea abitava nel mezzo dell’eterea regione del fuoco. E questa opinione segue Ovidio nei Fasti,
obo della Terra, ma per additare con esso tutto l’universo, nel mezzo del quale stava quel fuoco che chiamavano di Vesta. P
con tanta superstizione, che veniva riguardato come pegno dell’impero del mondo. Prendevano sinistro augurio se si estingue
È chiaro che confonde Vesta colla Terra. Sopra una lampade di bronzo del Museo Romano si vede la dea che tiene una fiaccol
ono degli scudi empie, sicuro Simulacro di mal; notte ripete I timori del giorno; in ogni sonno Pere la figlia. Or da vibra
osco a lei più caro Un lauro, ed eran le pudiche frondi Ombra gradita del virgineo letto: Questo, reciso fin dall’imo, trar
tartarea scure. Nuncia dei proprii danni era la figlia, Immagin prima del sopor materno: Di carcere nel mesto orror vederla
allido il crine Emulo già dell’oro, occupa notte Gli occhi, la gloria del superbo volto É vinta dal pallor, le nivee membra
itando, e muta Gran tempo, gode che la vista orrenda Sia sogno; eppur del lacrimato amplesso Si duole che il piacer fugga c
i, e tremo Che non sveli la fama il mio segreto. Me la famosa nobiltà del loco Spaventa: ancora con timor diverso Mi avvert
A lei rispose Cibele: I detti tuoi disperda il vento: Non sì gli ozii del ciel Giove avviliro Che alla difesa di cotanto pe
gli atrii desolati, e riconosce La tela, suo lungo desio, confusa, E del pettin le dotte arti interrotte. Perì l’opra divi
no, nella cara tela Imprime baci, e con le mute fila Ragiona, e tutti del lavoro illustre Gristrumenti negletti al sen si s
voro illustre Gristrumenti negletti al sen si stringe Come la figlia: del pudico letto I vestigi ricerca e gli percorre Con
cchio paterno, ed era a lei Genitrice seconda. Allora avea La canizie del suo capo tremante Sparsa di polve, e gran pianto
ato i numi La lunga pace dei tranquilli lari. (Fine della traduzione del Poemetto di Claudiano). Lezione trentesimottav
ga Terra sede sicura di tutti gì’ immortali, i quali tengono i gioghi del nevoso Olimpo, e nei recessi di essa stava il Tar
principio di Esiodo traendo l’argomento della mia Lezione, ragionerò del Caos, della Terra, e dell’Amore. Secondo Ovidio C
. L’autore delllnno Omerico la chiama gran madre degli Dei e consorte del Cielo stellato. Erodoto dice che presso gli Sciti
aglie i modi diversi di rappresentare la Terra. In una pittura antica del sepolcro dei Nasoni, ov’è effigiata la pugna tra
« Una medaglia dell’imperator Comodo, dice Addison, offre l’immagine del Sole che comincia il suo corso; il disegno n’è be
rsi di Ovidio: La via è ripida, terribile, ma sono i quattro corsieri del Sole; eglino hanno divorato lo spazio, i loro pie
e era eccellente a guidare un cocchio di carriera. » Fin qui Addison, del quale ho riportato le parole, perchè oltre l’addi
la Terra ammantata posando la destra sopra un globo stellato, poiché del Cielo e delle Stelle fìngesi madre. Stassi adagia
albero simbolo della fertilità e della durata. Scorgonsi al di sopra del suddetto globo sorger le quattro stagioni dell’an
parola (grec) feminina erano significate. In un’antichissima lucerna del già citato Museo Passeri vedesi la Terra in mezzo
più seguitata, da Venere e Marte. Platone definisce l’Amore figliuolo del dio delle ricchezze, ch’ei chiama Poro, e della P
carole; anco sovente Colle destre in leggiadro ordin congiunte Cinser del tronco la misura, e dieci Braccia tre volte empiv
te Cinser del tronco la misura, e dieci Braccia tre volte empiva: era del bosco Maggior, quanto sovrasta all’erba il bosco
mandar frementi D’Eresitton la pena. A lor consente La dea: col cenno del divino capo Scosse i campi ove gran messe biondeg
greta parte, E l’arid’ossa dai curvati lombi Spuntan pel ventre: evvi del ventre il loco. La macie accresce le giunture, e
egli chiede Ciò che rinchiude e mare ed aria e terra, E a mensa piena del digiun si lagna, E quel eh’ un popolo empie a lui
di bronzo, e Prassitele ne aveva per l’ innanzi scolpito uno per loro del bel marmo del Monte Pentelico. I Tespiesi narrava
rassitele ne aveva per l’ innanzi scolpito uno per loro del bel marmo del Monte Pentelico. I Tespiesi narravano che loro fu
o forme varie all’infinito. Una delle sue immagini più dotte è quella del Gabinetto di Stosch, che l’offre tenente un grupp
te un gruppo di chiavi in mano, che egli è il padrone ed il guardiano del talamo di Venere, come Euripide si esprime. Rappr
tutte le grandi divi^nità per denotare l’estensione e l’universalità del suo impero. Possiamo convincercene in un basso ri
del suo impero. Possiamo convincercene in un basso rilievo incognito del Palazzo Mattei, sul quale si veggono dodici picco
utarco, è il compagno delle Muse, delle Grazie e di Venere. Una gemma del Museo Fiorentino ci offre Amore che naviga sopra
pie d’Amore dormente è in un marmo della Villa Pinciana nella stanza del Sileno ed in un altro dei monumenti Peloponnesiac
ti Peloponnesiaci. Questo rettile, come il ramarro, credevasi simbolo del predire l’avvenire, che gli antichi e i moderni h
’avvenire, che gli antichi e i moderni hanno creduto essere proprietà del sonno, onde disse Dante « ……………… il sonno, che
o, dirovvi ciò che intorno a questa dea pensavano gli antichi. Regina del Caos era innanzi che Iddio togliesse la lite degl
eggiarono i poeti che fosse tratta sopra un cocchio, avanti alle rote del quale cominciavano a risplender le stelle. Euripi
te nera portata dalle bighe occupava il cielo. — Questa immagine però del carro sembra posteriore ad Omero, poiché gli scri
ia la Terra, — E nel libro secondo la fa sorgere dall’Oceano al cader del giorno. Sacrifìcavasi a questa dea il gallo come
accola rovesciata, con l’iscrizione: La Notte. Sopra un basso rilievo del Palazzo Albani, che esprime la scoperta dell’ adu
mpirò il mio ragionamento colla descrizione di un simulacro di Arùore del Museo dementino, data dal celebre Visconti. Succe
rco della destra e la sinistra posata sulla faretra, é nella galleria del Palazzo Farnese: un’altra fu dissotterrata nell’O
Palazzo Farnese: un’altra fu dissotterrata nell’Orto Muti alle falde del Viminale, nel sito ove gli espositori della topog
tto nudo pel tempio di Parlo dove ebbe fama e avventure pari a quelle del simulacro materno di Guido. Quel che sicuro è, ch
oie altrui t’angi e rattristi, Tu dall’inferna riva L’aure a infettar del lieto albergo uscisti; La giovinetta intanto Gli
l custode dei sepolcri antichi, il Sonno finalmente, merita, come dio del Paganesimo, la vostra attenzione e le mie ricerch
ei mortali. Solamente il suo volo manca qualche volta innanzi le case del dolore, e non sempre serpeggia fra le lacrime del
scrive elegantemente nel secondo libro Vere istorie la favolosa città del Sonno. È situata, secondo quel faceto scrittore,
e, che erano parte di quella preziosa raccolta delle più belle statue del mondo. Io non voglio defraudarvi di tante cognizi
aviglia che nel Museo Tiburtino di Cassio fosse stata unita la statua del Sonno a quella delle nove Dee a chiunque conosca
sponiamo, non accade porlo in dubbio, giacché l’espressiva attitudine del dormire è segnata in tutte le sue membra, e parti
anco. « Così presso a poco é figurato il Sonno eterno in una bell’ara del Palazzo Albani, dal quale è stata presa l’idea di
i prendeano dormendo: al che può anche alludere avere unito la statua del Sonno con quella delle dee del Parnaso. Così appu
ò anche alludere avere unito la statua del Sonno con quella delle dee del Parnaso. Così appunto si vede in un bel basso ril
a delle dee del Parnaso. Così appunto si vede in un bel basso rilievo del Palazzo Mattei, e in una statua del Museo Pio dem
o si vede in un bel basso rilievo del Palazzo Mattei, e in una statua del Museo Pio dementino, nella quale ha i papaveri ne
egli antichi bassi rilievi che ci offrono Endimione dormiente. Quello del Museo Pio Clementine è senza ali; ha soltanto la
o la barba aguzza e la chioma raccolta quasi all’uso donnesco; quello del Capitolino, oltre l’ali alle tempie, ha più agli
el Museo Matteiano. « Queste minute osservazioni fatte sulle immagini del Sonno m’inducono ad attribuirne a questo Nume del
zia. Chi riflette che in altre vi è la testa di Bacco, nume anch’esso del Parnaso, e che al rovescio di tutte è il Pegaseo,
le più sicure immagini dell’Erebo e della Notte. « Un’ altra effìgie del Sonno sarà quella che in varie gemme s’incontra,
famiglia Tizia, e per la chioma femminilmente raccolta come nel Sonno del sarcofago del nostro Museo, e nella nostra statua
, e per la chioma femminilmente raccolta come nel Sonno del sarcofago del nostro Museo, e nella nostra statua medesima, e f
ghiro, animai sonnacchioso, e preso anche nell’ordinarie espressioni del linguaggio per simbolo del Sonno, le cui apparenz
, e preso anche nell’ordinarie espressioni del linguaggio per simbolo del Sonno, le cui apparenze mentisce l’iemal torpore
ntisce l’iemal torpore di questo piccolo quadrupede. Nè semplicemente del Sonno è simbolo, ma ancora della salubrità di que
cor la farfalla, insetto leggiadro, le cui ali adornano qualche volta del Sonno istesso le tempie e gli omeri: o che l’acco
che volta del Sonno istesso le tempie e gli omeri: o che l’accostarsi del Sonno quasi insensibile sia stato paragonato al l
a farfalla, o che vi sia qual simbolo dell’anima umana, che per virtù del Sonno sembrò libera da’ lacci della materia, e pi
sar colle sostanze spirituali e divine. « Ma qual sarà il significato del ramarro, che vedesi scolpito a’ piedi del putto?
Ma qual sarà il significato del ramarro, che vedesi scolpito a’ piedi del putto? Forse lo stesso che quel del ghiro per l’a
rro, che vedesi scolpito a’ piedi del putto? Forse lo stesso che quel del ghiro per l’apparente sua sonnolenza durante la f
e il ramarro creduto emblema della divinazione. Scolpito in compagnia del Sonno potrà significare i presagi, che gli uomini
li amanti non abbiano prevenuta; e Apollo è poi singolarmente il nume del vaticinio e degl’indovini. Che l’antivedìmento de
golarmente il nume del vaticinio e degl’indovini. Che l’antivedìmento del futuro sia stato dalle rozze nazioni attribuito a
enire altrettanti presagi. « Più comune della precedente è l’immagine del Sonno incisa in questo rame, come quello che nel
per denotare la Morte, non siano però mai altra cosa se non che genii del Sonno, tratti a quel più tristo significato per u
enii del Sonno, tratti a quel più tristo significato per un eufemismo del linguaggio e dell’arte, e quasi per un farmaco de
l’osservare, che non ostante la verità della surriferita riflessione del signor Herder, pure in qualche monumento una figu
nei genii dì altre classi, forse ad imitazione di Cupido. « Le chiome del nostro Genio sono distinte in piccole treccie riu
l nostro Genio sono distinte in piccole treccie riunite sulla sommità del capo, ma le gambe non appariscono in queste immag
lla maggior parte, una all’ altra sovrapposte, nè tali sono in quelle del Sonno in età più adulta.» Descrizione della Casa
della Casa Del Sonno. Si apre presso i Cimonerii in cavo monte Antro del pigro Sonno albergo e tempio; Di Febo ignoto ad o
ligin mista. Con vigil canto non invoca il giorno Chi soffre il danno del rossor di Marte: Le frondi immote non lusinga il
e a lei dimanda Donde ne venga, e rispondea la Diva: O Sonno, quiete del creato, o Sonno Il miglior degli Dei, pace dell’a
an col ver vegga Alcione; Giuno lo vuol. — Sì detto, Iride parte: Più del sopore tollerar la forza Non potea: pel segnato a
gli uomini ebbero sempre pel potere, fu col tempo, per la simiglianza del nome, adorato come il Cielo. Saturno volendo nobi
opria origine accreditò il pregiudizio dei mortali, e si disse figlio del Cielo e della Terra. Non altra cosa del Cielo fav
ei mortali, e si disse figlio del Cielo e della Terra. Non altra cosa del Cielo favoleggiarono gli antichi. L’ Oceano, il p
iarono gli antichi. L’ Oceano, il primogenito dei figli della Terra e del Cielo, fu creduto dagli antichi genitore di tutti
ascendono a tremila. D’Iperione altro non è noto se non che fu padre del Sole, secondo Esiodo, come Tia ne fu madre, e Gia
presente statua di Mnemosine, o sia la Memoria, figlia della Terra e del Cielo, madre delle Muse. Il nome greco (grec) che
Memoria, ma di (grec), cioè Ricordanza. E questa nel piano inferiore del bassorilievo dove i personaggi, eccetto quello di
di cui era oltre modo amatore e studioso.» Temi figliuola anch’essa del Cielo e della Terra era sorella maggiore di Satur
aveva ancora un altro tempio nella cittadella dì Atene, all’ingresso del quale era il sepolcro d’Ippolito. Abbiamo dalla f
voleva che fossero osservati. Teraistiadi si dicevano le sacerdotesse del suo tempio in Atene. Lezione quarantesimasecon
antesimaseconda. Rea, o Cibele. Rea, secondo, Esiodo, fu figliuola del Cielo e della Terra, ed il consenso dei più fra i
notizia perfetta delle antiche superstizioni, che con la potente arme del ridicolo ha combattute. Quindi io considero Cibel
di io considero Cibele e Rea come la stessa divinità. L’ introduzione del culto di Cibele, o Rea, si deve agli Ateniesi, ch
rata la nave ricca di tanto dono da immensa folla verso l’imboccatura del Tevere. Narrano che non poteva essere spinta più
eduta sopra un leone, miravasi fra i principali ornamenti della spina del Circo. Celebravansi alla dea in Roma ogni anno so
obabilmente scolpita da Fidia con timpani in mano e con leoni a basso del trono, poiché nelle medaglie di genere così viene
ra riposata sul cerchio, la destra sulla coscia, ovvero sul bracciale del trono. Questo ultimo modo è il più frequente, com
tro che un cornucopie, il timpano accostato al trono, e dove in luogo del timpano sostiene sulla sinistra un globo come pad
o sedere per terra a guisa di satelliti, uno a destra, uno a sinistra del trono. Altre volte tirano il carro sul quale è co
ura di questo in medaglie, ed anche la sola testa, simbolo comparisca del suo culto. Il compagno di Cibele suo ministro e f
edere interrottamente il nudo delle gambe, delle cosce e parte ancora del ventre. Non è però costante siffatto costume; vi
zione di Ati, e che Cibele ne vada in cerca risuonar facendo le selve del fragore del timpano: il giovine ritirato sotto il
, e che Cibele ne vada in cerca risuonar facendo le selve del fragore del timpano: il giovine ritirato sotto il pino porta
’all’albero siede un gallo destinato forse a palesare il nascondiglio del fuggitivo. Il pedo, cioè un bastone ricurvo come
tien luogo, e con cui Consacri, o madre, i sacerdoti tui: E le terga del tauro Piegate in cavo timpano Coi schietti diti t
a tal vita seguiste; Voi, che il rapido ponto, e la fera Rabbia meco del mare soffriste, E in grand’ odio alla dea di Cite
Qual’ ei fosse, e fra che gente, Piena il cor di tempesta Alle sponde del mar si ricondusse: Ivi del mar con lacrimose luci
ente, Piena il cor di tempesta Alle sponde del mar si ricondusse: Ivi del mar con lacrimose luci Il vasto pian guatando, Co
ppellerò? Io una delle menadi. Io di me parte, io steril uom sarò? Io del verd’Ida i luoghi Per fredda neve algenti abiterò
i. Il terzo rappresentava la consacrata mutilazione di esso all’ombra del venerato pino: tutto era in questi giorni lutto e
ignificato di questa favola fu indagato da quelli che nel decadimento del Paganesimo si armarono di platoniche sottigliezze
liberato i fratelli, ottenne facilmente da loro di succeder nel regno del padre. Oltre i Ciclopi, per fratelli egli aveva i
io in ricompensa gì’ insegnò l’agricoltura, e fu tanta la gratitudine del re per questa inestimabile cognizione, che gli ce
udine del re per questa inestimabile cognizione, che gli cede la metà del suo regno. La grata posterità, dice Ovidio, impre
nia era nomata, Ha con la signoria cangiato il nome.» Eneide, trad. del Caro, libro viii, verso 488 e segg. E l’antica os
ti popoli a prestare a questo dio un culto orribile collo spargimento del sangue umano. Presso i Cartaginesi veniva in ques
timpani faceva un remore così grande che non potevano udirsi le grida del fanciullo sacrificato. I Cartaginesi però non fur
onore di lui. L’oggetto di queste feste era di conservare la memoria del secol d’oro, nel quali tutti gli uomini erano egu
evano a questo nome Fistessa idea. I Ciclopi di Esiodo sono figliuoli del Cielo e della Terra, simili agli altri immortali,
iglio di lui. Questi Ciclopi di Euripide sono quelli di Esiodo, figli del Cielo e fratelli di Saturno, ma il poeta tragico
a determinò senza dubbio gli antichi a consacrare questa isola al dio del fuoco. I suoi sacerdoti avevano la reputazione di
supplire. Non può asserirsi che i Ciclopi d’ Euripide siano figliuoli del Cielo e della Terra come quelli di Esiopò, giacch
i essi, che furono cento, nacque, secondo Apollonio, dal nominato dio del mare e da Europa di Tizio figliuola. Omero nel pr
o, risale molto alto nell’Istoria Greca. L’epoca di questa scoperta è del terzo secolo avanti la presa di Troia, ma posteri
Adrastia o di Cibelle, dice il poeta, scoprirono il ferro nelle valli del monte Ida, e formati da Vulcano eglino istruirono
tava: O Galatea, perchè chi ti ama aborri? O nel sembiante più bianca del latte, Più morbida di agnella, e più lasciva Di v
di ceneri sulle quali si manteneva un fuoco eterno. E perchè l’ardorè del sole e il fuoco dei sacrifizii dovea seccare ques
oro fu loro affidata l’educazione di Nettuno, e chiamati furono figli del mare: lo che mostra la loro perizia nella navigaz
me un popolo presso Calidone, che sono gli Etoli situati all’ oriente del fiume Acheloo. La parola Cureti presa nel più sem
Eccovi quel che importa sapere dei Coribanti. Tutte le altre ricerche del signor Fréret si aggirano sulla differenza che pa
degli Dei. Quanto ai Cabiri, sui quali si estendevano le fiflessioni del critico sopra lodato, tralasciando ogni discussio
to singolare, e sulle medaglie di questa città si vedono col berretto del dio, di forma conica, tenenti da una mano un mart
li, i Cureti, i Coribanti, i Cabiri, Esiodo pone le Furie primogenite del sangue che esci dalla ferita di Celo. Ma io credo
e esci dalla ferita di Celo. Ma io credo necessario ragionare innanzi del loro re, cioè di Plutone, e quindi di tutta la co
luogo eh’ elleno devono abitare nel suo impero. Conferma 1’ opinione del principe degli antiquarii la seguente descrizione
ipe degli antiquarii la seguente descrizione di una statua di Plutone del Museo dementino data da Quirino Visconti. «Alle d
di Plutone del Museo dementino data da Quirino Visconti. «Alle deità del cielo, del mare e della terra riportate nel primo
del Museo dementino data da Quirino Visconti. «Alle deità del cielo, del mare e della terra riportate nel primo volume, ag
e il Cerbero che gli posa ai piedi, portinaio dell’Orco. Non fo motto del biforcuto scettro che ha nella sinistra, essendo
ono i sensi e contristano la fantasia. « Il Cerbero che sta ai piedi del nume è rappresentato in figura di un cane tricipi
che nel nostro simulacro interessa più di ogni altra cosa lo sguardo del sagace conoscitore, è la perfetta somiglianza che
le, venerato con antichissima religione in Sinope, città non ignobile del Ponto. Questo simulacro giunto poi in Egitto, e r
rsi alle opinioni religiose della nazione dominante senza abbandonare del tutto i lor riti, e ritenendo almeno i vocaboli g
vede sul capo di quasi tutte le antichissime divinità asiatiche, come del Giove Labradeo di Milaso, della Giunone di Samo,
onne adorate nei prischi tempi invece dei simulacri secondo il parere del Buonarroti, o secondo quello degli antichi, vogli
to quel patriarca nell’immagine di Serapide. « Quantunque la scultura del nostro Plutone accusi l’epoca della decadenza del
di Serapide riuniva quasi in un solo oggetto la moltiplico religione del Politeismo, pure è stimabile per la sua integrità
licata non solo in bassi rilievi, ma ancora in statue, come in quella del tempio di Pozzuolo, ora a Portici, ed in un’altra
venuto l’originale. Il nostro marmo non lascia di esprimere nell’aria del volto quel non so che di torvo e di feroce notato
e con fuso dai Greci coir Arimanio dei Persiani, eh ‘era il principio del male presso quegli antichi Dualisti.» Tornando a
terpretato dagli antichi pel Nilometro, o la Misura dell’ escrescenze del Nilo, solita depositarsi nel tempio del dio Serap
o la Misura dell’ escrescenze del Nilo, solita depositarsi nel tempio del dio Serapide. Rimangono ad osservarsi alcune pian
Serapide. Rimangono ad osservarsi alcune piante scolpite all’intorno del calato, le quali per non essere abbastanza distin
scultore signor Bartolommeo Cavaceppi, e su quello che adorna il fine del capitolo primo, libro sesto, della Storia dell’Ar
o e lugubre. Il raro basso rilievo che adorna nel rame il piedistallo del nostro Plutone, si conserva pure nel Museo, e fu
tua, mostra pochissimo nudo, ed è allusivo all’oscurità tutta propria del nume del tartaro, espresso perciò in qualche anti
ra pochissimo nudo, ed è allusivo all’oscurità tutta propria del nume del tartaro, espresso perciò in qualche antica pittur
Telli ancora giovine, e Cleobea pure fanciulla. Telli fu il bisavolo del poeta Archilo co. Cleobea tiene sulle sue ginocch
proda. Riguardo all’ombre, il loro colore deve altrettanto partecipar del bianco ch’egli sarà possibile col giorno, che si
alità confina coll’ombra in piena aria prodotta dai corpi. Sulla ripa del fiume vi ha cosa degna d’osservazione, e che è al
to vi è un empio che ha saccheggiati i tempi degli Dei: egli è punito del suo sacrilegio da una donna perita nella composiz
a pittura. Qui il delitto è punito da altri delitti. Siccome l’azione del padre in se stessa è inumana, bisogna diminuirne
un uomo faticante. ma la sua moglie dissipava i frutti delle fatiche del marito; ciò ha rappresentato Polignoto sotto ques
pietre erano incise, o portavano almeno caratteri e segni. Nel basso del dipinto voi vedete Orfeo seduto sopra un’eminenza
i sulle ginocchia di Nomia. Gli Arcadi dicono che Nomia era una ninfa del loro paese, ed i poeti c’insegnano che le ninfe v
o guidarvi nei vostri studii. L’avventura di Orfeo, che coli’ armonia del suo canto potè riavere dall’Inferno la moglie, ch
l cor già vinto. Mirò Euridice sua. Qui, sparsa al vento Ogni fatica, del crudel tiranno Fu rotto il patto, e dallo stagno
accordo con gli antichi monumenti, che il vero Plutone rappresentano, del quale la chioma ed anche il vestiario si conforma
nda ad uso di Giove, Col capo velato lo veggiamo in una delle pitture del sepolcro dei Nasoni illustrate dal Bellori, ove V
hi, che erigevano in divinità le fantasie della mente ed i sentimenti del core, fecero dei rimorsi altrettante dee che i La
ll’Inferno con altra compagnia di loro ben degna. « Nel primo entrar del doloroso regno Stanno il Pianto, l’Angoscia, e le
i primi Greci, dar loro usavano in luogo delle alette, che nell’opere del solito stile sovente portano alle tempie. Altre s
ma Winkelmann con troppa franchezza. Di più, ad un’altra osservazione del medesimo fa guerra, come riflette Zoega, la prese
Una di essa tiene nella destra un pugnale, nella sinistra un serpente del quale è perduta la testa: un’altra porta una torc
era, notturne, arcane, che abitate nell’antro ombroso, all’onde sacre del nero fiume Stige, sempre ministre della giustizia
ll’onde sacre del nero fiume Stige, sempre ministre della giustizia e del retto. — Quindi è che essendo considerate come ve
o nero gli orli ed i manichi. Quindi volgendosi all’Oriente, spargere del miele, e dopo questa libazione piegare a terra co
è incisa la figura di un dito. Eglino chiamano questo luogo sepoltura del dito, e dicono che Oreste, divenuto furioso, ivi
che sacrificò alle seconde. Ed ancora ai tempi di Pausania in memoria del narrato avvenimento credono di poter sacrificare
filo. I Mitologi loro assegnano ancora dell’altre funzioni. Ministre del Fato, dettano una le nostre sorti, l’altra le scr
lavorò ancora Fidia, le Parche, insieme coli’ Ore, erano nella testa del nominato Dio. Vicino al ‘sepolcro di Eteocle e Po
e Parche, e in due sole statue appunto erano rappresentate neir atrio del tempio d’Apollo a Delfo. Anche le Furie, soggiung
e il proprio timore alla pubbUca salute, cercò di evitare la minaccia del fato, ordinando alle figlie il pili atroce delitt
rne, e il tristo incenso Già si spargea dentro a’ sacrati fuochi, Che del nefando e sanguinoso effetto Quasi presaghi, a gr
eneo: ed ei fuggiva L’oscena stanza, e la consorte stessa Del Tonator del Ciel lasciò quel giorno Argo sua bella, e se n’an
mia destra ardito avesse Di trar di vita alcun, non sarebb’ella Prima del sangue mio bagnata e lorda? Perchè debbon morir q
n morir questi infelici Giovini, ohimè, sol per avere in dote I regni del lor zio? Or non si deve Dargli ad altrui? or non
qual colpa. Per qual cagion non mi lice esser pia? Che deggio io far del ferro? in che conviensì Coll’arme una donzella? i
rro. Che tra pietà e timor dubbiosa ancora Aveva in mano. E già temea del giorno Ch’era vicino, e paventava il crudo Mio ge
i spavento pieno Sorgesti presto, o ti fuggìa dagli occhi La gravezza del sonno, e rimirando Quel ferro eh’ io nella treman
mi permise d’ inserirvi le altre notizie più adattate all’opportunità del presente argomento. Non tutti opinarono che Prose
ete avrebbero dovuto esser meglio disegnate e incise nella Collezione del Museo di Pellerin. Si vede in esse Proserpina cor
e la testa di Cerere, e quindi Winkelmann le crede foglie dello stelo del grano, anziché di canna palustre, quali furono gi
vento non è inutile in questo genere di avvenimenti, precede il carro del rapitore, e sembra di Cerere voler consolare la f
pubblicato. Non credo però molto antica l’idea di attaccare al carro del suo rapitore due cigni, due cavalli condotti dall
ni, due cavalli condotti dall’Amore, come si vede in due gemme incise del Museo Stosciano. Che mi si permetta di portare si
pure nel primo tomo dell’opera mentovata di Montfaucon, ove in fondo del basso rilievo sono espressi i dodici segni dello
favola di Proserpina e il sistema astronomico. Sopra un basso rilievo del Palazzo Albani, pubblicato recentemente dal celeb
pure fra i pittori antichi, come udiste da Pausania nella descrizione del quadro di lui, vecchio lo ritrasse. Questo dio st
icure vendette battendo, come dice Orazio, con egual piede la capanna del povero e la reggia dei tiranni. Ma ritornando a C
superbia dei funerali. Tanta opinione ha avuto sempre il genere umano del danaro da crederlo necessario fino nell’Inferno.
, Deucalione, Fedra ed Arianna. Vogliono che inseguendo Dedalo autore del laberinto venisse in Sicilia da Cocalo, che gli f
i a devastare l’Attica, e ad assediare quella città. Scilla figliuola del re vedendo Minosse dalle mura della città assedia
ssegna gli stessi genitori, fu anch’esso per la sua prudenza ed amore del giusto stimato degno di tanto uffizio. Focilide l
mosa servirono di norma al divino Licurgo. Nell’Inferno gli attributi del fratello di Minos così da Virgilio sono esposti:
agli Dei perchè riparassero questo danno. Mosso Giove dalle preghiere del suo figlio convertì in uomini delle formiche che
ssi numi. Quelli che fra loro nel di lei nome spergiuravano erano per del tempo allontanati dalla mensa celeste, e da ogni
a mensa celeste, e da ogni conversazione cogli Dei. Iride messaggiera del Cielo portava ai numi mentitori un vaso pieno del
i spezzare i vasi di ogni terra e di qualunque metallo. L’unghie sole del cavallo resistevano alla sua forza. Credono che A
a Buonarroti e da Winkelmann è stato preso per una fionda, quantunque del freno, e non della fionda, parlino gli antichi. E
tutte le azioni. Lo sguardo che ella volge nel suo seno per la parte del suo vestiario, ch’ella ne tiene lontano e tirato
di lei si rendono degni. Visconti così illustra una statua di Nemesi del Museo Pio dementino. « Quando la penna di un ant
utiva dei Numi, che perseguitava i delinquenti sin anche nella quiete del sepolcro. « La misura del cubito era il primo e i
uitava i delinquenti sin anche nella quiete del sepolcro. « La misura del cubito era il primo e il più caratteristico dei s
accennava a’ felici la giusta misura, onde non abusare de’lor beni e del loro potere. Il freno le pendeva dalla manca, sim
questi distintivi s’ incontrano in va rie medaglie; ma la situazione del braccio destro, col quale espone appunto la lungh
situazione del braccio destro, col quale espone appunto la lunghezza del cubito, è il simbolo più costante, onde argomentò
panhemio, che a questo gesto si riferisse ciò che dissero gli antichi del cubito di Nemesi, dalla maggior parte spiegato pe
e di Nemesi, e fra le altre colle più certe che sono in un medaglione del re di Francia, ove si rappresenta Y apparizione d
io rimane -sporto in maniera ad ofi’rire allo sguardo l’intera misura del cubito. Sembra però che il braccio delle Nemesi d
mme osserviamo. « Gran cose hanno detto i filologi su questo sollevar del manto che fa Nemesi, tutte ingegnose, ma che non
imile. Più naturale azione e più adattata per quella necessaria mossa del braccio non poteva pensarsi della presente, nella
i lavoro, ed in varii tempi. Così è rappresentata Nemesi nel bel vaso del Palazzo Chigi, così in un raro cippo riportato da
un male inteso patriottismo, non ne avesse preposto l’opera a quella del forestiero. Sdegnato l’artefice Parlo dell’ingius
o l’artefice Parlo dell’ingiusta preferenza, cangiò il nome della dea del piacere in quello della dea dell’ indegnazione, c
ezione. Dedal, che Creta odiava, e il lungo esiglio. Tocca la carità del suol natio. Il mar si oppone. Ancor che il suolo
Orione armato; Me nella nuova via segui. — Gli adatta Fra i precetti del voi le penne ignote Agli omeri: tremò nell’opra a
ra i ripetuti avvisi Bagnava il pianto la mutata guancia; Sulla bocca del suo figlio trattiene Baci che non ripeterà: s’ina
esorta, e l’arti Dannose insegna, e mentre l’ali ei move Guata quelle del figlio. Ambi gli vide Stupido il pescator ch’insi
ne, e rimirando ammuta 11 pastorello, e soli ai Numi stima La libertà del Ciel concessa. A manca Già stava a Giuno la dilet
aldanza dell’audace volo Il giovinetto invoglia, e l’ali inalza Preso del Cielo dal desire: il Sole Vicino scioglie all’odo
e cinquantesima. Fortuna, Vittoria. La Fortuna, quella dominatrice del genere umano così spesso invocata, o maledetta da
cissitudine fra i beni e i mali, fra la povertà e le ricchezze. Non è del mio istituto il decidere se la pigrizia e r impru
necessità, colla quale ì filosofi pagani circonscrivevano la possanza del loro Dio, e con cui si lusingavano di spiegare l’
possanza del loro Dio, e con cui si lusingavano di spiegare l’origine del male: necessità che i Poeti dell’età posteriori n
o lirico fra quanti ci sono restati. « Finalmente il solito ornamento del calato non manca alla nostra statua, ma è però di
o romano, fu quella altresì che riscosse più lungo culto fra le deità del Paganesimo, non essendo cessati i suoi pubblici s
imo, non essendo cessati i suoi pubblici sacrifìzii che verso la fine del quarto secolo con tanta resistenza e indegnazione
e verso la fine del quarto secolo con tanta resistenza e indegnazione del Senato, quanto la Storia e gli scritti di Simmaco
persecuzione degl’Imperatori Cristiani si accendesse alla resistenza del Senato romano, ad abolire ogni monumento di quest
, ad esempio di quella che si vede nelle medaglie. Non perciò è priva del suo trofeo, quantunque da alcuni possa credersi p
he un greco autore non l’ha altrimenti definita che per l’ottenimento del trofeo medesimo (grec), la Vittoria e la possessi
’ottenimento del trofeo medesimo (grec), la Vittoria e la possessione del trofeo. « Bene a proposito l’artefice del nostro
a Vittoria e la possessione del trofeo. « Bene a proposito l’artefice del nostro marmo ha dunque preso il partito di farla
sta espressione di sicurezza parebbe che possa alludere la situazione del braccio sinistro sul capo, se una statuetta simil
di coprirsi il capo, quasi per gioco, dell’elmo sospeso alla sommità del trofeo. « La nostra Vittoria non è, qual la descr
mpero d’Augusto avranno rappresentato la Vittoria Aziaca. La Canzone del celebre Alessandro Guidi sulla Fortuna ridonda di
da la mente è nata de gli Dei, (Allor risposi a lei) Il sommo impero del mio cuor si tiene, E questa i miei pensieri alto
fossero figlie di Mnemosine e di Giove. Dagli antichi, non solamente del canto, ma di ogni sapienza moderatrici furono sti
è prefisso nell’annoverarle. « Non è certamente l’ultimo fra i pregi del Museo dementino l’essere il solo a possedere le s
so d’ Afranio, l’Idillio xx d’ Apuleio, e la testimonianza finalmente del dotto scoliaste di Apollonio, che dice la storia
partenente a Clio dissotterrato fra le ruine di Castro Nuovo sul lido del mare Tirreno in vicinanza di Civitavecchia. È que
ofisti amici dell’Istoria, che eressero questo monumento a Clio, musa del genere lor prediletto. « Mi resta finalmente a no
oteosi di Omero è a mio credere la seconda figura nel piano superiore del basso rilievo, distinta dal volume che ha nella m
Dissento in ciò dallo Schott, che dà questo nome alla Musa colla lira del piano di mezzo. Così nel sarcofago del Campidogli
esto nome alla Musa colla lira del piano di mezzo. Così nel sarcofago del Campidoglio sarà Clio la prima Musa che ha il vol
nte, è un argomento per crederla o una Ninfa o una Musa, e la decenza del vestimento ci determina a questa seconda opinione
probabilità pel soggetto prescelto, oltre non esservi vestigio alcuno del globo, principale distintivo di Urania, a cui cor
iò sostituita la presente, che si è ammirata lungo tempo per le scale del Palazzo Lancillotti a Coronari insieme con un’alt
to giova riflettere che nello stesso palazzo si conserva una Polinnia del tutto simile alla nostra, mancante però del capo,
si conserva una Polinnia del tutto simile alla nostra, mancante però del capo, e che nell’altro palazzo a Velletri era la
la ravvisano per tale: quello soltanto che rilevo dall’ osservazione del marmo si è che la cetra posata in terra resta pre
nello stesso marmo è calzata Melpomene: quantunque la poca esattezza del disegno di questo insigne sarcofago abbia data oc
suna Musa ha la maschera, e Talia non può essere se non la terza musa del piano superiore, che ha la cetra nella sinistra,
esto simile a molti delle fi<?ure comiche che sono nelle miniature del Terenzio Vaticano, allude alla Commedia, con la c
pio alla battaglia. E qui si manifesta una bella e gentile invenzione del pittore, il quale avendo circondato la tela d’ ar
liberata dal pericolo imminente se egli vuole immolarsi nella grotta del serpente. Però Meneceo va a morire senza saputa d
. La maschera tragica, anzi erculea, che ha nella destr-a la bellézza del volto nobilmente austero, la fronte ingombra di c
a di appoggiare sopra un sasso il pie sinistro: sono tanti distintivi del genere di poesia a cui generalmente presiede. « I
è coperta della pelle di leone, che secondo Polluce formava una parte del l’apparato tragico. Sembra che ì simboli di quest
e rappresentano la sua tristezza, affetto seguace della compassione e del terrore, che sono i due poli dell’arte tragica, o
tinto il volto di mosto. Il suo nome stesso Tragedia, che vale canto del capro, mostra che simili divertimenti non erano c
o del capro, mostra che simili divertimenti non erano che una sequela del sacrificio, che facevasi al nume inventore del vi
erano che una sequela del sacrificio, che facevasi al nume inventore del vino, di questo quadrupede danneggiatore delle vi
ramma dà la Tragedia ad Euterpe, a Melpomene il barbito. L’etimologia del suo nome, che vai Cantante, è stato forse il prin
ell’artefice, a cui non poteva condurre che la diligente osservazione del marmo originale. « Graziosa e bizzarra oltremodo
e del marmo originale. « Graziosa e bizzarra oltremodo è la Melpomene del sarcofago Capitolino: ha la maschera tragica alza
ra tragica alzata dal volto, che le serve come di cuffia ed ornamento del capo, ed altissimi coturni alle piante. Quello ch
due Muse liriche sarà la nostra, che sedendo come le altre sulla rupe del Parnaso, vestita della tunica a mezze maniche, co
a da osservarsi, ed avvene un’altra copia antica in piccolo nel Museo del cardinal Pallotta; e simile alla nostra era ancor
a Roma e da Plinio nei portici di Ottavia. Questa statua era mancante del capo: ma quello che l’è stato supplito è antico,
Pindaro, la cui assertiva, anche sola, e per l’antichità e pel merto del poeta, dovrebbe essere d’un sommo peso. Nelle mon
ponia si riconosce la testa di questa Musa dal plettro ch’è nell’area del dritto, come dalla cetra ch’è nel rovescio della
Ercolano hanno Erato la saltria, che regola cioè l’arte della danza e del suono, come hanno a maraviglia provato i dottissi
. Nel rame che la rappresenta è stato trascurato questo abbigliamento del capo, assai chiaro e visibile nell’originale. « Q
a porta. — Agamennone. — Questi sparsi in qua e in là per la stanza del convito, il sangue mescolato col vino, questi che
non ha temuto di osare tanto delitto. Clitennestra poi, coir insidia del peplo chiuso circondando Agamennone, lo percosse
emoria. Siccome questa facoltà molto si fortifica nell’uomo per mezzo del raccoglimento, l’hanno però scolpita i Greci maes
ura, poiché resta perfettamente dimostrato dalla statua della Memoria del nostro Museo, indubitata per la greca iscrizione
ersale degli antichi scrittori. « Ma, per tornare alla considerazione del nostro marmo, chi sa che quel manto in cui la veg
nei vestimenti, essendoché ella presiede alla fredda ed estrema sfera del tardo Saturno. La nostra Polinnia è coronata di r
fra gli altri Teocrito. La sua testa, e pei lineamenti e pel serto, è del tutto simile alla bella statua detta la Flora Cap
esiterei molto a crederla una Polinnia, giacché, oltre la somiglianza del capo colla nostra, favorisce questo sospetto la s
‘ s’ incontra nel bassorilievo dell’Apoteosi di Omero, ed è la terza del secondo piano presso Apollo. Lo Schott, che 1’ ha
liope assai riconoscibile dalle tavolette che ha nella mano in quello del Campidoglio. La particolarità di esser involta ne
 Che più? in simile attitudine esistono ancora due statue, una minore del naturale nel palazzo Lancellotti a Velletri, manc
minore del naturale nel palazzo Lancellotti a Velletri, mancante però del capo; l’altra eguale al vero, moderna per altro d
s’ insinuò nell’animo della sposa di Menelao. Polinnia, eh’ è la Musa del Gesto e dell’Azione, è qui posta per le belle man
a maschera. L’ altra poi dalla quale è stata tratta la nostra, quella del Giardino Quirinale, quella del Palazzo Lancellott
quale è stata tratta la nostra, quella del Giardino Quirinale, quella del Palazzo Lancellotti, e una figura di Matrona del
no Quirinale, quella del Palazzo Lancellotti, e una figura di Matrona del Museo Pio-Clementino, sarà forse stata opera di F
. « Nel sarcofago della Villa Mattei Polinnia è ancor simile a quella del Campidoglio, benché nell’esposizione venga determ
al nostro divisamente. Urania. « Questa bella statua maggiore del naturale ed egregiamente panneggiata ci rappresen
appresenta la Musa celeste detta Urania, appunto dalla contemplazione del cielo, alla quale appartengono 1’ astronomia e r
te la stessa colla nostra, la quale si ammira nel ripiano delle scale del Palazzo de’ Conservatori in Campidoglio. Ha quest
atua di Urania, la quale nella Collezione Tiburtina avevan l’ingiurie del tempo separata dalle compagne: conservavasi quest
fago della Villa Mattei la prima in una fiancata, 1’ ottava in quello del Campidoglio. Se però la sua immagine non è stata
n così è accaduto della sua statua colossale, che si vede nel portico del Palazzo Farnese verso strada Giulia, la quale o è
amo e nel protagonista tragico della Villa Panfili, e nella Melpomene del sarcofago Capitolino, e quel che è più decisivo,
e dove facilmente si rinvenne anche la Farnesiana, come la vicinanza del sito ne può essere di qualche indizio. La fabbric
la sorella Antigone, essendo per questa effetto uscita di notte fuori del recinto delle mura, contro l’editto fatto da Creo
avalli accanto ai loro signori, e fango irabevuto di sangue e sudore, del quale la crudele Bellona tanto si compiace. Sotto
arlare di Perseo, che dicesi avere ucciso nell’Etiopia un gran mostro del mare Atlantico, che si gettava sulla terra per di
i per crederla ancor essa una Musa, comecché mancante delle braccia e del capo, pure non giudicherei che fosse stata destin
artifizio. Le altre Muse, bellissime nella invenzione e composizione del tutto insieme, aveano le teste incassate e amovib
farci sembrare cosa strana simil varietà di drappo nello stesso pezzo del vestimento, ma non ci mostrano cosa dobbiamo pens
tte. « Notabili sono ancora i calzari della nostra Urania. Son questi del genere dei sandali, essendo stretti dai lacci sop
e trofeo della vittoria da loro ottenuta sulle Sirene, o come memoria del punito orgoglio delle sorelle Pieridi trasformate
rasformate in piche per avere con loro voluto competere nella perizia del canto. Qualunque si abbracci di questi motivi, si
fredde allegorie non son più degne di presentarsi alla buona critica del secol nostro. Calliope. « La Musa che in
gendo i pugillari sulle ginocchia, come canta egli stesso, sulle rive del paterno Mela scriveva quei carmi, che dovevano es
eterminare le sue figure senza iscrizione, ufficio proprio delle arti del disegno, ha dato un utile insegnamento ai giovani
in tutti i bassirilievi più nobili delle Muse: li ha la seconda Musa del primo piano dell’Apoteosi di Omero, non osservati
tori di quel celebre marmo: li ha la Calliope scolpita nelle fiancate del sarcofago Matteiano, come ve gli ha ravvisati il
o comprendere, seguito lo stesso ordine in cui sono disposte nel rame del Tesoro Brandeburgico. La prima moneta offre la te
lio. La quarta è la Musa Urania: ha un astro presso il capo nell’area del dritto, e nel rovescio accenna col radio i circol
rea del dritto, e nel rovescio accenna col radio i circoli segnati su del globo che vien sostentato da una specie di tripod
sa senza verun simbolo, colla destra involta nel manto, e dalla parte del dritto è una corona d’alloro nell’area. Questa, s
pe detta dal Begero, la quale ha lo scettro dietro la testa nell’area del dritto, che troppo ben si compete alla musa della
, la cui origine si vede indicata nella testuggine espressa nell’area del dritto, mentre al rovescio è rappresentata questa
rpe, chiamata Tersicore dal Begero, con due tibie decussate nell’area del dritto, e con una sola in mano nel tipo del roves
tibie decussate nell’area del dritto, e con una sola in mano nel tipo del rovescio. « Le ragioni di queste denominazioni so
a non abbia conosciuta, nè innanzi, nè dopo, e che si sia dimenticato del Laberinto e del motivo per cui navigò in Creta: t
sciuta, nè innanzi, nè dopo, e che si sia dimenticato del Laberinto e del motivo per cui navigò in Creta: tanto egli riguar
nziata la morte di Patroclo, e gli fu impedito di uccidersi sul corpo del diletto amico. Queste sono le pitture di Omero, m
noscersi dalla sua fìsonomia severa e sveglia; Menelao dalla dolcezza del suo viso; Agamennone dalla sua divina presenza: q
scienza allontana dal suo santuario coloro che potrebbero innamorarsi del vero. A così care dee non doveano per certo manca
acrificando alle Grazie nell’ultimo dei luoghi mentovati udì la morte del tìglio, ed incontanente gettò la corona e fé’ ces
dì la morte del tìglio, ed incontanente gettò la corona e fé’ cessare del flauto il suono. Quest’ avventura stabilì in Paro
vinità rilevarsi. Avendo gli Ateniesi prestato soccorso agli abitanti del Chersoneso, questi ultimi vollero eternare la mem
li abitanti del Chersoneso, questi ultimi vollero eternare la memoria del benefizio erigendo un altare, nel quale era scrit
esenta. Ma il gruppo più bello e più conservato delle Grazie è quello del Palazzo Ruspoli. Sopra una pietra incisa, ramment
e le divide; Le compone la terza In lunghe anella e ride. Al gruppo del Palazzo Ruspoli servono di sostegno due vasi coll
scritti, e pensano gli antiquari: che le teste pure delle tre Grazie del Palazzo Ruspoli siano ritratti fondati sulla part
ratori romani fu ritratto nelle sembianze di Apollo. In un bel cammeo del cavalier Wortley l’ultima Grazia a destra ha un b
, se un uomo è saggio, se leggiadro, se dovizioso. In un bassorilievo del Museo Pio dementino pubblicato da Visconti si veg
ue estreme sono corrose dal tempo, nè conservano i consueti attributi del ramoscello e delle spiche di grano. Pensa a ragio
di Mennone: ma non hanno armi perchè si propongono di fare l’esequie del più grande fra loro, che ha ricevuto un colpo d’a
trista il Sole, e prega la Notte che si affretti di venire più presto del solito per arrestare l’esercito, onde ella possa
o trasporta già: essendo la premura che si dà espressa nell’estremità del quadro. La sepoltura di Mennone non si trova. Sol
na pietra nera nelle sembianze di un uomo seduto: ma quando il raggio del sole ne percoterà la bocca, quasi cetra da plettr
dando nel Peloponneso, seco la conducesse, non consapevole dell’amore del nume. Ella nei confini di Epidauro partorì Escula
a salutare fosse un certo Asole di Epidauro tiranno, e che in memoria del benefìzio fosse aggiunto il nome di lui al dio, c
lcro di Esculapio, i giuochi ogni cinque anni, ma i templi più famosi del nume erano in Pergamo e in Tetrapoli. Narra Strab
attie e i nomi di quei creduli, che stimavano essere stati coll’aiuto del nume guariti. Il culto di Esculapio fu portato in
che pare però differente dal solito pallio, che si vede nel rovescio del medaglione di Vero pubblicato dal Buonarotti, e c
mmazzare il serpente, e vien così descritto da Apuleio: — Diresti che del dio medico nel bastone, che porta nodoso per rami
ausania dal serpente avviticchiato allo scettro, in mano a due statue del bosco di Trofonio, dice che da quello avrebbe qua
a attribuita la Salute per figliuola ad Esculapio, per la connessione del nome con gli effetti e cause della medicina, così
goria: onde gli diedero per nutrice Trigone, forse per essere il cibo del grano più salubre di tutti; e per moglie Epione,
rona; e Aristide dedicò un tripode a Giove Esculapio, a ciascun piede del quale vi era un’immagine di questi tre Dei. Teles
ede un fanciullo colla penula cuculiata, di cui è rivestita la figura del mese di Dicembre in un antico calendario: questo
viale da potersi serrare, e accostare affatto davanti. Nel medaglione del Buonarroti è aperto dalle parti solamente, a fogg
foggia di un certo mantello portato ancora dai navicellai. Una statua del nume così illustra il celebre Visconti: « D’Escu
La grazia della composizione tanto superiore alla mediocre esecuzione del gruppo, nel tempo stesso che lo dimostra una copi
ù barbato questo nume nei monumenti, cominciando dalla stupenda gemma del Museo Stosch, col nome di Aulo. Non è però che di
te trovato nel giardino delle Monache Barberine sul Quirinale maggior del naturale, nel cui viso imberbe sospetto il ritrat
ina dell’Esculapio Farnesiano è chiamata nel primo volume delle Gemme del signor Bracci Cista, Mistica. » Eccovi da Filost
la sferza i cavalli uniti alla biga terribile per saccheggiar la casa del vile fratello. Il furore lo inganna: è difficile
e al tre vittime sono sparse qua e là per l’altare insieme alla pelle del Leone: di questi due miseri fanciulletti, ad uno
è passata a traverso il collo; all’altro riesce dalle spalle la punta del dardo entrata pel petto: le loro gote sono sparse
are un dio autore della colpa. Ma perchè l’umana mente si diletta più del maraviglioso che del vero, la storia cede alla fa
la colpa. Ma perchè l’umana mente si diletta più del maraviglioso che del vero, la storia cede alla favola abbellita da Orf
ulto di Osiride, sotto il nome di Bacco. Nisa in Arabia era la patria del dio, e passava almeno per essere il luogo ove fu
Giova osservare che di Osiride qui era la famosa colonna. Le imprese del Nume sono consegnate al poema di Nonno, da cui es
illustrazione di una delle più belle statue che rappresentino il dio del Vino. « La sorprendente bellezza di questa scult
monumento delle arti greche fu trovato mancante di tutte l’estremità: del capo, cioè, delle braccia e delle gambe. Così mut
il gesso per molte Collezioni, ed uno fra gli altri formò la delizia del cavalier Mengs negli ultimi periodi della sua vit
la stessa guisa disposte che quelle che rimanevano attaccate al torso del simulacro, compisce la dimostrazione: una testa,
ul corpo di un Bacco appoggiato ad un Fauno. La testa, benché propria del soggetto, non apparteneva a quel gruppo, come lo
asti congiunti alle spalle. Presentato il gesso della testa sul gesso del nostro torso corrispondono cosi bene lo stile, gì
a che stringe la fronte, lo provano. Ma un’altra prova non meno certa del soggetto di questa statua è quello appunto dove s
i di un’antica teologia rediviva nei tempi che precedettero la caduta del culto pagano, o da un genio di moralizzare, che f
Non tutti, per « sempio, hanno esagerato, come il nostro, la mollezza del nume della Voluttà, ma vi hanno misto o una svelt
rsone alle cui spese operavano. Questo appunto aggiunge a tanti pregi del nostro marmo quello ancora della rarità, non ravv
rittore della Natura degli Dei credeva essere un attributo essenziale del dio del Vino. Il presente simulacro è un modello
della Natura degli Dei credeva essere un attributo essenziale del dio del Vino. Il presente simulacro è un modello imparegg
sia più sottile dell’altra: se si fossero conservate le gambe antiche del simulacro, forse nella situazione ne troveremmo i
lla situazione ne troveremmo il motivo: giacché sappiamo che le parti del corpo su cui si fa forza e si preme, acquistano i
ra quest’isola. Sarà colpa di me che ho tentato tradurre questa parte del poema di lui, nella quale gareggia con Stazio, se
Stazio, se non sentite con quanta ragione, piangendo r immatura morte del poeta, esclamasse Quintiliano: «Molto abbiamo per
rimata Lenno: Nè a te le Furie e le materne colpe Consigliano l’oblio del morto antico. Dei Celesti mirò sorger le ascose R
le paure, onde fremente Sta fra l’orror delle più basse nubi Non Dea del Ciel nè dell’Averno: i primi La disprezzan, l’abb
i corsier volanti E la polve e il nitrito. Annunzia a Lenno La novità del vergognoso amore. Ch’arde i mariti, e che nei fre
sside accanto, Rapida in suo furor, l’iniqua moglie, Qual nella notte del baratro eterno All’attonito Flegia e a Teseo appr
endo, il figlio Che con lo dio combatte, e lui mostrava Alle Baccanti del furor compagne. Fera, il savio chiamò con voce in
on vedi: Crudel, perdona al parto tuo: quel sangue Che versi è sangue del tuo figlio: io sono Penteo: tu mi nutristi. — inu
e la cervice inchina Trofeo diviene dell’audace tirso. E con la gioia del furor volgeva Al mal non ebro Cadmo il pie veloce
del furor volgeva Al mal non ebro Cadmo il pie veloce, E per la preda del lion mendace Ne vomitò dalla rabbiosa gola Queste
ià vibrava il tirso Uccisor dei leoni. Cadmo, appella Penteo compagno del tuo soglio, e miri L’opre di Bacco con gelosi lum
confondea col pianto. Ahi qual fera domasti. Agave? il figlio Savio, del seno tuo peso diletto! Echione fu padre a questa
di Marte E di Vener Celeste: Il mar nasconde Ino, e la chiesta maestà del tuono Arse Semele: piange Autonoe il figlio Cervo
li occhi al figlio, E della fronte illividita i giri. Le belle chiome del sanguigno capo, E gridando mandò tal voce: Bacco,
ivenga, e Penteo fiera Chiami: una fiera io misera credea Svenare: or del mio figlio inalzo il capo, Non quello d’un leone.
zione di Bacco. Le avventure di Bacco cominciano nel settimo Canto del poema di Nonno; onde da questo io dò principio al
uesto poema. Ci presenta il poeta Amore occupato a riparare le rovine del mondo. La specie umana era in preda alle cure, e
Giove dopo averlo udito, cerca di assicurarlo, svelandogli i segreti del destino, e gli rivela il mistero della nascita fu
tali. Così parlò Giove, e gli applaudirono le Parche e le Ore. Il dio del Tempo ritornò presso Armonia, e Giove al palazzo
stesso, e che governa il tempo, dopo avere scosse le porte tenebrose del Caos, si avanzava col suo turcasso che rinchiudev
attaccati a un carro, in conseguenza di un sogno, che aveva avuto, e del quale il poeta racconta i particolari. Vi si dist
nunziava il fulmine da cui sarebbe colpita, e la cura che prese Giove del suo figlio, che nascose nella sua coscia, finché
d Europa sua figlia nel tempio di Minerva per sacrificare a Giove dio del Fulmine un toro, che rappresenta l’immagine di Ba
do sul fiume ov’ ella si bagnava. Qui il poeta descrive la maraviglia del re degli Dei nel mirare le grazie della bella Sem
are le grazie della bella Semele, che a Venere paragona. Lo splendore del giorno nuoce ai suoi amori: egli sollecita il sol
nte. che divien madre in mezzo ai fiori, e tra il fragore dei fulmini del nume, che solo fra gì’ immortali li vibra. Egli l
endono le stelle. Dopo avere consolata Semele col paragone ch’egli fa del suo destino con quello delle altre amanti, Giove
nemiche Minerva e Giunone. Ella rammenta a quest’ ultima le infedeltà del suo sposo, delle quali il cielo conserva ancora t
e i figli che ha avuti da donne mortali. Callisto occupa le vicinanze del polo. Le sette Pleiadi formano in cielo il loro c
armi in Tracia, piuttosto che esser testimonio di questa profanazione del tempio degli Dei, e vedere Andromeda, Perseo, la
iti a venire da lei in tutto lo splendore della sua gloria, ed armato del suo fulmine; questo è il solo mezzo di assicurars
è un esempio ancor più tremendo. Innanzi di passare alla descrizione del poeta vi espongo la favola brevemente. Irritata G
averne compassione; e questi la ricevette col figlio fra le divinità del suo impero, e Leucotea fu detta la madre, Palemon
e stende Le braccia cinte di viperei nodi: Scote le chiome, e sibilar del capo L’idre commosse: sulle spalle giace Parte, e
Pani che danzano intorno al giovine Bacco, e compongono il corteggio del dio, che ha le forme di toro. Celebrano queste da
o, che ha le forme di toro. Celebrano queste danze, ripetendo il nome del dio, intanto che Semole ancora ardente nei cieli
nto che Semole ancora ardente nei cieli s’ insuperbisce della fortuna del suo figlio, e delle cure particolari che ne prend
ve Bacco era allevato scherzando coi Satiri, e bagnandosi nelle acque del Fattolo. Qui scherzando sulle coste della Frigia
lla sua nascita, e finisce per dire, che lo conosce e sa che è figlio del Sole e della Luna. Bacco se ne innamora: non è co
pericoli gli dimostra: lo avverte sopratutto di guardarsi dalle corna del toro. Ma questo avvertimento fu inutile ad Ampelo
Ampelo, quantunque Bacco avesse sempre cura di accompagnarlo. La dea del Male gli persuade di montar sopra un toro, come B
l giovine audace osa salirvi, e tenta di condurlo: toglie dei giunchi del fiume per farne una frusta, e cinge di fiori lo c
ia a Bacco, che inconsolabile diviene. Egli bagna di lacrime il corpo del suo amico steso sulla polvere, e lo copre di rose
er dare al suo frutto un odore delizioso. I Sileni dividono il dolore del dio. Ampelo, quantunque morto, era tanto bello co
crudele nello stesso tempo che pasce i suoi occhi nel veder le grazie del suo misero amante. Egli accusa l’ Inferno inesora
ni intanto, delle quali il poeta fa la descrizione, vanno alla reggia del Sole, e ognuna di loro ha ornamenti che la caratt
a le Stagioni stesse che arrivano sulle rive dell’Oceano nel pa lazzo del Sole loro padre, ove riscontrano Espero e la Luna
scente, il di cui carro è tirato dai bovi. Vi si legge la descrizione del tramontare del sole, e della sera, nella quale si
ui carro è tirato dai bovi. Vi si legge la descrizione del tramontare del sole, e della sera, nella quale si distingue la p
ale si distingue la pittura dei quattro cavalli che traggono il carro del Sole, e quella delle dodici Ore che gii danzano i
mortali: le dice che sulla terza tavola, ove sono scolpite le figure del Lione e della Vergine ella vi troverà il frutto p
quadri differenti per giungere a quello ove sono scolpiti i caratteri del Lione che segue la Vergine, la quale tiene il fru
cui esce il Sole. Bacco però era sempre inconsolabile per la perdita del suo amico, e la natura intera sembrava dividere i
suo dolore. La Parca gli annunzia che il suo caro Ampelo non è morto del tutto; che non passerà l’Acheronte, e diverrà per
mortali la sorgente di un liquore delizioso, che sarà la consolazione del genere umano e ritrarrà sulla terra r immagine de
rà la consolazione del genere umano e ritrarrà sulla terra r immagine del nettare, bevanda degi’ immortah. Bacco, gli dice,
Appena ebbe terminate queste parole, che un prodigio colpì gli occhi del dio. Il corpo del suo amico si cangia in un istan
nate queste parole, che un prodigio colpì gli occhi del dio. Il corpo del suo amico si cangia in un istante, s’inalza sotto
oppa. Lo gusta, e s’applaudisce della sua scoperta. Apostrofa l’ombra del suo amico, la di cui morte ha preparata la felici
rata la felicità dei mortali. Dà gli elogi più pomposi all’eccellenza del nuovo arbusto e a quella del suo frutto, sopra tu
Dà gli elogi più pomposi all’eccellenza del nuovo arbusto e a quella del suo frutto, sopra tutte le produzioni della terra
ta selvaggia, crescesse sulle rupi, quando un serpente volle mangiare del frutto di lei, e raccoglierne il liquore. La sua
i le preme coi Satiri, che ben presto divengono ubriachi per la forza del nuovo liquore. Vien descritta la vendemmia e le d
Canto. La spedizione di Bacco nelle Indie cantata in tutte le istorie del nume, raccontata da Diodoro Siculo, comincia nell
si veggono in mezzo al fuoco. Mirate Pane come si rallegra sulle cime del monte Citerone saltando, danzando, con Evoè nella
veramente, e che gridino dalla gioia: tanto i loro spiriti dal furore del vino sono alterati! Bacco guarda tutto questo da
glio, ma non ardisce toccarlo: che ha le mani, il seno, le gote tinte del di lui sangue. Vi sono ancora Armonia e Cadmo, ma
rossiscono e si abbracciano come se volessero impedire la metamorfosi del rimanente. — Lezione sessantesima. Avventure
gie e i doni della vite. E noto che i misteri di Bacco e l’invenzione del vino si celebravano come le cerimonie Eleusine, p
unzia che solo a questo patto le Ore gli apriranno un giorno le porte del cielo, che non si acquista senza gloriose fatiche
lungo cataloga di tutti quelli che si riuniscono sotto gli stendardi del nume. Vi si distinguono Eroi eh’ erano stati cogl
miglia molto quello dei misteri di Bacco. Vi è pure Aristeo inventore del miele, al quale la Cosmogonia dei popoli della Li
cco. Tutte le genti dell’Attica hanno parte in somma nella spedizione del pari che gl’Italiani da Fauno comandati. Emazione
lla delle Pleiadi, dà colla sua apparizione a Bacco il segnale felice del combattimento e della vittoria. Il resto di quest
i Cibele, e s’ incammina verso i luoghi occupati dagl’Indiani. L’eroe del poema comincia ad entrare in azione: il fulmine f
annunzia la sua vittoria a Bacco. Dipinge quindi il poeta l’insolenza del generale indiano Astraide, che accampa il suo ese
enta pure il contegno delle due armate nemiche trincierate sulle rive del fiume, di cui le acque son cangiate in vino da Ba
Quelli che avanzano, maravigliati della loro perdita, bevono 1’ onda del fiume, che prendono per nettare, e di cui non pos
tendo questa bellezza feroce a Bacco. Tutta la natura piange la morte del giovinetto infelice. La morte d’ Imno non fu impu
ne. Bacco ne sesrue l’orme, e la cerca in mezzo alle selve coir aiuto del suo cane fedele donatogli da Pane, al quale prome
are le viti. La donzella stancata dal correre, riscaldata dall’ardore del Sole, e ignorando la mutazione successa nelle acq
a dall’ardore del Sole, e ignorando la mutazione successa nelle acque del fiume, va per togliersi la sete, si ubriaca e dor
e sue conquiste in Oriente coli’ apparecchio meno di un guerriero che del capo di una festa Bacchica. Arriva sulla terra fe
Brongo riceve Bacco ospitalmente. Vi è la descrizione della capanna e del convito frugale offerto allo dio, che all’ospite
o frugale offerto allo dio, che all’ospite dà in ricompensa a gustare del suo nuovo liquore, e gli dà pur una pianta di vit
’Indiani, che avea sulle rive dell’Astaco disfatti. Oronte era genero del bellicoso Deriade, col quale Bacco combattere dov
enta la Fama, che pubblica in tutta l’Assiria le maravigliose imprese del dio del Vino. Stafilo regnava su queste con ro’o
Fama, che pubblica in tutta l’Assiria le maravigliose imprese del dio del Vino. Stafilo regnava su queste con ro’o trade: B
nifica accoglienza fatta allo dio. L’autore ci dà pure la descrizione del palazzo del re di Assiria, delle ricchezze delle
lienza fatta allo dio. L’autore ci dà pure la descrizione del palazzo del re di Assiria, delle ricchezze delle quali fa pom
el palazzo del re di Assiria, delle ricchezze delle quali fa pompa, e del convito che prepara. Vi si distingue sopra tutto
dallo spettacolo della principessa di Assiria desolata per la perdita del suo sposo. Ella ha perduto il suo caro Stafilo, e
perdita del suo sposo. Ella ha perduto il suo caro Stafilo, e il dio del Vino 1’ ha abbandonata: ella dimanda il suo liquo
i Stafilo. Eagro di Tracia ed Eretteo di Atene si disputano il premio del canto. La vittoria è ottenuta dal primo. A questo
. La vittoria è ottenuta dal primo. A questo esercizio succede quello del Pantomimo. Sileno e Marone danzano: il primo si c
un’ aurea veste Non preparata a questi voti. Appena Giunsero al lito del nemico mare, Le molli braccia per le dure rupi Ap
uona. Alfin quel giorno Felice Perseo conduceva al lido Già vincitore del Gorgoneo mostro. E quando pender la fanciulla vid
ra; e poiché seppe Da lei la causa della pena, ha fermo Per la guerra del mar gire alle nozze, Ancor che venga altra Medusa
cean s’ innalza, e Tonde Fuggono accavallate in lunghe schiere L’urto del mostro che s’ inalza: il mare Scorre e suona nei
, sulle penne Librato, incontra il suo nemico, e vibra La spada tinta del Gorgoneo sangue: Converte il mostro in lui la fro
che le membra pende: Ruina alfin col lacerato corpo Il mostro, e pien del flutto in su ritorna, E copre il mare con le vast
i Bacco. Lo dio dirige le sue schiere per Tiro e per Biblo sulle rive del fiume Adone presso il Libano e le coste di Nisa i
In questi luoghi regnava Licurgo figliuolo di Marte, principe feroce, del quale il poeta fa un ritratto così terribile, com
atto di Enomao, col quale Licurgo era stato allevato. Ornava le porte del suo palazzo colle teste degl’ infelici che aveva
a presentarsegli inerme. Bacco persuaso arriva senz’ armi al palazzo del re feroce, che sorride con aria sdegnosa del suo
va senz’ armi al palazzo del re feroce, che sorride con aria sdegnosa del suo corteggio: minaccia il dio, armandosi della s
a sdegnosa del suo corteggio: minaccia il dio, armandosi della sferza del bifolco, perseguita le ladi nutrici di Bacco, e t
go, che sfida le Baccanti e il potere degli Dei che proteggono il dio del Vino. Comanda che si taghno le vigne per tutto, e
he non può riconoscere il suo cammino. Intanto le Nereidi, o le ninfe del Mar Rosso, si occupavano di Bacco fra le loro acq
erra. Scolmo finalmente viene a consolarli, e gli annunzia il ritorno del loro capo. Questo inviato avea corna a guisa di l
fugge con inganno per condurli neUa pianura. Incontanente la presenza del nume li spaventa, e si fa di loro orribil macello
ta, e si fa di loro orribil macello. Le acque dell’ Idaspe si tingono del sangue degl’Indiani. Baco ed Erette© si distinguo
ano e Bacco, al quale l’idaspe è costretto di dimandar grazia. Lo dio del Vino si placa, e nelr istante il vento settentrio
la guerra dei Giganti, l’imprigionamento di Saturno, che negli abissi del Tartaro impiega vanamente le armi dell’Inferno pe
sonno. II poeta comincia il venticinquesimo Canto, o la seconda parte del poema, con un’ invocazione alla Musa per invitarl
Quindi descrive il timore e la desolazione degli abitanti sulle rive del Gange, e la disperazione di Deriade, che avea sap
te in vino, e presagivano le vittorie di Bacco. Il nume vergognandosi del riposo in cui languiva, si duole degli ostacoli c
sto seno che porta l’orma della larga ferita che vi ha fatto il tirso del tuo nemico. Perchè Licurgo figlio di Marte non è
he si gloria di discendere dall’Idaspe e da Astraide una delle figlie del Sole, e secondo altri da Ceto e da una Naiade. Qu
erte le porte dorate dell’ 0riente (dice il poeta) e la nascente luce del Sole era riflessa dalle acque del Gange; i raggi
(dice il poeta) e la nascente luce del Sole era riflessa dalle acque del Gange; i raggi di quest’ astro avevano scacciate
a. L’armata degl’Indiani, la loro veste, la loro armatura è descritta del pari che l’armata di Bacco, la quale si distribui
o Marte, l’Idaspe e la gelosa Cerere, che devono opporsi alle imprese del dio. Ora udite da Flostrato, che traduco, la desc
come la terra. Pelope dunque ed Ippodamia hanno guadagnato il premio del corso: stanno ambedue assisi sul cocchio, e sono
o nuziale, ma colla faccia scoperta, onde nulla le contrasti la vista del marito. Il fiume Alfeo si alza dalle sue acque pr
o, poiché qual vittima più degna di una moglie che s’ immola per amor del marito: — Lezione sessantesimaseconda. Contin
ti Indiani, e ferisce con un colpo di pietra Deriade stesso. Il resto del canto passa in combattimenti, nei quali si distin
teo, i Càbiri figli di Vulcano, e le Baccanti. Calice pugna al fianco del Nume. Bacco provoca Deriade; la notte sopravvenie
. Morreo manifesta la sua meraviglia perchè i soldati di Bacco armati del solo tirso battono gì’ Indiani. Deriade lo ripren
Giunone parte con lei, fa tre passi, e al quarto arriva sulle sponde del Gange. Quivi mostra alla Furia mucchi di morti, r
embianze della Notte lo persuade a vincere colla sua quiete gli occhi del re degli Dei, onde servire al furore di Giunone.
gli occhi del re degli Dei, onde servire al furore di Giunone. Lo dio del Sonno obbedisce, ed Iride va nell’Olimpo a render
e sono descritti i terribili effetti nello dio, e Deriade profittando del disordine assale le Baccanti. Marte nelle sembian
sua rabbia, Cari, la Grazia figlia di Bacco e di Venere, spettatrice del furore di suo padre, si afiliggeva sulla misera s
per Venere, e sale al cielo, onde veder la dea, la quale accorgendosi del suo dolore ne domanda la cagione. Non la tace, e
alcomedia compisce l’inganno coi suoi discorsi. Intanto ella profitta del silenzio della notte per andare in traccia di Bac
sguardi dei mortali, e da ogni insulto la difese. Dallo stesso poeta, del quale vi dò l’estratto, ho tradotto in versi la d
i la descrizione della morte d’Erigone dopo che le fu noto il destino del padre, che in sogno le apparve. Credo utile innan
andogli il modo di coltivare la vite che lo produce. Icaro fece parte del segreto e del liquore ad altri contadini che dive
o di coltivare la vite che lo produce. Icaro fece parte del segreto e del liquore ad altri contadini che divenuti ubriachi
ra di lui apparve in sogno alla figlia, che disperata andò in traccia del padre: lo trovò alfine, e disperata s’impiccò all
ioglie: care rupi. Dove s’ asconde il mio padre mi dite; Narrate a me del genitor la morte O noti tori: chi l’uccise: e dov
lla bella vite Porre nei campi, o col bifolco a mensa Cura il ritiene del comune armento? Ditelo a me che piango: io soffri
n pianta. Io morir voglio al par di lui. — Sì disse, E sopra il dorso del vicino bosco Corse veloce ricercando l’orme Del t
ne pubblicata poco dopo gli dà lo stesso abito per indicare il colore del vino. La Base della Villa Albani lo rappresenta c
iccolo Bacco di bronzo con un Genio alato, di cui la testa è adornata del lungo collo di un’ oca, che tenendosi in ginocchi
i nascose nel mare presso Teti, come avete udito nel darvi l’estratto del poema di Nonno sopra lo dio. In una medaglia dell
si vede in Pausania dove parla delle Baccanti di Sidone, della festa del Padre Libero, cioè Bacco, vicino a Lerna, e dell’
ndaro che si servivano dei corni per bere. Conviene adesso favellarvi del tirso, che voi vedete tante volte espresso nei ba
asta: e facendosi dagli scrittori infinite volte menzione dell’ellera del tirso, onde sovente con figura lo chiamavano elle
di pampano. — Le quali aste erano co mimemente dai pittori dei tempi del Buonarroti fatte per tirso nei Baccanali: quando
o largo, ch’erano adoprate anche dai cacciatori, e si veggono in mano del centauro celeste fatto in forma di cacciatore. A
ti i caratteri distintivi che gli antichi artefici davano alle statue del nume, e quali vi furono esposti dal medesimo auto
zii. A questo però dobbiamo ascrivere la perdita della metà inferiore del nostro Bacco, come di tre belle statue feminili d
la metà inferiore del nostro Bacco, come di tre belle statue feminili del Museo Capitolino, e d’un Adriano col torace del P
belle statue feminili del Museo Capitolino, e d’un Adriano col torace del Palazzo Ruspoli. Quel che si è conservato ci fa d
dato quella feminile e molle corporatura, che ha ritratta l’artefice del marmo precedente, ma sembra essersi rammentato, s
o precedente, ma sembra essersi rammentato, senza tradire l’avvenenza del dio Tebano, che questo nume a un tempo voluttuoso
amo quella beltà che incantò i Tirreni non disgiunta dalla robustezza del più antico dei conquistatori. La testa è coronata
cora ne hanno deformate i fanciulli dei pastori e dei bifolchi ignari del rispetto dovuto alla divinità. Nè del nume bacchi
i pastori e dei bifolchi ignari del rispetto dovuto alla divinità. Nè del nume bacchico è privo il fonte, come quello che l
o sul margine non ancora perfetti, onde pare che siano nati in grazia del giovinetto. Il dipinto seguendo la natura finge c
ha prodotta. Infatti questa pittura ne dice che il colore dei capelli del giovinetto somiglia al giacinto, e che il sangue
iprender la favola, nè disposti all’incredulità, spettatori solamente del dipinto, esamineremo un poco il quadro. E prima c
crudele, perchè hai rivolto ildisco contro il giovinetto: Ma tu ridi del dolore di Apollo: e colle ali alle tempia con ins
nomia ti prepari ad ornare i tuoi crini con questo fiore, eterna pena del dio del canto. — Lezione sessantesimaquarta.
prepari ad ornare i tuoi crini con questo fiore, eterna pena del dio del canto. — Lezione sessantesimaquarta. Altre ma
e Ninfe, dalle quali fu educato, e inol tre la benda, che copre parte del capo, e la mitra che vela tutto. Luciano lo deri
ro l’ubriachezza. Tiene in mano tazza o larga o alta per esser latore del vino; spesso asta o tirso, qualche volta un ramo
Diodoro la vuol dedicata a lui, perchè avendo ogli introdotto l’uso del vino, accadeva spesso che i conviti, anche sacri,
i, e mi limito solo a darvene il resultato reso evidente dal criterio del mentovato Lanzi, uno dei più grandi antiquarii de
dizi dicendo: Nel Fauno l’artista diretto dal poeta dovea mettere più del capro, nel Satiro più del cavallo, e la coda cava
artista diretto dal poeta dovea mettere più del capro, nel Satiro più del cavallo, e la coda cavallina è più piena molto e
a caprigna. Il volto nel Satiro è d’incerta e varia iisonomia. Quello del Fauno parmi più uniforme: lo distingue un non so
ha trovato alcuno che il vero ed antico sistema greco rischiari prima del Museo Clementino, onde io credo farvi cosa grata
cosa grata inserendo nel mio discorso la descrizione, che di un Fauno del Museo dementino ha data Visconti. Nell’ altre Lez
in giovenile età, si è dato il nome di Satiro a quelli che nell’aria del volto, nelle corna, nelle anche e gambe di capro
, nelle anche e gambe di capro somigliavano le antiche rappresentanze del dio Pan; il nome di Fauni a quelli che coll’orecc
, e chiamando Titiri quelle rare figure di Baccanti che nulla tengono del caprino. — Merita sicuramente qualche lode l’accu
noltrati, quando tal divisione, che non può avere altro oggetto fuori del comodo degli artisti e della nomenclatura antiqua
atrici dell’Indie con queste parole: Due comandavano l’esercito sotto del nume: un basso, vecchio, grassotto, panciuto, con
semideo sostiene fra le braccia l’infante Bacco, e nelle forme nobili del volto e delle membra si ravvisa per un personaggi
isa per un personaggio assennato, a cui potea confidarsi l’educazione del nume. Lo scultore del nostro marmo ha presa un’al
assennato, a cui potea confidarsi l’educazione del nume. Lo scultore del nostro marmo ha presa un’altra idea, e ci ha rapp
leno come il personaggio allegorico dell’ ubriachezza: nelle fattezze del volto e nella costituzione delle membra non si è
orimbi è d’un carattere sor prendente; e la naturalezza, la carnosità del torso pingue ed irsuto è tutto quello a che può g
ne come sempre dal vino di ieri — e finalmente da quella curiosissima del Palazzo Gentili, ove Sileno vedesi vestito di un
dosso gli attori per meglio rappresentare le membra pingui ed irsute | del nutritore di Bacco, abito che finora è stato cagi
di volersi dal suo obbligo liberare. Trovò Eineo la morte nella casa del perfido genero, che cader lo fece in una fossa di
e, e non sapea a quale degli Dei e degli uomini rivolgersi per essere del suo atroce misfatto espiato. Giove mosso dal suo
se il credulo adultero fra le sue braccia l’ ingannevole simulacro, e del suo vano delitto furono frutto i Centauri. Vantav
suo vano delitto furono frutto i Centauri. Vantavasi quindi di avere del Tonante violata la moglie; ma questi stanco di es
ansi nascere simili mostri: o pure perchè fossero creduti amici assai del vino come erano tutti gli animali, che gli sono s
overchio vino intrapresero coi Lapiti. Per questo. Nonno al principio del Libro XIV delle Dionisiache, o imprese di Bacco,
fronte volontaria al giogo, ed avendo più assai dei Satiri desiderio del dolce vino, mezzo perfetto, l’uomo misto di caval
colore riportato dal Buonarroti, e che rappresenta la pompa e trionfo del dio del Vino. Nè con diverso modo si vesrcfono in
iportato dal Buonarroti, e che rappresenta la pompa e trionfo del dio del Vino. Nè con diverso modo si vesrcfono in co altr
a con Bacco quando andò a Nasso. Giù basso in terra accosto all’ onde del mare vi è la Ninfa, o Genio di quell’isola, con u
igura, come si può vedere dal medesimo Ateneo, dove parla dell’olmo e del rito che fu ordinato la prima volta da Tolomeo Fi
composti di un cerchio e d’ una pelle tiratavi sopra, secondo quello del coro delle Baccanti presso Earipide: Questo cerch
po si vede che le tibie, le quali sono sonate dall’ altra Centauressa del mentovato cammeo, erano in uso nelle feste di Bac
ovavano così facilmente. Le Centauresse si veggono in un bassorilievo del Museo dementino così descritto da Visconti. « Che
uario recentemente scavato presso al Laterano, ed è una prova novella del merito del suo originale, che è il più giovane de
temente scavato presso al Laterano, ed è una prova novella del merito del suo originale, che è il più giovane dei due famos
erito del suo originale, che è il più giovane dei due famosi Centauri del Museo Capitolino, conosciuti già sotto il nome di
e Pappo Afrodisio in un bellissimo bigio morato, pure oltre la rarità del soggetto hanno un grandissimo merito di lavoro, e
orbidezza degli originali medesimi, non riflettendo che il color nero del marmo, in cui han lavorato i due artefici di Cipr
e si è conservato nelle copie è il Cupidino, che è tanto sulla groppa del nostro Centauro quanto del Borghesiano, e che man
ie è il Cupidino, che è tanto sulla groppa del nostro Centauro quanto del Borghesiano, e che manca affatto nei Centauri del
tro Centauro quanto del Borghesiano, e che manca affatto nei Centauri del Campidoglio, nei quali non mancava però l’orma de
fatto nei Centauri del Campidoglio, nei quali non mancava però l’orma del piccolo cavaliere. « L’Amorino, che è sul secondo
ra indole, che domato dal nume infante ha perduto la naturai fortezza del suo ferino carattere, idea espressa colle mani av
ultore al Centauro, quasi volesse far pompa delle robuste muscolature del petto, come taluno ha supposto. Nel nostro mancav
ostenuto qualche cosa di massiccio, non si è seguito in ciò l’esempio del ristauro Capitolino: ma riflettendo che ha nella
oia negli occhi e nel volto: ma intanto l’amore che ha fatto la preda del cacciator feroce, ride del suo riso e siede vinci
: ma intanto l’amore che ha fatto la preda del cacciator feroce, ride del suo riso e siede vincitore sul suo dorso. Non è m
itore sul suo dorso. Non è molto differente questo concetto da quello del secondo Idilio di Bione, dov’è descritto un giovi
e e nell’Odissea che combattenti sui cocchi. La favola però di Fedro, del cavallo e del cinghiale, ci fa conoscere che l’oc
ea che combattenti sui cocchi. La favola però di Fedro, del cavallo e del cinghiale, ci fa conoscere che l’occasione della
a caccia fu quella che introdusse la prima 1’ uso di sedere sul dorso del destriero. Non furono dunque i Centauri che i pri
e i Centauri che i primi cacciatori equestri, quantunque l’etimologia del nome che sembra indicare feritori di tori abbia f
tro, da Palefato diffusamente descritta. Ma ciò basti per dar ragione del ristauro del braccio destro: nel sinistro si è co
ato diffusamente descritta. Ma ciò basti per dar ragione del ristauro del braccio destro: nel sinistro si è copiato il pedo
di cavallino, che si mesce colle sembianze umane, e forma dell’uomo e del cavallo un tutto, per quanto può immaginarsi, uni
e, o ancor trarre i carri di Bacco. Nel tronco che sostiene il ventre del Centauro simile al Capitolino, si vede scolpita u
ache: Sta come una Baccante. Ma deponevano tale esteriore negli onori del nume, ove affettavano e mentivano il furore bacch
me di Menadi. Ad esse andavano miste l’Amazzoni, nell’esercito almeno del vecchio Bacco, al cui aiuto, secondo Diodoro, le
, non erano punto ninfe, ma dovettero avere partìcolar cura dell’ uso del nuovo vino e delle feste fatte in quell’occasione
i Teocrito Lene, o le Baccanti, e tenendo lo stesso rito delle pelli, del tirso, dei capelli sparsi, come par si raccolga i
ui saluta come condottiero di Naiadi e di Baccanti. E Ovidio nel fine del iv libro De Ponto, nomina una poesia, ove elle si
ono cangiate nella costellazione deiriadi. Insegnarono le prime l’uso del vino ed a cantare gli onori del dio che soccorser
deiriadi. Insegnarono le prime l’uso del vino ed a cantare gli onori del dio che soccorsero contro Licurgo: quindi possono
e nell’Alti d’Olimpia. « I bassirilievi che adornano le quattro facce del monumento cel fanno ravvisare o come sacro agli D
’ara, è egualmente propria per adornare un luogo riservato ai piaceri del suo genitore, come per indicare il luogo agreste
e pastorella sta vellicando il mento perchè non sia ritrosa all’opera del capraio. « Là sovra un’ara alquanto più alta vede
ove, ci muove a credere che funebre fosse la destinazione e l’oggetto del monumento abbellito con bacchiche rappresentazion
i ciò dal volgo dei trapassati, o ancora che pur cotento sull’esempio del dio del Vino di una vita lieta e voluttuosa, cede
l volgo dei trapassati, o ancora che pur cotento sull’esempio del dio del Vino di una vita lieta e voluttuosa, cedeva poi a
vi pago e satollo da ricca mensa. » Il Visconti ha presa questa idea del verso di Lucrezio. Cur non ut plenus vita conviv
ta i regni, nell’interpetrazione delle quali ci saranno scorta i lumi del lodato Visconti, voi potrete dire: Noi conosciamo
d i neri sopracigli il figlio Di Saturno inchinò: sull’immortale Capo del Sire le divine chiome S’agitare, e tremonne il va
tantemente, a mio credere, schiarite le nostre idee sul vero soggetto del simulacro. Il mio parere è molto diverso sì da qu
o, forse di bisso pieghettato minutamente: è poi avvolto in un pallio del pari ampio e magnifico, che tutta la figura circo
quel voluttuosissimo re. Feriva ad alcuni la fantasia la somiglianza del volto della statua principale coi volgarmente cre
lianza coi ritratti di quel filosofo riman distrutto dalla cognizione del sincero e genuino ritratto di Platone, assolutame
lo o per un antico errore, o per un’antica impostura. Ora il soggetto del simulacro è per se notissimo, e può dimostrarsi a
Fauni la contradistingue per Bacco. La stessa coi simboli dionisiaci del nappo e del tirso ammiriamo nel superbo intaglio
ntradistingue per Bacco. La stessa coi simboli dionisiaci del nappo e del tirso ammiriamo nel superbo intaglio in topazio d
siaci del nappo e del tirso ammiriamo nel superbo intaglio in topazio del Vaticano; la stessa appoggiata ad un Fauno è in u
i dei suoi seguaci; la stessa è scolpita in un vaso e in un sarcofago del Palazzo Farnese in mezzo a Baccanti; la stessa, f
e l’epigrafe. Ma qual peso potrà avere quando contrasta coll’evidenza del soggetto? Il Nettuno equestre in Atene avea un’is
afi non impedivano i Greci antiquarii di decidere sui migHori indizii del vero soggetto delle immagini, non devon essere d’
nuina. Difatti sembra posteriore di molto alla scultura: la duplicità del a non è conforme alla più esatta ortografia, e le
on è conforme alla più esatta ortografia, e le forme della C, dell’A, del A, del a se hanno qualche esempio in monumenti pr
nforme alla più esatta ortografia, e le forme della C, dell’A, del A, del a se hanno qualche esempio in monumenti prima del
zzoviglie, senza badare all’orecchie faunine e alle code delle figure del suo corteggio, che facilmente l’ avrebbero contra
differiva. Può congetturarsi che l’errore avesse un ulterior motivo, del che ci avrebbe fatti certi la conservazione del d
e un ulterior motivo, del che ci avrebbe fatti certi la conservazione del destro braccio. La statua di Sardanapalo alzava l
napalo, che per quel gesto era nota, e lo scriverne il nome sull’orlo del pallio allontanandosi dall’usanza ordinaria. Per
i una persona abbandonata a’ piaceri, e che non sente rimorsi. L’aria del volto è però grandiosa e nobile, qual si conviene
tà d’ imitazione, e composto con ottimo gusto. È da notarsi la manica del braccio destro, il cui principio è antico ed è be
he a quella di un Bacco barbato, o di un sacerdote sotto le sembianze del nume dipinto su d’un bellissimo vaso. « Le statue
un bellissimo vaso. « Le statue feminili che accompagnavano la figura del nostro nume sono alla Villa Albani ove servono di
ostro nume sono alla Villa Albani ove servono di Cariatidi. Mancavano del capo e delle braccia, ma sono state risarcite in
medesimo con tutta la dignità che esigevano la religione, la vetustà del racconto, e forse il senso arcano che i misteri v
monumenti di questo genere sono il presente bassorilievo, e la patera del Museo Borgiano in Velletri. ambedue inediti e sin
per la prima volta. « Cominciando dalla sinistra. Giove siede coperto del suo manto dal mezzo in giù, secondo il costume, e
appoggia colla manca allo scettro, colla destra alla rocca, che colle del puerperio quindi fu detta. Egli è certamente in a
lità. Dinanzi a lui s’ inchina alcun poco Mercurio, che ha fatto seno del gomito, e lo ha coperto di una pelle di capriolo
pione nel bel vaso di Gaeta, il cui soggetto è quasi la seconda scena del nostro, cioè la consegna di Bacco infante fatta d
detto l’allegria de’ mortali. Ha il primo luogo Lucina o Illitia dea del Puerperio: essa è simboleggiata colla man destra
sero Libero e Libera, ebbero una stretta ed evidente unione nel culto del paganesimo. L’ amistà di Cerere con Bacco sembra
con Bacco non solo da Euripide e da Virgilio, ma nel gran cammeo già del Museo Carpegna, ora del Vaticano, e in molti altr
uripide e da Virgilio, ma nel gran cammeo già del Museo Carpegna, ora del Vaticano, e in molti altri monumenti. « L’unione
come nelle feste, nei templi, e negli altri pubblici riti e ceremonie del Paganesimo. A Pirea non lungi da Sicione erano in
pubblici divertimenti; o sia che preside delle vendemmie ed inventore del vino, fosser le sue immagini egualmente opportune
che la metà presso degli avanzi delle arti vetuste son memorie ancora del culto di questo nume. Il presente bassorilievo st
e parti essenziali di un lavoro. « Il principal gruppo ch’è nel mezzo del bassorilievo ci mostra Bacco vinto dalla sua beva
tore di Bacco, Sileno, che rattempra al suono della cetra gli affetti del Nume: e poeta e filosofo qual ce lo additava Virg
, maschera di bocca chiusa, e un Fauno con una capra empiono il basso del quadro. Que st’ ultimo gruppo è di minor proporzi
figure, ed è piuttosto prova della diligenza e della laboriosità che del gusto dell’artefice, il quale dee aver tratto que
altra ninfa Bacchica, e diversi bassirilievi all’istoria, alle pompe del dio del Vino allusivi, saranno argomento della pr
infa Bacchica, e diversi bassirilievi all’istoria, alle pompe del dio del Vino allusivi, saranno argomento della presente L
mente Solino quando paragonavano all’ arredo di questo nume, l’ abito del re di Taprobana. Simile per avventura al pallio c
stesso nome due diversi generi di abbigliamenti donneschi. « La testa del simulacro di nobile e serena fìsonomia ha la sua
sero nelle mani di questa statua il tirso e la fiala, insegne proprie del nume, come si osservano in varii monumenti che ci
in altri monumenti possono supporsi in tal foggia ritratti i ministri del culto Bacchico, secondo il costume accennato altr
ze delle divinità a cui si consacravano: e immagini di numi agresti e del corteggio Bacchico saran quelle, che a guisa di e
ca, nella caccia, nella vendemmia, ora intesi alle mistiche ceremonie del nume lor condottiero, ora vinti dall’ubriachezza
i Greci eran la più parte liete e ridenti, dierono principio all’arte del ballo. « Coronata è la sua testa come proprio è d
bacchica. « Gli scrittori delle cose Bacchiche fanno sovente menzione del serpente Orgio, rettile venerato in quei famosi m
fiumi, dei ruscelli, dei fonti, e perciò ben s’uniscono coir immagine del serpe, eh’ è simbolo di quelle oscure divinità de
ò ed è cinta di un gran serpe la ninfa di un fonte in un bassorilievo del Palazzo Giustiniani, ove è rappresentata la puniz
sentanza di questo marmo, pretendevano ravvisarvi Olimpiade, la madre del gran Macedone, col serpe in cui si pretese trasfo
o, pure dalla mancanza dell’urna mi sembra verisimile che il soggetto del nostro marmo sia piuttosto r immagine di una defu
o sia piuttosto r immagine di una defunta rappresentata sul coperchio del suo monumento in foggia di ninfa Bacchica, come,
le estremità e le parti che risaltano e sono quasi isolate, il resto del corpo è più basso che non sarebbe nel vero, e tra
per conciliare all’anime dei defunti riposo e felicità. « La scultura del simulacro quasi intatto, la quale non oltrepassa
rattengono alcun poco lo sguardo dell’ osservatore. Nelle feste licee del dio Pan si usavano simili striscie, colle quali n
iano i dipinti da Zeusi. Un genio intanto si regge in piedi sul dorso del centauro a destra, e tiene nelle mani un vessillo
ta, se non che, molti secoli dopo, Alessandro e Pompeo. « Il soggetto del presente bassorilievo è relativo appunto alle vit
l soggetto del presente bassorilievo è relativo appunto alle vittorie del nume di Nisa. Vedesi la sua comitiva uscir lieta
rse esotiche, ed accompagnano una pantera già mansuefatta. « Lo stile del bassorilievo è del più ordinario, l’invenzione pe
compagnano una pantera già mansuefatta. « Lo stile del bassorilievo è del più ordinario, l’invenzione per altro delle figur
, che nel marmo ci si presenti. Un altro Fauno segue saltando ad onta del non lieve peso del gran cratere che sostiene con
si presenti. Un altro Fauno segue saltando ad onta del non lieve peso del gran cratere che sostiene con ambedue le mani sug
Leucotea, alla prima delle quali come ninfa, alla seconda come deità del mare, giusta il costume greco non disdice la nudi
finalmente Giunone dea delle Nozze, che ad onta dell’antica gelosia e del primiero odio contro il figlio di Semele, condisc
ni. Merita per la sua semplicità di essere ancora osservata la figura del Fauno coli’ otre. L’ artefice per altro che ha es
raro argomento di questo bassorilievo compensa largamente il difetto del suo artifizio. E il più evidente monumento della
che decoro, quanto perchè vi osservo prodigamente impiegato il lavoro del trapano, che appunto vedesi usato con sì poco ris
solleva il tirso, l’altro sostiene sugli omeri un cratere: le redini del cocchio sono in mano del Genio di Bacco, il quale
o sostiene sugli omeri un cratere: le redini del cocchio sono in mano del Genio di Bacco, il quale appressandosi colla dest
stra alle labbra la siringa settemplice, si regge in pie sulla groppa del Centauro a destra. Un Fauno che suona un simile i
i sono assisi i due numi. Ercole nudo interamente siede sulla spoglia del leone, e alzando colla destra la clava che appogg
i l’ospite cui Bacco ha ricevuto nel suo cocchio. Infatti l’estremità del timone guernita di una testa di pantera, gl’intag
i l’estremità del timone guernita di una testa di pantera, gl’intagli del giogo rappresentanti delfìni, mostrano ad evidenz
ha per soggetto l’apoteosi di quest’ultimo. Egli giace sulle spoglie del leone abbracciando una gran tazza da bere in m’ez
nti ohe sian mai stati eseguiti in tal genere di lavoro. La festività del soggetto e la caricatura di alcune l’orme sono co
ntrassegnato dalla sua fìsonomia, dalla sua calvizie, dall’attitudine del suo corpo, dall’abbigliamento rusticano e disordi
così compisce con bella ed artificiosa invenzione la piramidal forma del gruppo intero. L’otre già lento e quasi vuoto che
lento e quasi vuoto che scende colla bocca sossopra dall’omero manco del secondo Faunetto, serve a caratterizzar meglio la
esta grande e nobil vasca di greco marmo dissotterrata nei fondamenti del sontuoso edifizio della Sagrestia Vaticana, come
Bacchico piuttosto che al sepolcrale, e caratterizzarlo per monumento del lusso dei predii rustici e delle antiche ville, c
le sue corone. Cinquecento fanciulle comparvero nella pompa Bacchica del Filadelfo recinte il crine di corone d’oro imitan
re e di tigri. « I loro tirsi, come quei delle lor compagne, non sono del tutto coperti d’ edera, ma pelesano dalla sommità
ensibile. La prima i cimbali, la terza i timpani accompagna col rumor del ballo, mentre la seconda in leggiadrissimo atto s
a tunica spartana della terza senza cintura ai fianchi nella violenza del moto raggruppandosi in un lato, la lascia con biz
del moto raggruppandosi in un lato, la lascia con bizzarra idea quasi del tutto ignuda nel rimanente; la quarta sembra eseg
le apparisce il Fallo velato. « L’ultima fìgura che sembra la corifea del Triaso, è forse Nisa nudrice di Bacco, il cui sim
rnava di tempo in tempo a sedersi. Se non che la nostra figura invece del tirso ha una gran face nella manca, arnese ugualm
Fauni lo fa arguire. « La Baccante di questo bel bassorilievo è quasi del tutto ignuda, se non che ha rigettato con neghgen
ettato con neghgenza un ammanto sull’omero manco: è invasa dall’estro del nume, e sembra accoppiare i clamori, gli ululati
nume, e sembra accoppiare i clamori, gli ululati Bacchici col batter del timpano inventato dai Corjbanti, ch’ella ha nelle
i, e colla tibia che ispirano i suoi compagni. Un flauto è alla bocca del Fauno abbigliato della spoglia di una pantera, e
rve di terrazzo alla composizione, ci richiama alla mente i Baccanali del Citerone, del Tmolo, deirElicona e del Taigeto, e
o alla composizione, ci richiama alla mente i Baccanali del Citerone, del Tmolo, deirElicona e del Taigeto, e r epiteto di
ichiama alla mente i Baccanali del Citerone, del Tmolo, deirElicona e del Taigeto, e r epiteto di frequentatore di montagne
perdono mai di vista il prototipo della più scelta natura. L’ azione del putto è tutta pròpria del suo carattere, giacché
rototipo della più scelta natura. L’ azione del putto è tutta pròpria del suo carattere, giacché la piccola coda, che se gl
co, e nel tempo stesso alla Mitologia Teologica con queste tre ottave del Poliziano, che la dolente Arianna e il corteggio
ueste tre ottave del Poliziano, che la dolente Arianna e il corteggio del dio del Vino descrivono: « Dall’altra parte la b
e ottave del Poliziano, che la dolente Arianna e il corteggio del dio del Vino descrivono: « Dall’altra parte la bella Ari
e la bella Arianna Con le sorde acque di Teseo si dole, E dell’aura e del sonno che la inganna. Di paura tremando, come suo
tiri lo rizzano. 1. Lettera al Professore Francesco Antonio Mori del 16 Novembre 1825, già pubblicata dal Professore A
refazione generale alle Opere edite e inedite, Vol. 1.º, pag. XXVI, e del pari nel Vol. 3.º la Prefazione, pag. XI e XII, e
lmente Talete, il quale viaggiò colà, rilevato quel ch’egli insegnava del moversi la terra sopra l’acque a guisa di una nav
te formate in guisa d’amo riconobbi per antico un Amorino nel cortile del palazzo del cavalier Alessandri, che mi assicurò
n guisa d’amo riconobbi per antico un Amorino nel cortile del palazzo del cavalier Alessandri, che mi assicurò reputarlo ta
3 (1897) Mitologia classica illustrata
come dalle istituzioni e dalle feste religiose, così dalle cerimonie del culto o pubblico o privato. Ben è vero che, se gl
profanazione, invece la mitologia volgare, abbandonata alla fantasia del popolo, accoglieva da ogni parte mutazioni od agg
ia colle arti della parola, segnatamente colla poesia, sia colle arti del disegno, massime la scoltura e la pittura. Dalle
idia, immagine insieme di somma potenza e di mite bontà, vero aspetto del Giove supercilio cuncta moventis e pur pieno di
ntichi filosofi avevano tentato di risolvere; e tra gli altri Evemero del IV sec. av. C., si avvisò di spiegare la mitologi
mi scrittori cristiani, poi fu ripresa e svolta dai Filologi olandesi del XVII secolo, i quali giudicarono che nei miti cla
della favola, i dettami di un’alta e civile sapienza; laonde l’opera del moderno esegeta dovrebbe essere questa, d’interpr
anno accolto e considerano anche ora come definitiva questa soluzione del problema mitologico; la quale, a giudizio loro, d
e dalla personificazione delle forze naturali, aggiuntavi quell’ idea del divino, ossia l’ idea della somma intelligenza e
tavi quell’ idea del divino, ossia l’ idea della somma intelligenza e del sommo bene, che è innata nell’ uomo. 3º La variet
in origine una divinità, venerata solamente in Argo, mentre la moglie del Zeus di Dodona chiamavasi Dione. — Anche ragioni
osì in genere i diversi aspetti delle cose, specialmente il contrasto del lato buono e del cattivo, dell’ utile e del danno
iversi aspetti delle cose, specialmente il contrasto del lato buono e del cattivo, dell’ utile e del dannoso, si rispecchia
specialmente il contrasto del lato buono e del cattivo, dell’ utile e del dannoso, si rispecchiavano in diverse leggende, d
tenteremo di aver dato questi cenni generali intorno alla spiegazione del problema mitologico, e nella esposizione che segu
ersa la Mitologia greca e la romana. Quel ricco sviluppo di leggende, del quale s’ è fatto parola, propriamente era solo de
sacerdotali, e sacre solennità, a fissare con gran cura le cerimonie del culto e gli uffici di chi vi attendeva. Solo più
endenze e vicende degli Dei greci e romani, giova premettere un cenno del come li pensavano e se li figuravano gli antichi,
i. È ciò che suol designarsi col vocabolo antropomorfismo. Ma l’ idea del divino importava che le qualità umane fossero per
ative; in un batter d’ occhio percorrono immense distanze, la facoltà del vedere e dell’ udire s’ estende per loro illimita
sto angolo della terra. Ancora essi van soggetti ai bisogni corporali del sonno e del cibo, ma loro cibo è esclusivamente i
ella terra. Ancora essi van soggetti ai bisogni corporali del sonno e del cibo, ma loro cibo è esclusivamente il nettare e
il culto che erano un portato della naturale religiosità. 2. Origine del mondo e degli Dei. Il mondo, secondo Esiodo, ebbe
po (Kronos confuso con Chronos) e quella che scorre, personificazione del movimento degli esseri e della durata. Oltre ques
onte, Sterope e Arge, evidente personificazione dei fenomi elettrici, del tuono e del lampo. — Anche gli Ecatonchiri eran t
e e Arge, evidente personificazione dei fenomi elettrici, del tuono e del lampo. — Anche gli Ecatonchiri eran tre, Cotto, B
e col Ponto Gea genero diverse divinità marine, Nereo, rappresentante del mare in bonaccia, padre delle Nereidi o ninfe mar
Nereidi o ninfe marine; Taumante (Thaumas), rappresentante la maestà del mare, padre di Iride l’ arcobaleno, e delle Arpie
osi); Forchi (Phorkys) e Cheto (Ketos), personificazione dei pericoli del mare, la cui unione produsse le terribili Gorgoni
uoi minori figli, i Ciclopi e gli Ecatonchiri, li relego nel profondo del Tartaro (i lampi, i tuoni e le tempeste sopraffat
lo domò, lo mutilò e l’ obbligò a rinunziare in suo favore al dominio del mondo. Dal sangue di Urano nacquero le Erinni (Er
essendosi schierati dalla parte di Zeus, rimasero gli altri a difesa del fratello. Zeus si valse anche dei Ciclopi e degli
. Alfine i Titani vennero sconfitti, e gittati in catene nel profondo del Tartaro, lasciati loro a guardia gli Ecatonchiri,
e fratelli, riservando a sè il Cielo, lasciando a Posidone il governo del mare, ad Ades quello del Tartaro; la terra rimase
sè il Cielo, lasciando a Posidone il governo del mare, ad Ades quello del Tartaro; la terra rimase neutrale. Ma il nuovo or
inganno fatto a Crono da Rea, quando gli presentò una pietra in luogo del neonato Zeus. Assai più frequente, sia nei poe
neralmente le due guerre si fondono in una, chi non ripensa la IV ode del libro terzo d’ Orazio, ove il racconto della lott
due serpenti che terminano dalla parte della testa. Un celebre cammeo del Museo Nazionale di Napoli rappresenta Giove su un
es e Posidone, riservando a sè il cielo e affidando a loro le regioni del mare e dell’ interno. Questo assetto diventò defi
dinatamente di tutti questi Dei, li divideremo in tre ordini, gli Dei del cielo, gli Dei dell’ oceano e delle acque e gli D
e e gli Dei della terra e dell’ inferno. Capitolo secondo. Gli Dei del Cielo. A. Divinità primarie. I. Zeus-Iu
A. Divinità primarie. I. Zeus-Iupiter. 1. Il Dio supremo del mondo, il Dio per eccellenza, era per i Greci Zeu
. Iov di Iov-is, nomin. Iov-pater, Iu-piter (ind. Djaus-pitar = padre del giorno). Adunque l’ idea della suprema Divinità s
ivinità si è nelle origini associata al fenomeno naturale della luce, del giorno e del brillar del cielo. Da questo concett
nelle origini associata al fenomeno naturale della luce, del giorno e del brillar del cielo. Da questo concetto di Dio cele
i associata al fenomeno naturale della luce, del giorno e del brillar del cielo. Da questo concetto di Dio celeste derivano
Gorgone per atterrire i suoi avversari. 2. Alle attribuzioni fisiche del sommo Iddio fanno riscontro le morali. Egli vien
re, non avendo altro limite alla volontà sua che il potere inesorabil del fato (la Moira). Ha il supremo governo del mondo,
a che il potere inesorabil del fato (la Moira). Ha il supremo governo del mondo, ed è egli il custode dell’ ordine e dell’
lazioni. In vario modo credevasi manifestasse la sua volontà, per via del tuono e del lampo, per mezzo del volo degli uccel
vario modo credevasi manifestasse la sua volontà, per via del tuono e del lampo, per mezzo del volo degli uccelli, per mezz
manifestasse la sua volontà, per via del tuono e del lampo, per mezzo del volo degli uccelli, per mezzo dei sogni, ecc. Era
in Epiro e di Olimpia, e manifestava poi anche l’ avvenire per mezzo del suo prediletto figlio Apollo. 3. L’ alto concetto
us, la più celebre è Semele, figlia di Cadmo il re Tebano, come madre del dio Dioniso (Dionysus, Bacco), poi Alcmena che di
us con Leto e la generazione di Apollo e Artemide significa l’ unione del cielo e della notte, da cui provengono i raggi de
ignifica l’ unione del cielo e della notte, da cui provengono i raggi del sole e quelli della luna; l’ amore di Zeus con De
us con Demeter, la dea delle biade, rappresenta l’ unione primaverile del cielo e della terra, che dà origine alla vegetazi
oli divini, che dai sacerdoti venivano interpretati. Anche sulla cima del monte Tomaro, a’ cui piedi giaceva Dodona, era ve
el monte Tomaro, a’ cui piedi giaceva Dodona, era venerato Zeus, come del resto quasi tutte le alture erano anticamente sed
ato Zeus, come del resto quasi tutte le alture erano anticamente sedi del culto di questo dio celeste; ciò sia nella Grecia
Zeus greco corrisponde il Iupiter dei Latini. Anche questi era il Dio del cielo e dell’ atmosfera, quindi della luce, della
ggia e della tempesta, e pero invocato col titoli di Diespiter, padre del giorno, e Iupiter Lucetius, Giove dator della luc
in Egitto, raffigurato come un giovane che tiene una mano sul timone del carro solare, ed ha nell’ altra il fulmine e dell
o. 6. La figura di Zeus-Iupiter nella letteratura e nell’ arte. Cenni del Dio supremo e rappresentazioni più o meno compiut
tterarie e nelle artistiche. È celebre la pittura Omerica (Il. 1,528) del figlio di Crono che china i neri sopraccigli; ond
o Terpandro, Alcmano, Simonide, Pindaro. Più di tutti celebrò le lodi del Dio ottimo e sapientissimo il tragico Eschilo, ta
iumpho, Cuncta supercilio movens 2 (Od. 3,1,7) è un pallido riflesso del Zeus omerico; ma che bene ha saputo esprimere il
riflesso del Zeus omerico; ma che bene ha saputo esprimere il governo del mondo in questa strofa: Qui terram inertem qui m
e in antico un numero incalcolabile, chi pensi alla grande diffusione del culto e al numero grandissimo di templi dedicati
 Il Dio, di forme gigantesche, sta va seduto in trono, toccando quasi del capo il soffitto del tempio. La parte superiore d
antesche, sta va seduto in trono, toccando quasi del capo il soffitto del tempio. La parte superiore del corpo nuda, l’ inf
o, toccando quasi del capo il soffitto del tempio. La parte superiore del corpo nuda, l’ inferiore avvolta in un manto a la
capolavoro dell’ arte ellenica ancor si trovava in Olimpia sul finire del 4º secolo dopo C. Ai tempi di Teodosio, cessate d
limpia sul finire del 4º secolo dopo C. Ai tempi di Teodosio, cessate del tutto le feste olimpiche, credesi la statua fosse
 4); in una è l’ immagine di tutta la statua col trono, in altra solo del capo. — Nei secoli seguenti l’ ideale di Fidia pa
Un notevole esempio di questo più recente ideale è il busto marmoreo del Museo Pio Clementino, detto « Giove di Otricoli »
e di grande forza mentre la bocca lievemente aperta e le linee serene del volto accennano a una dolce mitezza. Celebre è an
il largo petto, indizio di forza; costanti attributi sono lo scettro del potere, il fulmine, l’ aquila, la patera sacrific
uercia era a lui sacra, o d’ un ramo d’ olivo, o d’ una benda indizio del potere regio. II. Era-Giunone. 1. Fig
Crono e di Rea, sorella e moglie di Zeus, Era è la divinità femminile del cielo, come Zeus ne è la divinità maschile. Gli a
e ma con minor violenza di Zeus; anch’ essa divide con Zeus gli onori del regno celeste. I rapporti coniugali di Era con Ze
carattere fisico. Essa era specialmente celebrata come rappresentante del vincolo coniugale, e la nobiltà della donna che s
ua più alta espressione. Quindi essa era considerata come protettrice del matrimonio e delle mogli, datrice di fecondità, e
ran le sue città predilette. Diffusosi il concetto di dea protettrice del matrimonio, anche il culto naturalmente si allarg
della vita affidato alla sua tutela; Iuno Lucina presiedeva all’ atto del nascere, ed era invocata da chi stava per divenir
ppresentazione della bellezza matronale. Prima va ricordata una testa del Museo di Napoli (fig. 6) che probabilmente venne
erini (fig. 8), ora in Vaticano, è celebre anche per le ricche pieghe del manto ond’ è adorna. Del tutto diversa la così de
o, gravido di nubi, che in mezzo a procelle e lampi partorisce la dea del cielo luminoso, dell’ etra raggiante che si manif
minoso, dell’ etra raggiante che si manifesta nel bagliore improvviso del lampo. Difatti si favoleggiava che al momento del
bagliore improvviso del lampo. Difatti si favoleggiava che al momento del nascere di Atena tutta la natura si fosse commoss
fondo tutto ciò rappresenta la nube temporalesca che nasconde la luce del giorno e atterrisce gli uomini, ma vien dissipata
l possesso di questa terra aveva la Dea gareggiato con Posidone il re del mare, avendone Zeus assegnata la signoria a chi l
ll’ età di Pericle, venne riccamente ornato di bassorilievi per opera del gran Fidia 4, il quale pure compose la statua d
an cinque giorni, ed eran dette Quinquatrus perchè cominciavano il 19 del mese, che era il 5º giorno dagli Idi. La più sole
del mese, che era il 5º giorno dagli Idi. La più solenne era la festa del Marzo a cui prendevan parte tutti quelli che eser
e si pagava ai maestri il loro onorario (Minerval). La festa minore, del Giugno, era particolarmente la festa dei musici,
avventura di Aracne che avendo voluto competere colla Dea nell’ arte del ricamo fu da lei punita e mutata in ragno. Ben pi
superati da Fidia, il quale non solo curo l’ ornamentazione plastica del Partenone con rilievi concernenti i miti relativi
enone con rilievi concernenti i miti relativi ad Atena e le cerimonie del culto di lei, ma compose l’ ammirata statua che c
pienza della dea, questi della vigilante sua custodia, come guardiana del pubblico tesoro deposto nel tempio. La mano sinis
dea come se reduce dalla battaglia si raccogliesse nella tranquillità del tempio a deporre l’ asta e lo scudo, quando la Vi
i e lo scudo è simbolo di Erittonio, mitico re dell’ Attica, od anche del popolo ateniese prosperante sotto la protezione d
opera fidiana, ad es. la così detta Minerve au colier che è nel Museo del Louvre. Noi riproduciamo nella fig. 11 una statua
one in bronzo d’ un palladio. La fig. 13 è riproduzione di una statua del Museo Capitolino; non più l’ elmo attico tondo, m
atteggiamento vivace ricorda la statua ch’ era nel frontone orientale del Partenone, rappresentante l’ improvvisa comparsa
no affatto simili alle Greche. Ricorderemo solo la così detta Pallade del Giustiniani trovata dove ora è la chiesa di S. Ma
oi. Finalmente ebbe ospitalità nell’ isola di Delo, ed ivi alle falde del monte Cinto partorì Apollo (detto perciò Delio, C
tabile terra perchè Posidone la assicurò con potenti colonne al fondo del mare. Febo Apollo è il Dio raggiante, il dio dell
ro un serpente, ricorre in tutte le mitologie e simbolizza il trionfo del giorno sulle potenze delle tenebre. Apollo avendo
soprannome di Pizio, e Delfo divenne d’ allora in poi sede principale del culto di questo Dio. Molte altre leggende si racc
si raccontavano di Apollo, tutte riferibili agli effetti della luce e del calore solare. E per i benefizi da lui apportati
s), il calore fecondo che matura i frutti della terra (di qui il nome del mese Targelione, o Maggio); era soprannominato da
. Ma la buona stagione ritorna; e il dio trionfante è detto vincitore del lupo, animale dei paesi freddi e che domina d’ in
lo avrebbe fatto nascere il noto fiore che ne porta il nome (il disco del sole dissecca all’ esterno la pianta, ma questa r
ali, Apollo sa anche guarirli; ed ecco riappare il carattere benefico del Dio; egli è anzi il Dio salutare per eccellenza,
le pratiche della purificazione. Dissipa le tenebre dell’ ignoranza e del peccato, come dissipa quelle della notte; e persi
li, considerati come l’ espressione infallibile della segreta volontà del supremo Iddio, ebbero una notevole efficacia e ne
altro presso Mileto, altri nella Troade, nella Licia e in più luoghi del continente ellenico; ma il più celebre senza cont
e senza contrasto era l’ oracolo di Delfo. Ivi la Pizia, sacerdotessa del Dio, assisa su un tripode sopra una apertura del
Pizia, sacerdotessa del Dio, assisa su un tripode sopra una apertura del terreno da cui esalava un vapore innebriante, era
da una specie di estasi, durante la quale, in mezzo a moti convulsivi del corpo, la schiuma alla bocca, articolava oscure s
nti Cristo, continue però a godere riputazione anche nei primi secoli del Cristianesimo, e ancora Giuliano l’ Apostata lo c
n morto poteva esservi seppellito. Una città sacra trovavasi ai piedi del monte Cinto. Anche ivi si celebravano ogni quattr
ersi ed essere oggetto di culto fin dal tempo di Tarquinio Superbo; e del resto si diffuse presto la fama anche dell’ oraco
zione di Apollo, come ispiratore di ogni bellezza poetica e reggitore del coro delle Muse. Antichissimo è l’ inno omerico a
o, che contiene molti e interessanti particolari tolti dalle leggende del Dio. Con esso si può confrontare l’ inno di Calli
rapimento » ( Gentile, Op. cit., p. 126). Non meno bella è una statua del Museo Capitolino, rappresentante Apollo nudo che
i Belvedere (fig. 17) che pure è in Vaticano. Fu trovata in principio del XVI secolo e restaurata dal Montorsoli, il quale
tto alle opportunità di questo ristauro e rispetto all’ idea generale del lavoro. Mirabile la bellezza della figura in quel
o, quali ben s’ adattano al dio musicale, o infine il tripode proprio del dio augure e divinatore. Fra gli animali erano a
rione che ucciso dalle sue freccie fu trasformato nella costellazione del suo nome. Quando poi è finita la caccia, la Dea s
la castità. Era la protettrice delle giovani donzelle fino al momento del matrimonio, e anche de’ giovanetti; in qualche lu
a della maternità, col titolo di Ilizia (Ilithyia). La bella leggenda del giovane Ippolito, caro ad Artemide per la sua cas
ane Ippolito, caro ad Artemide per la sua castità, dà una chiara idea del concetto che di questa divinità s’ eran formati i
Latini; dove agli idi d’ Agosto (il di 13), anniversario della dedica del tempio, si offriva un solenne sacrificio in onor
er lo più congiunta con Apollo e anche con Latona, come nella 21a ode del I libro che comincia: Dianam tenerae dicite virg
accontasi la sorte toccata all’ indiscreto Atteone. Venendo all’ arti del disegno, molte rappresentazioni di Artemide trovi
pieghe che scende sino ai piedi; e nella fig. 19 la celebre Artemide del Museo del Louvre, con tunica succinta, la faretra
e scende sino ai piedi; e nella fig. 19 la celebre Artemide del Museo del Louvre, con tunica succinta, la faretra sul dorso
conveniente a cacciatrice; infine nella fig. 20 un’ altra statua pure del Louvre, che figura la bella Dea, in atto di affib
fiava il vento Borea e venivano le tempeste. Nemico della serena luce del sole e della calma dell’ atmosfera, avido di diso
in odio. Egli, secondo canta Omero, non d’ altro più compiacevasi che del selvaggio grido di guerra; armato dalla testa ai
o e furia, venne pero vinto in guerra da Atena; espressione simbolica del maggior valore che ha in battaglia il prudente co
selvaggia e temeraria. E quando cadde Ares ferito da Atena, ricoperse del suo corpo uno spazio di sette iugeri, mentre la s
questo carattere selvaggio di Ares, son le leggende che lo fan padre del brigante Cicno (Kyknos) il quale, appostandosi ne
bliche, tagliava la testa ai viandanti, finchè fu ucciso da Eracle; e del selvaggio re tracio Diomede che pasceva i suoi ca
cciso anch’ egli da Eracle e dato in pasto a’ suoi cavalli istessi; e del re Tessalo Flegias (Phlegyas) che volendo incendi
mpio di Apollo cadde sotto le freccie di questo Dio (personificazione del lampo che nasce dalla nube tonante). Anche le gue
inverno. A lui si attribuiva la fecondità della terra e la prosperità del bestiame, e gli si volgevano preghiere perchè ten
la vittoria, gli si rendevano azioni di grazie offrendogli una parte del bottino; in caso di disdette, attribuite a’ suoi
Il campo di Marte (campus Martius), vasta piazza sulla riva sinistra del Tevere, destinata a esercizi ginnastici e militar
’ Odissea son l’ opere dove s’ incontra una più viva rappresentazione del dio Ares. V’ è ben tra gli omerici un inno dove A
ento, con elmo, lancia e scudo. Nella fig. 21 riproduciamo una statua del Museo di Laterano in Roma, la cui mano sinistra p
esentato in atto di riposo dopo la battaglia, ed ha aspetto più dolce del consueto; sotto il destro ginocchio scherza un am
no. 1. L’ altro figlio di Zeus e di Era è Efesto (Hephaestos), Dio del fuoco. Si pensi quanta importanza ha nella natura
lui e lo accolsero e custodirono per nove anni in una profonda grotta del mare, dove egli attendeva a fabbricare oggetti d’
oscere un ricordo e un’ espressione in linguaggio mitico della caduta del fuoco dal cielo in terra, in forma di fulmine. An
cle, lo scettro di Agamennone, l’ armatura d’ Achille, ecc. 2. Il dio del fuoco, il fabbro divino, autore di tante opere in
no di tutti gli artisti ed operai che per l’ opera loro hanno bisogno del fuoco. Per questo era messo in intimo rapporto co
he doveva ricordare la gioia provata dai primi uomini al ritrovamento del fuoco. In Occidente, la regione dell’ Etna, la Ca
rovamento del fuoco. In Occidente, la regione dell’ Etna, la Campania del Sud e in genere le terre vulcaniche erano natural
pania del Sud e in genere le terre vulcaniche erano naturalmente sede del culto di Efesto. Specialmente l’ isola di Lipari,
talli (mulcere, render molle, fondere). Questo Dio benefico, principe del fuoco terrestre, utile alla vita e alla civiltà,
avevan luogo durante il caldo mese d’ Agosto. Il santuario principale del Dio a Roma era il Vulcanal, non un tempio ma una
di focolare pubblico, posto su un’ area alquanto elevata, al di sopra del Comitium dove si riunivano le assemblee del popol
anto elevata, al di sopra del Comitium dove si riunivano le assemblee del popolo. Un vero tempio di Vulcano era nel campo M
tempio di Vulcano era nel campo Marzio, probabilmente nelle vicinanze del Circo Flaminio, dove il 23 Agosto, in occasione d
descrivere lo stridente lavorio dell’ officina di Vulcano, lo scorrer del bronzo fuso e dell’ oro nelle forme, il ferro bat
ienezza delle sue forze, quindi barbuto. Per lo più non si tien conto del difetto di esser zoppo; la vista ne sarebbe stata
es, figlio di Zeus e di Maia figlia d’ Atlante, nacque in una caverna del monte Cillene in Arcadia (ond’ egli è detto il Ci
e. Giacchè, nato al mattino, verso il mezzogiorno esce dalle fasce, e del guscio di una tartaruga, trovata dinanzi alla cav
ntima amicizia, benefici entrambi all’ umanità, Apollo rappresentante del lato più alto dell’ intelligenza, Ermes del senno
tà, Apollo rappresentante del lato più alto dell’ intelligenza, Ermes del senno e della scaltrezza pratica. Tale la leggend
mane a riprenderli il sole. Secondo altri, egli sarebbe invece un Dio del vento; è inventore della lira, perchè risuonano l
ona la terra della musica dei venti; le vacche d’ Apollo son le acque del cielo, che il vento fura nascondendole nella nuvo
la luna, e Argo dai cent’ occhi la notte stellata, cui il crepuscolo del mattino uccide. Secondo gli altri, Argo è il sole
cioè oscura il sole e fa che la nuvola scorra qua e là per le regioni del cielo. 2. Varie sono le attribuzioni di Ermes; le
o il messaggiero degli Dei e l’ esecutore dei loro ordini. Veloce più del vento, co’ suoi alati calzari narravasi che perco
me messaggero di Zeus, era anche apportatore dei sogni e conciliatore del sonno; onde gli si rivolgevano speciali preghiere
dità e il benessere delle greggi; maestro di scaltrezza, era l’ aiuto del commercio e dei traffici. Alia sua protezione si
e, che si collocavano nei crocicchi e nelle vie principali in omaggio del Dio e a indicazione delle strade ai viatori. Come
era il dio che dava facilita d’ eloquio a chi l’ invocava nel momento del bisogno, e in genere proteggeva tutte le invenzio
isgraziatamente perduto, salvo pochi frammenti. Bella è l’ ode decima del libro 1o d’ Orazio, che ben riassume gli attribut
come psicopompo, e regolatore dei sogni, gradito a tutti gli Dei sia del cielo sia dell’ inferno. La rappresentazione plas
erso cui si volge con dolce sorriso il suo sguardo. Belle le fattezze del volto, e hanno una cotal finezza d’ espressione c
ne si attennero; secondo la quale Afrodite sarebbe nata dalla schiuma del mare (la voce greca afro vuol dir schiuma); e la
itivo di questa dea della bellezza; non è altro che l’ aurora, figlia del cielo, la quale sorride dall’ oriente e allieta d
o, l’ immagine della bella Afrodite a fianco dello zoppo e odioso Dio del fuoco. Ma di questo matrimonio non si citano figl
e Ero, Poto (Pothos) e Imero (Himeros) personificazioni dell’ amore e del desiderio; a cui si aggiunga Imene (Hymen o Hymen
e nella Caria, nelle coste occidentali dell’ Asia Minore, nelle coste del Mar Nero, poi ancora nelle Cicladi, specialmente
soprannome di Citerea, e di qui si estese nelle coste e nell’ interno del Peloponneso. Altro centro la città di Corinto, do
iche. 3. Venere era un’ antica deità italica, la dea della primavera, del sorriso della natura, onde a lei era sacro il mes
voglie; più tardi si identificò Murcia a Murtea, e si pensò a una dea del mirto (simbolo di casto amore); un tempio in onor
Comitium, forse in quel punto ove la cloaca maxima entrava nell’ area del foro, e ricordava la riconciliazione tra Romani e
di necessari per i trasporti funebri. Nè faccia meraviglia che la dea del piacere (libet) di venisse dea dei morti; spesso
ui può dirsi che gli estremi si toccano. — A queste forme più antiche del culto latino di Venere se n’ aggiunsero col tempo
tempio fu costruito con grande splendidezza e dedicato nel settembre del 708 di R. (46 av. C.). Il culto si diffuse anche
arono specialmente l’ Afrodite Urania, la regina dell’ amore, sovrana del cielo, della terra e del mare. Tali i filosofi Pa
odite Urania, la regina dell’ amore, sovrana del cielo, della terra e del mare. Tali i filosofi Parmenide ed Empedocle, dop
rovata nel 1820 nell’ isola di Milo, e che trovasi ora nella Galleria del Louvre a Parigi (fig. 28). Sebbene ora manchino l
ll’ anfiteatro di Capua, ora nel Museo di Napoli, e la celebre Venere del Medici della Galleria degli Uffizi a Firenze. Que
ultima appartiene alla giovane scuola attica fiorita verso lo scorcio del secondo secolo av. C. Fu per qualche tempo attrib
na dello Stato, e a lei era in Grecia dedicato il Pritaneo, residenza del governo; ivi era un altare, su cui ardeva in di l
ccasione di esprimere questo sentimento di nazionalità, così l’ Estia del tempio di Delfo divenne per loro rappresentazione
rbio « cominciare da Estia », e la leggenda che Estia nella divisione del mondo, dopo la vittoria sul Titani, avesse per sè
ente ad Estia era Vesta, affine anche nel nome. Vesta pure era la dea del focolare domestico, conservatrice di pace e conco
i pace e concordia nella famiglia; venerata insieme cogli Dei Penati, del quali riparleremo. Ma più di tutto la Vesta dei R
o di lei, che si credeva fondato da Numa Pompilio, sorgeva alle falde del Palatino vicino al Foro. Era un tempietto rotondo
in parte quella espressa da Ovidio nel sesto dei Fasti, dove parlando del tempio tondo di Vesta a Roma soggiunge: Esse diu
sione di una severa onestà. Noi riproduciamo nella fig. 30 una statua del Museo Torlonia di Roma, detta comunemente la Vest
 30 una statua del Museo Torlonia di Roma, detta comunemente la Vesta del Giustiniani. Ma a dir vero, non è ben certo se ra
ti Vesta, mancando gli oggetti che solevano caratterizzarla, la tazza del sacrifizio, la fiaccola, il simpulum (specie di c
a teneva uno scettro. XI. Giano. 1. Tra le primarie divinità del cielo dobbiamo anche annoverare due Dei esclusiva
, una divinità solare; ma perchè il sole è in certo modo il portinaio del cielo, le cui porte apre al mattino, richiude all
mattino, richiude alla sera, così Ianus divenne semplicemente il Dio del principio e dell’ origine, il Dio che apre e chiu
, Gennaio. E il primo dì dell’ anno (Kalendae Ianuariae) era la festa del Dio; quel giorno si ornavano le porte di ogni cas
onti Iuturna, e lo facevan padre di Fontus, venerato sui Gianicolo, e del dio Tiberino. Si credeva che egli avesse la poten
ti e avevano due o più porte. Questi erano sempre adorni colla statua del Dio. Tra essi il più antico e il più importante e
rra insieme. La fusione dei Sabini stanziati sul Quirinale col Latini del Palatino, fece che si adottasse questo Dio nel cu
293 av. C.) da L. Papirio Cursore e ornato delle spoglie Sannitiche e del primo orologio a sole. — Più tardi Quirino venne
are i cittadini di Roma senza distinzione. B. Divinità secondarie del Cielo. I. Corpi e fenomeni celesti divinizza
a ricci splendenti, e coperto d’ un, elmo d’ oro. Lo si diceva figlio del Titano Iperione (Hyperion) e di Tea (Theici) o, s
irce. La giornaliera occupazione di Elio era quella di portar la luce del giorno agli Dei e agli uomini, uscendo al mattino
rime loro in ambra. Il mito in sostanza, significa l’ azione rovinosa del sole d’ estate i cui effetti possono essere tempe
delle Panatenee in Atene, delle Olimpie in Elide. — Una particolarità del culto del sole, erano gli armenti a lui sacri. Ne
tenee in Atene, delle Olimpie in Elide. — Una particolarità del culto del sole, erano gli armenti a lui sacri. Nell’ isola
ripartiti in 50 settimane di sette giorni e sette notti. 4. Il culto del sole presso i Romani era d’ origine sabina; quind
; quindi il luogo suo era presso il tempio di Quirino, sulla facciata del quale perciò appunto fu, nel 293 av. C., costrutt
ti, quindi era sopranomato Sol Index, il sole indicatore. L’ immagine del carro solare trovò anche facile diffusione, quind
trovò anche facile diffusione, quindi a lui si consacrarono le corse del circo, e un tempio gli si eresse in mezzo al circ
orse del circo, e un tempio gli si eresse in mezzo al circo stesso. E del dio Sole si ripeterono le stesse favole riferite
ne riferirono la storia. Specialmente trovansi immaginose descrizioni del levare e del tramontare del sole. Euripide ad es.
la storia. Specialmente trovansi immaginose descrizioni del levare e del tramontare del sole. Euripide ad es., nel Ione di
cialmente trovansi immaginose descrizioni del levare e del tramontare del sole. Euripide ad es., nel Ione dipinse mirabilme
figura di giovanetti aerei che fuggono. Ne meno belle le descrizioni del tramonto; si dice che il sol cadente stende la ne
a nera notte come un oscuro manto sulla terra, ovvero che al voltarsi del cielo precipita la notte dall’ oceano involgendo
to, armonia di verso. L’ arte statuaria più volte ricorse alla figura del Sole e del suo carro, specialmente come motivo di
di verso. L’ arte statuaria più volte ricorse alla figura del Sole e del suo carro, specialmente come motivo di decorazion
ecialmente come motivo di decorazione; ad es., nel frontone orientale del Partenone, ad una estremità erano scolpiti i cava
e nell’ estremità opposta erano i cavalli di Selene che all’ apparire del raggio diurno si tuffano nel mare. La fig. 32 rip
dallo Schliemann; il Dio è sulla sua quadriga col lungo abito proprio del cocchiere, e la testa coronata di raggi. — Più ch
e la testa coronata di raggi. — Più che mai a Rodi si vedevano statue del Sole. Celebre è il così detto « colosso di Rodi »
lebre è il così detto « colosso di Rodi », una delle sette meraviglie del mondo antico, opera di Care di Lindo, allievo di
e che dà un aspetto così fimtastico alle cose, doveva certo, non meno del sole, parer Dea ai volghi immaginosi dell’ antich
in Elide. Era Endimione un bel giovane, forse il genio della notte e del profondo sonno notturno; egli sempre dormiva in u
otte e del profondo sonno notturno; egli sempre dormiva in una grotta del monte Latmos, e ogni notte veniva Selene a visita
i Selene posta a riscontro di quella di Elios, sul frontone orientale del Partenone. Anche veniva figurata come una bella d
igurata come una bella donna a cavallo; tale la fece Fidia nella base del suo Giove d’ Olimpia; tale trovavasi nell’ altare
io e Selene, figlia di Iperione e di Tea. Rappresentava la prima luce del giorno, quindi era una deità bella e benefica. Le
he lieta e robusta si levasse ogni mattina dal suo letto, e vestitasi del suo mantello d’ oro, si affrettasse a bardare i s
per gratificare della diurna luce Dei ed uomini, prevenendo il carro del sole, e spargendo di rose il suo cammino. Il ling
è qui trasparente, non essendo altro in fondo che una poetica pittura del sorger dell’ aurora. Si aggiungevan leggende circ
, Euro e Noto (i venti di nord, ovest, est e sud), espressione mitica del fatto che al primo apparir dell’ aurora suol sorg
tro che di far sentir la sua voce, come una cicala, era un’ allegoria del giorno che è bello e fresco la mattina, poi dai d
ria del giorno che è bello e fresco la mattina, poi dai dardi cocenti del sole vien fatto vecchio, secco e deforme. Il figl
lui Mennone, bellissimo tra gli eroi di Troia, era forse l’ immagine del giorno nuovo, ringiovanito, somigliante alla sua
i si riferirono i miti stessi della greca Eos, facendola pure sorella del Sole, sposa di Titone antico. Ma oggetto di culto
esso con mane e matutinus. Era una dea della prima luce, quindi anche del nascimento, e la sua festa chiamavasi Matralia, e
a per la morte di Mennone suo figlio, bene è ricordato in un episodio del 13o delle Metamorfosi, dove, riferita la preghier
tri e cogli adunchi artigli e cadon sul rogo stesso, vittime in onore del morto, mentre l’ Aurora: …………………………… pias Nunc
os. Ora figura su una quadriga, ovvero è in atto di bardare i cavalli del sole, o fornita d’ ali vola per l’ aria intanto c
sere annoverati fra gli Dei della mitologia. Tali anzitutto le stelle del mattino e della sera, che da principio erano cred
ite, oppure che Afrodite l’ avesse rapito giovane e fattolo guardiano del suo tempio; onde si spiega il virgiliano: Lucife
che appare sul nostro orizzonte dal solstizio d’ estate al cominciare del verno. Nel fatto i miti stessi hanno la loro spie
mo mattino nel ciel d’ oriente e il subito suo impallidire al sorgere del sole, destò l’ immagine dell’ amor di Eos per lui
te, splendido fra gli altri gruppi di astri, die’ luogo alla leggenda del terribile cacciatore notturno, emulo d’ Artemide.
Lo si figurava come un enorme gigante, che a volte cammina nel mezzo del mare, e pur leva la testa fino alle stelle, armat
e pur leva la testa fino alle stelle, armato di aurea spada. Il cane del cacciatore Orione era la brillante stella Sirio,
e Pleiadi, fu oggetto dei mitologici racconti. Essa si leva nel bello del maggio, annunciando la prossima raccolta e sparis
ando la prossima raccolta e sparisce in autunno, quand’ è la stagione del seminare. Son sette stelle in tutto, le quali era
il Carro. La leggenda la identificava con Callisto, una ninfa Arcade, del seguito di Artemide, amata da Zeus epperò persegu
n qualche modo il largo spazio che veniva a rimaner vuoto dalla parte del cielo. e) I Venti. 1. Erano anch’ essi ogge
nto nord, il cui soffio faceva tremar la terra e agitar la superficie del mare. Per questo era detto rapitor di fanciulle,
ti. Leggasi su ciò la narrazione scritta da Ovidio nell’ ultima parte del sesto delle Metamorfosi. D’ altra parte, l’ avere
a lui dedicato. — Non meno potente e miracoloso era creduto il vento del sud, Noto o Austro, apportatore di piogge e tempe
o scolpite otto figure rappresentanti otto venti. Un tempo sulla cima del capitello, al centro del tetto, era anche un trit
ppresentanti otto venti. Un tempo sulla cima del capitello, al centro del tetto, era anche un tritone mobile che girando se
ezione con un bastone rivolto in basso verso la figura corrispondente del fregio. Tale costruzione era dovuta all’ opera di
llade). II. Divinità secondarie che formavano il corteo degli Dei del cielo, o compagne o ministre esecutrici della lor
terra posta sulle pendici orientali dell’ Olimpo in Tessaglia. Amanti del canto e sempre liete, erano esse divinità benefic
asse a crear tali esseri, che fossero in grado di eternare coll’ arte del canto le grandiose gesta degli Dei; e che allora
questa musica della natura, abbia evocato l’ immagine di deità amanti del canto e compiacentisi dei luoghi solitari, ombros
, dove pure dicevasi fosse nato il poeta Orfeo, l’ altra era un bosco del monte Elicona nella Beozia meridionale, nelle cui
si la fonte Aganippe, mentre un’ altra fonte, scaturita per un calcio del cavallo Pegaso, detta perciò la fonte del cavallo
te, scaturita per un calcio del cavallo Pegaso, detta perciò la fonte del cavallo, Ippucrene, addita vasi più su, verso la
iò la fonte del cavallo, Ippucrene, addita vasi più su, verso la cima del monte. Anche il monte Parnasso presso Delfo nella
uriva la sacra fonte Castalia. Propriamente le Muse si piacevano solo del canto, ma presto furono pensate anche come sonatr
e della mimica, Euterpe della poesia lirica e dell’ aulodia (il suono del flauto), infine Polinnia (Polyhymnia) rappresenta
ane dette Camene o Casmene, Carmene, alle quali si attribuiva l’ arte del canto e del divinare. Celebre tra esse la ninfa E
mene o Casmene, Carmene, alle quali si attribuiva l’ arte del canto e del divinare. Celebre tra esse la ninfa Egeria per i
egli epiteti di cui si servivano, mettevano in rilievo or la dolcezza del canto loro, or la bellezza del loro volto, ora l’
o, mettevano in rilievo or la dolcezza del canto loro, or la bellezza del loro volto, ora l’ eleganza degli ornamenti. Freq
terpe (fig. 33, 34, 35, 36). La Polinnia vaticana rappreseuta la Musa del Pantomimo, quale fu concepita nell’ età romana. R
quale fu concepita nell’ età romana. Riproduciamo un’ altra Polinnia del Museo di Berlino (fig. 37), statua d’ insigne bel
or sede presso il Pizio Apollo dall’ arco d’ oro, eterne lodi cantano del padre dell’ Olimpo ». Ricordiamo anche le Gratiæ
e Grazie si rappresentavano vestite; tali ancora nell’ antico rilievo del Museo Chiaramonti in Vaticano; appresso si riduss
a lor volta, come ministre di Zeus, erano da Omero dette le portinaie del cielo; ora ne richiudon le porte di dense nubi ci
no. Dopo fu eretto da Vespasiano uno splendido tempio nelle vicinanze del Foro; era adorno di parecchie opere d’ arte ed er
stagioni volute rappresentare. La nostra fig. 38 tolta da un rilievo del Museo Campana, ora a Parigi, rappresenta appunto
d) Niche-La Vittoria. 1. Niche non è che la personificazione del potere irresistibile e vittorioso di Zeus, e gli
d’ Azio; la quale statua diventò rappresentante della dea protettrice del Senato, che nella Curia Iulia radunavasi, e durò
ella Curia Iulia radunavasi, e durò come tale fi no agli ultimi tempi del Paganesimo, difesa con zelo dai sostenitori della
ndere a volo sulla terra, già col piè destro al suolo; le belle forme del corpo si disegnano sotto gli svolazzi delle vesti
statua è la Niche proveniente dall’ isola di Samotracia, ora al Museo del Louvre, che noi riproduciamo alla fig. 41. Anche
ià in Omero. Essa va con velocità straordinaria da un capo all’ altro del mondo, penetra anche nelle profondità del mare e
naria da un capo all’ altro del mondo, penetra anche nelle profondità del mare e fino allo Stige; per lo più in servigio di
superstiti ricorderemo la figura di Iride che è nel fregio orientale del Partenone dov’ essa è vicino ad Era; un’ altra Ir
e un altro nell’ età di Augusto sul Palatino. 3. Orazio nella ode 30a del libro I progando Venere affinchè venisse, lasciat
mpo il compito di far da coppiere agli Dei. Omero dice che era figlio del re Troiano Tros, e che per la sua grande bellezza
terna. Celebre era il gruppo in bronzo di Leocare, scultore ateniese del 4º sec. av. C., del quale si crede un’ imitazione
il gruppo in bronzo di Leocare, scultore ateniese del 4º sec. av. C., del quale si crede un’ imitazione la statua ora conse
to di Ganimede non esprime spavento, ma quasi un intimo compiacimento del destino a cui è serbato; a terra è caduta la zamp
un albero, lasciando supporre che il giovane pastore riposasse a piè del tronco quando l’ aquila venne a ghermirlo. — Altr
to in atto di carezzare l’ aquila di Giove. Serva di saggio la statua del Museo di Napoli, che noi riproduciamo nella fig. 
roduciamo nella fig. 44. h) Eros, l’ Amore; e altre divinità del corteo di Afrodite. 1. Eros, la divinità dell’
Eros e i miti ad essa relativi offrivano agli artisti della parola e del disegno una messe inesauribile di argomenti e di
more e Psiche, quale si legge nelle Metamorfosi di Apulejo, scrittore del 2º sec. dell’ e.v. Psiche era una bellissima fanc
oro felicità; soltanto Psiche ha l’ obbligo di non vedere cogli occhi del corpo quel essere divino che ogni notte viene a v
grazia. Specialmente si segnalarono gli scultori Scopa e Prassitele; del primo era celebre il gruppo di Eros, Irneros e Po
ros, Irneros e Pothos posto nel tempio di Afrodite in Megara; l’ Eros del secondo che era in Tespie di Beozia era considera
la fiaccola nuziale. Per ultimo nella fig. 47 riproduciamo un rilievo del Museo di Napoli rappresentante i due fratelli Ero
. a) Ilizia. 1. Ilizia (Eileithyia) era presso i Greci la Dea del parto. Nell’ Iliade si parla di più Ilizie, e son
a di più Ilizie, e son dette figlie di Era, e rappresentano le doglie del parto. Più comunemente Ilizia figura come una sol
ltre dee, Artemide, Afrodite, Atena, Demetra, erano venerate come dee del nascimento, così la genealogia e le leggende rela
e, Tegea, Argo, Sparta, Messene, ecc. 1. I Romani veneravano come dea del nascimento, già s’ è detto, Giunone Lucina; ma ne
deità invocate nel nono o nel decimo mese di gestazione e nel momento del parto; poi una Candelifera, riterentesi all’ uso
dottata come epiteto sia di Giunone sia di Diana. Si ricordi il passo del Carme Secolare di Orazio, ove a Diana si rivolge
n atto di porgere aiuto e una fiaccola nell’ altra mano, come simbolo del nascere che è un venire alla luce del mondo. b
nell’ altra mano, come simbolo del nascere che è un venire alla luce del mondo. b) Asclepio-Esculapio. 1. Asclepio e
1. Asclepio era nato, dicevasi, da Apollo e da Coronide, una figlia del re tessalo Flegias, ed era il Dio delle guarigion
mini la buona salute attribuivasi alla benefica natura, ai miti raggi del sole, e Coronide aveva nome da corone, la cornacc
a, uccello di lunga vita. Conformemente a questo significato naturale del mito, Asclepio si diceva nato o in questo o in qu
clepio divenne così benefattore dell’ umanità; ma volle anche far più del dover suo, volle anche risuscitare un morto; allo
cui era stato eretto un santuario con un sacro bosco nelle vicinanze del Colosseo, poi una Salus, onorata già nei primi se
iare il sangue ai bambini, ed era in genere ritenuta come protettrice del benessere fisico. — Il culto di Esculapio si intr
ta dalla superstizione e dai pregiudizi, durò fino ai più tardi tempi del Paganesimo, e ancor nelle età già cristiane gli u
lla morente religione contrapponevano la figura di Esculapio a quella del Cristo, chiamandolo re, salvatore, amicissimo deg
venuta di Esculapio a Roma. Bella ed evidente la pittura ch’ egli fa del Dio: Baculum tenens agreste sinistra 26 e in
esi intorno ad un bastone da lui tenuto. Tale si scorge in una statua del Museo di Napoli, che noi riproduciamo alla fig. 4
be o un pinolo, talvolta anche un cane, alla cui lingua come a quella del serpente gli antichi attribui vano virtù di guari
oro e avorio di Epidauro, della quale si ha la riproduzione in monete del tempo; molte esistono anche ora, sparse nei Musei
giamento simbolico di dar da mangiaro a un serpente. IV. Divinità del Destino. a) Le Moire-Parche. 1. Era una p
nuno già fossero decretate le vicende della sua vita fi no al momento del morire. E questo dicevasi talvolta effetto della
casuale in essa vita, la terza significante l’ inevitabile necessità del morire quand’ è sonata l’ ora. Le Moire, come fig
dea Felicitas, che fu pure oggetto di pubblica venerazione. Fondatore del culto della Fortuna in Roma si crede sia stato Se
i cui però si conservano ora pochi frammenti, e la bellissima ode 35a del libro primo di Orazio alla Fortuna d’ Anzio, dove
o. La fig. 49 riproduce una statua bellissima che è nel Braccio nuovo del Vaticano. La fig. 50 è pure ricavata da una statu
Braccio nuovo del Vaticano. La fig. 50 è pure ricavata da una statua del Vaticano; è copia di un antico lavoro di Eutichid
tiene un mazzo di spiglie e sotto a’ suoi piedi comparisce la figura del fiume Oronte. Solo in tempi posteriori, a indicar
, vino, focacce, profumi, corone. Specialmente era venerato il demone del raccolto annuale, detto Agatodemone, in latino bo
zione sensibile a questi esseri o ricorrendo semplicemente al simbolo del serpente che indicava fortuna, o raffigurandoli i
un papavero e delle spiche nell’ altra. Capitolo terzo. Gli Dei del mare e delle acque. Nel concetto degli antichi
i Titani, ma potè rimanere in pace e in piena indipendenza al governo del suo umido regno. La sua abitazione collocavasi al
capostipite d’ una diffusissima stirpe; l’ Alfeo, il fiume principale del Peloponneso; e fuori della Grecia il Nilo, il Fas
o in Sicilia. Gli Dei fluviali si credeva abitassero nelle profondità del fiume stesso, ovvero in grotte vicino alle sorgen
stesso, ovvero in grotte vicino alle sorgenti; e secondo la grossezza del fiume, venivano immaginati come giovani ovvero co
e di tutte le fonti credevasi Fontus o Fons, figlio di Giano, in onor del quale si celebra va una festa il 13 ottobre, dett
la che è ricordata nella tradizione come amante segreta e ispiratrice del re Numa. 3. L’ arte antica aveva immaginato i fiu
atue a noi giunte, citiamo il bellissimo Nilo che è nel Braccio Nuovo del Vaticano (fig. 51). Folleggiano ai piedi e sul co
ovo del Vaticano (fig. 51). Folleggiano ai piedi e sul corpo maestoso del Dio sedici genii, rappresentanti le sedici bracci
lla benefica inondazione. In Vaticano pure si ammira una bella statua del Tigri, la cui testa fu ristaurata da Michelangelo
generato Nereo, Taumante, Forchi e Cheto; altrettanti aspetti diversi del mare, dei quali diremo partitamente. a) Nereo e
ereidi. 1. Nereo rappresentava il lato bello, piacevole e benefico del mare; gli antichi se lo figuravano come un buon v
o di senno e di esperienza, che colle sue figliuole abitava nel fondo del mare in una scintillante spelonca. Come tutti gli
condo leggende posteriori, cento. Eran esse le belle e graziose ninfe del mare, amiche dei naviganti, a sollazzo dei quali
e Anfitrite, che andò sposa a Posidone, e Tetide (Thetis), direttrice del coro delle Nereidi, così avvenente che Zeus stess
aveva predetto che il figlio nato da lei sarebbe divenuto più grande del padre. Sia ricordata anche la bianca Galatea, che
del padre. Sia ricordata anche la bianca Galatea, che divenne amante del Ciclope Polifemo, ed era la prediletta nelle legg
Galleria degli Uffizi a Firenze. b) Taumante. Il secondo figlio del Ponto è Taumante, che rappresenta gli aspetti mer
figlio del Ponto è Taumante, che rappresenta gli aspetti meravigliosi del mare, e specialmente quei meravigliosi fenomeni c
. La personalità più spiccata nel regno delle acque, il vero Dio e re del mare, era Posidone. Giù s’ è visto nella Teogonia
Cronidi si divisero la signoria dell’ universo, toccò a lui il regno del mare. E nel profondo del mare si pensava che abit
ignoria dell’ universo, toccò a lui il regno del mare. E nel profondo del mare si pensava che abitasse in uno splendido pal
lma. Molte leggende si riferiscono a Posidone, originate dalla natura del mare, e dai rapporti di questo coll’ uomo. Prima
re di parecchi giganti e mostri, per es., di Polifemo, l’ accecamento del quale tirò su Ulisse l’ odio del Dio; così pure e
per es., di Polifemo, l’ accecamento del quale tirò su Ulisse l’ odio del Dio; così pure era padre del gigante Anteo, con c
camento del quale tirò su Ulisse l’ odio del Dio; così pure era padre del gigante Anteo, con cui Eracle ebbe a sostenere as
altri ancora; tutti miti che sono un riflesso della natura tempestosa del mare. E altri mostri marini appariscono anche in
uomini, finchè per ammansirlo gli si dovette dare in pasto la figlia del re, Esione, che fu poi liberata da Eracle. Un fat
ata da Perseo; leggenda di cui riparleremo. Invece la natura benefica del mare, che insinuandosi dentro terra produce facil
l’ Attica con Atena, per l’ Argolide con Era, ecc. 2. Il potente Dio del mare, è naturale fosse in grande venerazione pres
Tessaglia, che a lui attribuiva la sua liberazione dalle inondazioni del Peneo, in quanto che con un colpo del suo trident
a liberazione dalle inondazioni del Peneo, in quanto che con un colpo del suo tridente aveva egli aperto la scogliosa valle
a egli aperto la scogliosa valle di Tempe e dato uno sfogo alle acque del fiume; poi la Beozia, ricca d’ acque; poi varie r
lle acque del fiume; poi la Beozia, ricca d’ acque; poi varie regioni del Peloponneso, fra cui l’ Arcadia. Tra le città del
e di Corinto narravasi che Posidone, per mezzo di Medusa, fosse padre del noto cavallo alato Pegaso. Per questo rapporto fr
e padre del noto cavallo alato Pegaso. Per questo rapporto fra il Dio del mare e il cavallo, là dove erano più in pregio i
gli era ritenuto come il protettore delle corse e dai corridori prima del cimento onorato di preghiere e sacrifizi. — Oltre
li alberi il pino, o per il suo color verde cupo somigliante al color del mare, o più probabilmente per l’ utilità sua nell
a Posidone; ma presso una gente non essenzialmente marittima, il Dio del mare non doveva essere di grande importanza. Quan
adre di Turno re dei Rutuli. 4. La più bella rappresentazione poetica del potere di Nettuno leggesi nel primo dell’ Eneide,
o i Troiani, si racconta come Nettuno, accortosi di quello scompiglio del suo regno, sollevò sull’ onde la sua placida test
tatuaria soleva rappresentar Posidone, in figura somigliante a quella del fratello Zeus, barbato il viso, la chioma ricciut
ua di Posidone a noi giunta è quella che era nel frontone occidentale del Partenone, dov’ era rappresentata la gara fra lui
uggita e s’ era nascosta nell’ Atlante, ossia nelle ultime profondità del remoto mare, ma ivi la scopri il delfino di Posid
almente tra le chiome disciolte sulle spalle porta i regali attributi del diadema e dello scettro. A volte son rappresentat
Tritoni. 1. Anche Tritone era nell’ antica Mitologia un’ immagine del flutto rumoreggiante. Era detto l’ unico robusto
inazione popolare figuravaselo in forma d’ uomo nella parte superiore del corpo, e in forma di pesce dalla coda biforcuta n
gge delle foche e dell’ altre bestie marine. Abitava nelle profondità del mare, ma compiacevasi anche di cercar riposo sul
bbandonasse al dolce sonno. Come Nereo, e in genere tutte le divinità del mare, aveva il dono del vaticinio; ma non si indu
no. Come Nereo, e in genere tutte le divinità del mare, aveva il dono del vaticinio; ma non si induceva a predire la ventur
rza; chi voleva consultarlo doveva coglierlo all’ impensata nell’ ora del sonno diurno e stringerlo in duri lacci e tenerlo
n vivaci colori da Omero nel quarto dell’ Odissea, dove Menelao parla del proprio viaggio in Egitto; e il passo fu abilment
mitato da Virgilio, nel quarto delle Georgiche, ove narrasi la favola del pastore Aristeo. VII. Glauco Ponzio. Tra le
del pastore Aristeo. VII. Glauco Ponzio. Tra le divinità minori del mare, va annoverato il Dio Glauco che propriament
re, va annoverato il Dio Glauco che propriamente rappresenta il color del mare quando il cielo sereno si rispecchia nell’ a
anche essere una personificazione di qualche parte di mare, per es., del golfo di Baia. VIII. Ino, Leucotea e Melice
ssa figlia di Cadmo, sorella di Semele, la madre di Dioniso, e moglie del re Atamante di Orcomeno. Alla morte disgraziata d
lte altre terre ed isole greche. Eran considerati come genii benefici del mare, pronti ad aiutare i naufraghi e chiunque av
no e Palemone, si scelsero Mater Matuta già da noi ricordata come dea del mattino, e Pater Portunus dio dei porti. Allora s
mare sarebbe stata accolta dalle Nereidi e condotta all’ imboccatura del Tevere, dov’ essa avrebbe ritrovato la sorella Se
on paterna benignità l’ accoglie. IX. Le Sirene. 1. Son le Muse del mare, che col loro dolci canti ammaliano i naviga
r quoque gratus in undis , come dice Claudiano 39. Si dicevano figlie del fiume Acheloo e di Mnemosine o di Tersicore o di
introdussero anche in altri racconti come in quello degli Argonauti e del ratto di Proserpina. Si disse che Demetra appunto
orrento, o vicino allo stretto di Messina. 2. La poesia si compiacque del mito delle Sirene, immagine del fascino che l’ ar
i Messina. 2. La poesia si compiacque del mito delle Sirene, immagine del fascino che l’ arte esercita sull’ animo dell’ uo
si fè servire il mito a onorare i più rinomati artisti della parola e del canto; così Svetonio disse d’ un celebre grammati
prodotti e alla fecondità delle greggi, le altre tristi, dominatrici del mondo di sotterra. Il culto di queste divinità do
i solo gli iniziati, e che contribui a mantenere un’ idea più elevata del divino in mezzo alle grossolanità del politeismo
mantenere un’ idea più elevata del divino in mezzo alle grossolanità del politeismo volgare. A tali misteri rimase estrane
. Gea — La Terra. 1. Come si credesse sorta la terra dalle tenebre del Caos, come essa avesse da sè prodotto Urano e Pon
i, ed alcune deità marine, già s’ è detto nella Teogonia. Coll’ andar del tempo si disegnò meglio nella mente dei Greci la
sè e accoglie nel suo segreto grembo, quindi divinità ctonica, ossia del mondo di sotterra. Questi concetti essendo comuni
i diceva che ella avesse fatto allevare il figlio Zeus in una caverna del monte Ida (cfr. pag. 23). Perciò era detta la mad
amore di lei, ma poi le fu infedele, e voleva spo sarsi colla figlia del re di Pessinunte. Allora lo colpi la vendetta del
vano a sangue. Questo giovane Atti che muore e rinasce, come l’ Adone del culto di Afrodite, simboleggia la natura che sorg
lla Troade questo culto trovava un terreno favorevole nelle vicinanze del monte Ida che ricordava l’ Ida cretese. Ivi in lu
bronzo e creduti inventori di ogni specie di arti utili, tra l’ altre del suono e del ritmo musicale. Culto ebbe anche Cibe
duti inventori di ogni specie di arti utili, tra l’ altre del suono e del ritmo musicale. Culto ebbe anche Cibele a Magnesi
Dea tra strepiti e ululati. 3. Poetica descrizione della Dea Cibele e del suo corteggio leggesi nel secondo libro del poema
izione della Dea Cibele e del suo corteggio leggesi nel secondo libro del poema di Lucrezio Sulla natura e nel quarto dei F
no rare; tra le più. note è quella che si riferisce all’ introduzione del culto in Roma (fig. 54). In Vaticano v’ è una sta
più importanti Dei terrestri fu pei Greci antichi Dioniso. Era il dio del vino e della viticoltura, ma in senso più general
erale rappresentava quell’ energia della natura la quale, per effetto del calore e dell’ umido, porta a maturità i frutti d
po il bruciamento di Semele, il che fa palese il significato naturale del mito; Semele è la terra che vien bruciata dai rag
turale del mito; Semele è la terra che vien bruciata dai raggi estivi del sole, ma il frutto delle sue viscere, il calore v
a a far vedere quanta efficacia si attribuisse dagli antichi all’ uso del vino, e quanta fosse la potenza di Dioniso, è que
rio con sè e andarlo a vendere in Italia. Ma, oh portento! a un cenno del divino fanciullo, cadono i ceppi che l’ avvincono
ele nelle sue peregrinazioni, e insieme venivano venerati nelle feste del culto. Perchè di Dioniso si abbia un concetto ade
erare il rapporto in cui veniva messo con Demetra ed Apollo. Come Dio del vino e della frutticultura in genere, Dioniso era
tretti rapporti, perchè come il vino eccita l’ animo, desta la voglia del canto, l’ ispirazione della poesia e discaccia le
a poesia e discaccia le preoccupazioni, così Dioniso si faceva amante del canto e delle Muse, volonteroso compagno delle Gr
e delle Muse, volonteroso compagno delle Grazie e di Afrodite, medico del corpo e dell’ anima, e gli si attribuiva altresi
, medico del corpo e dell’ anima, e gli si attribuiva altresi l’ arte del divinare. Onde ci fu persino qualcuno, nei tardi
Persefona; e si narrava che essendo egli destinato al dominio supremo del mondo, i Titani aizzati da Era, lo presero fanciu
Bacco, Iacco, Iobacco, ecc., e tra altre stravaganze laceravano fiere del bosco, cerbiatti, lupicini, capretti e ne mangiav
rurali di Dioniso; avevan luogo sul finir di Novembre o in principio del Dicembre; si faceva una processione col sacrifizi
queste feste le Ascolie, o la danza sugli otri. 2º Le Lenee, o festa del torchio; aveva luogo in Atene nel Gennaio. Presso
nchetto in campagna pel quale la città provvedeva la carne; si beveva del mosto; si allestivano rappresentazioni teatrali.
o che allora aveva finito di fermentare; nel secondo giorno, la festa del boccale, si faceva un solenne banchetto bevendo a
un altro tempio, poi di nuovo al Leneo, una piccola immagine in legno del Dio, fra mezzo a lieti cori inneggianti a Dioniso
e associato con Cerere (= Demetra) e Libera (= Persefone). Era il Dio del vino, della vendemmia e in genere di ogni produzi
 le Baccanti »; ricordiamo le molte poesie liriche ove si loda il Dio del vino, specialmente le Anacreontiche; ricordiamo l
olo: Dionisiache o Bassariche. Tra le cose latine, leggasi la 19a ode del 2o libro di Orazio, che in versi caldi e appassio
nfine ricordisi Ovidio che nel terzo delle Metamorfosi e in principio del quarto descrive la strage di Penteo e la trasform
poi. A questo appartiene il celebre Dioniso che conservasi nel Museo del Louvre a Parigi; e anche il bellissimo Torso del
conservasi nel Museo del Louvre a Parigi; e anche il bellissimo Torso del Vaticano (fig. 56, in cui la testa, le braccia e
riprodotta dagli artisti era Arianna. Celebre l’ Arianna addormentata del Museo Vaticano che noi riproduciamo colla fig. 58
rilievo. La fig. 59 riproduce una baccante giusta un rilievo marmoreo del Museo Capitolino. IV. Le Ninfe. 1. Tra l
nori della Terra vanno annoverate le Ninfe, che noi vedemmo far parte del corteo di Bacco, ed anche di Artemide cacciatrice
ne. Come le Nereidi avevano il dono della divinazione ed erano amiche del canto e della poesia. 2º Le Ninfe dei monti, dett
immagine sua riflessa nello specchio dell’ acqua, e poichè l’ oggetto del suo amore non si poteva in verun modo raggiungere
ravano come occupati in esercizi musicali; tale ad esempio, il Satiro del Museo Capitolino (fig. 61) che è appoggiato ad un
capolavoro di Prassitele. Altre volte si rappresentano come guardiani del piccolo Dioniso, ora danzano colle Menadi in bacc
danzante della Villa Borghese a Roma, ricordiamo un Satiro in bronzo del Museo di Napoli pieno di vita, ecc. La fig. 62 ri
o di Napoli pieno di vita, ecc. La fig. 62 riproduce un’ altra statua del Museo Capitolino che è in rosso antico. Anche le
insiem con Iagnide suo padre e Olimpo suo alunno, era detto inventore del suon dei flauti, genere di musica che la religion
llo lo legò a un albero e lo scorticò. — Mida era il fondatore mitico del regno della Frigia; era detto figlio di Cibele, l
l corteo di Bacco percorreva in Frigia ed era capitato in un giardino del re Mida; questi lo accolse benignamente, e dopo d
ripetevano le parole mormorate dal servo svelando le orecchie asinine del re Mida. 2. Sileno, maestro di sapienza e indovin
no avuto la loro più bella forma poetica da Ovidio, il quale discorre del primo nel sesto delle Metamorfosi, descrivendone
l Sileno ebbro. Del Sileno educatore un bel saggio si ha nella statua del Louvre qui riprodotta alla fig. 63. L’ altro tipo
. L’ altro tipo è più frequente e allora il Sileno, come altre figure del corteo bacchico, porta il tirso e una corona d’ e
i dà un saggio della rappresentazione di Marsia. È una celebre statua del Museo Lateranense, creduta imitazione di un’ oper
l’ albero e scorticato da Apollo offrì argomento a lavoro di scultura del 2º secolo av. C.; un torso trovasi a Berlino, il
si molestassero gli uomini con chiassi strani, incubi, cattivi sogni; del resto vivevano in comunella col Satiri, su pei mo
erano specialmente a lui sacre; sopratutto in Arcadia dove le alture del Menalo, di Tegea, del Liceo, di Cillene erano sed
lui sacre; sopratutto in Arcadia dove le alture del Menalo, di Tegea, del Liceo, di Cillene erano sedi di culto. Il santuar
ricorda la gara musicale tra Pane e Apollo nell’ undecimo a proposito del re Mida, e anche altrove menziona il culto di Pan
are la vivissima pittura di Pane sonante che leggesi nel quarto libro del poema di Lucrezio, ov’ è detto che egli: Pinea s
ieno di ispida barba; in mano un baston da pastore e il lato sinistro del corpo velato da una pelle di daino. Non v’ è balz
ran da lui, ed egli pure, divertivasi a incutere spavento nell’ animo del viaggiatore solitario. Ma oltre al regno delle fo
ile Favonius). Era Fauno il genio benefico dei monti, della campagna, del bestiame; venerato specialrnente dai pastori i qu
specialrnente dai pastori i quali riconoscevano in lui il fecondatore del gregge e il difensore contro i lupi, onde i due e
15 Febbraio a Roma. Il santuario di Faunus Lupercus era in una grotta del Palatino detta appunto Lupercal, quella stessa ch
così la sterilità. Appunto perchè giorno destinato alla purificazione del paese, quel giorno dicevasi dies februatus (da fe
i dies februatus (da februare, purgare) e di qui anche derivò il nome del mese Februarius, Febbraio. La Dea Bona o Fauna av
i lei le donne celebravano nella notte dal 3 al 4 Dicembre nella casa del Console o del Pretore urbano. Vi si facevano preg
celebravano nella notte dal 3 al 4 Dicembre nella casa del Console o del Pretore urbano. Vi si facevano preghiere e sacrif
figura di Fauno ha saputo dar miglior risalto è Orazio nella 18a ode del terzo libro. È un’ ode scritta nella quiete della
ta nella quiete della villa Sabina e in occasione delle teste Faunali del Dicembre. Vi si rispecchia la gioia onde la natur
ia la gioia onde la natura è animata quel giorno; montre dall’ altare del Dio esce fuori abbondante il fumo del sacrifizio
uel giorno; montre dall’ altare del Dio esce fuori abbondante il fumo del sacrifizio e in larga copia si versa il vino nel
e dei giardini era quale la descrive vivamente Orazio nell’ 8a satira del primo libro, una specie di erina in legno con una
o venne identificato con Crono e allora sorse la leggenda che privato del trono da Giove, dopo lungo peregrinare fosse venu
a, che accolto benignamente da Giano, avrebbe posto sua sede ai piedi del Colle Capitolino. A lui s’ attribuiva il merito d
connessione che si poneva tra i prodotti della terra e la prosperità del genere umano, Saturno e Opi valevano anche come D
la prosperità del genere umano, Saturno e Opi valevano anche come Dei del matrimonio e del l’ allevamento de’ figliuoli. 2.
genere umano, Saturno e Opi valevano anche come Dei del matrimonio e del l’ allevamento de’ figliuoli. 2. Il culto di Satu
i loro ospiti. S’ aggiungevano infine a rallegrare il popolo i giochi del Circo. Insomma era tutta una festa di gioia per l
a descrizione di Vertunno ci è data da Properzio nella seconda elegia del quinto libro, dove fa parlare la statua stessa de
lla seconda elegia del quinto libro, dove fa parlare la statua stessa del vico Tusco; e la graziosa istoria dell’ amore di
avriuoli e simili. Durante queste feste, a partire dalla seconda metà del 6º secolo di R., invalse anche l’ uso di rapprese
in testa e mazzi in inano. Una bella statua piena di vita, è la Flora del Museo Nazionale di Napoli, la quale proviene dall
io) pastorale delle popolazioni italiche, con cui va connesso il nome del Palatium o monte Palatino, sede in origine di una
gregge; questo si credeva atto a purgare uomini e bestie. Gli uomini del resto chiedevan perdono delle profanazioni recate
a lungo è Ovidio nel quarto dei Fasti ove spiega e descrive le teste del 21 Aprile. L’ arte non si sa che abbia mai preso
ermini era sempre accompagnato da cerimonie religiose con invocazione del Dio. Ma il Dio Termine non aveva solo giurisdizio
salvo Termine, la cui cella dovette perciò essere acclusa nell’ area del nuovo edificio. 2. Di Termine parla Ovidio nel se
ttolemo, Eumolpe e Diocle, come suoi sacerdoti iniziandoli ai misteri del proprio culto. Secondo altre leggende, era Tritto
ltra festa, meno importante delle Eleusinie, aveva luogo in principio del mese di Novembre e vi si onorava Demetra come dea
l centro dei paganesimo ellenico, e tale rimase fino a che, alla fine del quarto secolo dell e. v., Teodosio il grande lo f
ueste tre Deità sorse verso il 260 di R. (494 av. C.) nelle vicinanze del Circo e ne fu affidata la sorveglianza agli edili
bravansi dal 12 al 19 Aprile con solenni cerimonie, anche con giuochi del Circo. Tali feste erano inaugurate con una solenn
inno di grande interesse perche rappresenta le più antiche tradizioni del culto eleusinio in una redazione già del tutto co
ta le più antiche tradizioni del culto eleusinio in una redazione già del tutto compiuta. L’ Elena d’ Euripide invece rifle
e comincia al v. 1301). Ci rimangono pur frammenti di inni orfici ove del ratto di Proserpina si parla secondo le tradizion
ancor oggi si possiede, è quella che trovavasi sul frontone orientale del Partenone, opera di Fidia. Quasi contemporaneo è
esentante Trittolemo tra le due dee (fig. 66). A un tipo più recente, del 4º secolo, appartiene la bella Demetra sedente de
tipo più recente, del 4º secolo, appartiene la bella Demetra sedente del Museo Britannico, trovata presso Gnido (fig. 67).
ura sedente in trono con fiaccola e fascio di spighe in mano e a pie’ del trono un paniere carico pure di spighe (fig. 68).
a. Ma Persefone aveva anche un altro significato. Giacchè come moglie del tenebroso re dell’ Inferno, anch’ essa era una po
icamente è accennato nelle opere Omeriche, dove non si sa ancor nulla del rapimento di loi e del ritorno periodico alla ter
lle opere Omeriche, dove non si sa ancor nulla del rapimento di loi e del ritorno periodico alla terra. Quando queste legge
ome Era di Zeus, Anfitrite di Posidone. Già s’ è riferita la leggenda del rapimento di Persefone, ma è da avvertire che ess
ieme come Ade e Demetra. Un tempietto a Dite sorgeva presso l’ altare del tempio di Saturno nel Foro. Un altro altare sacro
non sorsero numerosi miti, così ben di rado le arti o della parola o del disegno tolsero a descriverla o rappresentarla. I
tatue non è che un’ aggiunta degli artisti moderni latta per analogia del tridente di Posidone. XIII. L’ Inferno. 1.
. 1. Giova qui ricordare rimmagine che gli autichi si eran formata del mondo infernale. Ma prima s’ avverta che tale imm
in quegli antichi tempi si aveva un’ idea molto vaga e indeterminata del mondo d’ oltretomba; era detto uno spazio deserto
immaginati sotto il disco terrestre a tanta distanza quanta è quella del cielo al di sopra; e si diceva che un’ incudine d
iù volte intorno all’ Inferno, e non si poteva passarc senza l’ aiuto del nocchiero Caronte, un vecchio bianco per antico p
Infine le Danaidi, ossia le cinquanta figlie di Danao, ebe per ordine del padre avevano in una notte ucciso i loro mariti,
immagine ai colpevoli. XV. Ecate. 1. Secondo Esiodo, era figlia del titano Perseo e di Asteria. In origine non design
ne riguardata come una regina della natura, dominatrice nei tre regni del cielo, della terra e del mare, e venne confusa co
gina della natura, dominatrice nei tre regni del cielo, della terra e del mare, e venne confusa con altre dee mistiche, qua
llocarsi all’ ingresso dell’ Acropoli d’ Atene. Così pure nel rilievo del grande altare di Zeus a Pergamo Ecate apparisce t
presentazioni gioverà la fig. 70 riproducente una statuetta in bronzo del Museo Capitolino. La figura di mezzo ha in testa
a morte fu ideato in Tanato (Thanatos) che era detto fratello gemello del Sonno (Hypnos); secondo Esiodo costoro eran figli
silenziose si dicevan l’ ombre dei trapassati. 3. Noto è l’ episodio del decimoquarto dell’ Iliade, ove Era prega il Sonno
stato soccorso da sua madre, la notte. — Ma la più bella descrizione del Sonno e della sua casa leggesi nel decimoprimo de
gono per l’ uso della famiglia. Penati eran dunque gli Dei protettori del nutrimento della famiglia, e delle provviste annu
ocolare sacro di tutta Roma; or s’ oggiunga che nel punto più riposto del tempio si conservavano le immagini di que’ Penati
vasi speciali davanti alle loro immagini. 2. Se si indaga l’ origine del culto de’ Lari, facilmente si può riscontrare che
cri riti. 3. Tornando ai Lari, è da ricordare la rappresentazione che del Lar familiaris si trova nell’ Aulularia di Plauto
ria sconosciuti, è il mito di Pandora. Zeus, adirato per il rapimento del fuoco, non lo volle riprendere e privarne gli uom
nde Zeus preso da furore disperse questa schiatta, e te essere l’ età del bronzo. Gli uomini di questa erano selvaggi e vio
ssi si sterminarono colla loro irrefrenata furia. Seguì ultima l’ età del ferro, l’ età della decadenza morale e del disord
furia. Seguì ultima l’ età del ferro, l’ età della decadenza morale e del disordine, l’ età del lavoro faticoso, conseguenz
età del ferro, l’ età della decadenza morale e del disordine, l’ età del lavoro faticoso, conseguenza delle passate colpe;
modo colla leggenda delle varie generazioni umane è l’ altra leggenda del diluvio di Deucalione; giacchè si affermava che i
lla terra. 4. Le leggende di Prometeo plasmatore d’ uomini e rapitore del fuoco celeste, di Pandora, delle età umane, del d
d’ uomini e rapitore del fuoco celeste, di Pandora, delle età umane, del diluvio Deucalioneo diedero argomento a opere d’
a testa della figura. Più vivace era la leggenda di Prometeo rapitore del fuoco, la quale oltre ad aver suggerito bei versi
omento di comporre la famosa trilogia che rappresentava i tre momenti del mito, il rapimento del fuoco, la punizione di Pro
amosa trilogia che rappresentava i tre momenti del mito, il rapimento del fuoco, la punizione di Prometeo, e la sua liberaz
ano neppure rappresentazioni figurate di questo mito; in un sarcofago del Museo Capitolino a Roma è rappresentata in riliev
così è messo in corrispondenza il mito di Prometeo creatore e quello del rapimento del fuoco. Il mito delle umane età legg
in corrispondenza il mito di Prometeo creatore e quello del rapimento del fuoco. Il mito delle umane età leggesi in molti a
otissima narrazione che è nel primo delle Metamorfosi Ovidiane. Anche del diluvio di Deucalione la miglior pittura è quella
tavano sulle pendici meridionali dell’ Olimpo, i Centauri nelle selve del Pelio. Questi ultimi si dicevano figli di Issione
montorio Malea. Ferito per disgrazia con una delle freccie avvelenate del suo amico Eracle, rinunziò all’ immortalità per f
ico Eracle, rinunziò all’ immortalità per favorire Prometeo, in luogo del quale accettò di scendere all’ Inferno. 2. Una vi
o questa figura. Una antichissima e celebre Centauromachia era quella del frontone ovest del tempio di Zeus in Olimpia, ope
a antichissima e celebre Centauromachia era quella del frontone ovest del tempio di Zeus in Olimpia, opera attribuita ad Al
’ ordine delle figure. Un’ altra Centauromachia ammiravasi nel fregio del Teseo di Atene; ed altra serie di rappresentazion
d altra serie di rappresentazioni simili era nelle metopi meridionali del Partenone. Di quest’ ultime un buon numero esiste
on meno belle rappresentazioni di Centauromachia che erano nel fregio del tempio di Apollo Epicurio a Basse presso Figalia
tono ancora. Le fig. 73 e 74 riproducono due Centauri in marino scuro del Museo Capitolino, l’ uno di tipo più vecchio l’ a
di Fere in Tessaglia; regnava sulle fertili terre poste in vicinanza del lago Bebeide (ora Bio). Frui di grande prosperità
cinghiale ed un leone. Durante le feste nuziali, Apollo dando a bere del dolce vino alle Moire, le indusse a promettere ch
otivi di questa leggenda sono certamente antichi, ad es. l’ uccisione del dragone, che vuol dire l’ eliminazione di impedim
e, che vuol dire l’ eliminazione di impedimenti naturali alla cultura del suolo, giacchè Ares cui il drago era sacro è appo
ntico era regione paludosa e non sana. Anche la seminagione dei denti del drago e la nascita di uomini armati dalla terra è
di Ovidio. Poche le rappresentazioni figurate; citeremo un vaso greco del Museo di Napoli, ove Cadmo è raffigurato in atto
Beozia e lo si invocava per protezione contro gli effetti disastrosi del sole canicolare. Forse Atteone sbranato dai cani
figliuola; ma non vi riuscì e morendo lasciò al fratello Lico, erede del trono, l’ incarico di far le sue vendette. Lico r
riuscì a fuggire, e per fortunata combinazione trovò nelle solitudini del Citerone i suoi due figli omai cresciuti, ai qual
li con l’ eredità Farnese. La scena è raffigurata sulle cime rocciose del Citerone. I due fratelli stan domando il toro; An
ma piramidale dà più vivacità all’ azione e insiem soddisfa l’ occhio del riguardante. Il contrasto di carattere fra Zet
chie opere di pittura o scoltura. La fig. 77 riproduce un bel rilievo del palazzo Spada a Roma intorno a questo soggetto. I
escrizione viva e vera della morte dei figli di lei, e l’ espressione del suo immenso dolore? Quando eran già tutti morti,
(fig. 78) in marmo, scolpita da mano antica, la qual statua fa parte del celebre gruppo dei Niobidi conservato nella Galle
le stesso o di Scopa. Il gruppo fiorentino fu trovato nelle vicinanze del Laterano nel 1583; appartenne al Cardinal Medici
rtato a Firenze. Le singole statue sono ammirabili per l’ espressione del dolore, e tutta la scena è piena di spavento e di
piangente, volgendosi al cielo, accusa insieme la prepotente vendetta del nume sul capo innocente dei figliuoli. Se la gran
l frontone di un tempio o se le statue fossero ordinate nell’ interno del tempio ovvero disposte separatamente fra gli inte
a gli archeologi e gli eruditi, ma non è ancora stata risolta in modo del tutto soddisfacente. III. Corinto. a)
Efira, detta poi Corinto, era, secondo la tradizione, Sisifo, figlio del tessalo Eolo, nipote di Elleno. Omero lo qualific
straordinaria scaltrezza. Quando Zeus rapì da Fliunte Egina la figlia del fiume Asopo, si dice che egli abbia scoperto il s
lla cima poi riprecipitava a valle. Si è molto discusso sull’ origine del mito di Sisifo. La situazione di Corinto fra due
ggiunto al solstizio d’ estate il punto più alto che esso può toccare del cielo, si volge e riprende a discendere la sua ch
o e padre di Bellerolonte. Propriamente Glauco non era che un epiteto del mare, e in fatto lo troviamo in relazione con Pos
naron la mano e ne fecero strazio; simbolo forse delle onde infuriate del mare nella stagione delle tempeste che al loro st
on è che una leggenda assai tarda originata dalla etimologia supposta del nome), Bellerofonte dovette abbandonare la sua pa
e dar morte al latore. Bellerofonte mosse verso la Licia in compagnia del cavallo alato Pegaso; quel cavallo che era figlio
a, domato. Jobate accolto l’ ospite Corinzio e intesi i segreti segni del genero, pensò di mandare Bellerofonte in rischios
cavaliere e da solo poi si levò al cielo ove ancor ora tira il carro del tuono. — Ancora è da ricordare la fine di Stenebe
ri ne portarono a Tirinto la salma. Se si ricerca qual sia l’ origine del mito di Bellerofonte, indubbiamente si troverà ch
indubbiamente si troverà che esso è una delle tante personificazioni del sole. Figlio di Posidone e di Glauco poteva ben e
etto il Sole, il quale ogni giorno sembrava a loro sorgere dalle onde del mare; e del resto il culto di Posidone e quello d
, il quale ogni giorno sembrava a loro sorgere dalle onde del mare; e del resto il culto di Posidone e quello di Apollo o E
paragonando a quella di Fetonte, come fa ad es. Orazio nell’ 11a ode del libro 4o dove insegnando a moderare i desideri, d
getto; molte monete e gemine corinzie o asiatiche portano l’ impronta del cavallo alato, molte pitture vascolari trattano q
lta Capitolina (fig. 79); si crede una copia derivata dall’ originale del sunnominato Cresila, che appunto nella gara efesi
ove prima trovavas; un’ altra è quella riprodotta alla fig. 80, che è del Museo Capitolino. 3º L’ Amazone in riposo, che si
tipo di Policleto; bellissimo esemplare se ne trova nel Braccio nuovo del Vaticano e altri altrove. IV. Argo.
e famiglia Argiva si volera discendesse da Inaco, propriamente il Dio del fiume omonimo, che era il corso d’ acqua più impo
ante della regione. Di Inaco si diceva figlio Foroneo, rappresentante del territorio fecondo di Argo, detto da alcuni il pr
detto da alcuni il primo uomo, venerato come iniziatore della coltura del paese, e fondatore del culto di Era sul monte Eub
o uomo, venerato come iniziatore della coltura del paese, e fondatore del culto di Era sul monte Eubea, in genere come auto
a mutata in vacca e invano accostavasi al padre per implorar pietà, e del padre stesso che accortosi a certi segni della co
u onorata col nome d’ Iside. Già s’ è fatto cenno, parlando di Ermes, del significato naturalistico di questo mito. Io non
ico di questo mito. Io non è altro che la luna affidata alla custodia del cielo stellato, la quale va peregrinando di terra
esso particolare della venuta in Egitto è probabile non facesse parte del mito primitivo, ma sia stato aggiunto dopochè la
tato aggiunto dopochè la Grecia era entrata in rapporti colla regione del Nilo. In ogni modo il mito nel suo insieme già le
ommoventi episodi delle Metamorfosi (libro I, 582-750). Anche le arti del disegno trattarono più volte questo soggetto; gem
elo ebbe alla sua volta da Anchirroe (la lonte scorrente), una figlia del Nilo, due figliuoli, Egitto e Danao, dei quali il
ttevano il mito Argivo con le cose d’ Egitto. Il significato naturale del mito deve ricercarsi nel fatto dell’ esservi nel
voleggiavasi, che insuperbitesi per la loro bellezza e per la potenza del padre osarono manear di rispetto agli Dei, in pen
e di Preto, lfianassa, ed ebbe, insieme con suo fratello Biante parte del regno di Tirinto. Essendo Melampo figlio di Amita
errore de’ nemici (cfr. pag. 34). Questo il nucleo, abbastanza antico del mito di Perseo; ma il suo viaggio in ignote regio
Perseo; ma il suo viaggio in ignote regioni e la virtù straordinaria del capo di Medusa che ei portava seco al ritorno, di
ti dal mostro solo a condizione di offrirgli in pasto la bella figlia del re. Cefeo e Cassiepea dovettero adattarsi e con i
romeda; non prima pero di aver sostenuto guerra contro Fineo fratello del re a cui la ragazza già era stata promessa. In qu
io nel lanciare il disco. Di poi, vergognandosi di entrar in possesso del regno di Acrisio dopo averlo ucciso, scambiò Argo
osì i re dei Persiani eran detti prosapia di Perseo, altrettanto i re del Ponto e della Cappadocia: in Egitto pure Erodoto
nti eroi solari onde è ricca la mitologia greca; rappresenta la lotta del sole colle potenze delle tenebre o colle nuvole t
e di Zeus-oro e di Danae che altro sono se non la unione fecondatrice del cielo e della terra argiva, e la prigione di Dana
che è il lampo, queste dallo sguardo terribile che impietra, immagine del tuono reboante e spaventoso. E i mostri che nasco
etteratura e dell’ arte. Già Esiodo ha una quasi compiuta esposizione del mito nella Teogonia (v. 270 e sg.) e nello Scudo
situazioni, oltre ad alcuni antichi vasi n’ è prova la celebre Metope del tempio di Selinunte, rappresentante l’ uccisione
I Dioscuri. 1. Le più antiche leggende delle provincie meridionali del Peloponneso ricordavano come eroi di que’ luoghi
dre degli altri due. Tindareo e Icario si ritenevano come i fondatori del più antico stato in Laconia; e poi favoleggiavasi
il grande pugilatore Amico (Amykos). Anche presero parte alla caccia del cinghiale Calidonio, di cui si parlerà. Ultima lo
bottino fatto in comune d’ una mandra di giovenchi, per la divisione del quale non rimasero d’ accordo. In ogni modo quest
colpito da un fulmine di Zeus. Polluce, addoloratissimo per la morte del fratello, da cui non avrebbe voluto staccarsi mai
ette da noi « fuochi di St. Elmo » considerate anche ora come indizii del prossimo cessar del temporale, si diceva fossero
di St. Elmo » considerate anche ora come indizii del prossimo cessar del temporale, si diceva fossero i due gemelli compar
ssar del temporale, si diceva fossero i due gemelli comparsi in aiuto del navigante. Tutte queste leggende e credenze intor
i anche ad Olimpia. Anche Roma eresse nel Foro un tempio ai Dioscuri, del quale rimangono in piedi tre splendide colonne. 3
legislatore, l’ edificatore della cittadella (Cecropia), il fondatore del culto antichissimo di Zeus Hypatos e di Atena Pol
sta diffusione di coltura un po di merito spettava ai primi abitatori del paese. Anche al significato naturalistico del mit
tava ai primi abitatori del paese. Anche al significato naturalistico del mito di Cecrope si riferisce il fatto che gli att
da Ovidio (Met. 2, 555). b) Eretteo od Erittonio, e la discendenza del re d’ Attica. 1. A Cecrope successe nel regno
tene un Amfizione, figlio di Deucalione. Questi sarebbe stato privato del regno da Eretteo o Erittonio. Anche Erittonio ave
rea e fatta madre dei gemelli Calai e Zete, e Procri già felice sposa del bel cacciatore Cefalo, poi tormentata dalla gelos
Ione il capostipite della stirpe ionica; il che significa il termine del periodo pelasgico e il cominciamento della domina
tala col pretesto di condurla dalla sorella, la portò in luogo remoto del suo regno e la fè sua, poi perchè ella non potess
inosse cretese ed è allora che la figlia di lui, Scilla, innamoratasi del forestiero assediatore, strappò di testa al padre
geo e Posidone s’ identificano, si capirà facilmente che Teseo figlio del mare e di Etra, ossia l’ aria serena, è ancora un
l mare e di Etra, ossia l’ aria serena, è ancora una personificazione del sole che sorge dal mar d’ Oriente traverso il pur
ada e dai sandali il suo figliuolo; allora buttò a terra il bicchiere del veleno e così Teseo fu salvo. Medea in seguito a
eo ad Atene, doveva aver luogo la terza spedizione. Teseo volle esser del numero, deciso a lottare contro il Minotauro ed e
sacrifizii; fondò pure le Pianepsie (Pyanepsia) per il settimo giorno del mese Pianepsione, verso la fine di Ottobre, feste
, mentre Ippolito co’ suoi diletti cavalli scarrozzavasi lungo la via del mare, mando un toro selvaggio che spaventò e infu
oro a fianco dello sposo, ma venne uccisa. 7º Prese parte alla caccia del cinghiale Calidonio; 8º e alla spedizione degli A
tituita una festa speciale, denominata le Tesee, che celebravasi l’ 8 del mese Pianepsione. 3. Tante vicende e gesta glorio
delle Metamorfosi narrò da par suo la caduta di Megara e l’ uccisione del Minotauro. Del pari ogni forma d’ arte figurativa
ma guaste e stroncate. Nel Partenone Fidia aveva destinato le metope del lato meridionale a rappresentare la Centauromachi
rappresentare la Centauromachia con intervento di Teseo, e le metope del lato occidentale a figurare la lotta degli Atenie
i templi portavano ricordi statuari di Teseo; il frontone occidentale del tempio di Zeus in Olimpia lo aveva tra i combatte
i combattenti contro i Centauri; lo aveva pure la grande composizione del fregio che ornava la colla del tempio d’ Apollo i
; lo aveva pure la grande composizione del fregio che ornava la colla del tempio d’ Apollo in Figalia, di cui importanti re
Minotauro, trovato non è molto presso Afrodisia nella valle superiore del Meandro e posseduto attualmente dal Museo di Berl
i Cadmo, soleva andare a sollazzarsi colle ancelle di Tiro sulla riva del mare. Vide, in mezzo all’ armento regale che là p
done, eroe licio. Zeus poi laseiò Europa e i suoi figli alla custodia del re del luogo, Asterio. Che si abbia qui a fare co
roe licio. Zeus poi laseiò Europa e i suoi figli alla custodia del re del luogo, Asterio. Che si abbia qui a fare con astri
zati è ben probabile. Europa è una dea lunare che è inseguita dal Dio del cielo in forma d’ un bianco toro; appunto in Gort
toro; appunto in Gortina di Creta si credeva pascolassero gli armenti del sole; Asterio poi a cui i figli di Europa sono af
no, un giorno Minosse pregò Posidone gli inviasse dai profondi abissi del mare un toro che egli avrebbe poi a lui sacrifica
a neve. Minosse n’ ebbe conferma nel diritto al trono, ma la bellezza del toro gli suggeri la malvagia idea di appropriarse
ricate delle ali di penne, le adattò con cera al suo corpo e a quello del figlio; così volaron via. Senonchè avendo Icaro v
e per far vendetta contro di lui, e richiese a Cocalo la restituzione del fuggitivo; ma non che ottenerla, fu egli stesso u
Altri figli di Minosse furono Deucalione che prese parte alla caccia del cinghiale Calidonio e fu padre di Idomeneo uno de
osì die’ occasione alla guerra che Minosse mosse loro. 3. La leggenda del rapimento d’ Europa fu trattata poeticamente da O
llo stesso libro il racconto della caduta di Megara e dell’ uccisione del Minotauro (vv. 1-182). b) Talo. 1. Tra le l
biografia Eraclea. A) Nascita e giovinezza di Eracle. — Questa parte del racconto è stata elaborata per lo più in Beozia.
guastava i campi di Psofi. Eracle lo inseguì e spinse sino alla cima del monte che era coperta di neve, e di là lo afferrò
condersi in una botte. Con quest’ avventura di Eracle si connette uno del parerga o fatiche accessorie, la lotta col Centau
gli diè a mangiare carni arrostite, ed avendo per bere aperto il vaso del vino che era comune a tutti i Centauri, questi gl
sul monte Cerinea fra l’ Arcadia e l’ Acaia. Era anche detta la cerva del Menalo, dal monte Menalo in Arcadia. Eracle doven
a i parerga. Tra queste è da ricordare l’ avventura di Esione, figlia del re troiano Laomedonte, esposta a un mostro marino
gli aveva promesso, se ciò facesse, i cavalli avuti da Zeus in cambio del rapito Ganimede, non mantenne neanche allora la f
tativo. Pure Eracle ci riuscì; giacchè deviato il corso dell’ Alfeo o del Peneo o di tutte due, e fatte passar le acque nel
ullo stretto di Gibilterra; si racconta che, offeso dai raggi cocenti del sole tramontante, puntò contro lui i suoi strali,
i suoi strali, onde Elios ammirato di tanto ardire gli lasciò l’ uso del suo battello d’ oro fatto a forma di tazza. Coll’
so il gigante Eurizione e il cane bicipite Ortro che erano a custodia del gregge di Gerione, se ne impossessò. Senonchè Ger
e in Sicilia, Alcioneo sull’ Istmo. I Latini collocavano qui la lotta del loro Ercole col gigante Caco, di cui parleremo. m
no questi un dono di nozze che Era aveva ricevuto da Gea in occasione del suo matrimonio con Zeus. Erano custoditi nell’ es
occidente dalle Esperidi (le ninfe di ponente), figlie della notte e del drago Ladone, nato, come tutti i mostri simili, d
tre pomi d’ oro purchè Eracle nel frattempo sostenesse egli la volta del cielo. E qui un’ avventura comica. Atlante, una v
un’ avventura comica. Atlante, una volta che si senti libero dal peso del mondo, non voleva più sottostarvi, e dicendo che
eroe stringendo alla gola Cerbero, lo incatenò e trasse su alla luce del sole; e dopo averlo fatto vedere ad Euristeo, lo
Tegea, e mentre era in questa città, generò con la bella Auge, figlia del re, quel Telefo che per diversi casi diventò re d
ù tardi si recò con Deianira dal suo amico Ceice in Trachine ai piedi del monte Oeta. Cammin facendo, gli capitò l’ avventu
hine ai piedi del monte Oeta. Cammin facendo, gli capitò l’ avventura del centauro Nesso. Dovendosi passare il fiume Eveno,
acia. Egli pur morendo fè terribile vendetta, dando a Deianira un po’ del suo sangue e dicendo avrebbe potuto prepararne de
vversario, ma ferì anche il Dio della guerra che era accorso in aiuto del figliuolo. D) Ultime vicende di Eracle e sua apot
nquistata. Eurito ucciso col figliuoli, e la bella Iole cadde in mano del vincitore. Ma ecco nel ritorno a Trachine, Deiani
o a Trachine, Deianira, saputo di Iole, credendo assicurarsi l’ amore del marito coll’ unguento avuto da Nesso, mandò in do
sì appiccicata alla carne che levarla non si poteva più. Nella rabbia del dolore afferrò il messo Lico che gli aveva portat
enefizio degli uomini? Dopo l’ apoteosi, in tempo in cui nel concetto del divino si rinchiudeva un profondo contenuto moral
mento locale. Solitamente la favola della spedizione contro Gerione e del ritorno di Ercole per l’ Italia era ampliata in t
lto con segni di amicizia; ma passando col suo armento per le pendici del monte stesso un ladrone per nome Caco, abitante i
ità di colori. Più di tutti va menzionato qui Paniasi d’ Alicarnasso, del 5º sec. av. C. parente di Erodoto, autore di un p
dello da proporre ai giovani avidi di gloria. Tale è il noto racconto del Sofista Prodico, intitolato « Eracle al bivio »;
bivio »; ove si descrive il giovane Eracle seduto in luogo solitario del Citerone, incerto qual via della vita deva scegli
e, incerto qual via della vita deva scegliere e percorrere, se quella del piacere che da una donna apparsagli, tutta vezzi
rappresentare e gustò, v’ è l’ Anfitrione di Plauto, dove lo scambio del marito di Alcmena e di Giove dà luogo a scene lep
rimangono parecchie. Ricorderemo la lotta coll’ Idra, gruppo in marmo del Museo Capitolino; i rilievi delle metope occident
ppo in marmo del Museo Capitolino; i rilievi delle metope occidentali del tempio di Teseo in Atene e quelle del tempio di Z
ilievi delle metope occidentali del tempio di Teseo in Atene e quelle del tempio di Zeus in Olimpia, di cui alcune si conse
del tempio di Zeus in Olimpia, di cui alcune si conservano nel Museo del Louvre a Parigi; notevole sopra tutte quella ov’
quale sembra chiedergli facoltà di tragittare Deianira. — Nella corte del Palazzo Pitti a Firenze è un celebre gruppo rappr
tolino. — A ricordare l’ incontro di Ercole con Atlante, il reggitore del mondo, giovi la fig. 86, rappresentante una celeb
gitore del mondo, giovi la fig. 86, rappresentante una celebre statua del Museo Nazionale di Napoli. — Tra i vari monumenti
di Ercole e di Onfale, il più importante e bello è il gruppo marmoreo del Museo di Napoli; ove vedesi Onfale vestita della
più colpi finirla. Il premio della vittoria, cioè la testa e la pelle del cinghiale, fu dato naturalmente a Meleagro, ma eg
mani e morali per rendere il racconto più interessante; e coll’ andar del tempo si fecero entrar in scena anche eroi di alt
uoco il tizzone di Meleagro, e il dolore dei Calidonesi dopo la morte del loro giovine eroe e specialmente i mesti lamenti
della caccia Calidonea ammiravano gli antichi sul frontone orientale del tempio di Atena Alea in Tegea d’ Arcadia, opera d
rontone orientale del tempio di Atena Alea in Tegea d’ Arcadia, opera del grande Scopa; il gruppo di mezzo era formato dal
giovane. II. La spedizione degli Argonauti. 1. La storiella del vello d’ oro forma il nucleo della leggenda degli
ando approfittarsi di questa congiuntura per toglier di mezzo i figli del primo letto, cercava indurre lo sposo a uccidere
ne fuggirono diretti alla Colchide (Ea, Aia) regione posta ad oriente del Ponto Eusino o Mar Nero. Cammin facendo, cadde El
terribile drago, sempre vigilante. Sposò anche ivi Calchiope, figlia del re di quella terra Eeta (Aietes). In conseguenza
Eolo il compito principale. Atamante stesso s’ accord tanto dei mali del suo paese che ne impazzi, e nella pazzia persegui
ne perchè segretamente lo educasse. Così crebbe Giasone nella caverna del celebre Centauro, educato in tutte quelle arti ne
costruire nel portò di Iolco una nave a cinquanta remi, che dal nome del suo costruttore chiamò Argo, e chiamati a raccolt
chiamati a raccolta quanti più potè eroi d’ allora, salpò alla volta del Ponto Eusino. Circa il numero e il nome degli ero
fatto dai Boreadi, consentì a istruire gli Argonauti intorno al resto del loro viaggio; specialmente li avvisò del difficil
i Argonauti intorno al resto del loro viaggio; specialmente li avvisò del difficile passo delle Simplegadi, specie di scogl
ò del difficile passo delle Simplegadi, specie di scogli all’ entrata del Ponto Eusino, i quali alternatamente si aprivano
quell’ isola, giunsero nella sospirata terra di Eeta (Aietes), figlio del dio del Sole. — Rimaneva il duro compito di rapir
sola, giunsero nella sospirata terra di Eeta (Aietes), figlio del dio del Sole. — Rimaneva il duro compito di rapire il vel
e a vicenda si trucidarono. Erano in questo modo adempiute le volontà del re; ma Eeta col pretesto che Giasone aveva ricevu
isegnando Giasone lasciar Medea per sposar Creusa o Glauce, la figlia del re Creonte, Medea per vendicarsi mande in dono al
n anteriore al quarto secolo dopo Cristo. Nè si ommetta la prima metà del settimo libre delle Metamorfosi che narra poetica
dalle Peliadi, per far ringiovanire Pelia. Anche la così detta Cesta del Ficoroni nel Collegio Romano ha una notevole rapp
ogo; ne nasce una contesa, nella quale Edipo uccide Laio e tutti quei del seguito. Così era avverata la prima parte dell’ o
rone. Appena saputo la morte di Laio, Creonte suo cognato preoccupato del continuo pericolo della Sfinge, promise il trono
l colpevole; ma qual è la sua sorpresa quando, specialmente per mezzo del servo che l’ aveva esposto bambino e che era scam
saglia chi altrove. La città fu presa e saccheggiata. Una buona parte del bottino, e fra essa Manto la figlia di Tiresia fu
se parte alla guerra di Troia, ma vi perdette la vita. 2. Le leggende del ciclo tebano ispirarono molti lavori letterarii.
ne della tragedia dichiarava energicamente di voler, contro l’ ordine del re, dar sepoltura al cadavere di Polinice; Sofocl
ilo nei « Sette contro Tebe, » dando però maggior rilievo alla storia del dissidio sorto tra i fratelli e rappresentando in
alato e petto e testa di giovine donzella. Era ritenuta come simbolo del calore estivo ardente e pestilenziale. IV. Il
ando le vicende della decennale guerra, infine esponendo i casi varii del ritorno. 1. I principali eroi greci che presero p
gni male, e punito in inferno in quel modo che già si espose parlando del regno dei morti. Figlio di Zeus, possessore di es
lo, il cocchiere di Enomao inducendolo a levar i cavicchi dalle ruote del cocchio del suo padrone e a sostituirli con cavic
iere di Enomao inducendolo a levar i cavicchi dalle ruote del cocchio del suo padrone e a sostituirli con cavicchi di cera.
e ottenne Ippodamia e la signoria dell’ Elide; mal ripagò poi Mirtilo del servizio resogli, che in luogo di dargli metà del
ripagò poi Mirtilo del servizio resogli, che in luogo di dargli metà del regno come aveva promesso, lo precipite in mare.
a signoria d’ Argo, abitando Atreo in quel superbo palazzo di Micene, del quale ancora oggi si ammirano parecchi avanzi. Ma
con lui, e lo richiamò co’ suoi a Micene. Tieste fidando nelle parole del fratello venne co’ suoi due figli, Tantalo e Plis
amente que’ due fanciulli, li uccise e ne appose le membra alla mensa del padre. Il sole stesso inorridito di tanta crudelt
e Atreo in un momento in cui stava compiendo un sacrificio sulla riva del mare. Allora Tieste con Egisto ottennero la signo
degli Eacidi. Eaco era un altro figlio di Zeus, nato da una figliuola del fiume Asopo. Era re dell’ isola di Egina ed ebbe
fiume Asopo. Era re dell’ isola di Egina ed ebbe in moglie una figlia del centauro Chirone. Per la sua pietà e bontà era ca
iè in moglie la sua figliuola Antigone e lo fe’ re di una terza parte del suo dominio. Più tardi prese parte alla caccia de
di una terza parte del suo dominio. Più tardi prese parte alla caccia del cinghiale di Calidone, durante la quale ebbe la d
ma spedizione contro Troia; di là trasse con sè cattiva Esione figlia del re Laomedonte, e da lei ebbe un altro figlio, Teu
atti di valore; specialmente è celebre per l’ attribuitogli rapimento del Palladio; ma è leggenda posteriore ad Omero. Agli
; ma è leggenda posteriore ad Omero. Agli eroi segnalati per la forza del braccio se n’ aggiungono altri in cui prevalgono
us ordinò che le tre Dee fossero da Ermes condotte sul Gargaro, parte del monte Ida nella Troade, e ivi il giudizio della b
della bellezza fosse affidato al pastore Paride. Era questi un figlio del re Priamo, ma a motivo di un sogno di cattivo aug
ia e ricchezza, Atena sapienza e fama, ed Afrodite la più bella donna del mondo. Egli assegnò il pomo ad Afrodite; di qui n
ituendole una cerva, e la trasportò in Tauride per farla sacerdotessa del suo tempio. Dopo ciò la flotta potè con buon vent
eco che saltò a riva, Protesilao (=il primo che salta), cadde vittima del suo coraggio. Anche Cicno (Cycnos) il re di Colon
veramente notevole, se non si ricordi l’ uccisione per man d’ Achille del più giovane dei figli di Priamo, Troilo, e la con
di darvi il fuoco, allorchè Achille si lasciò indurre dalle preghiere del suo amico Patroclo a permettergli che indossasse
e duello con Ettore e l’ uccise. Il cadavere di lui legato al cocchio del vincitore fu trascinato a ludibrio pel campo, e s
agli uccelli di rapina, se il generoso Achille cedendo alle preghiere del vecchio padre di Ettore non glie l’ avesse conseg
della partenza dei Greci, guardavano con curiosità quella meraviglia del cavallo di legno, non sapendo che cosa fosse. E q
vallo, rispondeva esser quello un voto fatto per espiare il rapimento del Palladio; sarebbe stato di danno ai Troiani se l’
empre più. Mentre stava compiendo un sacrifizio a Posidone sulla riva del mare, e aveva vicino a sè due figliuoletti, impro
Achille il suo sangue per opera di Neottolemo. 3. Ed ora le avventure del ritorno de’ Greci; giacchè disperdendosi i varii
to della statua e tutti insieme fuggirono scampando all’ inseguimento del re Toante. Tornato in Attica Oreste ebbe poi la p
fu la sorte toccata a Menelao che se ne tornava con Elena e i tesori del bottino di guerra. Una tempesta invero lo colse p
ebbe salvato anche a dispetto degli Dei; allora Posidone con un colpo del suo tridente spaccò lo scoglio e l’ empio sprofon
de’ suoi compagni, mandati a esplorare il paese, gustarono anch’ essi del loto, e n’ ebbero impressione così piacevole, che
l Ciclope Polifemo. Erano i Ciclopi un popolo di giganti in un’ isola del mare occidentale, che abitavano sparsi su per mon
Ulisse ricorse alla scaltrezza; avendo seco per buona fortuna portato del buon vino donatogli in Ismaro dal sacerdote di Ap
entato, infocata la punta a un palo, con quello pestò l’ unico occhio del gigante e l’ acciecò. Il giorno dopo gli riuscì d
al vello d’ un ariete di sotto il ventre. Il Ciclope tardi s’ accorse del tiro fattogli e dovè contentarsi di invocar da su
una terra dove le notti erano così chiare che chi potesse far a meno del sonno, avrebbe potuto guadagnare doppia mercede g
oi ne, fra cui anche sua madre Anticlea che gli dà desiderate notizie del padre Laerte, della moglie Penelope e del figlio
e gli dà desiderate notizie del padre Laerte, della moglie Penelope e del figlio Telemaco. Tiresia gli rivela lo sdegno di
visita a Circe la quale gli diede avvisi e consigli per il rimanente del viaggio. Poco appresso toccò l’ isola delle Siren
aggio. Poco appresso toccò l’ isola delle Sirene, le ingannevoli Muse del mare che allettando con dolce canto i naviganti l
di Telegono, figlio di lui e di Circe, da questa mandato alla ricerca del padre e sbarcato casualmente ad Itaca. 4. Rimane
a famiglia, s’ avviò all’ isola di Creta, donde era venuto Teucro uno del re di Troia. Ma i Penati comparsigli in sogno gli
Troia con Neottolemo, alla morte di questo, aveva ottenuto una parte del regno di lui e sposato Andromaca, la vedova di Et
all’ Averno per veder l’ ombre dei trapassati e saper da loro notizie del proprio avvenire e della sua discendenza. Ciò fat
ni dopo morì e appresso ebbe l’ onore di pubblico culto. 5. Le favole del ciclo troiano ebbero così larga diffusione fra i
nte la tragedia s’ aggirò come nel suo proprio elemento fra argomenti del ciclo troiano; troppo lungo sarebbe enumerare i d
o sceneggiati, dal sacrificio d’ Ifigenia in Aulide fino alle vicende del ritorno e alla trista sorte serbata ad Andromaca,
minutamente le opere di pittura e di scultura ispirate dalle leggende del ciclo troiano e giunte a noi su vasi, in monument
atue. Ricorderemo poche cose, le principalissime. E prima le scolture del frontone orientale del tempio di Zeus in Olimpia,
cose, le principalissime. E prima le scolture del frontone orientale del tempio di Zeus in Olimpia, rappresentanti il mome
i il momento in cui Pelope si dispone alla lotta contro Enomao; opera del celebre scultore Peonio di Mende contemporaneo di
enti di questo bassorilievo furono scoperti un venti anni fa per cura del governo germanico. In mezzo s’ erge maestosa la f
classica di questa scuola (terzo secolo av. C.; il Lessing lo giudicò del 1º sec. dell’ e. v.). « Ciascuna delle tre figure
morbide e gentili, è quasi levato su di terra dalle violente strette del rettile che lo comprime al destro fianco del padr
a dalle violente strette del rettile che lo comprime al destro fianco del padre, gli attorce le parti superiori delle bracc
velenoso morso, contro il quale tenta inutile difesa la sinistra mano del fanciullo; già egli vien meno; arrovesciando all’
e sono più vigorose e tenaci, invano colla sinistra comprime il collo del serpe che gli si avventa con rabbioso morso al fi
ta a lui devoto sacerdote d’ Apollo, fa contrasto coll’ atteggiamento del corpo affranto dal più terribile dolore, e questo
 Pasquino » che trovasi a Roma su un crocicchio di strade all’ angolo del palazzo Braschi, rappresentante un guerriero che
esti van ricordati i marmi Egineti, resti di un bassorilievo marmoreo del tempio di Pallade in Egina scoperti nel 1811 e co
a di Monaco. In ultimo riproduciamo alla fig. 90 un noto gruppo del Museo Ludovisi di Roma rappresentante una giovine
Capitolo quarto. Vati, poeti, artisti mitici. 1. Agli eroi del braccio e della guerra fanno riscontro gli eroi d
i avendo Melampo saputo guarire le figlie di Preto, ottenne una parte del regno e così diè origine alla dinastia degli Amit
diletto ad Apollo. Nato fra i Traci così famosi per la musica e Tarte del canto poetico, pose sua residenza nelle regioni d
a spuntar le lagrime fin sul ciglio delle Erinni e il petto di bronzo del re dell’ ombra si commosse. Gli fu concesso che E
ciecato e toltagli la facoltà dei suoni; onde divenne il contrapposto del pio Orfeo. — Infine Museo ebbe il merito d’ intro
ne ben posteriore. 4. Fra gli artisti mitici il più celebre è Dedalo, del quale abbia in già detto una parola (cfr. pag. 36
ico e i tragici come Eschilo, andarono a gara a onorare l’ alta virtù del cantore tracio; e il pietoso caso di Euridice e l
prete eloquente in Ovidio, nel decimo delle Metamorfosi. L’ efficacia del canto d’ Orfeo bene è detta in quei versi d’ Oraz
altre stelle caramente diletta. » 20. Carm. I, 3, 15: « la rabbia del vento di sud, più ch’ ogni altro arbitro e sovran
5: « la rabbia del vento di sud, più ch’ ogni altro arbitro e sovrano del mare Adriatico, sia che voglia sollevarne a tempe
splendere il sole. » 36. V. 154 e sgg.: « tutto si questo il fragor del mare, dopochè il genitore guardando di lungi le o
ale d’ ordine della ritirata, fu udita dalle onde tutte della terra e del mare; e l’ onde che udirono tutte si compressero.
o che decrescon 1’ onde. » 39. Epig.100: « i lusinghevoli pericoli del mare, e il terror gradito dell’ onde. » 40. « C
peso dei terreno cavaliere Bellerofonte. » 49. Fram. 37 nell’ ediz. del Bergk. Eccone la versione di G. Mazzoni:        
dentro all’ arca dedaléa, Che intorno la marina onda traéa E la furia del vento, Ella tutta spavento, Lacrimosa la faccia,
Nè ti curi de l’ onde Che ti passan su ’l capo inanellato, Nè ti curi del vento Che urla; qui posandoti contento, Ne la por
4 (1861) Corso di mitologia, o, Storia delle divinità e degli eroi del paganesimo: Per la spiegazione dei classici e dei monumenti di belle arti (3e éd.) « Della mitologia in generale. » pp. 17-359
tizioni dei principali popoli antichi, ossia la storia delle divinità del Paganesimo, è chiamata Mitologia coi vocaboli gre
delle immagini ad essi allusive, e la descrizione dei loro attributi, del modo col quale erano adorati, delle cerimonie sac
che doverono più spesso essere spettatori delle rivoluzioni naturali del globo (e ne fanno fede i tanti diluvj rammentati
ma dell’amor coniugale ; e la favola d’ Orfeo, il quale colla soavità del canto mansuefaceva le tigri e spetrava i massi, e
e che le stelle inviate da Giove splendessero sulla terra quali occhi del cielo per rammentare agli uomini che tutte le lor
o dette aurei pomi. 12. Dopo che gli uomini ebbero perduto la memoria del vero Dio e del suo culto, e quando non sapevano a
omi. 12. Dopo che gli uomini ebbero perduto la memoria del vero Dio e del suo culto, e quando non sapevano ancora spiegare
d’ Apollo ; e Bacco, per avere insegnato a coltivare la vite, fu Dio del vino, ec. Indi l’inclinazione degli Orientali al
presentino le potenze secondarie, agitatrici dell’ aria, dell’ acqua, del fuoco. Le quali manifestandosi in principio con g
e vinto le prime, ossia i Titani, per dividersi tra di esse il regno del cielo e della terra. E così le origini di queste
ittoriose introdussero il culto dei falsi Dei fin nelle estreme parti del mondo. Mitologia dei Greci a dei Latini. Di
nato l’anno 42 di G. C., compiange Atlante quasi schiacciato dal peso del cielo, a motivo del gran numero di Dei che vi era
C., compiange Atlante quasi schiacciato dal peso del cielo, a motivo del gran numero di Dei che vi erano stati collocati.
nza degli eterni veri, quanta filosofia non racchiude la immutabilità del Fato, cui non vincono nè i potenti della terra nè
eva sul capo un diadema stellato, e nell’ una mano lo scettro simbolo del supremo potere, nell’ altra un’ urna od un libro
si allontana dal bene (332. 2°). Le tre Parche (235) eran le ministre del Destino, pronto a fare eseguire immediatamente gl
dini della inesorabile divinità. 25. Cielo o Cèlo figlio dell’ Aria e del Giorno passava per una divinità antica quanto il
rze ; laonde Saturno assalì Celo, lo vinse, e si conquistò il dominio del mondo. Chi non direbbe adombrato in questa favola
ncontro al cielo (14) ? Saturno. Titano. Giano. 27. L’ impero del mondo apparteneva a Titano, perchè era fratello m
Nettuno (185) e Plutone (213). 29. Giove fu dato a educare alle Ninfe del monte Ida nell’ Isola di Creta ed ai sacerdoti di
ron poi anche sacerdoti di Giove, per celar meglio a Saturno i vagiti del Nume in fasce, si ponessero a ballare suonando i
l più celebre tra i Titani fu Giapeto, che i Greci tenevano per padre del genere umano ; od almeno non riconoscevano altro
re abitati e inciviliti : ed i suoi figliuoli hanno lasciato più fama del padre. Poiché, oltre a Prometeo (70, 71), tanto c
do un asilo. Giano (33-37), originario della Tessaglia, e divenuto re del Lazio, accolse amorevolmente l’ esule Nume, e se
n Italia fu chiamato Età dell’ oro, ossia regno degli Dei e prima età del mondo, perchè sotto il loro savio governo gli uom
ento, dal rame e dal ferro, per significare il successivo traviamento del genere umano : Lo secol primo, quant’ oro, fu be
iuol fu tolto il regno, Segui il secondo secol dell’argento, Men buon del primo, del terzo più degno ; Chè fu quel viver li
to il regno, Segui il secondo secol dell’argento, Men buon del primo, del terzo più degno ; Chè fu quel viver lieto in part
o Nel mangiar, nel vestir, or grave, or leve, S’ accomodaro al variar del giorno, Secondo ch’ era in Cancro o in Capricorno
al variar del giorno, Secondo ch’ era in Cancro o in Capricorno. Età del rame. Dal metallo, che, fuso in varie forme, Rend
tuosi o feri In lor discordi, ostinati pareri. All’ uom che già vivea del suo sudore, S’ aggiunse noja, incomodo ed affanno
fu nella quarta età più dura Che dal ferro pigliò nome e natura. Età del ferro. Il ver, la fede e ogni bontà dal mondo Fug
o e tranquillo fu detto il Dio della pace. Appena giunto sulle sponde del Tevere vi aveva trovalo gente selvaggia, senza re
unò a vivere insieme nelle città, creò le leggi, e dette loro l’ idea del giusto e dell’ onesto. Numa Pompilio secondo re d
etto da Romolo fondatore di Roma e da Tazio re dei Sabini, in memoria del trattato di pace tra essi conchiuso. 36. È rappre
o nei sacrifizj, tanto per aver alzato altari e statuito le cerimonie del culto, quanto per esser tenuto in conto di valido
mmercio ; e i primi conj rappresentavano da un lato una nave, simbolo del commercio, e dall’altro un uomo con due leste, os
del commercio, e dall’altro un uomo con due leste, ossia il ritratto del re Giano. Si crede che fossero di bronzo ; e i La
è in atto di divorare un fanciullo. L’ orologio a polvere è la misura del tempo, mentre le ali rammentano la velocità con c
avola dei figli. È questo il luogo da ricordare i bellissimi concetti del Petrarca nel Trionfo del Tempo : Seguii già le s
il luogo da ricordare i bellissimi concetti del Petrarca nel Trionfo del Tempo : Seguii già le speranze, e’ l van desio :
li alzan la testa ; E nessun sa quanto si viva o moja. Veggio la fuga del mio viver presta ; Anzi di tutti ; e nel fuggir d
a. Veggio la fuga del mio viver presta ; Anzi di tutti ; e nel fuggir del sole, La ruina del mondo manifesta. Or vi riconfo
el mio viver presta ; Anzi di tutti ; e nel fuggir del sole, La ruina del mondo manifesta. Or vi riconfortate in vostre fol
. Ma vi sono i grandi ingegni, i famosi Eroi che non temono la falce del tempo, sicchè messer Francesco prosegue : Vidi u
lissimi sono i concetti, stupendi i versi coi quali Ugo Foscolo parla del fuoco sacro di Vesta nel suo carme le Grazie :13
Vi s’ appressa e deriva indi una pura Luce che, mista allo splendor del Sole, Tinge gli aerei campi di zaffiro, E i mari
campi di zaffiro, E i mari allor che ondeggiano al tranquillo Spirto del vento, facili a’ nocchieri ; E di chiaror dolciss
scintilla Spira la Dea nell’ anime gentili, Che recando con sè parte del cielo, Sotto spoglie mortal scendon fra noi. Di q
dotesse di Vesta col nome di Vestali, destinate in Roma alla custodia del suo tempio, del Palladio (570) e del fuoco sacro
col nome di Vestali, destinate in Roma alla custodia del suo tempio, del Palladio (570) e del fuoco sacro simbolo della co
destinate in Roma alla custodia del suo tempio, del Palladio (570) e del fuoco sacro simbolo della conservazion dello stat
rribili conseguenze. I sacerdoti per riaccenderlo adoperavano i raggi del sole o il fulmine, od un pezzo di legno secco inc
cittadini. Tutti i magistrati cedevano ad esse il primo posto, e fuor del tempio erano precedute da un littore armato dei f
Dopo trent’ anni di sacerdozio eran libere di abbandonare la custodia del fuoco di Vesta per accendere la face dell’ Imeneo
nome di Galli in latino, da Gallus, fiume di Frigia, bevendo l’ acqua del quale si fingevano furibondi a segno di lacerarsi
ondi a segno di lacerarsi il corpo con staffilate e coltelli, indizio del cieco fanatismo (il furor sacro) d’una falsa reli
(il furor sacro) d’una falsa religione. Uscivano costoro dalla feccia del popolo, ed a guisa di ciarlatani andavano di citt
a sua fecondità. Il bossolo ed il pino eranle sacri, perchè col legno del primo formavano i flauti sacerdotali dei Coribant
e che fu da lui trasformata in fontana. La terra si spalancò al colpo del suo scettro, ed egli trasse la preda nei suoi ten
a Giove. Laonde Cerere sdegnata gettò in faccia al delatore l’ acqua del Flegelonte (220), ed egli fu subito trasformato i
o la onesta curiosità e la continua osservazione rivolte alla ricerca del vero e della sapienza possono essere nobili e pro
one (213) e regina dell’inferno. Laonde, accesa una fiaccola al fuoco del monte Etna, entrò nelle viscere della terra ; e d
e o di papaveri ; e le sue mammelle piene di latte l’additano nutrice del genere umano. Talora ha nella destra un covone di
o lo svelarne che l’udirne il segreto era sacrilegio. Quindi la porta del tempio si teneva chiusa rigorosamente ai profani 
a’suoi altari mescevasi vino o si recavano fiori, chè talora l’abuso del primo non togliesse vigore e senno agli agricolto
bandito il padre dal cielo, s’impossessò dell’Olimpo, divenne padrone del fulmine, e divise l’impero del mondo co’suoi frat
mpossessò dell’Olimpo, divenne padrone del fulmine, e divise l’impero del mondo co’suoi fratelli, ritenendo per sè il cielo
an figlio di Saturno i neri Sopraccigli inchinò : su l’immortale Capo del Sire le divine chiome Ondeggiaro, e tremonne il v
Olimpo. Omero. 64. Giove sposò Giunone (85) sua sorella, ad esempio del padre che aveva sposato Cibele (40), e del nonno
5) sua sorella, ad esempio del padre che aveva sposato Cibele (40), e del nonno Urano (25) o Celo che s’era congiunto a Ves
statura e di forza tanto straordinaria, che osarono d’assalire il re del cielo. 66. Deliberati dunque i Giganti di combatt
volve o sospirando anela, Si scuote il monte e la Trinacria tutta ; E del ferito petto il fuoco uscendo Per le caverne morm
cielo Di tuoni empie e di pomici e di fumo. Virgilio, Eneide, trad. del Caro.19 70. Giove, mantenutosi l’impero del mon
Virgilio, Eneide, trad. del Caro.19 70. Giove, mantenutosi l’impero del mondo e non avendo più nemici da temere, s’occupò
ane col fango della terra, e le animò col fuoco sacro rapito al carro del Sole.20 71. Ma Giove, sdegnato dell’audacia di P
suguaglianza contraria alla naturale giustizia. E siccome i sacerdoti del paganesimo secondavano talora i despoti per aver
nide ; e infatti Ercole, (364) figlio dello stesso Giove, con l’andar del tempo uccise l’avvoltoio, e liberò Promeleo : Su
na (332), ossia l’invenzione delle arti che avvenne nella seconda età del mondo. » (Mario Pagano, Saggi politici.) 73. Simu
la sola Speranza, vero dono celeste e ultimo scampo, restò nel fondo del vaso.21 74. Giove protesse con parzialità parec
iverse forme. Si trasmutò in toro per rendere immortale Europa figlia del re Agenore, la quale partorì Minosse (228) e Rada
sue belle azioni aveva meritato anche in vita onori divini ; ma il re del cielo mal sofferendo che un mortale acconsentisse
più comuni son questi : Lucezio o Diespiter, ossia diei pater, padre del giorno : Feretrio, da ferre, perchè nel suo tempi
uello d’Olimpico dall’abitar ch’ei faceva con la sua corte sulla cima del monte Olimpo in Tessaglia. Olimpo vuol dire anche
ra Giove era talvolta rappresentato sotto le forme d’ariete, le corna del quale sono simbolo di forza e di coraggio. Ma i p
ove Olimpico, scolpita da Fidia, e annoverata tra le sette maraviglie del mondo (135, 143). Sotto il nome di Giove Statore
o vigilatore, con la voluttà della musica e con l’ajuto di Morfeo Dio del sonno (241) che a tale effetto gli diede un mazzo
ora Giunone raccolse gli occhi dell’estinto Argo, e ne fregiò la coda del pavone, o sivvero trasmutò Argo in quest’uccello
a nuoto ;25 e dopo aver percorsa tutta la terra si fermò sulle sponde del Nilo, ove Giove le rese la primiera sua forma. Qu
endicò d’Europa (74, 483) prediletta a Giove, financo sui discendenti del suo fratello Cadmo (482), poichè Melicerta (449),
a la terra. Così spiegarono gli antichi il mirabile effetto dei raggi del sole refratli a traverso le nubi ancora pregne di
si celebravano a Roma, eran dette Lupercali, a somiglianza di quelle del dio Pane (294). Lucina è la figura di una matrona
Giove (63), abbandonata Giunone (85) per unirsi a Latona (97) figlia del titano Ceo, n’ebbe Apollo e Diana (137). 97. Prim
Delo Pria che Latona in lei facesse ’l nido ; A partorir li due occhi del cielo. Dante, Purg., c. XX. 98. Un dì Latona ne
ue forze, consacrò la prima prova di valore alla madre per vendicarla del serpente Pitone che l’aveva tormentata si crudelm
ssalì, lo trafisse con le sue frecce divine, e lo uccise ; e la pelle del mostro servì poi a ricoprire il tripode sul quale
ale affetto (672). 100. Ma la vittoria gli fu amareggiata dalla morte del figliuolo Esculapio (289), il quale aveva fatto m
ata dall’eloquenza. 103. La ninfa Dafne, seguace di Diana e figliuola del fiume Peneo, fu incontrata all’improvviso da Apol
ola del fiume Peneo, fu incontrata all’improvviso da Apollo nel tempo del suo esilio sopra la terra, e svegliò in lui arden
nobile ricompensa di poeti, d’artisti e di guerrieri. Il significato del vocabolo è il fondamento di questa favola, poichè
i Giacinto si posero ad inseguire Apollo per vendicar su lui la morte del figliuolo, e lo ridussero a ricovrarsi nella Troa
 ; un anno uscì dall’urna il nome della stessa Esione (518) figliuola del re, e l’infelice principessa era già stata incate
a luce sull’universo. Per tale ufficio è chiamato Sole, Febo, o padre del giorno ; Lo ministro maggior della natura, Che d
le, Febo, o padre del giorno ; Lo ministro maggior della natura, Che del valor del cielo il mondo imprenta, E col suo lume
o padre del giorno ; Lo ministro maggior della natura, Che del valor del cielo il mondo imprenta, E col suo lume il tempo
tempo ne misura, (Dante, Parai., c. X.) apparisce guidando il carro del sole tratto da quattro focosi cavalli, chiamati E
be ; e credesi che quando questa statua era investita dai primi raggi del sole di levante, ossia quando l’Aurora s’imbianca
andava ad illuminare l’altro emisfero. Così pareva che si rallegrasse del ritorno dell’Aurora, e s’addolorasse alla sua par
tà si dissipa innanzi a lei, mentre con le mani di rose apre le porte del giorno. Talvolta è rappresentata sotto le forme d
gnarsi col padre, gli chiese in grazia di condurre un giorno il carro del Sole per attestare così la propria nobiltà vilipe
o inesperta, deviano il corso ; ed ora salendo troppo alto per le vie del cielo fanno temere lassù inevitabile incendio, or
di consimile incendio nel littorale d’Italia, immaginarono una caduta del sole, il quale ad essi pareya che tramontasse in
in Italia posta all’occidente di Grecia. Crederono forse che l’astro del giorno prima di giungere al prefisso termine del
no forse che l’astro del giorno prima di giungere al prefisso termine del suo corso fosse caduto in quel suolo che era ingo
a comecchè materiali e grossolani, non potevano attribuire al rettore del sole un sì gran fallo ; un Dio non erra. S’avvisa
voce, E con l’ali da terra al cielo alzossi. Eneide, lib. X, trad. del Caro. Gli antichi credevano che il cigno, per Io
cezza. L’affettuoso tratto di amicizia ch’ei ricorda, questa credenza del suo dolce cantare, la candidezza delle penne, i m
e ali di neve, i seguenti bei versi : A quanti alati28 Godon l’erbe del par, l’acre ed i laghi, Amabil sire é il cigno ;
stando a sedere sopra uno sgabello a tre gambe, coperto con la pelle del serpente Pitone (97), e indicato col nome di Trip
ro chioma. Era molto venerato anche a Cirra città della Focide, a piè del Parnaso. Aveva un altro bel tempio a Delo dov’era
lo a Chilone che faceva consistere tutta la filosofia nel contentarsi del necessario, dicendo : bando al superfluo. Dopo ch
Muse consentono a’veri poeti menare a’lor servigi il Pegaseo, simbolo del genio. 125. Un satiro di Frigia chiamato Marsia,
nio. 125. Un satiro di Frigia chiamato Marsia, che reputasi inventore del flauto, ebbe la temerità di sfidare Apollo nella
eccellenza della musica, a patto che il vinto restasse a discrezione del vincitore ; e furon chiamati a giudicare i Nicii.
ane (294) aveva osato sfidare Apollo, e andava spacciando che i suoni del suo flauto superavano la lira ed il canto del Num
spacciando che i suoni del suo flauto superavano la lira ed il canto del Nume dell’armonia. Venuti infine a cimento, volle
e ha le orecchie d’asino ; indi ricopre il buco e va via. Con l’andar del tempo crebbero in quel luogo alcune canne, le qua
lcune canne, le quali nell’esser mosse dal vento ripetevano le parole del barbiere : Mida ha le orecchie d’asino ; e così a
obbedì, e perdette la singolare prerogativa, comunicandola alle acque del Pattolo che fin da quel tempo recarono sabbia d’o
olare, o più veramente fiorisce d’estate quando il sole è nel Tropico del Cancro. 131. Leucotoe era figlia di Orcano od Orc
no, la trafisse con un dardo e la cangiò in cornacchia. Indi si pentì del subitaneo gastigo, e per far pagare al corvo il f
co e un agnello, e far libazioni d’olio e di latte, queste in memoria del tempo nel quale fece il pastore, quelle perchè l’
tempo nel quale fece il pastore, quelle perchè l’olivo, fedele al Dio del giorno, alligna bene in quei luoghi che sono ravv
aean, avanti ! colpisci ! oppure lancia i tuoi dardi ! e con l’andare del tempo, dopo ogni vittoria, questa esclamazione di
o ed il Cigno (120) furon sacri ad Apollo, denotando colla differenza del colore, che a questo Nume era noto tutto ciò che
o il ritorno, e la cicala che festeggia infaticabilmente i bei giorni del suo impero, avevano anch’essi l’onore di essergli
do magnifici donativi. I Rodiani che ambivano di esser chiamati figli del Sole, gli aveano consacrato uno smisurato colosso
ato uno smisurato colosso, il quale contavasi tra le sette meraviglie del mondo. Era questa una statua di bronzo alta setta
ti oltre venticinque braccia l’una dall’altra, sovrastava all’entrata del porto di Rodi. Rappresentava il dio Apollo con un
enevasi accesa la fiamma che serviva di fanale ai marinari. L’interno del colosso era vuoto dalla parte destra per poter sa
sopra 900 cammelli. Un uomo poteva appena abbracciare il dito pollice del colosso, e un bastimento anche dei più grandi gli
passava tra le gambe a vele spiegate. Le altre così dette maraviglie del mondo furono : Il tempio di Diana in Efeso (143) 
al re Mausolo suo sposo. Questo monumento prese il nome dal principe del quale conteneva le ceneri ; e ancora diamo lo ste
avori dei celebri scultori Scopa, Timoteo e Leucarete. Alcuni, invece del palazzo di Ciro, pongono tra le meraviglie il Far
ll’Jonia nell’Asia minore, ebbe un celebre tempio annoverato, al pari del colosso di Rodi (135), fra le sette maraviglie de
nnoverato, al pari del colosso di Rodi (135), fra le sette maraviglie del mondo. Questo edifizio lungo circa 210 braccia e
cono acidari, largo di sotto, ed acuto e torto in cima, come il corno del Doge, con due ali verso la fronte, che pendano e
a e vagheg gia quelle cose vane ; ma Giove si tolse con sè il bambino del quale Semele era incinta, e lo custodì fino al mo
a Giove e alla tritonia Dea Sovra ogni dir gradita. Pindaro, Trad. del Borghi. 149. Dicono i più che Bacco fu allevato i
coltura, introdusse la coltivazione della vite, e fu adorato qual Dio del vino. Notammo già il suo valore nella guerra dei
ganti (68). Questi viaggi favolosi di Bacco si rassomigliano a quelli del dio Visnù e Vicnu delle Indie (722) e d’ Osiride
sempre il medesimo Dio, variato nome. Altri vi riconoscono l’immagine del sole che si alza dalla parte dell’ Oriente dove è
to di coruscanti fuochi ed echeggiare d’ urla tremende, e la vendetta del Nume colpir le sacrileghe, che furono tutte trasf
ei quali Baccanali conserviamo anche noi la memoria nelle stravaganze del Carnevale. Spesso la divinità di Bacco ha inspira
di Bacco ha inspirato i Poeti. È a tutti noto il bellissimo Ditirambo del Redi, intitolato Bacco in Toscana. Fra gli antich
di mi giaccio ; E coll’ animo scarco e giocondo Vo di sopra alle cose del mondo. Altri adopri aste e corazze ; Io guerreggi
on la faccia di giovine ridente ed imberbe, essendochè l’uso moderato del vino mantiene la vivacità della giovinezza ; ed h
nte l’ellera, cui s’ attribuisce la prerogativa di dissipare i vapori del vino mediante la sua naturale freschezza. Lungo d
Va per lo ciel rapidamente a volo. Virgilio, Encide, lib. IV. Trad. del Caro. 161. Il caduceo tenuto in mano da Mercurio
convinto d’aver già vissuto a tempo dell’ assedio di Troja nel corpo del guerriero Euforbo. In alcuni popoli dell’ India s
e orme non lo scoprissero ; ma fu inutile ; il Nume conobbe l’audacia del fanciullo, e se ne mostrò sdegnato oltremodo. Sie
ma non più in occasione di furti, vien rammentata da Dante nel c. XIV del Purg. a proposito dell’invidia : Io sono Aglauro
sua sorella Erse fosse protetta da Mercurio, pose ostacoli all’amore del Nume ; ed ei, volendonela punire, la converse in
co, il terzo esperto mercatante, ec. ; ed è verosimile che coll’andar del tempo queste diverse qualità sieno state tutte at
170. Venere, Dea della bellezza e degli amori, nacque dalla spuma del mare il primo giorno della prima primavera del mo
ri, nacque dalla spuma del mare il primo giorno della prima primavera del mondo ; e secondo altri era figlia di Giove (63)
rando i suoi pregi ed il suo potere. Vediamone la elegante traduzione del Carrer : Madre d’ Enea, desio d’ uomini e Numi,
desio d’ uomini e Numi, Alma Venere, tu, che sotto a’ segni Roteanti del cielo il mar fecondi Navigero, e le glebe fruttuo
fruttuoso ; Per cui quantunque gente d’animali Concepe, e nata a’ rai del sol s’ allegra ; Tu venti e nubi, o Dea, sperdi d
adorne dei fiori ormai appassiti della Mitologia, il seguente Sonetto del Parini è forse dei più leggiadri, perchè semplice
mpre adorne di quella stessa immortale bellezza che spira dalle opere del genio greco, legga quel carme. Una delle sue part
eco, legga quel carme. Una delle sue parti più belle è la descrizione del velo delle Grazie. Pindaro volge questi versi all
olgetevi Al mio pregar. Tu pure ascoltami, Vocal Talia ec…. (Traduz. del Borghi.) 176. Enea (608) fu detto figliuolo di V
ano consacrati al lutto, gli altri alla gioja per indicare l’apoteosi del prediletto di Venere. 178. Psiche (psyche, spirit
la sarebbero immagini insufficienti per dare un’idea della leggerezza del suo animo. Infatti è rappresentata con ali di far
le chiedeva la promessa di non iscegliere altro sposo che lui. Prima del far del giorno spariva, e abbandonava la donzella
deva la promessa di non iscegliere altro sposo che lui. Prima del far del giorno spariva, e abbandonava la donzella ai torm
della tua fiducia. Chi sa che questo amante, che ha paura della luce del giorno, non sia un mostro, e che dopo aver acquis
cessero pendere la lucerna ; sicchè una goccia ardente cadde sul seno del giovine, che svegliato dal dolore si alza precipi
rribile detto le scosse l’animo ; la prostrò : le rese odiosa la luce del giorno, e insopportabile la vita. Alfine deliberò
iche è tanto grande che non ha forza di parlare ; si prostra a’ piedi del generoso vincitore, ed implora con umiltà il suo
igna (180) in quello d’Imeneo (174). La gioia presiedè alla cerimonia del matrimonio, e non vi fu mai più perfetta nè più f
siche l’anima immortale ; il che può rilevarsi anche dalla etimologia del suo nome : onde i filosofi hanno derivato la paro
’isola di Cipro, e nell’isoletta di Citera nel Mediterraneo a mezzodì del Peloponneso, ov’era il suo più celebre tempio. G
conosciuto giacque…. Ed anco è di valor si nuda e macra, Tanto ritien del suo primo esser vile, Che par dolce a’cattivi, ed
aveva anche il nome di Citerea, perchè, appena formata dalla schiuma del mare, fu tratta nell’isola di Citera sopra una co
, accompagnandola le Nereidi (315) e gli Amori. Secondo poi la natura del suo culto aveva altri soprannomi, come vedremo ne
, è la sua Venere ; e questa pure si ammira in Firenze nella galleria del Palazzo Pitti. 182. Omero ha fatto una vaghiss
del Palazzo Pitti. 182. Omero ha fatto una vaghissima descrizione del cinto misterioso di Venere, che è l’emblema della
n prima essendo bianca, aveva cangiato colore dopo essere stata tinta del sangue di Venere rimasta ferita dalle sue spine n
essavano all’ ara di Venere nuziale che teneva nell’una mano il globo del mondo da essa rigenerato, e presso alle mammelle
detta la chioma di Berenice. Quel Conon vide fra’ celesti raggi Me del Berenicéo vertice chioma Chiaro fulgente. A molti
egorica) di Saturno (28), lo celò tra i pastori d’Arcadia, e in luogo del bambino fece vedere al marito un poledro, dandogl
fratelli si divisero il dominio dell’universo, Nettuno ebbe l’impero del mare e delle isole ; quindi è lo Dio delle acque.
fino affezionato a Nettuno, andandone in traccia, la trovò alle falde del monte Atlante, e la persuase a cedere alle brame
trovò alle falde del monte Atlante, e la persuase a cedere alle brame del Nume ; e Nettuno ricompensò il delfino collocando
sono i Tritoni e le Arpie (191). 190. I Tritoni nella parte superiore del corpo somigliavano l’uomo ; e nel resto il pesce.
iti guai. Abitavano le isole Strofadi rimpetto alla costa occidentale del Peloponneso, e le più note furono Aello, Ocipeta
ia Pallida sempre, e raggrinzata e magra. (Eneide, lib. III, traduz. del Caro.) Alcuni dicono che la favola delle Arpie fu
cadaveri. — V’ è chi non riconosce nelle Arpie altro che gli uccelli del lago Stinfale. E finalmente altri dicono che foss
della Terra, il quale sposò Teti o Tetide, tenuta parimente qual Dea del mare. Aveva Teti per abitazione un palazzo, dove,
ppoggiano sopra un’ urna di dove scaturisce l’acqua che è la sorgente del fiume al quale presiedono. 195. Proteo nacque dal
o dei greggi di Nettuno composti di foche e di vitelli marini. Il Dio del mare gli aveva accordato la cognizione del passat
di vitelli marini. Il Dio del mare gli aveva accordato la cognizione del passato, del presente e del futuro ; ma allorchè
arini. Il Dio del mare gli aveva accordato la cognizione del passato, del presente e del futuro ; ma allorchè andavano a co
el mare gli aveva accordato la cognizione del passato, del presente e del futuro ; ma allorchè andavano a consultarlo, pigl
la moltitudine ignorante. 196. Le Sirene (seirà, catena, gr.), figlie del fiume Acheloo (393) e della musa Calliope (274),
ssi che sono tra l’isola di Capri e le coste d’Italia, od in un’isola del Capo Peloro in Sicilia. Le principali sono queste
clima più mite dell’ universo, e celando negli scogli la mostruosità del loro corpo, erano immagine di quelle seducenti de
delle loro parole, quasi che volesse indicare la maravigliosa potenza del buon esempio. Laonde quelle perfide incantatrici
he simili A’delfini ha le code, ai lupi il ventre.40 (Eneide, Trad. del Caro, lib. III.) 204. Forco (phórkyn, mostro mari
l marito naufragava ritornando da Delfo, sicchè atterrita, in sul far del giorno corse alla spiaggia, e visto infatti galle
 ; comparisce per lo più col tridente in mano ; sta ritto sulle acque del mare, e spesso procede mæstosamente in un carro c
in un carro condotto da cavalli marini che hanno la parte posteriore del corpo fatta a guisa della coda dei pesci, ed i pi
re la calma alle onde ; oppure il dominio ch’egli ottenne sulle acque del mare, dei fiumi e dei fonti ; ed aveva inoltre la
onti ; ed aveva inoltre la proprietà di spalancare la terra a piacere del Nume. 210. I Libii tenevano Nettuno per la loro m
e e giuochi. Tra i giuochi erano celebrati con molta solennità quelli del Circo a Roma41 e quelli dell’istmo a Corinto (674
mercio governato dalla saviezza. I Romani destinarono il primo giorno del mese di luglio per celebrare la sua festa, e gli
, giacchè nessuna Dea voleva sposarlo per paura della sua deformità e del tenebroso suo regno. 215. L’impero di Plutone, os
ec., » ed Enea vide una folla d’ orrendi spettri : Nel primo entrar del doloroso regno Stanno il Pianto, l’Angoscia e le
, ed or con plettro eburno, Sette nervi diversi insieme uniti, Tragge del muto legno umani accenti…. ………………… E questi eran
nore, Candida benda il froute orna e colora. (Eneide, lib. VI, trad. del Caro. ) In questi beati luoghi il fiume Lete scor
di Creta, ove cominciò con Saturno la prima età, s’innalza la statua del Tempo, composta da capo a piedi di varie materie
ta verdeggiava sulle sue sponde ; e dopo lungo corso opposto a quello del Cocito, si gettava com’esso nell’Acheronte. 221.
ento era per dieci anni bandito dal cielo, e privato dell’ ambrosia e del néttare. L’Ambrosia (ambrosios, immortale, gr.) e
ei, ed il Néttare la lor comune bevanda. La prima era molto più dolce del miele, e spandeva deliziosa fragranza ; dava o co
. L’Aurora con essa rese immortale Titone ; Apollo imbalsamò il corpo del valoroso Sarpedonte, e Venere guarì le ferite del
imbalsamò il corpo del valoroso Sarpedonte, e Venere guarì le ferite del suo figlio Enea. Si dice che l’ambrosia scaturiss
ima volta da uno dei corni della capra Amaltea. 223. L’Erebo, figlio del Caos (22) e della Notte (238), fu trasformato in
oli dell’Europa, Radamanto quelli dell’Asia, e Minosse era presidente del tribunale, dove non valevano a mitigar la pena me
inosse, figlio di Giove (63) e d’Europa (91), fu re di Creta,53 isola del Mediterraneo al sud dell’Arcipelago, e governò il
a nelle mura di quella città e d’ entrarvi il primo. Ercole in premio del suo coraggio gli fece sposare la figliuola di Lao
Al ministero de’ tormenti invita. (Loc. cit.) 231. Così la saviezza del governo di Minosse, d’Eaco e di Radamanto, e sopr
re della sepoltura. 232. Le Furie furono divinità infernali, ministre del rigor degli Dei contro i malvagi, figlie dell’Ach
Sue stesse in odio, ed in fastidio l’hanno. (Eneide, lib. vii. Trad. del Caro.) Queste deità tremende mostravano aspetto s
color, che morte Sull’ orlo spinge di nascoso abisso (Crude primizie del tormento eterno) È cura, è gioia il palesar l’inf
imizie del tormento eterno) È cura, è gioia il palesar l’inferno. Non del cimier l’orgoglio, Nè il piè veloce di corsier su
disperazione, incominciando sulla terra a patire gli eterni supplizi del Tartaro. 234. A sì temute Dee furono offerti sing
erina in Acaia, appena il colpevole aveva posto il piede sulla soglia del tempio delle Furie, uno spaventoso delirio ne occ
innocenza, essendochè solo per essa l’uomo può sottrarsi agli spasimi del rimorso. Oreste (533), per tentar di placarle, al
con vasi che avevano i manichi fasciati di lana d’agnello. I ministri del loro tempio in Atene vicino all’Areopago formavan
midabile tra le potenze infernali. Con membra immani sta sulla soglia del Tartaro, ed ha tre teste, o d’uomo, di cavallo e
accompagnasse nei loro viaggi, e disponesse a favor loro dei suffragi del popolo c degli allori della vittoria (Esiodo). Ta
i ampia e candida cappa filavano quello stame che è simbolo ingegnoso del corso della vita. Il suo colore indicava il desti
Morte, gli Dei Mani ec. 238. La Notte, dea delle Tenebre, era figlia del Cielo (25) e della Terra (25), e secondo altri de
enebre, era figlia del Cielo (25) e della Terra (25), e secondo altri del Caos (22). Sposò l’Acheronte (218) dal quale ebbe
scorre silenziosa pel cielo, sopra un carro d’ebano, dopo il tramonto del sole, seguita da un corteggio di Costellazioni (6
no nero, emblema della morte o della notte, e l’altro bianco, simbolo del sonno o del giorno. Vespro o Espero, fratello o f
lema della morte o della notte, e l’altro bianco, simbolo del sonno o del giorno. Vespro o Espero, fratello o figlio d’Atla
ormato in astro (la stella della sera) e creato Dio della sera, e Dio del mattino sotto il nome di Lucifero, ha cura del su
Dio della sera, e Dio del mattino sotto il nome di Lucifero, ha cura del suo carro, e glielo mette in ordine pel tacito vi
ordine pel tacito viaggio. Quando la Notte era considerata qual madre del Giorno avuto dall’ Erebo insieme con le tre Parch
a mostrino le groppe. E così la persona istessa della Notte sia varia del tutto a quella dell’Aurora. Abbia la carnagione n
questo giovinetto con le due faci medesime cavalchi sopra un cavallo del Sole o dell’ Aurora ; ma questo non farebbe compo
bo (223) e della Notte (238), abitava un antro impenetrabile ai raggi del sole, ove non entrava anima vivente a turbarne la
n letto d’ebano, coperto da brune cortine. « Ovidio la pone (la casa del sonno) in Lenno e ne’ Cimmerii, Omero nel mare Eg
o e dolcemente il riposo ; mentre pei ricchi molli ed oziosi il culto del sonno era dei più importanti ; e spesso la invoca
o voti. Morfeo, capo degli altri sogni, era nel tempo stesso ministro del Sonno suo padre, e talora veniva confuso con lui.
Morte (232), figlia dell’ Erebo (223) e della Notte (238), e sorella del Sonno (240), è la divinità più inesorabile di tut
(216) convien citare prima i Giganti (65), schiacciati sotto il peso del monte Etna, il quale, a motivo dei suo cratere ig
igante Tifone (69) si smuove, cagiona i terremuoti, e che le eruzioni del vulcano altro non sono che disperati sospiri dei
i concedea riposo giammai ; immagine degli ambiziosi e degl’invidiosi del merito altrui, i quali consumano la vita in conti
itava Ch’ imitar non si ponno. E ben fu degno Ch’ ei provasse per man del padre eterno D’altro fulmine il colpo e d’altro v
degno ancora Che nel baratro andasse. (Virgilio, Eneide, traduzione del Caro.) 247. Flegia, figlio di Marte (255) e di Cr
o Un giogo in nove giorni ara di buoi. (Virgilio, Eneide, traduzione del Caro.) Ebbe costui tanta audacia per essere così
endea dritta la destra, Vèr le nubi lanciava i rami il vento. (Trad. del Pindemonte.) Come poteva esser meglio dipinta l’a
uanto sia molta la inverosimiglianza della favola, tuttavia l’effetto del crudele ordine paterno, e la fatale urna delle Da
rme de’ vizj e delle pene, Ch’entro vi sono. (Eneide, lib. IV, trad. del Caro.) 253. Il supremo Dio dell’inferno, Plutone,
avalli neri. Nell’Inferno siede sopra un trono di bronzo, sui gradini del quale stanno tutti i flagelli che affliggono l’um
immagine di questo re infernale ricordiamo anche la bellissima ottava del Tasso : Orrida maestà nel fero aspetto Terrore a
uscir Pallade (263) tutta armata dal proprio cervello, così la moglie del Tonante non aveva voluto esser da meno di lui. 25
quello dei Romani, i quali, come ognun sa, lo tenevano per protettore del loro impero, e per padre di Romolo. Gli Etruschi
i tempi, non è meno bella e grande l’idea che fa nascere dal cervello del padre dei Numi la Dea della Sapienza. 263. Se vog
; ed a lei fu attribuita la scoperta della scrittura, della pittura e del ricamo, nel quale riuscì abilissima. 264. Notabil
degli uccelli notturni, pregiudizio al pari di tanti altri non ancora del tutto sradicato per l’ignoranza delle menti volga
mente onorata ad Atene dove aveva un magnifico tempio, sotto l’altare del quale era nutrito un serpente a lei sacro, perchè
e il padre vergognandosene lo afferrò per un piede, e lo scagliò fuor del cielo, quasi fosse stata sua colpa il nascer brul
rno intero Rovinai per l’immenso, e rifinito In Lenno caddi coì cader del sole, Dalli Sinzj raccolto a me pietosi. Gran me
a a non invanirsi della sua bellezza ! 272. La favola lo dichiara Dio del fuoco, e lo celebra abilissimo nell’arte di fonde
bro aveva le sue fucine nell’isola di Lenno, a Lipari e nelle caverne del monte Etna, e i vortici di fuoco e di fumo erutta
itatori della Sicilia, e dall’usar che facevano in guerra, per difesa del volto, di un piccolo scudo con un buco nel mezzo,
ea, figliuola di Nereo e di Doride (193) ; ma la ninfa era già amante del pastorello Aci ; sicchè il Ciclope nella sua brut
otto un scoglio. Galatea trafitta da immenso dolore, cangiò il sangue del suo diletto in un fiume di Sicilia, che porta que
oscerebbe in Polifemo un tiranno violento, che a guisa dei signorotti del Medio-Evo, dal suo monte o dal suo castello usava
pollo (96). Queste nove sorelle furono oltremodo amanti della virtù e del sapere, e nutrirono sentimenti così magnanimi, da
que vivere insieme con loro, statuì che la concordia fosse fondamento del bel collegio, e perciò volle che si chiamassero M
mo che Clio serbando la memoria dei tempi scorsi narra con la dignità del vero e con alto stile le vicende dei popoli e dei
elitti dei grandi, delle scelleratezze della tirannide, degli spasimi del rimorso, e commuove al pianto con le lacrime dell
iderj, ne mitiga gli affanni, e consiglia un amor puro e casto, senza del quale non è vera dolcezza sopra la terra. Ma Poli
i celesti, e addita alla terra che la vera perfezione sta nell’ordine del creato. La musa dell’astronomia doveva naturalmen
re il vero Valor de’ corpi immaginati estima ; Colei che li misura, e del primiero Compasso armò di Dio la destra, quando I
giro i soli, incoronando L’ampio creato di fiammanti mura, Contro cui del caosse il mar mugghiando, E crollando le dighe, e
E crollando le dighe, entro la scura Eternità rimbomba, e paurosa Fa del suo regno dubitar Natura. 277. Le Muse sono rapp
uti particolari. Il Parini proponeva di dipinger così le quattro Muse del Teatro : « Melpomene, di sembiante, di forme, d’
gno, or m’aiutate » dice Dante nel II° dell’Inferno ; e nel principio del Purgatorio : Ma qui la morta poesia risurga, O s
âr perdono. Bellissima poi è l’invocazione che egli fa ad Apollo nel del Paradiso, dove comincia : O buono Apollo, all’ul
el Paradiso, dove comincia : O buono Apollo, all’ultimo lavoro Fammi del tuo valor si fatto vaso, Come dimandi a dar l’ama
ebbe il citare le più belle invocazioni dei sommi poeti dell’antico e del moderno Parnaso ; e solo gioverà riflettere, che
etazione dei classici e dei monumenti. Momo. 282. Momo, figlio del Sonno (240) e della Notte (238), era il Nume dell
era principalmente satirico, e criticava tutto e tutti con l’accrbità del sarcasmo ; non soleva risparmiare nemmeno gli ste
cano, pretendendo che avesse dovuto fargli un finestrino in direzione del cuore per poterne scrutare i più segreti pensieri
zioso sonetto moderno composto da uno dei più colti ed arguti ingegni del nostro tempo. Momo, di cui la nominanza dura, E
ta, e a stento si regge il capo con una mano sotto il mento. I vapori del vino, la rilassatezza delle membra, la sazietà, l
è, E risanar potè — ferite acerbe. Ma nella rete avvolgersi Pur suol del lucro, il saggio. Cosi l’eroe benefico Del fulgid
ne Tolse ad ambo il respir, E videsi perir — con egual sorte. (Trad. del Borghi.) 291. Il suo culto fondato prima in Epida
Trad. del Borghi.) 291. Il suo culto fondato prima in Epidauro, città del Peloponneso nell’Argolide sul golfo Saronico dov’
o fra le agresti divinità, c fu collocato in cielo ove forma il segno del capricorno, in’ricompensa d’aver consigliato gli
in canna ; ed ecco che il verde cespuglio, mosso dai sospiri dolorosi del Nume, mandò un dolce suono : laonde Pane, toltine
, la quale fu cangiata in voce, per esser troppo ciarliera. Fauno era del numero delle divinità agresti, perchè aveva inseg
), il quale inventò l’arte di concimare la terra. Fauna dopo la morte del marito si segregò da tutti, e morì senza aver più
ono questo modello delle vedove, e le alzarono un tempio, i sacerdoti del quale distribuivano al popolo erbe o semplici per
te le faccende agricole più confacenti alla moralità ed all’agiatezza del vivere, e come il mantenimento dei boschi fosse r
i eran chiamati Sileni ; e l’anziano tra di essi è il balio di Bacco, del quale abbiamo parlato ragionando di questo Dio (1
erata pioggia. (B. Baldi, Egloga.) Per lo più è rappresentato a modo del dio Termine (308), con le corna di becco, le orec
uali avevano conservato un barlume di ragione, decretarono il ritorno del Nume esiliato, e onori e feste per placarlo ; ed
. Altri narrano che quando Tarquinio il vecchio ordinò la costruzione del Campidoglio, i Romani scavando i fondamenti trova
ato nel Campidoglio doveva essere la principal difesa delle frontiere del loro impero. La storia dimostra come ciò si avver
te le carni di queste vittime in lieti banchetti attorno al simulacro del Nume. Pale 310. Pale era l’idolo dei past
ero, a mantenere la fedeltà nei cani ; e faceva voti affinchè i suoni del flauto e della voce fossero sempre uditi dalle ma
, alma famiglia, Per cui natura di bellezza abbonda. Per te Religïon, del Cielo figlia, S’ornò : per te la terra all’uom no
6. Le Nereidi od Oceanidi, figlie di Nereo e di Doride, eran le ninfe del mare. La mitologia ne conta cinquanta, e le più d
i conchiglie e di pampani. Venivano invocate dai naviganti sulla riva del mare con offerte di latte, d’olio e di miele, per
ridente o una corona od un piccolo delfino. Talora la parte inferiore del loro corpo va a finire in pesce. Formavano il cor
za. Il giro dentro della grotta veniva appunto a rispondere nel mezzo del masso. Usciva dall’un canto del sasso medesimo un
veniva appunto a rispondere nel mezzo del masso. Usciva dall’un canto del sasso medesimo una gran polla d’acqua, che per ce
pagne, e le uve preferiscono le pendici. Alle Oreadi andiamo debitori del miele. Una di esse, chiamata Melissa, trovato nel
far lunghi di sé aerei grappoli ; Vanno alïando su’nettarei calici, E del mele futuro in cor s’allegrano ; Tante a fior del
il primogenito di questa ninfa fosse destinato a divenire più famoso del padre, non vollero altrimenti porre a tal rischio
o era e bello e di gentile aspetto, » figliuolo della ninfa Liriope e del fiume Cefiso, e si pose lungamente dietro alle su
minuir l’affetto d’Alfeo, poichè le sue acque attraversavano il fondo del mare senza mischiarsi alle salse, e andavano semp
nda d’argento, Com’è l’antico grido ; e il greco Alfeo, Che dal fondo del mar non lungi s’alza, E costanti gli affetti, e d
n Egeria il simbolo della solitudine tanto opportuna alla meditazione del filosofo e del sapiente. Lari. Penati. 32
bolo della solitudine tanto opportuna alla meditazione del filosofo e del sapiente. Lari. Penati. 325. Gli Dei fami
oi deificati ; ma spesso andavano ancora confusi coi primi, quali Dei del domestico focolare, ossia del luogo ove la famigl
ano ancora confusi coi primi, quali Dei del domestico focolare, ossia del luogo ove la famiglia manteneva il fuoco sacro. 3
è vostro ; E nel poter di voi Troja rimansi. (Eneide, lib. II. Trad. del Caro.) Indi Enea lasciava la città incenerita, s
ato alla pura onda di un fiume. Genio 329. Il Genio,66 figlio del Cielo (25) e della Natura secondo la favola, dava
mbianze di giovine con volto bello ed onesto riso, poichè la serenità del sembiante suol essere testimone della bontà del c
o, poichè la serenità del sembiante suol essere testimone della bontà del cuore ; era inghirlandato di papaveri, quasi farm
nocente e le buone azioni sono feconde di molti beni. Anche le foglie del platano gli servivano.di corona. Ma il genio catt
La fortuna 332. La Fortuna, onnipotente figlia di Giove e sorella del Fato, arbitra universale degli uomini e degli Dei
: ed ella reca in mano nello stesso tempo il fuoco e l’acqua, emblema del bene e del male che spande sopra la terra. Talora
eca in mano nello stesso tempo il fuoco e l’acqua, emblema del bene e del male che spande sopra la terra. Talora ha nella d
orno dell’ abbondanza, perchè donatrice di tutti i beni e protettrice del commercio e delle arti ; e con la sinistra conduc
Imperatore regnante, di dove, appena morto, la trasferivano in quello del suo successore. L’adoravano anche sotto i titoli
, la quale dipende dal cieco Destino (24), se la instabilità dei beni del mondo non ce ne mostrasse ogni giorno i lacrimevo
i buoni suggerimenti della natura, una felicità premio della virtù e del lavoro ; che se si possono erroneamente chiamar f
per ottenerle hanno perduto la tranquillità della coscienza, l’amore del prossimo, la stima di sè medesimi, ed altri beni
ata si gode. In Italia i suoi tempj più famosi erano ad Anzio, città del paese dei Volsci, ed a Preneste. Il tempio d’Anzi
gorie suggerì ai Greci altri emblemi per questa indivisibile compagna del Destino oltre quelli già indicati parlando di ess
a il terrore di tutti coloro che abusavano dei favori della fortuna e del potere. 334. Nemesi ha la fronte serena, lo sguar
Giove (63), era una Dea malefica, di null’altro sollecita che di far del male agli uomini. Giunone per consiglio di questa
i uomini e de’ numi arbitro Giove Fu nocente costei …. (Omero, Trad. del Monti.) Le Preghiere sue sorelle, e, come lei, fi
forma della lingua che deve tacere i segreti, ed il frutto ha quella del cuore che li tiene celati ; ed è parimente ingegn
suo altare era coperto di legumi, dei quali gli abitanti delle sponde del Nilo gli consacravano le primizie. temi ed as
zie. temi ed astrea. 337. Temi (thémis, diritto, gr.), figlia del Cielo e della Terra (25), aveva regno in Tessagli
, simbolo della forza che deve sostenere i suoi giusti decreti. Prima del diluvio di Deucalione aveva già un tempio e un or
Deucalione aveva già un tempio e un oracolo molto celebri alle falde del monte Parnaso. 339. Astrea, figlia di Giove (63)
sua madre alla giustizia, laonde spesso va confusa con lei. Nel tempo del beato secolo d’ oro ella aveva stabilito la sua d
rgine (682). La fama. 340. La vera poesia, degna encomiatrice del merito, ha fatto Dea anche la Fama « Che trae l’u
encomiatrice del merito, ha fatto Dea anche la Fama « Che trae l’uom del sepolcro, e in vita il serba, » dandole per genit
e per udire orecchi. Vola di notte per l’oscure tenebre Della terra e del ciel, senza riposo Stridendo sempre, e non chiude
questo animale non sopporta vincoli nè servitù. Belli sono quei versi del Monti nella Mascheroniana, coi quali allude alle
la Mascheroniana, coi quali allude alle vicende di Francia nel cadere del secolo passato. Son parole della Giustizia all’ E
ofia. Allor mal ferma in trono e sbigottita La tirannia tremò ; parve del mondo Allor l’antica servitù finita. Ma il Foscol
izione di questa maligna divinità. « Dipinse egli nella destra banda ( del suo quadro) a sedere un uomo con orecchie lunghis
ti della Calunnia. » Il dolore. 345, 3°. Il Dolore, compagno del Pentimento, è un giovine pallido e magro, coperto
a questa figlia di Giove (63) e di Temi (337), ed era la Dea tutelare del secol d’ oro, e l’ origine della felicità che in
ità. Il che non credo, perchè la Securità è dell’anima, e la Quiete è del corpo. Figureremo dunque la Quiete da noi in ques
Gli antichi immaginarono ingegnosamente che la Speranza fosse sorella del Sonno (240) che per breve tempo sospende i nostri
a è sollecita e fugace. La verità. 350. La Verità è figliuola del Tempo o di Saturno (27) e madre della Virtù ; ed
egge con la sinistra un libro aperto e una palma, che spesso è quella del martirio ; ed ha nella destra un lucido specchio,
Ecco il principio di quel componimento : « Una donna più bella assai del Sole, E più lucente, e di maggior etade, » Mandat
simo è il suo manto per simbolo di purità. Impugna l’asta, il bastone del comando, e porge la corona d’alloro, indizio dell
frutto della ragione, che si matura nel corso della nostra estate, e del quale godiamo nel nostro inverno. Felici coloro c
macchiar mai i suoi altari col sangue delle vittime. Sul rontespizio del tempio erano scolpite due destre in atto di strin
; da questo imeneo nacque Perseo. 354. Acrisio, scoperta l’esistenza del temuto nipote, lo fece esporre con sua madre in p
vè umanamente la madre ed il figlio, e dettelo a educare ai sacerdoti del tempio di Minerva. 355. Perseo nel crescere dell’
che adoperavano a vicenda ; ma questo dente era più lungo delle zanne del cinghiale, ed uno sguardo solo del loro occhio ba
to dente era più lungo delle zanne del cinghiale, ed uno sguardo solo del loro occhio bastava ad uccidere o ad impietrire g
’Inferno « Che se ’l Gorgon si mostra, e tu ’l vedessi, Nulla sarebbe del tornar mai suso » ossia, non si parlerebbe più di
eschio, e nelle sue avventure l’adoperò ad impietrire i nemici. Parte del sangue versato da Medusa produsse il mostro Crisa
nfatti, mentre Perseo recava quella testa a Polidetto, tutte le gocce del sangue che ne uscivano senza che egli se ne accor
he porta il suo nome, e Perseo potè impossessarsi dei pregiati frutti del giardino delle Esperidi. 360. Alcuni poeti dicon
la di Cefeo re d’Etiopia e di Cassiopea, era stata esposta sulla riva del mare per esservi divorata da un drago marino, in
iato di bellezza con Giunone e con le Nereidi (316). Perseo dall’alto del suo aereo viaggio scòrse la giovinetta, il mostro
ianti si mutarono in giubbilo, e le voci di maraviglia e gli applausi del popolo echeggiarono lungamente sul lido. 362. Cef
poco dopo gli accadde che volendo far mostra di destrezza nel giuoco del disco, colpì Acrisio, e lo stese morto. Così rima
e da Megapento figliuolo di Preto (462), che volle vendicare la morte del padre. I popoli di Micene e d’Argo alzarono glori
ole, ed il protetto di Giove fosse sottoposto al fratello per decreto del Fato. Così accadde ; ma non fu paga. Ercole era i
amato figliuol di Giove. Noto a Giuno superba, il divin germe Godea del ciel sereno, E col fratei posava in crocei veli :
e, Duo volanti spedia draghi crudeli, Che ratti entràr le soglie, Ove del rege partoria la moglie. Avidamente in tortuose s
di mostri insani, E strangolati li divelle in brani. (Pindaro. Trad. del Borghi.) Il Dati nella vita di Zeusi, illustrando
agini. Scherzava nella culla il bambino Ercole, quasi che si burlasse del gran cimento ; e avendo preso con ambe le mani l’
nè più lucenti nel moto, ma scolorite e livide. Sembrava che Alcmena del primo terrore si riavesse, ma che non si fidasse
. Scorgevasi appunto Tiresia (660), che vaticinando presagiva il fato del grau fanciullo il quale giacea nella culla. Era e
ran numero di discendenti chiamati Eraclidi ; e dicesi che coll’andar del tempo andarono ad assalire Eurisleo e che lo ucci
lla fine vi sarebbe perito. Questo severo comando, al quale per voler del Fato Ercole non poteva disobbedire, originò le co
razza e la sua veste. 371. Nelle paludi di Lerna vicino ad Argo città del Peloponneso era un’Idra più terribile di quel leo
re che dopo un intero anno di caccia, e l’ebbe in suo potere al varco del fiume Ladone. Allora se la recò in spalla fino a
uerriere abitatrici della Cappadocia nell’Asia Minore, lungo le coste del Mar Nero e sulle rive del fiume Termodonte in Tra
Cappadocia nell’Asia Minore, lungo le coste del Mar Nero e sulle rive del fiume Termodonte in Tracia. Addestravano le loro
suoi sgherri, e gli tolse i bovi. 380. Augia, re dell’Elide e figlio del Sole (110), aveva certe stalle che contenevano tr
nio. 382. Euristeo impose ad Ercole di andare a prendere i pomi d’oro del giardino di tre sorelle chiamate Esperidi figliuo
tà della Grecia andavan lieti d’aver vista qualche maravigliosa prova del suo valore. Ci contenteremo di citare le più note
cano (270), era uno sfrontato masnadiero che s’appiattava in un antro del monte Aventino, uno dei sette colli ove fu poi fa
cole avea tolti a Gerione e condotti in Italia a pascere sulle sponde del Tevere ; e s’argomentò di nascondere le tracce de
scere sulle sponde del Tevere ; e s’argomentò di nascondere le tracce del furto facendoli camminare all’indietro nel tradur
rto in sua vece Alceste allora non esitò a dar la sua vita per quella del marito, e compiè generosamente il sacrificio : …
oserpina ; ed accetto Anco l’ebb’ella indissolubilmente. Secura in me del morir mio già stommi, Cui nulla ormai può toglier
virtude ; Pronta (son certa), ove il sapesse, a darsi Vittima a Stige del suo figlio in vece : Ma tu poi, di’, tu che sol v
lo, Ecco, che a forza ricadea l’orrendo Scambio, se primo eri ad udir del Nume La terribil risposta. Onde mia cura Fu di ca
torno aver secondo Potesse alfin dal visitato mondo. (Pindaro, trad. del Borghi.) 391. Tanta gloria non bastò per render
uto d’amore per Dejanira, principessa già fidanzata ad Acheloo figlio del Sole e della Terra. Ercole vinse il rivale in sin
ma non sì tosto ebbe indossato la fatai veste, che il violento fuoco del veleno gli serpeggiò per tutte le membra, e lo de
tinte nel sangue dell’ Idra di Lerna (372), senza le quali, per voler del Fato, Troja non avrebbe potuto esser presa ; e ta
templi, uno dei quali, tra’ più celebri in Roma, era detto il Tempio del grand’ Ercole. 400. Questo Eroe spesso è chiama
busto, con rilevata muscolatura e faccia severa, coperto con la pelle del leone di Nemea (370), ed appoggiato con dignitosa
bbe per padre Egeo re d’ Atene, e per madre Etra, figlia di Pitteo re del Peloponneso, che lo educò nel borgo di Trezene ne
riconoscere. Appena giunto a sedici anni, Teseo potè cingere la spada del padre, e saputa la propria origine, andò a rintra
andò a rintracciarlo. 405. Ma prima di darsi a conoscere quale erede del trono d’ Atene, risolse di mostrarsene degno ; e
dea, la scacciò dai suoi stati. 407. Poichè Teseo fu dichiarato erede del trono, dette maggiori prove del suo coraggio, tru
407. Poichè Teseo fu dichiarato erede del trono, dette maggiori prove del suo coraggio, trucidando un gran numero di scelle
assacrato da Teseo ; o, secondo altri, cadde per sollevazione in mano del popolo stanco della sua tirannide : e fu il secon
sua tirannide : e fu il secondo a morire arso nell’ orrendo supplizio del toro di bronzo. Severa lezione ai malvagi, che co
ccise, e ne prese la clava, che d’ allora in poi recò seco in memoria del fatto. 413. Cercione o Sinnide era un altro flage
tauro, mostro con effigie umana e corpo di toro. 415. Pasifae, figlia del Sole (110) e moglie di Minosse II re di Creta ave
vi per tributo ogni anno sette giovani tirati a sorte per esser pasto del Minotauro. 416. Forse questo tributo non era alt
la storia narra che fu loro imposto da Minosse per vendicare la morte del suo figlio Androgeo ucciso da alcuni giovani aten
o di quelle vittime, e che dette all’ eroe un gomitolo di filo, mercè del quale potè ritrovare la via, ed uscire dal Laberi
o in Egitto, fabbricato da dodici re, secondo Erodoto 86 in vicinanza del lago Meride non lungi da Arsinoe, e fu annoverato
l lago Meride non lungi da Arsinoe, e fu annoverato fra le maraviglie del mondo. Conteneva tremila stanze in dodici grandi
ttà di Gnosso, fatto sul modello dell’ egiziano, e destinato a dimora del Minotauro. 421. Dedalo, uno de’ più abili artefi
zito di così bella invenzione, e non obbedendo alle savie ammonizioni del padre, volle volare troppo alto vicino al sole ;
à nelle arti meccaniche. È creduto inventore della sega, della lima e del compasso. Per queste scoperte ottenne tanta riput
96) di mandare ogni anno a Delo ad offrir sacrifizj in ringraziamento del buon esito della sua impresa. Così tutti gli anni
eseo, insieme con l’ emulo e amico Piritoo, volle andare sulle sponde del Termodonte incontro alle Amazzoili (373), per ave
daro erano mortali, e quelli di Giove parteciparono dell’ immortalità del padre. Nonostante i poeti sogliono chiamare Tinda
o Giasone (448) nella Colchide, ed ebbero molta parte nella conquista del Vello d’ oro (449). Nel tempo di una furiosa proc
nato da Giove (63). 446. Polluce, pieno d’ afflizione per la morte del fratello, scongiurò Giove affinchè lo facesse imm
va di buon grado il potere, gli propose d’ intraprendere la conquista del Vello d’ oro, gloriosissima impresa e piena di ri
Aeta gli donò in moglie la figliuola, ma poi invidiando le ricchezze del genero, entrò per violenza al possesso del Vello
oi invidiando le ricchezze del genero, entrò per violenza al possesso del Vello d’ oro. 88 451. Giasone, essendo nell’ età
loria, colse avidamente l’ occasione d’ acquistarne ; e la spedizione del Vello d’ oro, divulgata per tutta Grecia, gli pro
452. Tutti questi prodi salirono sopra un naviglio a cinquanta remi, del quale Minerva stessa aveva dato il disegno. Il le
0 anni prima della guerra di Troja. 453. I pericoli poi dell’ impresa del Vello d’ oro erano molti e gravi : Giasone doveva
e guidarli ad arare quattro jugeri di terreno, per seminarvi i denti del drago già ucciso da Cadmo. Da quei denti sarebber
o : e finalmente v’ era da uccidere un mostro enorme posto a custodia del Vello d’ oro ; e tutto questo doveva esser compit
enne felicemente a capo di tutto, ma con l’ ajuto di Medea, figliuola del re Aeta (450), la quale per voler di Giunone e di
quale non rimaneva altro scampo che la fuga per sottrarsi allo sdegno del padre ; ma il re inseguiva minaccioso i fuggitivi
cati dalla paura non risparmiarono iniqui mezzi per rattenere i passi del furibondo. Sfuggiti alle sue ricerche, e pervenut
ch’ ella aveva fatto per lui, e la ripudiò per isposare Glauca figlia del re di Corinto. La lega tra i malvagi non produce
a tentasse dipoi d’ involgere nelle sue frodi anche Teseo (406) erede del trono d’ Atene ; ma scoperta da Egeo la sua malva
cuni autori non dipingono Medea tanto iniqua, e l’ accusano solamente del delitto d’ avere abbandonato il padre fuggendo co
della sua imprudente condotta. Medea, che era dotata della cognizion del futuro, gli aveva predetto la morte per causa del
Argonauti ; e infatti mentre egli passeggiava un giorno sulla sponda del mare dietro quella nave tirata a secco, gli rovin
rimi nove giorni della sua dimora appo lui. Ma poi, aperte le lettere del genero, mutò contegno ; e non volendo neanch’ ess
e in cielo col Pegaseo ; ma Giove fece pungere da un insetto il piede del destriero, che lo precipitò sulla terra, e così l
del destriero, che lo precipitò sulla terra, e così l’ eroe fu punito del suo orgoglio. Tuttavia, secondo alcuni, risplende
ta da tanto dolore, commosse le divinità infernali ; e lo stesso Nume del Tartaro impietosito gli concesse Euridice, ma a p
ansuefatti dagli armoniosi concenti. Riporterò qui il gentile sonetto del Parini, intitolato Il Lamento di Orfeo. Qual fr
tennero per loro Dio. In Sicilia acquistò celebrità lo squisito miele del monte Ibla. Arione. 478. Arione, poeta e
ollocato da Giove fra gli astri, in una costellazione vicina a quella del Capricorno (676). È già comune opinione che il de
ndavano da sè stesse a collocarsi l’una sull’altra. Ingegnoso emblema del potere della poesia e della musica, ossivvero del
suasione, dell’esempio e dell’eloquenza, usata dai primi incivilitori del genere umano sopra quelli uomini rozzi, i quali d
485. Cadmo la cercò inutilmente ; e non potendo ritornare negli stati del padre, consultò l’oracolo di Delfo per sapere in
condotto in un bosco, ed ivi esposto alle fiere. 492. Forba, pastore del re di Corinto, ritrovò a caso questo bambino sul
verso la Focide. 495. Appunto questa sua premura di fuggire i decreti del Fato lo trasse ad offendere il padre senza conosc
finge poi era destinata a perire appena avesse trovato lo scioglitore del suo enimma. 499. Edipo, mosso dalla ricompensa e
ssa nel mare. 500. edipo , dopo aver liberato i Tebani dalle stragi del mostro, fu proclamato re di Tebe, ed ebbe due fig
03. Allora inorridito di sè medesimo, non potè più sostenere la vista del sole, degli uomini, della sua persona, e si accec
e la regai fanciulla, Cui le tenere membra offende il gelo, O l’ardor del meriggio, e il piè si stanca Sull’aspra via di fa
arli A me di nozze e di regai fortuna ? È pei Creonti il trono ; ebbi del regno Parte migliore, il genitor diletto. Vivo pe
505. Eteocle, figlio maggiore di edipo (491), dopo la partenza del padre, divise col fratello Polinice il trono di T
pito dal fulmine a questa risposta, non vuole acconsentire alla morte del figlio ; offre sè stesso per vittima, e interroga
ccesi al fraterno odio perchè venissero a quelli estremi, s’impadronì del trono, e vietò severamente gli onori della sepolt
a ad ammaestrare i popoli sulle luttuose conseguenze dell’ambizione e del dispotismo. Emone, figlio di quello scellerato di
sima lancia ; era tratto da due cavalli invincibili, perchè figliuoli del vento. 513. Già tredici sventurati amanti erano s
igliuolo di Mercurio (160) e cocchiere d’Enomao, fece sì che il carro del principe si rovesciasse ; ed Enomao perì nella ca
offesa. 516. Tieste ebbe a figliuolo un Egisto, che si rese più empio del padre suo per vendicarlo. A suo tempo il giovine
iunone (85) e Minerva (262), deliberate anch’esse di pigliar vendetta del preteso affronto ricevuto da Paride (597) nel giu
a Dea ; 4° Che impedissero ai cavalli di Reso (570) di bever le acque del Xanto (520) ; 5° Che Troilo figlio di Priamo (587
rando parte delle mura perch’ei passasse, e lo collocarono alla porta del tempio di Minerva (262). Ma la notte seguente, me
erano in preda all’ebrezza od al sonno, i soldati uscirono dal ventre del simulato cavallo, introdussero l’armata greca nel
no chiamati gli Atridi. 527. Agamennone, dopo essere stato spogliato del trono d’Argo da Tiesle (514) suo zio, si rifugiò
io, si rifugiò alla corte di Tindaro (441) re di Sparta ; con 1’aiuto del qual principe cacciò da Argo Tieste, uccise Tanta
salvezza alla protezione di Venere (170) che, per sottrarlo ai colpi del vincitore, lo ravvolse in una nube (cioè a dire c
tacolo per Egisto, che non avrebbe risparmiati nuovi delitti per amor del trono ; ma la sorella Elettra (527), che vegliava
finalmente assalire Egisto ed ucciderlo ; ma fu tanto il cieco impeto del giovine ardimentoso in quell’incontro, che, non v
so in quell’incontro, che, non vedendo Clitennestra accorsa in difesa del tiranno, ebbe la sventura di ferire a morte anche
a sventura. Ma Oreste fu arrestato prima che potesse compire il ratto del simulacro ; e il costume di quel paese voleva che
di Licomede re di Sciro, dove poi sposò segretamente Deidamia figlia del re, e n’ebbe Pirro (543). Dante cita questo fatto
a figlia del re, e n’ebbe Pirro (543). Dante cita questo fatto nel IX del Purgatorio per fare un paragone con sè medesimo :
om che spaventato agghiaccia. 538. Ma Ulisse (568) potè aver sentore del nascondiglio d’Achille, e adoperò ogni artifizio
tesa nata fra lui ed Agamennone privò lungo tempo i Greci dell’ aiuto del suo valore. 539. Agamennone aveva fatto prigionie
dovè liberare la giovine Briseide, prigioniera di guerra nella tenda del Pelide. Egli allora sdegnatone all’ estremo si ri
che da sè stesso andò a’ piedi d’Achille per implorar pace alle ossa del vinto figliuolo (594). 541. L’amore doveva essere
iarsi vincere da molle affetto, finchè la patria avesse avuto bisogno del suo valore. Ma egli, avendo conosciuto in tempo d
nò sopra la sua flotta, e la immolò ai mani d’Achille, presso la riva del Chersoneso. 542. Quando Teti ebbe saputa la morte
presso la riva del Chersoneso. 542. Quando Teti ebbe saputa la morte del suo figliuolo, uscì dal seno delle acque, accompa
figliuolo d’Achille (536) e di Deidamia (537), fu educato alla corte del re Licomede (439) suo avo materno ; e dopo la mor
che aveva allora diciotto anni. 544. La smania di vendicare la morte del padre lo rese uno dei più tremendi nemici dei Tro
to l’obbligava a nascondere il luogo dove erano sepolte con le ceneri del figliuolo d’AIcmena (364). Tuttavia essendo voler
con le ceneri del figliuolo d’AIcmena (364). Tuttavia essendo volere del fato (521) che Troja non potesse cadere senza l’u
sa nè tradire le speranze dei Greci, additò con un piede la sepoltura del grand’eroe. 547. Nonostante Filottete aveva manca
o dei capi della spedizione contro Tebe (505), fu educato alla scuola del celebre Chirone (530), insieme con gli altri eroi
sate in proverbio. Nè è qui da tacere ciò che narrano Omero e Pindaro del figliuolo di Nestore, chiamato Archiloco, il qual
il quale sotto le mura di Troja sacrificò la sua per salvare la vita del genitore : Ecco al Nestoreo cocchio s’implica De
novera tra i figli eroi L’antica etade. Tai giorni volsero……… (Trad. del Borghi.) Protesilao. 556. Il primo a scen
edova ad un tempo chiese almeno agli Dei la grazia di riveder l’ombra del marito, ed essendole apparsa, morì di dolore ment
e com’ esso ardito, impetuoso ed invulnerabile, fuorchè in una parte del petto soltanto a lui nota. Cosi, quando Bellona
esse all’ amico un figliuolo con la pelle impenetrabile quanto quella del leone di Nemea (374) ch’ ei soleva portare per su
. Nacque infatti il fanciullo, ed Ercole, avvolgendolo entro la pelle del leone, lo rese invulnerabile, eccettone il luogo
ntero con Ettore (591), finché stanchi ambedue, e mara vigliati l’uno del valore dell’altro, posarono le armi, e si scambia
non resse alla vergogna, e si ferì con la propria spada. Sorge talor del debole L’arte a domar l’audace : Cesse all’astuto
ro, Cagion porgendo ai secoli Di cantico immortal. (Pindaro, Traduz. del Borghi.) 566. Dal sangue d’ Ajace spuntò un fiore
re simile al giacinto, sul quale paiono impresse le due prime lettere del suo nome A J. Anche Giacinto fu trasformato nello
e la sua finta pazzia, s’ era posto ad arare la sabbia sulla spiaggia del mare, ed a seminarvi sale invece di grano. Ma Pal
involarono i suoi cavalli prima che potessero abbeverarsi alle acque del Xanto, fiume della Troade. 4° Fece risolvere Tele
sso altrettanto, sbucarono tutti dalla caverna, passando fra le gambe del gigante mentre il suo gregge usciva alla pastura.
stesso approdare all’isola d’ Ea abitata da Circe, bellissima figlia del Sole. Questa Dea, sendo esperta nella magia, usò
umana in virtù d’un’erba che gli era stata data da Giove. Con l’aiuto del medesimo Dio obbligò Circe a restituire le primie
trattovi dal desiderio di conoscere lo stato dell’anima dopo la morte del corpo, e per consultare il famoso indovino Tiresi
creti, e sapevano servirsi da sè medesimi ; la moglie dava l’ esempio del lavoro e dell’ economia ; e Nausica sua figlia, b
li. Intanto che il sole le asciugava, Nausica, aspettando il declinar del giorno, s’era messa a scherzare innocentemente co
frode ascose, E deluse gli Achei…. (Omero, Odissea Lib. II, traduz. del Pindemonte.) Ed aggiunse che non potendo ormai op
die lo respingevano come un incognito, e nacque scompiglio alla porla del palazzo ; Ulisse vi accorreva per sedarlo ; e sen
pe far lieta, Vincer potero dentro a me l’ardore Ch’io ebbi a divenir del mondo esperto, E degli vizj umani e del valore :
l’ardore Ch’io ebbi a divenir del mondo esperto, E degli vizj umani e del valore : Ma misimi per l’alto mare aperto Sol con
cidente ; A questa tanto picciola vigilia109 De’ vostri sensi, ch’ è del rimanente, Non vogliate negar l’ esperienza, Dire
h’ è del rimanente, Non vogliate negar l’ esperienza, Diretro al sol, del mondo senza gente. Considerate la vostra semenza 
el mattino,110 De’remi facemmo ali al folle volo, Sempre acquistando del lato mancino.111 Tutte le stelle già dell’ alto
to polo Vedea la notte, e ’l nostro tanto basso, Che non sorgeva fuor del marin suolo. Cinque volte racceso, e tante casso1
tornò in pianto113 Chè dalla nuova terra un turbo nacque, E percosse del legno il primo canto. Tre volte il fe’girar con t
come i dadi e gli scacchi, per dare a’Greci un passatempo nelle noje del lungo assedio. Personaggi primarj Dell’arma
suoi figli, con immensi tesori, ed ella trovò sulla spiaggia il corpo del giovinetto che Polinestore aveva fatto uccidere p
segli addosso lo accecarono, e spensero la sua prole. 590. Le guardie del principe sleale la inseguirono per lapidarla, e d
uba trista, misera e cattiva, 116 Poscia che vide Polissena morta, E del suo Polidoro in su la riva Si fu del mar la dolo
cia che vide Polissena morta, E del suo Polidoro in su la riva Si fu del mar la dolorosa accorta, Forsennata latrò si come
592. Patroclo (539), figlio di Menezio, volendo rattenere i progressi del vincitore, indossò le armi d’Achille suo amico, r
Trojani, e sfidò Ettore a singoiar battaglia, ma cadde sotto la possa del Priamide. 593. Il desiderio di vendicare la mort
dicare la morte dell’amico fece tornare Achille nel campo. Alla vista del tremendo guerriero chiedente ad alle grida la vit
po. Alla vista del tremendo guerriero chiedente ad alle grida la vita del suo nemico, Ecuba e Priamo tremano pei giorni del
alle grida la vita del suo nemico, Ecuba e Priamo tremano pei giorni del loro figliuolo, e lo scongiurano a non combattere
rlare d’accordi, perchè a placare l’ombra di Patroclo è poca la morte del suo uccisore. Gli eroi si scagliano contro le lor
iri. E Andromaca, la sventurata moglie d’Ettore, lamentando la sorte del figliuolino Astianatte, diceva : ………….. Abbandon
imesso il volto, e lagrimosa La smunta guancia. Supplice indigente Va del padre agli amici, e all’uno il saio, Tocca all’al
ginocchio……. 594. Così il palazzo di Priamo era divenuto la magione del duolo. E il vecchio padre, non potendo finalmente
padre, non potendo finalmente più sopportare il pensiero che il corpo del valoroso Ettore dovesse rimanere insepolto e nell
are non visto davanti al campo de’Greci, e fecelo entrare nella tenda del Pelide che era tuttavia a mensa : …….. Il venera
il bianco suo crin commiserando Ed il mento canuto. (Omero, Versione del Monti.) Indi si diè a confortarlo, e volle ristor
te (529) avea predetto che, sopravvivendo, sarebbe stato più valoroso del padre, e ne avrebbe un giorno vendicata la morte,
sottrarlo alla persecuzione dei nemici, lo aveva nascosto nella tomba del marito. Ma la tenerezza materna, che le facea vol
d’Ettore, si ritrovò, dopo la caduta della patria, ad essere schiava del figliuolo dell’uccisore di suo marito (545), che
imanente della sua vita, perchè non potè mai consolarsi della perdita del suo caro Ettore, nè di quella dell’innocente Asti
sso dalle preghiere della madre, lo dette ad allevare a certi pastori del monte Ida. Paride in breve si fece chiaro tra i p
rva sapienza e virtù ; e Venere il possedimento della più bella donna del mondo. 600. Paride, che tanto era bello quanto va
inerva (522). Laocoonte asseriva che quella macchina era un artifizio del nemico per entrare nella città ; ed affinchè foss
inchè fossero persuasi della verità de’suoi detti, lanciò nei fianchi del cavallo il suo giavellotto, e udissi tosto il cup
feriva, Qual mugghia il toro, allor che dagli altari Sorge ferito, se del maglio appieno Non cade il colpo, ed ei lo sbatte
ti, a’piè di lei si raggrupparo. (Virgilio, Eneide. Lib. II. Traduz. del Caro.) Altri narra che il misero padre avesse nel
antiche in quella Roma che ne meritò il retaggio. Questo capo lavoro del Laocoonte è attribuito allo scalpello di Polidoro
va. 609. Nella notte dell’eccidio di Troja dette le più alte prove del suo valore ; ma debole troppo per resistere a tan
parte, E dispersi n’ha tutti……….. (Virgilio, Eneide. Lib. I. Traduz. del Caro.) 611. Didone era figlia di Belo re di Tiro,
di Belo re di Tiro, e fuggì dalla patria per involarsi alle crudeltà del fratello Pigmalione, che aveva assassinato Sicheo
ità. 614. Tornato che fu dall’inferno andò ad accamparsi sulle sponde del Tevere, dove Cibele (40) trasformò in ninfe le su
e posto un termine alle sue peregrinazioni, andò a visitare Latino re del Lazio, il quale, avvertitone dall’oracolo, favore
isogno di pigliar moglie. Furono esauditi i suoi voti ; e dalla pelle del bove che aveva ucciso nacque Orione, celebre pel
eso nei Campi Elisi. 619. Orione era inoltre uno dei più belli uomini del suo tempo, ed aveva la statura sì appariscente, c
te capace di uscir fuori dell’acqua con la testa camminando nel fondo del mare. Una volta ch’egli attraversava così l’Arcip
nza rimedio. Tuttavia credè di poterlo diminuire facendogli gli onori del funerale, vale a dire, impetrando da Giove che fo
ove, che ne li volle ricompensare, ordinò loro di seguirlo sulla cima del monte, dove rivoltisi a guardare in giù, videro i
to a chi brama significare in carte, in marmi ed in tele la tenerezza del filiale affetto. Ed oh ! come l’ingegno dell’arti
, ebbe la gloria d’uccidere il mostro ; e siccome Atalanta, figliuola del re d’Arcadia vivamente amata da lui, era stata la
Bacco, potè liberare di carcere la sorella, e imbandito con le membra del fanciullo Iti, figliuolo di Tereo, un atroce banc
vede ingegnosamente adombrata in questa favola la suprema contentezza del genio creatore dei miracoli dell’arte ? Atala
li raccoglie, perde tempo, riman vinta, e le convien darsi in premio del vincitore. Così la fatalissima seduzione dell’oro
ono a consultare la dea Temi (336) che pronunziava oracoli alle falde del Parnaso, e che ordinò loro di velarsi il capo e d
ommerse quelle campagne. I venti. 651. I Venti erano Dei figli del Cielo (25) e della Terra (25), che secondo gli an
ndo fiori con ambo le mani dovunque passa ; gli resta dietro il levar del sole, ed è bruno in volto, perchè soffia dalla pa
do ad ogni angolo la figura d’uno dei Venti corrispondente alla parte del cielo onde spira. Epimenide. 658, 2° Epime
ormì per cinquantasette anni di seguito. Alla fine svegliatosi, cercò del gregge, e non trovandolo corse tutto dolente al v
a. Così con bella immagine è simboleggiata la soavità dell’ eloquenza del sapiente, e la immortalità del vero. Gl’ Indo
mboleggiata la soavità dell’ eloquenza del sapiente, e la immortalità del vero. Gl’ Indovini. 659. La predizione del
e, e la immortalità del vero. Gl’ Indovini. 659. La predizione del futuro formava una scienza tutta fondata sulla su
. Tiresia vantava l’esser suo da uno di quei guerrieri nati dai denti del serpente, che Cadmo seminò nella terra a tempo de
sser grama. Quindi passando la vergine cruda136 Vide terra nel mezzo del pantano, Senza cultura, e d’abitanti nuda. Li, pe
cò. Giove per consolarlo fecelo diventare uno dei più grandi indovini del suo tempo, e ne prolungò la vita oltre cinque sec
nto per cui Tiresia perdette la vista. Leggiamolo in questi bei versi del Foscolo, nell’inno alle Grazie : Innamorato, nel
l’ aure. Ma né più salutò dalle natie Cime eliconie il cocchio aureo del Sole, Né per la coronea selva odorata Guidò a’ lu
; e gli Oropi, popolo dell’ Attica, gli alzarono un tempio, l’oracolo del quale diventò famoso quanto quello di Delfo. Per
per terra la pelle, dormirvi sopra, e aspettare in sogno la risposta del Nume. 664. Calcante ebbe in dono da Apollo (96) l
osta del Nume. 664. Calcante ebbe in dono da Apollo (96) la cognizion del presente, del passato e del futuro, e fu gran sac
664. Calcante ebbe in dono da Apollo (96) la cognizion del presente, del passato e del futuro, e fu gran sacerdote e indov
ebbe in dono da Apollo (96) la cognizion del presente, del passato e del futuro, e fu gran sacerdote e indovino dell’eserc
chiamarono Sibille certe donne alle quali attribuivano la cognizione del futuro e il dono di predirlo. Questa parola che s
hicchessia. Questa raccolta d’oracoli restò incenerita nell’ incendio del Campidoglio sotto la dittatura di Silla, e vi fur
ornan sovente, e mal di lei s’appagano.138 (Eneide, lib. III, Trad. del Caro.) 668. Questa Sibilla, nata a Cuma, aveva
risposta. La Pitia non voleva salire sul tripode, e allegava la legge del divicto ; ma egli sdegnandosi della resistenza, l
ibile. Alessandro non volle altri oracoli, e andò a fare la conquista del mondo. Giuochi pubblici, cerimonie religiose
cittadino che l’avesse saputo meritare. La famiglia, la patria stessa del vincitore diventavano celebri in tutta la Grecia 
, nel libro V dell’ Eneide canta quelli co’ quali Enea onora l’ ombra del padre Anchise. Ma chi brama più ampie notizie dei
ietato di pigliar parte in questi giuochi alle donne ; ma con l’andar del tempo alcune vi si recarono in abiti maschili, os
arono la corona. Ma appena l’ebbero essi ricevuta, la posero sul capo del loro padre ; e prendendolo sulle spalle lo condus
lio, in cui l’ amor di patria era sprone al valore, spregiando i doni del tiranno, gridò che egli era di Mileto, e fece sco
o il fio. Milone di Crotone nel Brutium (Abruzzi) superò tutti quelli del suo tempo. Era stato visto mettersi sulle spalle
delle sentenze sparse nelle Odi di Pindaro, e scelte nella traduzione del Borghi, le quali sentenze saranno intanto come un
vvisar dai prodi. Talor, ben prima che l’età sia stanca, Sulla fronte del prode il crine imbianca. Nelle bell’opre alla vir
le dopo aver debellato Augia (380) re d’ Elide, usò le ricche spoglie del tiranno e della sua città ad aprire questo pubbli
origine le Olimpiadi, il più antico e più celebre sistema cronologico del quale si sieno valsi i Greci, e che fu adottato d
vinse nella corsa, e continuarono in numero di 294 fino al principio del quinto secolo dell’èra cristiana. 672. I Giuochi
Pitii che celebravansi ogni quattro anni nella città di Pitona appiè del monte Parnaso, o dalla città medesima o dal serpe
fatta nel circo dedicato a Nettuno od al Sole (110) ; i combattimenti del disco, del pugillato e d’ogni altra sorta celebra
irco dedicato a Nettuno od al Sole (110) ; i combattimenti del disco, del pugillato e d’ogni altra sorta celebrati nell’ An
vvolti in largo manto. Si posero quindi in ordinanza a piè dell’atrio del tempio, donde era il principio dello stadio ; e,
lando dalle allargate nari, scotevano la polvere con l’ugna e i crini del collo, altieramente nitrendo. Dentro i cocchi, al
eggia il centro delle rote di quel carro che precede ; il condottiero del quale, volgendosi alquanto a tal vista, esorta pa
ia. Ma la fortuna decise spiacevolmente quella nobile contesa, invece del valore. Posciachè, avendo alla fine i foschi dest
è, avendo alla fine i foschi destrieri trascorso a segno, che la rota del cocchio loro corrispondeva ai cavalli dell’altro,
a atletica. Non erano così alte e smisurate le sue membra come quelle del competitore, ma formate con piacevole proporzione
tutti concordi nella propensione, perchè vinti dalla bellezza divina del giovine atleta, che desideravano ottenesse la cor
so dal pericoloso cimento. Ed invero, considerando la mostruosa forza del competitore di lui a fronte di quelle membra così
to di nuovo discosti, ed il Cretese fremeva nel vedersi, al principio del cimento, quasi sul punto di essere superato, pare
che valore la competenza di così delicato garzone. Che se la vergogna del vano colpo non l’avesse animato a sdegno, forse a
allargando le gambe spiccò un salto, per cui rimase di nuovo a tergo del suo deluso competitore. Questi, feroce anzichè ar
cine sembianze, offrendo agli occhi una piacevole differenza il volto del giovine cosi leggiadro, a canto del satirico e po
una piacevole differenza il volto del giovine cosi leggiadro, a canto del satirico e polveroso del contrario atleta. Quando
il volto del giovine cosi leggiadro, a canto del satirico e polveroso del contrario atleta. Quando costui, impaziente della
rso dell’arena ; passeggiando in attitudine trionfale all’alto seggio del giudice atletico, che pose la corona su le tempie
i ludi Oreste venne. E là primiera ad alta voce udendo Bandir la gara del pedestre corso, Entrò splendido in lizza e maesto
n sottrarsi Tenta l’uom, benchè forte. Il di seguente, Che al surgere del sole era il certame Delle quadrighe, in campo anc
per parlare con le teorie dell’astronomia, se si prendono nove gradi del cielo, tanto da una parte quanto dall’altra dell’
lo Zodiaco. L’origine di queste costellazioni è sepolta nelle tenebre del tempo. Si leggono nella Bibbia i nomi d’ Orione,
iani e chi finalmente ad un altro popolo asiatico anteriore a questi, del quale siasi perduto perfino il nome. Ognuna delle
ire le tradizioni mitologiche, diremo : 677. L’ Ariete è quel caprone del Vello d’oro (419) che fu immolato a Giove (63) e
o nei deserti della Libia. Intanto il segno dell’ Ariete, condottiero del minuto bestiame, annunzierebbe lo spuntar dell’er
di scagliare una freccia ; lo che potrebbe anche denotare la violenza del freddo e la rapidità dei venti in quel tempo. Cre
, cominci ad andar sempre in su come fa la capra Amaltea (29) nutrice del padre degli Dei. 687. Chi non dirà che l’ Aquario
e : Non vive ei forse anche sotterra, quando Gli sarà muta l’armonia del giorno, Se può destarla con soavi cure Nella ment
, sacre le reliquie renda Dall’insultar de’ nembi e dal profano Piede del vulgo, e serbi un sasso il nome, E di fiori odora
le cerimonie funebri dei popoli antichi ; il Costume Antico e Moderno del Ferrario sodisfa in parte al bisogno degli artist
i nemici ponevano per prima condizione di rendere ai parenti il corpo del vinto perchè avesse onorata sepoltura. Così escla
e nell’invitare a singolar battaglia i nemici eroi : Eccovi i patti del certame, e Giove Testimonio ne sia. Se il mio nem
 : ma il mio corpo renda, Onde i Trojani e le trojane spose M’onorino del rogo. Ov’io lui spegna, Ed Apollo la palma a me c
llo la palma a me conceda, Porteronne le tolte armi nel sacro Ilio, e del Nume appenderolle al tempio : Ma l’intatto cadave
ea pietade e di sepolcro Su l’Ellesponto. (Iliade, lib. VII, Traduz. del Monti.) 692. Patroclo, benchè morto in gnerra e f
ettò quattro corsieri D’alta cervice e due smembrati cani Di nove che del sir nudria la mensa. ………………… ……. Destò del fuoco
smembrati cani Di nove che del sir nudria la mensa. ………………… ……. Destò del fuoco in quella L’invitto spirto struggitor, che
o Ne’regni anche di Pluto : Ecco adempite Le mie promesse. ………………… Ma del morto Patróclo il rogo ancora Non avvampa. Allor
per Anchise : Generosi e magnanimi Trojani, Degna prole di Dardano e del Cielo, Questa è l’amica terra, ov’oggi é l’anno C
del Cielo, Questa è l’amica terra, ov’oggi é l’anno Ch’a le sant’ossa del mio padre Anchise Demmo requie e sepolcro, e i me
estra, al cesto, a l’arco. Ognun vi si prepari : ognun ne speri Degna del suo valor mercede e palma. E voi datevi assenso,
alfin si ricondusse. Rinnovellò gl’incominciati onori Il frigio duce, del serpente incerto, Se del loco era il genio, o pur
ovellò gl’incominciati onori Il frigio duce, del serpente incerto, Se del loco era il genio, o pur del padre Sergente o mes
Il frigio duce, del serpente incerto, Se del loco era il genio, o pur del padre Sergente o messo ; e com’era uso antico, Ci
verde prato a convivar si diero. (Virgilio, Eneide, lib. V, Traduz. del Caro.) 694. Lo stesso Enea con non minor pompa co
e gettarne il corpo nel Nilo. 700. Iside, saputo il fine lacrimevole del fratello, fece di tutto per rintracciarne le spog
o numero d’anni, dopo i quali i sacerdoti lo conducevano sulle sponde del Nilo, e con solennissima cerimonia e coi segni di
l tempio chiudendosi le orecchie con ambe le mani ; quand’erano fuori del santuario le riaprivano, e la prima parola che ud
riaprivano, e la prima parola che udivano, era presa per la risposta del Nume. 704. Anche gli Egiziani istituirono annue f
ride e d’Iside, nelle quali la cerimonia principale era l’apparizione del bue Api. La festa d’Iside 143 era celebrata nell’
a nell’anniversario dell’epoca nella quale essa aveva pianto la morte del fratello. Appunto allora le acque del Nilo cominc
uale essa aveva pianto la morte del fratello. Appunto allora le acque del Nilo cominciavano a crescere ; e gli Egiziani dic
igura d’uomo con la testa di sparviero, perchè quest’uccello, emblema del sole, ha la vista acuta e rapido il volo. A Osiri
indicare il perpetuo movimento della natura, il secondo la fecondità del Nilo. Talora ha in capo un velo svolazzante ; il
ostruita apposta ; e sulla vela erano scritti a grandi lettere i voti del popolo per ottener da lei felice navigazione. I s
stesso uso. Dove era adorato il coccodrillo e dove l’icneumone nemico del coccodrillo ; in un luogo il montone, in un altro
e che veniva da loro adorato sotto il nome di Mitra, e il fuoco sacro del quale tenevano religiosa custodia, non erano altr
avato la dottrina dei due principii con la quale spiegavano l’origine del bene e del male. 715. Il principio o genio buono,
ttrina dei due principii con la quale spiegavano l’origine del bene e del male. 715. Il principio o genio buono, Oromaze, e
on le due rimanenti scrive sopra certe olles o libri indiani, simboli del potere legislativo. Siva. 721. Questo Dio
dei Galli, i quali riconoscevano in esso il principio attivo, l’anima del mondo ; e le sue cerimonie erano celebrate al lum
e quando lo scongiuravano a comunicare la sua sapienza alle assemblee del popolo ; e sotto quella di un giavellotto se impl
lo stesso Nume, poichè, come dicemmo parlando di Teutatète, la statua del loro supremo Dio era un’altissima querce. Fu pur
i andavano a raccorla con gran pompa. Il capo dei Druidi, al cospetto del popolo, saliva sull’albero, e segava con una falc
on erano solamente ministri di religione, ma tenevano anche le redini del governo temporale, formando una corporazione nume
Divinità scandinave. 739. Odino, conquistatore e legislatore del Nord, fu il primo ed il più antico Nume della Sca
amato Padre universale, perchè padre degli Dei e degli uomini al pari del Giove dei Greci. Ebbe anche il nome di Padre dell
equivalente all’Eolo de’Greci, e il lupo Fenris, figlio di Loke genio del male, e fratello di Hela, la morte. Divinità
uviane. — I Peruviani riconoscono per Dio supremo Pasciacamac o anima del mondo. Da lui, essi dicono, l’universo ebbe vita,
e. Il padre, detto anche Grande Spirito e Kici-Manitù, è il principio del bene ; la Madre lo è del male. Creato l’universo,
Grande Spirito e Kici-Manitù, è il principio del bene ; la Madre lo è del male. Creato l’universo, il Grande Spirito prese
unti in matrimonio i fratelli e le sorelle, lo madri e i figli, o due del medesimo sesso, o via diseorrendo. Chi volesse po
. 9. Appare evidente che questa poetica invenzione delle quattro elà del mondo sia un milo, ossia simbolo dello stato d’ i
sia simbolo dello stato d’ innocenza dell’ uomo innanzi il peccato, e del suo successivo corrompimento. 10. Saturno caccia
onnier nel 1848. Firenze. 14. I Dattili idei furono i primi abitenti del monte Ida in Frigia (forse dell’ Ida in Creta dov
ll’ iniziazione, ossia nelle aegrete cerimonie e nella acienza arcana del paganesimo. Quindi è che vanno talora confusi coi
umolpo si riceociliò con Tegirio che, non avendo prole, lo fece crede del regno di Tracia verse l’anno 1 100 avanti l’Era C
va meravigliando, ecco apparir nuove tenebre, e poi nelle ampie volte del tempio un lampeggiare continuo che svelava qua e
velava qua e là spaventevoli spettri e mostruose figure ; il rimbembo del tuone accresceva lo spavento nell’animo dell’iniz
teri. Il severo sileozio imposto agl’iniziati ci toglie la cogniziene del vero oggetto di quelle cerimonie ; ma tutti gli a
zj che avvilisceno la moltitudine, e ad istruirli interno alla natura del Creatore. Ma ci addolora il pensare che per giung
a mole presa dal gelo di morte. 19. Coloro cho ammetlono l’esistenza del gran continente atlantico, il quale, secondo essi
cha ad alcnui parve campo della guerra celesle, per altri fu la tomba del Sole o di Vulcano. La guerra poi dei Giganti, sus
terra, i lampi, i macigni scagliati in alto, e infine lo sprofondaro del monte. Quindi le due catastrofi non debbono essor
o che Giove aveva fulminato i Giganti, scpolti poi dall’immaginazione del volgo sotto i medesimi monti cruttanti fianima ch
enosa fatica. Laddove prima nel regno degli Dei, cioè nella prima età del mondo, detta dell’oro, i mortali vivevano senza l
re nell’esercizio di esse. Finalmente sì fatti mali furono il gastigo del fuoco da Prometeo rubato (70,71). Il fuoco è lo a
ubato (70,71). Il fuoco è lo atrumento delle arti. Sotto l’invenzione del fuoco vengono designate le arti scoperle che prod
a poesia creò la favola di Giove e di Leda. 23. Quaranlasetle città del Lazio rappresenlale dai loro deputati assisterono
co un pezzo, qual simbolo dell’unione che doveva regnare tra i popoli del Lazio. 24. V’è cbi attribnisce quest’oracolo ad
empio, rispose a coloro che lo conaultavano, che implorassero l’aiuto del loro compatriotta Trofonio, e andassero a cercarl
rmara, e che perciò quello stretto fosso chiamato Bosforo ossia passo del bue. 26. Credettero crroneamente gli antichi ch
questi Dci. L’altare d’Apollo a Delo pasaava per una delle msrsviglie del mondo, e lo credevano eretto da lui atesso quando
 ; e queste Dio le conaigliò il salto di Leucade. Leucade è un’ isola del mare lonio vicioa a Corfù, ed ha on promonterio d
ccorrevano a Leucade dai piò lontani paesi. Si preparavano alla prova del salto cen aacrifizj ed offerte ; credevano di pet
Millo anni più tardi Saffo, abbaudooata da Faone, si gettò dalla cima del fatale scoglio, ed ebbe il modo di dimenticar dev
pronte a raccogliero i folli saltatori ed a soccorrerli. Con l’ander del tempo avani anche la voglia di fare il salto bonc
ro che senza acomodarsi desideravano di mettere a prova la protezione del Nume, gettavano in msre della cima dello scoglio
nia andava così. a fiuire con sodisfazione di tutti. 36. L’argomento del pœma trovasi cosi esposto nella citata versione :
egli antichi, investiva e inesorabilmente ingoiava le navi. Nel luogo del vortice temuto, appena si scorge qualche maggiore
nel difficile passo. 41. Ludi magni o Circenses. 42. Promontorio del Peloponneso nella Laconia. Alle sue falde era una
o giudicati secondo le opere loro. Se il morto aveva violato le leggi del pæse, lo gettavano senza onori in un baratro chia
davano sepoltura ; e questo luogo era detto Elision, ovvero soggiorno del riposo e della gioia. Così è spiegata la favola d
ovvero soggiorno del riposo e della gioia. Così è spiegata la favola del Tartaro, quella dei giudici infernoli, di Caronte
a sua barca. 44. Rovinato. 45. Virgilio. 46. Inlendi di Saturno, e del così detto secol d’oro. 47. Antica. 48. Vedi al
consacrata o questo Dio e posta fuori delle mura di Roma sullo sponde del Tevere. Ivi i giovani romani si esercitavano alla
o gli era anche atlidata la custodia delle leggi o l’amminiatrazione del pubblico erario. I giudici risiedevano allo acope
e questo nome dall’amico verbo Meneo, ora Moneo. 59. In quest’isola del mar Egeo era un vulcano che vomilava fiamme ; edi
di Cristoforo Colombo, che nella sua maraviglioss navigazione ai lidi del Nuovo Mondo s’accorgesse dell’accostarsi ad una t
zio ! » 75. Virgilio a Dante. 76. Perché montando ambedue sul dorso del mostro dovevano esserne con dotti per discendere
ll’Etolia. Ercole vi fece alzare argini, e rese più uniforme il corso del fiume. La metamorfosi d’Acheloo in serpente indic
o del fiume. La metamorfosi d’Acheloo in serpente indica le sinuosità del suo corso, e quella in toro i danni cagionati dai
i. Ercole gli staccò un corno, ossia riunì in un sol letto due bracci del fiume ; e questo corno fu paragonato a quello dol
arsi tropp’ alto, a piangono poi la lor caduta. Ma la verosimiglianza del fatto rimane smentita dalle nuove teorie fisiche,
antasia ; e che Ercole, Teseo, Dedalo ec., doverono essere benemeriti del primo incivilimento di quei popoli, sì nella poli
Europa dell’ uccello fagiano ; c pare che lo trovassero sulle sponde del Faso, di dove, dopo aver risalito questo fiume de
Quest’isola, oggidì chiamala di Metelina, ò celebre per la fertilità del suo territorio, per i suoi vini squisiti, e per e
inni seppe sedare le discordie civili di Lacedemone. Fu patria anche del poeta Alceo e della poetessa Saffo. 92. Era d’A
one figlio d’ Anfiarao. Una sanguinosa battaglia seguita sulle sponde del fiume Glissa disfece i Tebani, quantunque avesser
o. I vinti si rifugiarono parte in Illiria e parte in Tessaglia a piè del monte Omolo. Questa seconda spedizione contro Teb
cho Troja stava presso al capo Sigeo e all’Ellesponto, nella pianura del Mendere, fra l’ Ida e il mare. 96. La descrizio
si noma. Intorno al polo Ella al gira, ed Orïon riguarda, Dai lavacri del mar sola divisa. Ivi inoltre scolpite avea due be
d’Itaca. 100. Questa statuetta era formata con le ossa di l’elope re del Peloponneso, ed aveva una certa molla nascosta pe
questa piceola vigilia de’vostri sensi (alla vostra corta vita) che è del rimanente (che vi rimane) negar l’ esperienza del
a corta vita) che è del rimanente (che vi rimane) negar l’ esperienza del mondo senza gente (negare di conoscere l’emisferi
e che è privo d’abitatori) dietro al sol (camminando secondo il corso del sole da Oriente a Occidente). 110. Verso l’Orien
. 113. Quel nostro rallegrarsi. 114. A seconda delle vorticose onde del mare. 115. Fu distrutto. 116. Prigioniera. 117
mente. 118. Prima fu collocalo nel Palazzo di Tilo. Sul principiare del secolo XVI un certo de Frédis lo trovò in una vol
lta solterranea, e lo vendè a papa Giulio II. Ora si ammira nel Museo del Vaticano. 119. Questa favols è fondata sopra uno
estiferi e all’orribile spettacolo dell’ estinta sua prole. L’eccesso del dolore la rese muta e impassibile sì che poteva e
ricasse al giungere della sera. Da questo la favola degli aurei pomi, del Drago, ec. 121. Queste due città fabbricate aull
di Tebe sacra a Bacco. 130. Tiralli, Tirolo. — Benaco, antico nome del lago detto oggi di Garda. 131. Le Alpi pennine,
i di Garda. 131. Le Alpi pennine, Alpes poenœ. 132. Verso la metà del detto lago, e precisamente ove le acque del fiume
enœ. 132. Verso la metà del detto lago, e precisamente ove le acque del fiume Tignalga sboccano nel Benaco, è un luogo, i
i ; ed ogni oracolo aveva un modo particolare per annunziare i voleri del cielo. A Delfo la sacerdotessa Pitia (la Pitoness
uomini ; lo stesso avviene della interpretazione dei sogni pei numeri del lotto e simili altre imposture. 139. VI delle Pi
ermine statuito. I Pugillatori si battevano co’ pugni talvolta armati del cesto, conaistente in una apecie di acudo di cuoi
5 (1855) Della interpretazione de’ miti e simboli eterodossi per lo intendimento della mitologia pp. 3-62
dipinge forse meglio, che il vero istesso i trasporti delle nazioni e del tempo, quando si deificavano gli stessi esistenti
resenta meglio che Alessandro il genio eroico de’ Greci Elleni ; come del pari una biografia di Numa o di Pitagora, che mol
nto la sua etimologia, e per toglierne tante volte la interpetrazione del mito istesso, e per nulla tralasciare intentato d
senza innestarsi con qualche vizio. Capitolo I. della origine del politeismo e de’ miti eterodossi, e cagioni che l
da questo stato, addivenne selvaggio, la iniziativa dalla dispersione del genere umano, e cagioni fisiche che disciolsero l
stre Vno spirto, una mente, una divina Fiamma scorrea, che l’alma era del mondo. V. Monti, i romantici. 1. C advva dalla
advva dalla intellettiva della miglior parte degli uomini la nozione del vero Dio, si vide sorgere su la terra uno spettro
bbero tempii ed altari, si placarono con vittime e sacrificti, i voti del cuore umano furono quasi tutti rivolti al temuto
le cagioni, cui dalla religione primitiva dell’ Vno si venne a quella del moltiplice, interpetrare la parola Mito nel vero
re la religione dei nostri primi padri. La religione figlia ingegnosa del cielo dipartendosi dal trono di Dio, ed appresa d
e la vera religione primitiva pura e divina, quale una candida figlia del cielo discesa in su la terra per santificare ed i
orme e con tutte le sue filosofie, l’eresie cristiane, il nominalismo del medio evo e la filosofia che predomina in Europa
li esistenti, della pluralità degli Iddii. L’uomo non uscì dalle mani del Creatore nè selvaggio, nè parvolo, ma invece adul
, la riconoscenza di sua creazione, il cum ulo interminato delle doti del Creatore, il culto e l’amore a lui dovuto, la rel
offuscata e dispersa ; con la perdita della unità sociale fu obbliato del pari il concetto creativo e della unità cosmica,
stituita una Mitografia, ed alla casta feratica fu affidata la tutela del patrimonio di cotanta insania. 4. Inoltre molte a
padre rapito al suo amore ; ora la desolazione di una madro fa un Dio del figlio, a cui la natura ha tolto addivenire un’uo
ra un padre colpito nella sua tenera posterità invoca in essa gli Dei del suo dolore ; ora il menzogniero artificio delle c
uscia dall’urna D’ un amorosa Nalade…. Il canto, che alla queta ombra del bosco Ti vien si dolce nella notte al core, Era i
degl’ Iddii, cui quegli affidavano, onde promettersi eterna felicità del loro impero, la tutela di ogni cosa, non credendo
terra ed il mare. Era questo il parlare degli uomini della prima età del mondo, e può trarsene un esempio ancora da Platon
tà assai posteriore. Ei nella sua Repubblica (5) per dare un’immagine del mondo, dell’uomo e della vita dell’uomo, descrive
catene le nostre passioni — con le ombre gli uomini stessi abitatori del globo, e la figura del mondo. E va tuttavolta in
oni — con le ombre gli uomini stessi abitatori del globo, e la figura del mondo. E va tuttavolta in uso ancor tra noi, come
e conceputo per via d’immagini ; perciocchè secondo le escogitazioni del chiarissimo autore della Scienza Nuova (6), i pri
rissimo autore della Scienza Nuova (6), i primi uomini come fanciulli del genere umano non essendo capaci di formare i gene
che sono particolari effetti di sapienza civile, riducevano al genere del sapiente civile da essi fantasticato, Mercurio Tr
o era rappresentato per via d’immagini sensibili nella prima infanzia del mondo. Quando volevasi dare un tipo del mondo, o
ensibili nella prima infanzia del mondo. Quando volevasi dare un tipo del mondo, o di potenza, o di eternità rappresenta va
alla loro intellettiva. Se ne può trarre esempio dal Saggio Politico del signor Vmboldt nella istoria degli Americani, inf
toro, come altra volta abbiamo favellato(2), di sentirsi ivi il suono del muoversi del sole dall’orto all’occaso, e di vede
tra volta abbiamo favellato(2), di sentirsi ivi il suono del muoversi del sole dall’orto all’occaso, e di vedersi le immagi
d improprii, sensi laidi ed oscurissimi, e questo avvenne anche prima del cantore dell’ Iliade, chè a’Greci importava di no
regazioni degli uomini, il culto civile, le dovizie dell’agricoltura, del commercio, lo splendore delle scienze e delle let
dio dalla coscia dello istesso Giove, Bacco ; un’altro dalle gocciole del sangue, Pegaso cavallo alato, che si voleva nato
i, tutte restarono invescate nella belletta de’sensi. E qui le parole del signor Bianchini, che mirabilmente descrive quest
ppugnare ancora le sorti, cioè di coloro che dati alla contemplazione del vero, potevano, come Tullio appresso i romani, e
ignoranti spacciando per dogmi e per massime di filosofi. L’ambizione del parto ingegnoso portavali tanto appresso a loro n
i tanto appresso a loro numi, quanto l’ammirazione sopra il rimunente del volgo. La morale, che di qui trassero accomodata
ini, chiamato civile che si prevalse degli errori e delle passioni sì del volgo, come de’ letterati, e ne compose un misto
che hanno molta attenenza con questo argomento. Alla narrazione vera del mito conceputa solo con immagini o simboli sotten
a poesia. « Ed Esiodo nella sua Teogonia parla degli Iddii come figli del cielo e della terra » Cantate, così volto in ita
iano le sue parole(2), o Muse, gli Dei immortali, figli della terra e del cielo stellato, nati dal seno della notte, alimen
dappertutto e motrice della natura, che da Pitagorici era detta anima del mondo, che con un’antico emanatismo volevano usci
i da lei usciti, tutta sopra queste intelligenze e sopra questa anima del mondo vanno raggirando la teogonia degli antichi
supremo(3), che dice essere e Dio, e la mente da lui nata, e l’anima del mondo, vuole che su di quest’anima, sorgente di t
endere, che il culto renduto a quest’anima dell’universo una al culto del Sole, della Luna e di altri corpi celesti, fu l’o
ia, ce la presentano sotto il tipo di una divinità allegorica, figlia del Sonno e della Notte, con una maschera in volto e
agge fuori lo incenso ; o quella di Clizia mutata in elitropio. Mista del pari è la favola del pomo di oro, che la Discordi
 ; o quella di Clizia mutata in elitropio. Mista del pari è la favola del pomo di oro, che la Discordia fece cadere in mezz
a Venere, ei donollo a Venere, che gli prometteva la più bella donna del mondo : favola mista di allegoria, perchè con il
gia — Iconologia di Giove e come da questa si trae la interpetrazione del mito, cui si scopre esser quegli l’etere o l’aere
intendere lo scultore in così immaginarlo 14. Giove preso per l’anima del Mondo, nozioni tolte da S. Agostino nella Città d
ndo, nozioni tolte da S. Agostino nella Città di Dio. 15. Esposizione del mito di Giove da Plutarco. 16. Bacco, figlio di G
di Nettuno, e loro significato. 19. Plutone — duplice interpetrazione del mito di questo Dio, onde si trova non essere che
nterpetrazione di questo mito. 24. Concetti tolti dalla Scienza Nuova del Vico intorno a questo nume, come ne interpetra i
uoi miti si scuopre, che con questo nume indicavasi l’apparente corso del sole ed i suoi fenomeni, pruove. 26. S. Agostino
vi alla parola. 28. Diversa interpetrazione tolta dalla Scienza Nuova del Vico. 29. Marte — come questa divinità nacque in
tà nacque in mente degli Egizii. 30. Vulcano — è una personificazione del fuoco, cui traggonsi molti vantaggi — (31). Senti
entimento della scuola stoica, cui con Vulcano può intendersi l’anima del mondo. 31. I Ciclopi compagni di Vulcano, allegor
dersi l’anima del mondo. 31. I Ciclopi compagni di Vulcano, allegoria del loro mito, cui intendonsi gl’igniti vulcani — tra
olvere dell’antichità più remota, e discoprire le cagioni produttrici del politeismo, e le origini del mito ne’varii suoi c
ota, e discoprire le cagioni produttrici del politeismo, e le origini del mito ne’varii suoi concetti, or portando nostra m
ne’varii suoi concetti, or portando nostra mente alla interpetrazione del miti degl’ Iddii in particolare, nulla diremo di
issimo suo slancio, squardo i campi dell’aere, è infine il produttore del tuono ? E per questo i Greci lo chiamavano Διος,
tutte le cose, onde Giove fu detto padre degli Dei e degli uomini ; e del pari portò il nome di Ottimo-massimo, e mille alt
anti de’poeti greci e latini. E per questo ancora Giove era detto Dio del cielo, della terra e dell’ inferno, e se ne può t
o degli abissi. 14. Altri credendo essere Giove non altro che l’anima del mondo, come mirabilmente fu esposto da Virgilio,
un anima, ed una mente trasfusa da ogni parte agitare la immensa mole del mondo, e mescolarsi dappertutto, onde trassero or
on una libera versione — Or si crede, ei dice(1), esser Giove l’anima del mondo corporeo, che riempie e muove tutta questa
e, nell’aere è Giunone ; nel mare è Nettuno ; e nelle parti inferiori del mare istesso è Salacia ; su la terra Plutone ; ne
nei frumenti ; Diana nelle selve ; Minerva negl’ingegni ; egli stesso del pari in tutta quella innumera turba degli Iddii p
nome di Libera seminibus mulierum (2). A lui si dava il nome di padre del giorno, portando i parti alla luce ; di Dea Mena,
ne per la Luna ; poichè il sole con il suo corso apparente per le vie del cielo compie l’anno, e la Luna con le sue rivoluz
femur, coscia, e così immaginossi la favola di lui. Creduto inventore del vino, tutto e quanto può spigolarsi di lui ne’cla
are il capo ; e Fiso da φλυειν, letificare, e ciò tutto dagli effetti del vino. Gli si metteva in mano un tirso, ossia un’a
acri per lo più nudi, volendosi esprimere gli animi degli ebrii andar del tutto aperti ed in nulla simulati. Le orgie di lu
n esservi uomini sì fieri, che non si rendono miti con l’uso moderato del vino. 17. A Giove si dava per padre Saturno. Egli
n altra nostra opera(1), ancora i latini riconoscevano il primo passo del loro incivilimento dal disboscarsi la gran selva
e portò tal nome, chè le spighe furono considerate come il primo oro del mondo ; o come vuole Tullio(2), chè saturatur ann
no di Saturno, tutte si rifescono ai semi — Ei non era che il simbolo del tempo, che tutto genera, strugge e riproduce. In
tore con vincoli ineffabili dell’intero mondo, di germe della terra e del cielo stellato. Ancor di lui si raccontarono alcu
ri, che sono per lui come tanti lacci. 18. Nettvno — Creduto come Dio del mare, Tullio(2) lo vuole così detto a nando, dal
ri nomi, che esprimono movimento, quasi che egli sia un’altra cagione del moto della terra, urtandola con le acque del mare
gli sia un’altra cagione del moto della terra, urtandola con le acque del mare. È detto ancora μιακητας, che significa mugg
are in procella. Perciò a lui si sacrificavano tori neri sì a cagione del colore delle acque del mare, che sembran nere qua
a lui si sacrificavano tori neri sì a cagione del colore delle acque del mare, che sembran nere quando sono agitate, sì a
che sembran nere quando sono agitate, sì a cagione della simiglianza del muggito de’bovi con il rugghio de’mari — e per qu
se fuori un muggito. A Nettuno si poneva in mano un tridente, simbolo del suo impero su i mari, o perchè i pescatori si gio
con la spedizione navale, che fece Giasone nel Ponto per la conquista del vello di oro ; sì ancora, mancando a gl’antichi f
oste al suo imperio. E gli si pone lo scettro in mano, chè lo imperio del Sole si distende su la terra. Altri poi lo ricerc
i più innanzi, dimostra, che presso gli Egizii Plutone era lo emblema del Sole d’inverno, o del giro del Sole per tutto que
a, che presso gli Egizii Plutone era lo emblema del Sole d’inverno, o del giro del Sole per tutto quel periodo di tempo, in
esso gli Egizii Plutone era lo emblema del Sole d’inverno, o del giro del Sole per tutto quel periodo di tempo, in cui ques
rbio εκαθεν di lontano, cioè dal mandar di lontano sino a noi la luce del sole. Gli Egizii lo rappresentavano ora sotto il
alcune nozioni, da cui scorgerassi, non essere Apollo che il pianeta del Sole. Si credeva esser figlio di Giove e di Laton
erso — di Latona, e con questo traendo la etimologia di questa parola del verbo latere nascondere, si volle significare, ch
he importa manifestare ; perciochè, creata e radiando intorno la luce del sole, repente apparvero le sembianze e le figure
fa il sole de’suoi raggi ; o come crede Speusippo, perchè la sostanza del Sole è tutta ignita ; o come stima Cleante, perch
ezza. Gli si pongono in mano l’arco e le frecce, per indicare i raggi del Sole ; e soprattutto la lira, chè il Sole con la
rciocchè è unico tutto ciò ch’è semplice. Egli era detto ancora Lemio del greco λοιμιος peste, ossia dallo averci tratto da
uasi φως luce, o calore, e βιος vita, per esprimersi il calore vitale del Sole. Si diceva Pizio da πυθιος serpente, che si
otto le forme umane, davano a’suoi simulacri tutte le caratteristiche del sole istesso. Gli facevano pendere dal mento una
dere dal mento una prolissa barba, per indicare la emissione de’raggi del Sole in verso la terra — gli ponevano sul capo un
e gli ponevano su la fronte una immagine della vittoria, due simboli del suo potere irresistibile ; e nella sinistra un fi
boli del suo potere irresistibile ; e nella sinistra un fiore, indice del regno vegetabile prodotto e perpetuato dal suo be
sorgeva in mezzo, era un simbolo della terra. 21. A lui il vaticinio del futuro. Perciocchè i suoi risponsi erano obbliqui
meglio non può dirsi a cagione della obbliquità dell’apparente corso del sole per lo Zodiaco. A lui it concento della musi
iocchè il sole con ordine e misura contempera e regola ciascuna parte del mondo, e quasi in un ritmo serba la consonanza e
l mondo, e quasi in un ritmo serba la consonanza e la commensurazione del tempi. Da ciò fu creduto come il precettore e l’a
le sue parole(1), ancor umida, elevandosi su nelle regioni superiori del cielo frequenti esalazioni, e poscia quivi riscal
a di saette, prosciugate e svanite, i poeti ne immaginarono la favola del dragone ucciso da Apollo. 23. Raccontasi del pari
e immaginarono la favola del dragone ucciso da Apollo. 23. Raccontasi del pari di Apollo un’altra favola — che scacciato da
vola — che scacciato da Giove dal cielo andasse a pasturare le greggi del re Admeto, onde da’greci fu detto Απολλων νομιος,
una perfetta allegoria, con cui si vuole indicare il corso apparente del Sole, ed i suoi fenomeni. Ei si dipingeva con un
to non era che un’allegoria, cui con il caduceo intendevasi il radiar del Sole, che dileguale addensate tenebre della notte
nuti da tutta l’antichità per simbolo della vita, associati al radiar del Sole si voleva esprimere, che il Sole istesso fec
e da que’luoghi tenebrosi : con questo indicavasi l’apparente discesa del Sole sotto l’orizzonte, e che al suo apparire nel
rore di Giunone : è questo un mito, con cui si voleva dare un’emblema del cielo, ove a notte serena si veggono scintillare
il pianeta Mercurio percorre, come è noto dall’astronomia, per le vie del cielo, gli fè dare una tale attribuzione. 26. L’A
di uomini, e sogliono presagirla col canto di loro. 30. Vvlcano — Dio del fuoco e delle arti, che si esercitano ammollendo,
si esercitano ammollendo, piegando e dando al ferro varie forme mercè del fuoco istesso. Nacque questo Dio in mente de’Grec
ro creata questa divinità, onde prestare un culto a questa loro anima del mondo. Il mito, che raccontasi di Vulcano, di ess
oppicante per tutta la sua vita, non è altro che una personificazione del fuoco, che acceso la prima volta da’raggi del Sol
he una personificazione del fuoco, che acceso la prima volta da’raggi del Sole, o raccolto dal fulmine e portato su la terr
ato su la terra non mai retto porta le fattezze di uno zoppo nel moto del suo vampo. A Vulcano si dava per consorte Venere,
i con questi immaginati mostri i vulcani igniferi. Si credevano figli del cielo e della terra : con questo volevasi indicar
erra, traslato allegorico di questo mito. 38. Diverse interpetrazioni del mito di Proserpina stratte da Eusebio, e da Bacon
uova. 40. Minerva — Etimologia di questa parola — 41. Interpetrazione del suo mito dello scrittore della Scienza Nuova. Nom
erva e loro significato. 42. — Venere — etimologia, e interpetrazione del suomito. 43. Cupido, e interpetrazione del suo mi
mologia, e interpetrazione del suomito. 43. Cupido, e interpetrazione del suo mito. 44. Diana — Perchè detta Diva Triforme 
o, che ha su tutto lo universo. Volendo porre mente a questi concetti del poeta, senza sfuggirne veruno, io vi trovo un’all
mare porta il nome di Giunone, consorte e sorella di Giove, il quale del pari ha con l’etere molta simiglianza e stretta u
con la Luna istessa ; e Lucina, quasi lucida, dal candore e lucidezza del raggio della Luna. E così interpetrandosi questo
su di un carro trasportata da pavoni per le vie dell’aria. Da questo del pari fu indotto, quando il genio delle arti lo in
’viventi, o dal credersi esser larga di soccorso alle donne ne’dolori del parto. Ma di questi e di altri titoli, cui questa
nno non disviate dalla ragione, e riggettare quelle, che gli parranno del tutto immaginarie ». I poeti teologi, ei dice(2),
e pesanti sassi attaccati a’piedi, che significavano tutta la santità del matrimonio ; in aria per gli auspicii, che abbiso
sito questa etimologia non può cadere in dubbio dalla interpetrazione del seguente mito — Fu creduto da’Greci, che Plutone
delle biade(2). Proserpina si volle figlia di Giove e di Cerere, cioè del cielo e dell’agricoltura, come può scorgersi da c
farlo germogliare ; se pur non si voglia dire, che Cerere inventrice del frumento, disseminandolo in Sicilia restasse ince
Plutone il sole, che in tempo d’inverno percorre le parti più remote del mondo, onde vogliono di venire da lui rapita Pros
esentato da Plutone, e vi è rattenuto disgiunto dalla parte superiore del globo... e questo spirito si finse di essere stat
na di quercia, per rammentare di essersi una volta gli uomini nudriti del frutto di questo albero. Le si mettevano sul capo
sso i romani, perchè le terre in quel tempo arate furono le prime are del mondo. » 40. Minerva — Nacque questa Diva nella
quistano con lunghi sudori, facendo forza e resistendo a’moti smodati del cuore, ed elevandosi su la fralezza dell’argilla,
l venire spontaneo di lei a tutto i viventi. Si volle nata dalle onde del mare, posciachè la generazione di cui ella era ti
a bisogno di umore e di movimento, ciò che trovasi appieno nelle onde del mare. Ella fu detta Αφροδιτη, ed è quella potenza
a colomba ed il mirto — la colomba perchè molto amabile, ed è simbolo del vero amore, secondo la maniera di baciare tutta p
misura dell’amore, in modo che i perduti amanti può dirsi andar privi del bene dell’intelletto. Rabaud di Saint-Etienne po
erano indicati, e gl’inni religiosi, che vennero a lei rivolti. Sposa del Dio del fuoco, di quel Vulcano, i cui antichi alt
dicati, e gl’inni religiosi, che vennero a lei rivolti. Sposa del Dio del fuoco, di quel Vulcano, i cui antichi altari ivan
Sposa del Dio del fuoco, di quel Vulcano, i cui antichi altari ivano del pari con quelli di Prometeo, fu essa di mano in m
con quelli di Prometeo, fu essa di mano in mano amante di Adone, cioè del Sole, e di Marte, col quale entrava essa in congi
ia derivare da dies giorno, che’è una stella, che precede la comparsa del Sole su l’orizzonte, ond’è detta Lucifer apportat
la comparsa del Sole su l’orizzonte, ond’è detta Lucifer apportatrice del giorno. Portava poi il nome di Ecate da εκατον ce
cani, e nulla si dava cura dei suoi beni di fortuna, fino a mancargli del tutto, onde si disse essere stato cambiato in cer
. Dandole il nome di Latmia, a lei, così appo Ateneo(4), le preghiere del taciturno esploratore degli astri. Emergendo col
8. Vesta — Figlia di Saturno e di Rea veniva riconosciuta come la Dea del fuoco. Da’greci fu immeginata questa divinità, on
uasi in forma di un globo, per dimostrare tutto l’universo, nel mezzo del quale stava quel fuoco, che dicevano Vesta. Ella,
altro nome Camene, che può interpetrarsi canto ameno, dalla dolcezza del loro canto : Altri derivano il nome Musa dall’ebr
Anchise si porse, Se fede merta la nostra maggior Musa » E l’Ariosto del pari(3), « Le donne antiche hanno mirabil cose F
, per coltivarsi con esito cercano sempre la solitudine della mente e del cuore. Pausania non riconosce che solo tre Muse,
lo, che ne hanno detto i mitologi, qui trascriviamo solo alcuni versi del cantore della Musogonia(1). Di nove ie dico verg
a la pietade, or l’ira ; Euterpe amante delle doppie pive, E Polinnia del gesto e della lira ; Tersicore che salta, e Clio
indicavasi lo insinuarsi de’melodiosi concenti per le vie più secrete del cuore. Per tersicore dal verbo τερπω e χορος dile
uenza, e lo ammaliar quasi gli anini, traendo dietro a sè gli affetti del cuore umano. 54. Le Grazie — Tre di numero, Aglai
di Eurinome, o di Giove e di Giunone, o di Bacco e Venere, o in fine del Sole e di Egle. La freschezza di gioventù, cui di
dodici fatiche di Ercole, e comparazione di esse a ciascun passaggio del Sole ne’dodici segni dello Zodiaco. 64. Cadmo, in
io del Sole ne’dodici segni dello Zodiaco. 64. Cadmo, interpetrazione del suo mito. 65 Sfinge Cadmea, e suo mito. 66. Giano
le molte sue teste, quando altri le troncasse, non vi era chi potesse del tutto morirla : idra variante di tre colori, di n
che Ercole ancor bambolo strozzasse due colubri, per dare una nozione del tempo dell’eroismo bambino. Come del pari si diss
ue colubri, per dare una nozione del tempo dell’eroismo bambino. Come del pari si disse di Bellorofonte di aver morta la ch
ano indicare i legni ricurvi e duri, co’quali prima di trovarsi l’uso del ferro fu svolta la terra, onde chiamarla a coltur
ra sempre folta prima di andar coltivata ; e co’pomi di oro le spighe del frumento, che furono considerate come oro dalla g
fulmine istesso — col triplicato corpo significarsi la triplice forza del fulmine, infrangere, prostrare, incenerire — co’b
re — co’bovi toltigli esprimersi il rombo, che siegue dopo lo slancio del fulmine squarciando i campi dell’aere, rombo che
il vince e lo annoda a terra ; di che restò un giuoco ai greci detto del nodo : ch’è il nodo erculeo, col quale Ercole fon
a metamorfosi di Acheloo in serpe voleva intendersi il corso tortuoso del fiume — con quella di toro le sue inondazioni ne’
trappato da Ercole un corno il porsi in un solo letto le due correnti del fiume — con lo addivenire il corno strappato il c
Titano, possente di mano, indomito, illustre ne’combattimenti, padre del tempo, eterno, ineffabile, potente in far tutto e
’occaso — A chi non sfugge una profonda intellettiva non può sfuggire del pari di scoprire in questi concetti del poeta non
intellettiva non può sfuggire del pari di scoprire in questi concetti del poeta non poche espressioni, che tutte convengono
allegorico, che vi si adorava altro non intendevano che andar devoti del padre de’secoli, dell’anima visibile del mondo, d
intendevano che andar devoti del padre de’secoli, dell’anima visibile del mondo, delle immortale moderatore degli astri e d
degli astri e delle stagioni, della forza e virtù di tutti gl’Iddii, del distruttore de’mostri della terra, e finalmente d
ramente scorgevasi in Megalopoli un simulacro di Ercole presso quello del sole ; ed Alessandro il grande quando rivide il s
sacrificio e a Giove liberatore, ad Ercole, ad Apollo e ad allri Dei del mare, perciocchè Ercole non andava disgiunto nel
ueste divinità. Ne’suoi tempii ancora si alimentava il gallo, uccello del mattino e del sole ; e spesso vi si udiva risonar
. Ne’suoi tempii ancora si alimentava il gallo, uccello del mattino e del sole ; e spesso vi si udiva risonare l’Io Pean sa
pia di alloro, dando termine al sacro rito col sorgere e col tramonto del sole. Oltre l’alloro sacro ad Apollo e ad Ercole,
e da Ercole. Nè Ercole, diceva Macrobio(2), va estranio dalla potenza del Sole, il quale trasfonde negli uomini la forza, c
re questa forza fu porta a lui da Greci un’arma possente, la clava, e del pari si immaginava andar vestito della pelle di L
, che il tempo, quando il Sole nel Solstizio estivo entrava nel segno del Leone, meta più sublime del suo corso. 63. A raff
le nel Solstizio estivo entrava nel segno del Leone, meta più sublime del suo corso. 63. A rafforzare quanto finora abbiamo
mese fu mese pe’dodici segni dello Zodiaco. I. Ercole uccide il Leone del bosco Nemeo, e si ricuopre delle spoglie — Questa
meo, e si ricuopre delle spoglie — Questa vittoria risponde al passar del Sole nel segno dello Zodiaco il Leone. II. Ercole
te, sempre ripullulanti quando venivano troncate — risponde al passar del Sole nella costellazione della Vergine, denominat
ce cignale, che infestava le foreste di Erimanto — Risponde al passar del Sole nel segno della Bilancia, che avviene sul pr
lla Bilancia, che avviene sul principio di Autunno, fissato dal levar del Centauro, ch’è rappresentato con un’otre di vino
alle corna di oro, dai piedi di bronzo, sacra a Diana, detta la cerva del Menalo dal monte, ove ricoveravasi — Risponde al
la cerva del Menalo dal monte, ove ricoveravasi — Risponde al passar del sole nello scorpione, fissato dal tramonto della
alidi, così detti dal lago, ove solevansi posare — risponde al passar del sole nel Saggittario, sacro a Diana, cui sorgeva
di Ercole. VI. Ercole montando sul cavallo Arione giunge su le sponde del fiume Alfeo, e seco porta il toro di Creta, amato
e lo avoltoio, che divorava il fegato a Prometeo — risponde al passar del sole nell’Aquario ; e ciò era indicato dall’avolt
to toro di Pasife e di Maratona culminava al meridiano, e al tramonto del cavallo Orione, o di Pegaso. VII. Punisce Busirid
ai cavalli di lui, che alimentava di carne umana — r sponde al passar del sole nel segno dei Pesci, ed è fissato dalla leva
passar del sole nel segno dei Pesci, ed è fissato dalla levata Eliaca del Pegiso, che avanza il capo su l’Aquario, ovvero E
io di Cirene. VIII. Ercole scendendo su la nave Argo per la conquista del vello di oro, combatte con alcune donne guerriere
una donzella dagli oltraggi di un mostro marino — risponde al passar del sole nel segno dell’Ariete, sacro a Marte, detto
ella regina Cassiopea. XIIII. Ercole monda le stalle di Augia, figlio del Sole, o come altri vogliono, di Nettuno, con farv
Sole, o come altri vogliono, di Nettuno, con farvi scorrere le acque del fiume Peneo o di Alfeo, e lo uccide negandogli la
o, e lo uccide negandogli la promessa ricompensa — risponde al passar del sole nel segno del Capricorro, ed è indicato dal
ndogli la promessa ricompensa — risponde al passar del sole nel segno del Capricorro, ed è indicato dal tramonto del fiume
passar del sole nel segno del Capricorro, ed è indicato dal tramonto del fiume dell’Aquario, la estremità del quale scorre
orro, ed è indicato dal tramonto del fiume dell’Aquario, la estremità del quale scorre nella stazione del Capricorno, e la
del fiume dell’Aquario, la estremità del quale scorre nella stazione del Capricorno, e la sorgente è tra le mani di Ariste
azione del Capricorno, e la sorgente è tra le mani di Aristeo, figlio del fiume Peneo. X. Ercole vince Gerione, cui la favo
principe crudele, che perseguitava le Atlantidi — risponde al passar del sole sotto il Toro, che va segnato dal tramonto d
ne, che andò amante delle Atlantidi, ossia delle Pleiadi, e da quello del Boaro, conduttore dei buoi di Icaro. XI. Ercole t
so dalla coda di serpente, e dal capo di ceraste — risponde al passar del sole nei Gemini, indicato dal tramonto del cane F
raste — risponde al passar del sole nei Gemini, indicato dal tramonto del cane Frocione. XII. Ercole trascorrendo l’Esperia
o del cane Frocione. XII. Ercole trascorrendo l’Esperia toglie i pomi del giardino delle Esperidi, posti alla custodia di u
e lo consuma, e così compie il corso di sua vita — risponde al passar del sole nella costellazione del Cancro l’ultimo mese
l corso di sua vita — risponde al passar del sole nella costellazione del Cancro l’ultimo mese al tramonto del fiume Aquari
sar del sole nella costellazione del Cancro l’ultimo mese al tramonto del fiume Aquario, e del Cintauro, che sacrifica su d
stellazione del Cancro l’ultimo mese al tramonto del fiume Aquario, e del Cintauro, che sacrifica su di un’altare al levars
ume Aquario, e del Cintauro, che sacrifica su di un’altare al levarsi del Pastore e della sua gregge, e quando Ercole decli
regioni occidentali, che van denominate Esperia, seguito dal Dragone del polo, custode dell’ Esperidi. 64. Cadmo — Narra l
eva figlio di Marte, intendendosi dall’altra parte co’denti i sudditi del principe, i quali sollevandosi dopo la sconfitta
la bella metafora con curvi legni duri che innanzi di trovarsi l’uso del ferro dovettero servire per denti dei primi aratr
ei primi aratri, che denti ne restarono detti, egli ara i primi campi del mondo : gitta una gran pietra, ch’è la terra dura
e favella e maniera di vivere, o perchè desse a gli antichi abitatori del Lazio, incolti e fieri, consiglio a cangiare in m
to consacrato da’ Romani, come loro prima divinità tutelare, il eulto del quale fu da loro unito a quello del tempo e del D
prima divinità tutelare, il eulto del quale fu da loro unito a quello del tempo e del Dio-Luce, ossia del sole, debbe non c
tà tutelare, il eulto del quale fu da loro unito a quello del tempo e del Dio-Luce, ossia del sole, debbe non come un princ
o del quale fu da loro unito a quello del tempo e del Dio-Luce, ossia del sole, debbe non come un principe del Lazio, ma es
del tempo e del Dio-Luce, ossia del sole, debbe non come un principe del Lazio, ma esser considerato come un segno celeste
mia forma, che tu desideri sapere ; e, conoscendo questa, non ignori del pari quale sia il mio ufficio. Tutto ciò, che ved
to è chiuso ed aperto della mia mano. Presso di me solo è la custodia del mondo per quanto è grande, ed a me si appartiene
i non si rattengono dalla guerra. Vna alle Ore io presiedo alle porte del Cielo, e l’aere va e viene per mio comando. Per q
a al lare. E come tra voi il portinalo sedendo presso le prime soglie del tetto vede lo entrare, e lo uscire. cosi lo porti
rime soglie del tetto vede lo entrare, e lo uscire. cosi lo portinaio del Cielo gardo l’Oriente e l’Occidente. — Da queste
aio del Cielo gardo l’Oriente e l’Occidente. — Da queste poche parole del cantore de’Fasti romani chi è colui, che sì perdu
legoria la favola di Giano ? chi non vede essere egli non un principe del Lazio, ma un segno celeste, che deve trovarsi all
le incomincia l’apparente giro dei cieli, quando egli apre il cammino del tempo, che circola nello Zodiaco ? 68. Ma per ven
e che rappresentasi bifronte come padrone dell’una e dell’altra parte del Cielo, schiudendo il giorno col sorgere, e col su
il numero dei giorni componenti il corso dell’anno, maggiore indizio del potere del sole — Altri vogliono essere Giano non
dei giorni componenti il corso dell’anno, maggiore indizio del potere del sole — Altri vogliono essere Giano non altro che
erpetrazione di questa favola è tutta istorica. — Cadmo impatronitosi del regno di Dracone, si impatronì ancora della sorel
dir tutto in una parola, era considerato come un demone, come l’anima del mondo, per indicare il mirabile potere di natura,
iono esser questa dea la stessa che l’Aurora, onde traggono l’origine del tempo mattutino. (3). Roncina — Varrone deriva
e da’Ionii di portar prima il nome di Nicostrata, e si credeva figlia del re degli Arcadi, la quale gravida di Mercurio des
aprire, e Clusio, da Claudere, chiudere, ossia dall’aprirsi le porte del suo tempio in guerra, e dal chiudersi in tempo di
6 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLVI. Giasone e Medea » pp. 342-489
cor ritiene ! « Quegli è Iason che per cuore e per senno « Li Colchi del monton privati fene. » Medea se ne invaghì ; e
esser regina in Grecia, se lo aiutava colle arti sue ad impadronirsi del vello d’oro. Le difficoltà erano straordinarie :
ad un aratro spingendoli quindi a fare un solco ; e, seminati i denti del serpente ucciso da Cadmo, combattere coi guerrier
pieni di maraviglia, specialmente allorquando Giasone seminò i denti del serpente ucciso da Cadmo, e ne nacquero uomini. D
nacquero uomini. Dante allude a questo fatto mitologico nel Canto ii del Paradiso, dicendo : « Quei glorïosi che passaro
turi poeti che questo tempo chiameranno antico, narrando il passaggio del general Bonaparte e dell’artiglieria francese sul
per encomiar quegli Eroi che non ebber nulla da fare nella conquista del vello d’oro : la narrazione del fattò vero modern
n ebber nulla da fare nella conquista del vello d’oro : la narrazione del fattò vero moderno parrebbe non meno favolosa, se
di Giasone e Medea. Poco lieto di questo ritorno fu Pelia usurpatore del regno di Giasone, poichè aveva sperato di essersi
mente di Ovidio, che Medea col sugo di certe erbe trasfuso nelle vene del vecchio Esone lo ringiovanisse,73 poichè tutti gl
di Corinto, si sparse la fama che egli avrebbe sposato Glauca figlia del re, e ripudiato Medea. Questa appena lo seppe, co
un carro tirato da serpenti alati, e se ne andò ad Atene nella corte del vecchio Egeo padre di Teseo. Quel che ivi macchin
narra che la nave Argo dopo il famoso viaggio fu collocata sulla riva del mare sopra una base come un glorioso trofeo, e ch
ria della scoperta dell’America, che anche i selvaggi di quella parte del mondo adopravano piccole barche formate di un sol
la spedizione degli Argonauti, nessuna divenne più popolare di quella del fiero carattere di Medea. I Drammatici Greci e La
ella Civiltà simboleggiata nei miti di Orfeo e di Anfione La forza del braccio e degli stromenti meccanici inventati dal
a se non è accompagnata dalla moralità, non è altro, secondo la frase del Romagnosi, che una barbarie decorata. La civiltà
rsi tra i Semidei, anzichè tra i semplici Eroi, e, secondo il sistema del Vico, altro non sarebbero che caratteri poetici d
sendo incerto chi di loro due esistesse prima, comincierò da Anfione, del quale è più breve il racconto. Anfione fu credut
i allo sbocco dell’Inferno presso il promontorio di Tenaro, Orfeo udì del romore, e temendo per Euridice, si voltò a mirare
ribonde lo fecero a brani. Il capo di lui ruotolando giù per le balze del Rodope cadde nel sottoposto fiume Ebro ; ed anche
minciò a perseguitarlo prima che egli nascesse. Era scritto nel libro del Fato che regnerebbe in Tebe quello dei due cugini
r illuder meglio, fattosi recare in cielo il piccolo Ercole gli diede del suo proprio latte, che però al pargoletto Eroe no
ia : « Come distinta da minori e maggi « Lumi biancheggia tra i poli del mondo, « Galassia sì, che fa dubbiar ben saggi.
dubbiar ben saggi. Ercole può dirsi veramente, secondo il linguaggio del Vico, il carattere poetico dell’eroismo greco, av
ertà scelse spontaneamente la via della Virtù, e si rassegnò al voler del Fato di star sottoposto ad Euristeo. A questo tem
o Cretense ; 9ª il tiranno Diomede ; 10ª Gerione ; 11ª gli aurei pomi del giardino delle Esperidi ; 12ª il Can Cerbero. 1
uo primo trofeo di gloria. Questi due distintivi, la clava e la pelle del leone, oltre la robusta e gigantesca corporatura
giato nella costellazione che ne porta il nome, ed è uno dei 12 segni del Zodiaco, adorno di 93 stelle. 2ª Fatica : L’Id
gno e sciagurato servigio prestato a Giunone fu trasformato nel segno del Zodiaco di tal nome e fregiato di 85 stelle. Anch
cuor dell’Idra. Gli Astronomi moderni dopo la scoperta dell’America e del Capo di Buona Speranza avendo osservate le costel
ca : Il Cinghiale di Erimanto Questo cinghiale uscito dalle selve del monte Erimanto menava stragi e devastazioni come
o, e finalmente la raggiunse in un angolo o lingua di terra alla foce del fiume Ladone. 5ª Fatica : Le Arpie Questi
la Grecia sino all’Attica ed alla Beozia. Furon chiamate le Amazzoni, del qual nome si danno 5 diverse etimologie ; ma il l
di fiume delle Amazzoni al più gran fiume di quel nuovo continente e del mondo, perchè si prestò fede al racconto di Orell
dezze. Ercole trovò un compenso da valenti ingegneri : deviò il corso del fiume Alfeo, e ne fece passar la corrente per que
a : Gerione I tiranni non son mai mancati in qualsivoglia regione del mondo : anche Dante diceva, « Che le terre d’It
appartenente all’Affrica, e la 2ª all’Europa. 11ª Fatica : I pomi del giardino delle Esperidi Da Espero fratello di
ondo, quando non voglion seguir chi li tira ; ma l’irresistibil forza del braccio d’Ercole lo trascinava suo malgrado, face
i questa favola dà la seguente spiegazione il Machiavelli nel cap. 12 del lib. ii dei suoi celebri Discorsi sulla prima Dec
Ercole Egizio fu insuperabile, mentre che lo aspettò dentro a’confini del suo regno ; ma come e’ se ne discostò per astuzia
I poeti dicono che era figlio di Vulcano e che abitava in una caverna del Monte Aventino, che egli chiudeva con un macigno
e fu accolto e si conservò in appresso in Roma sino agli ultimi tempi del Paganesimo. Tutte le più minute particolarità di
he Ercole per far riposare Atlante dalla fatica di sostenere la volta del Cielo colle spalle, si sottopose a quel peso per
zzi uomini ; cavalli dalle estremità dei piedi sino al collo ; invece del quale avevano il petto, le braccia e la testa di
vedersi in pittura e in scultura ; ed è celebre il gruppo di Ercole e del Centauro sotto le loggie dell’Orgagna in Firenze,
strato in tutto il corso della sua vita. Sposò da prima Mègara figlia del re Creonte tebano92 e poscia Deianira figlia di O
ombattere, per essa dovè morire. Dovè combattere per Deianira col Dio del fiume Acheloo, il più gran fiume della Grecia, e
i. Questi fu il solo pretendente che non cedesse al nome ed alla fama del valore di Ercole, il solo che osò cimentarsi con
ecalia. Deianira credè giunto il momento decisivo di provar l’effetto del talismano di Nesso. Ne fece lavare l’insanguinata
i si pose sopra come vittima egli stesso, e insieme vi stese il vello del Leon Nemeo e la sua clava. Lasciò soltanto le fre
ai parenti erano state promesse a due fratelli Linceo ed Ida. L’esito del duello fu questo, che Linceo uccise Castore, e ch
esto, che Linceo uccise Castore, e che Polluce, per vendicar la morte del fratello, uccise l’uccisore di esso. Ida fu poco
cangiati nella costellazione dei Gemini, o Gemelli, che è quel segno del Zodiaco in cui, secondo l’antico linguaggio astro
asse il Cielo e cessassero le tempeste, come dice Orazio nell’Ode 12ª del lib. i 98 ; ma è probabile che confondessero le s
La rammenta da prima col nome di Castore e Polluce nei seguenti versi del Canto il del Purgatorio : « …..Se Castore e Poll
a prima col nome di Castore e Polluce nei seguenti versi del Canto il del Purgatorio : « …..Se Castore e Polluce « Fossero
re e Polluce « Fossero in compagnia di quello specchio « Che su e giù del suo lume conduce100 « Tu vedresti il Zodiaco rub
rubecchio « Ancora all’Orse più stretto rotare, « Se non uscisse fuor del cammin vecchio. » La chiama poi il segno che seg
llazione di questi gemelli il bel nido di Leda nella seguente terzina del C. xxvii del Paradiso : « E la virtù che lo sgua
uesti gemelli il bel nido di Leda nella seguente terzina del C. xxvii del Paradiso : « E la virtù che lo sguardo m’indulse
leggi sono encomiate, non solo perchè regolavano equamente i diritti del mio e del tuo, ma perchè erano ancora dirette all
o encomiate, non solo perchè regolavano equamente i diritti del mio e del tuo, ma perchè erano ancora dirette alla educazio
tando di Mitologia. Minosse prese in moglie Pasifae, una delle figlie del Sole, dalla quale ebbe un figlio che fu chiamato
ncipio liete ed onorifiche accoglienze. Ma poscia caduto in disgrazia del re, perchè secondava troppo tutte le stravaganze
di voler costruire qualche nuovo meccanismo per offrirlo alle figlie del re, si fece dare della cera e delle penne, e cost
le penne, cadde anch’egli nell’acqua e rimase annegato in quel tratto del mare Egeo che bagna le isole Sporadi e la prossim
I classici antichi encomiano tanto l’ingegno inventivo di Dedalo, che del suo nome formarono un aggettivo che significa mir
narii effetti che ne derivarono. Androgeo figlio di Minosse ed erede del trono era così valente negli esercizii della pale
ucciso per invidia dagli Ateniesi ; e Minosse per vendicare la morte del figlio fece loro la guerra, e avendoli vinti impo
terza volta però ne furon liberati da Teseo riconosciuto come figlio del loro re Egeo. A questo punto cessano i fatti nota
ntrodotto in tutte le più celebri imprese di quei tempi, nella caccia del cinghiale di Calidonia, nella spedizione degli Ar
il suo primo trofeo, a imitazione di quel che fece Ercole della pelle del Leon Nemeo. In Eleusi vinse ed uccise nella lotta
utorità per mezzo delle sue malìe (o vogliam dire raggiri) sull’animo del vecchio re Egeo, gli fe’nascere il sospetto che q
gli fe’nascere il sospetto che quello straniero volesse impadronirsi del regno ; e quindi lo persuase a toglierlo insidios
invitato a corte ; e nel porsi a mensa avvenne che Egeo vide la spada del giovane Eroe, e riconosciutala tosto, gittò a ter
rza volta il tributo di sangue a Minosse. Il giovane Eroe, come erede del trono, credè suo dovere di liberare il suo popolo
giorno avanti i funebri giuochi che Minosse faceva celebrare in onor del suo estinto figlio Androgeo ; compiuti i quali, c
seo un gomitolo di filo, perchè fissandone l’un dei capi all’ingresso del labirinto, e svolgendolo nell’avanzarsi finchè no
ta a far vela, e si diressero tutti insieme verso Atene. L’invenzione del filo di Arianna divenne tanto famigerata, che anc
aforicamente nelle familiari espressioni il filo delle idee ; il filo del discorso o del ragionamento e simili. Del Minotau
lle familiari espressioni il filo delle idee ; il filo del discorso o del ragionamento e simili. Del Minotauro e del filo d
e ; il filo del discorso o del ragionamento e simili. Del Minotauro e del filo di Arianna parla anche Dante nell’Inferno, o
Dante nell’Inferno, ove afferma che egli trovò il Minotauro a guardia del 7° cerchio dei violenti ; ed al qual mostro, perc
ua sorella, « Ma vassi per veder le vostre pene. » Se gli Dei stessi del Paganesimo avevano difetti e vizii, come abbiamo
le desiate vele purpuree, segno convenuto a prenunziargli la salvezza del figlio, scorte invece le vele nere, e perciò cred
fabbricò un toro di rame in atto di mugghiare ; nelle interne cavità del quale dovevasi chiudere il condannato, e poi acce
rli e gli spasimi di chi v’era dentro tormentato imitassero i muggiti del toro. A Falaride piacque l’invenzione, e per prov
na ben meritata dall’iniquo artefice che si fece ministro di crudeltà del più efferato tiranno. Ecco come Dante riferisce q
. Si raccontano ancora diverse imprese di Teseo compiute in compagnia del suo maggiore amico Piritoo ; ed ecco prima di tut
itato alla festa nuziale ; e fu utile assai la sua presenza e l’opera del suo forte braccio per impedir che all’amico fosse
pali di essi invitati alle nozze di Piritoo, quando furono al termine del pranzo, essendo riscaldati dal vino, manifestaron
ggiù i violenti (tiranni ed assassini) immersi per pena nella riviera del sangue : « Dintorno al fosso vanno a mille a mil
Teseo di appagare tre suoi desiderii : desiderò Teseo irato la morte del figlio, ed avendola impetrata, cadde in gravissim
ro marino nel tempo che Ippolito in cocchio passava lungo la spiaggia del mare ; per la qual vista spaventati i suoi cavall
te i suoi giorni ; in lui già avanzato negli anni si avverò la favola del Leone vecchio ; poichè discacciato dal regno da M
Creonte fratello di Giocasta, dopo la morte di Laio prese le redini del regno ; e poichè in quel tempo infestava le vicin
il paese, la mano della regina vedova, e per conseguenza il possesso del regno, poichè non v’erano figli eredi del trono.
per conseguenza il possesso del regno, poichè non v’erano figli eredi del trono. La Sfinge era un mostro col capo e le zamp
nge che le fu dato dai Greci significa Strangolatrice. Era però voler del destino che se qualcuno indovinasse il suo enigma
o il bastone. » La Sfinge, com’era suo fato, si precipitò dalla rupe del monte Citerone, e morì. Edipo, essendosi guadagna
è premura di farne le più minute investigazioni ; e dalle circostanze del tempo e del luogo in cui fu ucciso Laio, come pur
farne le più minute investigazioni ; e dalle circostanze del tempo e del luogo in cui fu ucciso Laio, come pure dai connot
e riandando le memorie della sua infanzia e confrontando le relazioni del pastor Forba e quelle del servo che aveva esposto
la sua infanzia e confrontando le relazioni del pastor Forba e quelle del servo che aveva esposto nel bosco il regio infant
per altercare col fratello e negargli alla fin dell’anno il possesso del trono. Polinice si trovò costretto ad esulare, e
che sperava di profittare della discordia dei nipoti per impadronirsi del regno, si preparò anch’egli alla guerra ; e dopo
oti, dei quali aveva fomentato l’odio e la discordia per impadronirsi del regno ; e divenne tosto uno dei più esecrati tira
olle entrambe a morte, stimando così di render più sicuro il possesso del trono per la sua dinastia. Ma non potè co’suoi de
i questo poema, e fa dire all’autore stesso : « Cantai di Tebe e poi del grande Achille ; » e da Virgilio fa chiamare Ete
è trovò in questi sposi la spiegazione della risposta dell’oracolo (o del sogno che fosse), che tanto lo aveva tenuto in so
cendole nei loro regni. Per altro in quel momento erano ambedue privi del regno e della patria ; Polinice, per le cause già
o esercito l’avito regno ; e cominciò da quello di Polinice, la causa del quale era molto più urgente e più giusta. Prima p
lmini, a quanto egli diceva, non gli facevano maggior paura dei raggi del Sole sul mezzogiorno. Ma Giove gli fece conoscer
nesto ; e perciò non voleva prendervi parte, quantunque fosse cognato del re Adrasto, avendone sposato la sorella Erìfile :
ra celato. Costretto allora Anfiarao per punto di onore e per comando del re a partir cogli altri per la guerra, e sicuro d
ritroso calle. » (Inf. xx, v. 31…..) Alcmeone appena udita la morte del padre, per vendicarlo com’egli desiderò, uccise l
un tempo118 ; e Dante esprime lo stesso concetto in una similitudine del Canto iv del Paradiso : « Come Alcmeone che di c
; e Dante esprime lo stesso concetto in una similitudine del Canto iv del Paradiso : « Come Alcmeone che di ciò pregato « 
re spense, « Per non perder pietà si fe’ spietato. » E nel Canto xii del Purgatorio rammentò « Come Alcmeone a sua madre
ote ; senza contare le sventure dei sudditi e lo sperpero delle forze del regno, volle imprendere un’altra guerra contro Te
i Polinice ne prendesse il governo ; e inoltre che molti Tebani prima del saccheggio preferirono di andar profughi dalla pa
nti a questa stirpe dei Pelopidi furono due dei principali personaggi del l’Iliade di Omero, a istigazione dei quali s’impr
o pagano, dicemmo che padre di Pelope fu Tantalo condannato alle pene del Tartaro per avere ucciso questo suo figlio, e imb
chè aveva saputo dall’Oracolo che il genero sarebbe causa della morte del suocero ; e per allontanare i pretendenti propone
o di superarlo nella corsa dei cocchi (ed egli co’ suoi cavalli figli del Vento era insuperabile), o di essere uccisi se pe
e e col tradimento. Promettendo qualunque premio (fosse anche la metà del regno) a Mìrtilo cocchiere diEnomao, lo indusse a
Enomao, lo indusse a toglier dall’asse il ferro che riteneva le ruote del cocchio del re ; e così Enomao nella gara del cor
ndusse a toglier dall’asse il ferro che riteneva le ruote del cocchio del re ; e così Enomao nella gara del corso precipita
o che riteneva le ruote del cocchio del re ; e così Enomao nella gara del corso precipitando a terra morì. Pelope rimase se
ioni di lui, lo fece gittar nel mare. Per altro nell’ amministrazione del regno fu così fortunato e divenne tanto potente c
ocere al nefando Atreo le carni umane sul palco scenico alla presenza del pubblico120 ; il che fa supporre che sì orrendo e
a tradimento Atreo suo zio, e quindi con Tieste suo padre s’impadronì del regno di Micene e ne cacciò Agamennone e Menelao
e Menelao legittimi eredi. Questi si rifugiarono a Sparta nella corte del re Tindaro, di cui sposarono le figlie Clitennest
arono le figlie Clitennestra ed Elena ; quindi colle truppe ausiliari del suocero ritornarono a Micene e ne cacciarono gl’i
cciarono gl’invasori Tieste ed Egisto, ricuperando il paterno regno ; del quale per patto di famiglia divenne re il solo Ag
atto di famiglia divenne re il solo Agamennone, essendo Menelao erede del trono di Sparta, poichè eran già morti e divenuti
lluce. Lasciamo che per pochi anni i due famosi Atridi godano in pace del loro regno e del fido coniugio ; ben presto saran
he per pochi anni i due famosi Atridi godano in pace del loro regno e del fido coniugio ; ben presto saranno costretti a su
netto Eaco divenuto re senza sudditi. Giove per altro, alle preghiere del figlio, ripopolò quel regno in un modo miracoloso
sudditi e soldati di Achille all’ assedio di Troia. Forse la radicale del loro nome, che in greco significa formica, diede
na, dalla quale doveva nascere un figlio molto più illustre e potente del padre. Questo decreto del Destino essendo conosci
cere un figlio molto più illustre e potente del padre. Questo decreto del Destino essendo conosciuto da Giove e dagli altri
n magnifico premio a causa vinta ; cioè Giunone le maggiori ricchezze del mondo, Minerva la più gran sapienza e Venere la p
lio che fu chiamato Achille. La madre, come Dea, sapeva già dal libro del Fato che questo suo figlio sarebbe un fulmine di
or sicurezza procurò di renderlo invulnerabile tuffandolo nelle acque del fiume Stige ; ma poichè nel tuffarlo lo teneva so
e nasconderlo in gonna femminile tra le damigelle di Deidamia figlia del re Licomede. Ivi rimase Achille finchè i Greci no
prirono. Dante rammenta questo fatto in una similitudine nel Canto ix del Purgatorio : « Non altrimenti Achille si riscoss
Ed inoltre ripete ambedue questi stessi termini anche in una terzina del C. xii del Purgatorio, dicendo in propria persona
ripete ambedue questi stessi termini anche in una terzina del C. xii del Purgatorio, dicendo in propria persona : « Vedev
alle antiche tradizioni non bene accertate, io preferirò per lo scopo del mio racconto mitologico le splendide asserzioni d
« Mio genitore, e Priamo il divo Ettorre. » (Iliad. lib. xx, traduz. del Monti). In questi versi è considerato Dardano com
Trœ, o Troo, onde vennero i nomi di Troia e di Troiani, come dal nome del figlio suo Ilo derivò quello di Ilion (in italian
parte più alta e più fortificata della città, ov’era anche il palazzo del re127 ; poichè nell’antico linguaggio Jonico quel
Trœ o Troo è da notarsi non solo Ilo che fu re di Troia dopo la morte del padre, ma anche Assàraco e Ganimede. « Assàraco
Ganimede hanno fatto parola quasi tutti i pœti ; ed anche nella prosa del volgo il nome di Ganimede è usato per indicare un
o nella Costellazione detta dell’ Aquario, che è uno dei dodici segni del Zodiaco e rifulge di 127 stelle. Dante non si è
. Dante non si è già dimenticato di rammentar Ganimede. Nel Canto ix del Purgatorio ne ricorda il ratto : « In sogno mi p
Inoltre nel Canto xxiv dell’Inferno nomina la costellazione o segno del Zodiaco in cui fu cangiato Ganimede : « In quell
o segno del Zodiaco in cui fu cangiato Ganimede : « In quella parte del giovinett’anno « Che ‘lSole i crin sotto l’I]Aqua
Nettuno e da Apollo, esuli entrambi dal soggiorno degli Dei, privati del diritto della Divinità e ridotti alla condizione
allora, come avvien quasi sempre, che son puniti i popoli dei peccati del loro re128. Consultato l’Oracolo, rispose che i T
e l’orca, a patto però che gli desse in premio quelle polledre figlie del vento, le quali, come dice Omero, « Correan sul
Senza pur sgretolarle ; e se co’salti « Prendean sul dorso a lascivir del mare, « Sulle spume volavano de’flutti « Senza to
ortalità, si dimenticò di chiedere ad un tempo la perpetua giovinezza del suo sposo ; e perciò Titone invecchiò tanto che v
safatta al giudice, di procurargli cioè per moglie la più bella donna del mondo. Ma la più bella donna che allor vivesse er
e era la spartana Elena, rapita prima da Teseo, e poi divenuta moglie del re Menelao, come dicemmo : e questa stessa, secon
condo le promesse di Venere, doveva divenir moglie dell’umile pastore del monte Ida. Era un tal nodo gordiano da non poters
o di Priamo e di Ecuba in un torneo in cui Paride vinse tutti i figli del re ; e in tale occasione investigando essi l’orig
iare negli altri Stati e a visitare le altre corti « ….. per divenir del mondo esperto « E degli vizii umani e del valore.
re corti « ….. per divenir del mondo esperto « E degli vizii umani e del valore. » Se allora fosse morto Menelao, nessun
All’eloquente invito di Ulisse s’infiammarono gli spiriti guerreschi del giovane Eroe, e ad una lunga vita effemminata ed
alse a ritardarlo e trattenerlo in Sciro l’affetto di Deidamia figlia del re, che egli aveva segretamente sposata ; e dalla
scrivono i più, e tra questi anche Dante, che rammentando nel Canto v del Paradiso questo barbaro sacrifizio, soggiunge :
moglie di lui affettuosissima, la quale desiderando di veder l’ombra del marito e poi morire, fu trovata estinta nel suo l
ranze la loro credulità. Attribuivasi infatti a Palamede l’invenzione del giuoco degli scacchi e dei dadi, della tessera o
a in pregio. « Estinto lui (chè per invidia avvenne, « Come ognun sa, del traditore Ulisse), « Amaramente il piansi. » Ma
inarono poi certe fatalità, come le chiamano i Mitologi, cioè decreti del fato, che dovevano avverarsi o compiersi affinchè
ai nemici e sottostare a qualunque condizione. Guarito colla limatura del ferro di quell’asta rimase nel campo greco in ade
. Dante rammenta questa virtù dell’asta di Achille nei seguenti versi del Canto xxx dell’Inferno : « Così od’io che solev
xxx dell’Inferno : « Così od’io che soleva la lancia « D’Achille e del suo padre esser cagione « Prima di trista e poi d
gnava impedire che i cavalli di Reso re di Tracia, bevessero le acque del fiume Xanto ; il che significava di impedire a Re
nciere i cavalli di lui. 5ª Fatalità. — Dovevano i Greci impadronirsi del Palladio che era nel tempio di Pallade dentro all
corron come all’ira ; « E dentro dalla lor fiamma si geme « L’aguato del caval che fe’ la porta « Ond’uscì de’Romani il ge
si entro l’arte, perchè morta « Deidamia ancor si duol d’Achille, « E del Palladio pena vi si porta. » 6ª Fatalità. — Dove
orno avanti l’eccidio della loro città, come vedremo. Nel decimo anno del lungo e lento assedio di Troia avvennero intorno
Troia, il poeta sovrano ne ristrinse così i limiti nella proposizione del soggetto : « Cantami, o Diva, del Pelìde Achille
e così i limiti nella proposizione del soggetto : « Cantami, o Diva, del Pelìde Achille « L’ ira funesta che infiniti add
cconto. La causa che inimicò Achille con Agamennone fu una prepotenza del re dei re. Era uso comune in quelle antiche guerr
di Achille, se questi non era trattenuto dalle eloquenti esortazioni del vecchio Nestore, e più ancora dalla Dea Minerva,
to più che le armi da fuoco hanno resa inutile la straordinaria forza del braccio, e che il più debole artigliere col suo c
dignità. È facile indovinare che Venere favorirà i Troiani in grazia del giudizio di Paride, e che Marte campione di Vener
tutto ; e per le opposte ragioni Giunone e Minerva, per dispetto cioè del giudizio di Paride e per invidia di Venere, perse
conciliazione. Qualche giorno dopo, peggiorando sempre le condizioni del greco esercito, « ………… chè quanti « Eran dianzi
di Patroclo, quasi che l’estinto amico dovesse esultar degli strazii del cadavere del suo uccisore. Compiuti poi solenneme
quasi che l’estinto amico dovesse esultar degli strazii del cadavere del suo uccisore. Compiuti poi solennemente i funebri
isore. Compiuti poi solennemente i funebri onori e raccolte le ceneri del fido amico nell’urna stessa destinata ad accoglie
e bevanda, pietosamente piange al suo pianto, e gli accorda il corpo del suo figlio senza alcun riscatto. Anzi per aver te
o di Apollo, ove Paride a tradimento lo ferì nel calcagno, sola parte del suo corpo in cui egli era vulnerabile, e tagliato
anti greci li uccise tutti : quindi in un lucido intervallo accortosi del suo errore e della sua sventura intellettuale si
i andò ad invitarlo a recarsi al campo di Troia per vendicar la morte del padre ; e Pirro, degno figlio di Achille, non ebb
nsentì e si risolse di andar con lui, rassicurato che fu dalle parole del giovinetto Pirro che tanto somigliava il leale e
le freccie saettando Paride, che di quella ferita morì. La qual morte del rapitore di Elena diede la maggior soddisfazione
miracolo, che dalla statua di Mènnone, quando era percossa dai raggi del Sole, uscivano suoni musicali come quelli di una
a e vergine, « Di qual sia cavalier, non teme intoppo. » (Traduzione del Caro). E Dante asserisce di averla veduta nel Li
lea « Dall’altra parte. » LIX Eccidio di Troia L’invenzione del cavallo di legno per prender la città di Troia è
dicono, o sono per dire. Omero nel libro viii dell’Odissea, parlando del cavallo di legno, lo chiama « ……………. l’edifizio
arme e guerrieri « A ciò per sorte e. per valore eletti. » (Traduz. del Caro.) Veramente benchè il cavallo contenesse mo
to dal greco scalpello in un gruppo (esistente tuttora nella galleria del Vaticano) nel quale vedesi Laocoonte con i due su
lla galleria degli Uffizi in Firenze. Delle astuzie poi e delle frodi del greco Sinone per farsi credere nemico dei Greci e
sue frodi, dicendogli : « Ma tu non fosti sì ver testimonio « Là ‘ve del ver fosti a Troia richiesto. « Ricorditi, spergiu
nio « Là ‘ve del ver fosti a Troia richiesto. « Ricorditi, spergiuro, del cavallo, « E sieti reo, chè tutto il mondo sallo.
ao con lo scaltrito « Fabbricator di quest’inganno, Epeo. » (Traduz. del Caro.) Virgilio racconta ancora con qual facilità
e così ad essere atterrato dai Troiani stessi. Ma più che all’insidia del cavallo di legno è probabile che dovessero i Grec
a al tradimento. Tal ne corse la fama che fu accolta come nunziatrice del vero anche da celebri scrittori, e tra questi dal
o, che lo stesso Dante ha detto di lui : « Ch’ei fu dell’alma Roma e del suo impero « Nell’empireo Ciel per padre eletto. 
rò dell’eccidio di Troia uno dei più lagrimevoli è quello della morte del vecchio re Priamo, che dopo aver veduti spenti i
sua città, fu ucciso per mano di Pirro. Nè qui si arrestò la vendetta del giovane guerriero, che impadronitosi di Polissèna
issèna, causa innocente della morte di Achille, la uccise sulla tomba del padre, in sacrifizio di espiazione all’ombra di l
Ecuba trista, misera e cattiva, « Poscia che vide Polissena morta « E del suo Polidoro in su la riva « Del mar si fu la dol
famiglia di Priamo. Tra gli schiavi di Pirro v’era Andròmaca, vedova del famoso Ettore. Questa aveva un figlio chiamato As
tratteneva con lui più che poteva per fargli compagnia ed avvertirlo del pericolo che correva, se fosse scoperto. Ma Pirro
madre inginocchiata ai piè di lui lo supplica indarno per la salvezza del figlio136. Quando Agamennone credè opportuno di
se ed ucciso ingiustamente dai Greci ; e perciò per vendicar la morte del figlio aveva Nauplio sempre cercato di nuocere in
za, Egisto suo cugino e figlio di Tieste continuando a nutrire l’odio del padre contro gli Atridi, si era insinuato nella c
ella famiglia che regnava prima di lui, » avea tese insidie alla vita del piccolo Oreste figlio di Agamennone e di Clitenne
lettra, congiunta alla voce che in appresso fece spargere della morte del fratello, rese possibile la ben meritata punizion
nel furore della vendetta, incontrata la madre che veniva in soccorso del tiranno, uccise anch’essa collo stesso pugnale gr
soccorso del tiranno, uccise anch’essa collo stesso pugnale grondante del sangue di Egisto. Ma accortosi di avere ecceduto
, e regnò non solo in Argo e in Micene, ma ancora nella maggior parte del Peloponneso. Egli ebbe un figlio chiamato Tisamèn
, e tra le altre a quelle due di Alfieri che hanno per titolo il nome del gran re dei re e quello del figlio di lui 137. M
e di Alfieri che hanno per titolo il nome del gran re dei re e quello del figlio di lui 137. Menelao ed Elena dopo esser p
la fece sposare ad Eleno, e diede ad entrambi la libertà ed una parte del regno dell’Epiro che era divenuto suo, non si sa
Agamennone. Venne invece in Italia nella Puglia, ove sposò la figlia del re Dauno che gli diede per dote una parte del suo
ia, ove sposò la figlia del re Dauno che gli diede per dote una parte del suo regno, ed ivi fondò la città di Arpi, e, seco
ndazione di questa città ; ma Omero che parla più volte con gran lode del valore di Idomeneo, quanto al suo ritorno dice so
a Grecia, ove fondò il regno di Salento. Resta ora soltanto a parlare del ritorno di Ulisse ; ma poichè sulle straordinarie
. E sì che vi sarebbe stato bisogno quanto prima della sua presenza e del suo forte braccio per discacciar dalla sua reggia
e in balli nella reggia di lui. Penelope, sperando sempre nel ritorno del marito, differiva di giorno in giorno a sposare q
delle genti « L’indol conobbe ; che sovr’esso il mare « Molti dentro del cor sofferse affanni, « Mentre a guardar la cara
errò, cioè andò molto vagando senza saper dove, sospinto dalla forza del vento e delle tempeste. Solamente dall’isola dei
li antipodi e ritornato, e fatta più e più volte la circumnavigazione del nostro globo. Invece la navigazione di Ulisse in
avigazione di Ulisse in dieci anni non si estese al di là delle acque del Mediterraneo, qualunque sia il nome speciale che
sia il nome speciale che prende dallo stretto di Gibilterra alle foci del Don nel Mar d’ Azof. Ma non è da farne le maravig
goni di cui era re Antifate, poi fra Scilla e Cariddi e nella caverna del Ciclope Polifemo. Qual fosse Antifate re dei Lest
ro a una real fanciulla, « Del Lestrìgone Antifate alla figlia, « Che del fonte d’Artacia, onde costuma « Il cittadino atti
o « Alle pure scendea linfe d’argento. « Le si fero d’appresso, e chi del loco « Re fosse, e su qual gente avesse impero « 
ro « La domandaro ; ed ella pronta l’alto « Loro additò con man tetto del padre. « Tocco ne aveano il limitare appena, « Ch
ntier : Scilla da un lato, « Dall’altro era l’orribile Cariddi, « Che del mare inghiottia l’onde spumose. « Sempre che rige
Norvegia. Di quel che avvenne ad Ulisse e ai suoi compagni nell’antro del Ciclope Polifemo la narrazione è troppo lunga in
« Solo a parlarne, orror sento ed angoscia. « Pascesi delle viscere e del sangue « Della misera gente ; ed io l’ho visto « 
« Col tor la luce a lui l’ombre de’ nostri. » (Eneid., iii. Traduz. del Caro). Non è già che sien questi soli gli splendi
sti soli gli splendidi miracoli della poetica facoltà, o vogliam dire del genio inventivo di Omero : nè Orazio intese di fa
n opera tutte le sue più mirabili astuzie, potè finalmente coll’aiuto del figlio e di alcuni suoi sudditi che gli erano rim
l vecchio suo padre Laerte (chè la madre Anticlèa era già morta prima del suo ritorno 141. Non tutti però gli antichi autor
ce i giudici a minorare la pena ; ma la malignità e la premeditazione del delitto attirano sopra il reo tutto il rigor dell
nel cerchio della bufera con Francesca da Rimini, e Ulisse tra i rei del fuoco furo col Conte Guido da Montefeltro, il più
fuoco furo col Conte Guido da Montefeltro, il più grande ingannatore del Medio Evo. Di Achille dice soltanto : « …… e vid
ni sua parte, e non merita meno di quelli della Francesca da Rimini e del Conte Ugolino di essere studiato e imparato a mem
polo « Vedea la notte, e il nostro tanto basso, « Che non usciva fuor del marin suolo. « Cinque volte racceso e tanto casso
ornò in pianto, « Chè dalla nuova terra un turbo nacque, « E percosse del legno il primo canto. « Tre volte il fe’ girar co
ondò un regno nel Lazio, dal quale derivò Roma che fu poi dominatrice del Mondo. Quindi Virgilio lo scelse per protagonista
ciò appunto l’Eneide ; e Dante disse lui « Ch’ei fu dell’alma Roma e del suo Impero « Nell’empireo ciel per padre eletto. 
oichè noi troviamo ad un tempo in Enea l’Eroe mitologico e lo stipite del fondatore di Roma, l’ufficio del Mitologo è compi
Enea l’Eroe mitologico e lo stipite del fondatore di Roma, l’ufficio del Mitologo è compiuto dove di Enea s’impadronisce l
nel mio cor diversi « Pensier volgendo, or dell’agresti Ninfe, « Or del scitico Marte i santi Numi « Adorando, porgea pre
fa dare da Enea un’ampia spiegazione, io qui la riporto colle parole del suo traduttore : « A cotal suon da dubbia tema o
iai, muto divenni, « Di Polidoro udendo. Un de’figliuoli « Era questi del re, che al tracio rege « Fu con molto tesoro occ
descrizione della selva, altrettanto muove a compassione il racconto del famoso Pier delle Vigne, Segretario dell’Imperato
loro descrizioni prima di quella di Dante, affinchè non perdano nulla del loro prestigio. Un altro fatto straordinario avve
odii dei Cartaginesi contro i Romani sino allo stipite della dinastia del fondatore di Roma ed a quei compagni di Enea, dai
iso da Pigmalione fratello di lei, per impadronirsi delle ricchezze e del regno147 Ma essa potè fuggir per mare con molti t
adre ; e così la rammenta nel descrivere un viaggio di uno degli eroi del suo poema : « Passa gli Umbri e gli Etrusci, e a
irgilio stesso ne dà la spiegazione, qui la riporteremo con le parole del suo celebre traduttore A. Caro : « Nel secco lit
ol suo fiato solo « Possente a suscitar Marte e Bellona. « Era costui del grand’Ettor compagno, « E de’più segnalati intorn
e Stazio, anche i geografi Solino e Mèla confermano la stessa origine del nome di questo promontorio. Non lungi dal promont
n’origine troiana ; e Virgilio così brevemente l’accenna al principio del libro vii dell’ Eneide : « Ed ancor tu d’Enea fi
dai poemi di Omero e di Virgilio. Finalmente Enea entrando nella foce del Tevere, allora chiamato il fiume Àlbula, si avanz
così chiamata, secondo Tito Livio, perchè si stendeva lungo il dorso del colle Albano153 ; e finalmente che Enea morì due
lla Mitologia convien parlare pur anco delle principali superstizioni del Paganesimo, che derivarono dal culto di tali Dei 
, dopo quanto abbiam detto parlando degli Oracoli, e dopo che gli Dei del Paganesimo furon riconosciuti falsi e bugiardi. L
la direzione pur anco ed alle risoluzioni degli affari pubblici ossia del Governo. Quindi la distinsero in naturale e artif
aruspicii, la negromanzia, ecc. A queste e simili pratiche religiose del Paganesimo suol darsi comunemente il titolo di su
que egli non enumeri per filo e per segno tutte le idee e le pratiche del culto pagano che egli credeva superstiziose, a no
dispetto lo acciecò, e Giove in compenso gli concesse l’antiveggenza del futuro, o vogliam dire l’occhio profetico. Perciò
indovino Tiresia, e da lui ottenne notizie sicure della sua famiglia, del suo regno e dei suoi futuri destini. Ebbe Tiresia
iserbo ; alle quali attribuirono perfino alcune profezie sulla venuta del Messia e su diversi fatti della vita di lui 163.
ragione probabile riflettendo che Sibille chiamavansi le sacerdotesse del culto di Apollo nell’ Asia Minore, le quali a gui
llo nell’ Asia Minore, le quali a guisa e somiglianza della Pitonessa del tempio di Delfo pretendevano di essere anch’esse
eferissero una vita girovaga allo star sempre confinate nei penetrali del tempio, in quasi ogni regione fu asserito esservi
e il mobile volgo. Ecco perchè anche i poeti, amanti sempre e fautori del maraviglioso, encomiano come profetesse infallibi
ibillini, confermando così le volgari opinioni e aiutando la politica del governo e gl’interessi dei sacerdoti pagani. Molt
riconosciute e registrate come tali da Varrone il più celebre erudito del Paganesimo ; e sono le seguenti : 1ª La Sibilla P
delle sue Odi165. 71. Dicono gli scrittori antichi che alla foce del fiume Fasi v’era una città omonima che appartenev
a Colchide. Perciò Medea da Ovidio è chiamata ancora Phasis (la donna del Fasi o Fasso). Dalle rive del Fasi furono portati
idio è chiamata ancora Phasis (la donna del Fasi o Fasso). Dalle rive del Fasi furono portati dagli Argonauti i fagiani in
ermano quel che dice il fagiano di Marziale ; poichè chiamano Fagiano del Fasi la specie più comune che si conserva e molti
l’attuale città di Ovidiopol, fabbricata da Caterina II verso la foce del Dniester, sia sul luogo stesso dell’antica Tomi d
io) 73. Quindi derivò nel Medio Evo la prima idea della trasfusione del sangue, se non per ringiovanire, almeno per riacq
a Terra. Anche nel 1600 fu tentata dai medici francesi la trasfusione del sangue umano come mezzo curativo delle emorragie 
edici francesi ne abbiano ritentato la prova. Peraltro la trasfusione del sangue di una bestia nelle vene dell’ uomo o dell
di novembre 1872 con prospero successo l’operazione della trasfusione del sangue di un agnello nelle vene di una signora no
so di anemia grave per ripetute emorragie. (V. il giornale La Nazione del 23 novembre 1872). È da sapersi inoltre che il Re
i di concorso anche il seguente Tema per l’anno 1875 : La trasfusione del sangue nell’uomo, studiata nel concetto di innest
erarii, ma pur anco dei filosofici, riporterò la celebre osservazione del romano oratore e filosofo, di cui ho fatto cenno
ncora i difetti, parla poi più volte con gran convinzione e sicurezza del suo valore tragico, come, per esempio, nei seguen
nibus, coi quali trattati egli gettò le prime basi e delineò il campo del Diritto Internazionale, per cui meritò e merita i
to dalla dolce armonia, lo salvò portandolo sul dorso sino alla costa del Peloponneso. Di questo fatto mitologico che crede
a lungo nel lib. ii dei Fasti, e chiude la sua narrazione con le lodi del delfino e col premio che ebbe dagli Dei di esser
ima Ode delle Nemee : « Noto a Giunon superba il divin germe « Godea del ciel sereno, « E col fratel posava in crocei veli
ue volanti spedia draghi crudeli, « Che ratti entrâr le soglie, « Ove del rege partoria la moglie. « Avidamente in tortuose
vidi mostri insani, « E strangolati gli divelle in brani. » (Traduz. del Borghi.) 85. Lino fu creduto figlio di Apollo
delle ali colorate di rosso e di giallo, i quali vivono lungo le rive del fiume delle Amazzoni. In Mineralogia fu chiamata
o di Mègara móglie di Ercole esiste in greco un elegantissimo Idillio del poeta Mosco, che fu tradotto squisitamente da que
del poeta Mosco, che fu tradotto squisitamente da quel sommo ingegno del Leopardi. 93. Ved. le Metamorfosi di Ovidio,lib.
ordinare e comporre il poema epico non fa altro che portar l’ esempio del modo tenuto da Omero, del quale egli dice tra le
ma epico non fa altro che portar l’ esempio del modo tenuto da Omero, del quale egli dice tra le altre cose : « Nec reditu
inuti e finì alle 9 50. La mattina seguente fu osservato che le punte del parafulmine del telegrafo avevano perduto la dora
e 9 50. La mattina seguente fu osservato che le punte del parafulmine del telegrafo avevano perduto la doratura, e che v’ e
tentavano con ogni sforzo di svincolarsi per fuggire. Questo fenomeno del fuoco di S. Elmo è stato osservato in Monte Cassi
izione il professor S. Camposeo nella Rivista Scientifico-Industriale del marzo 1875. 100. Dante chiama specchio il Sole,
sa credendola viva. E Dante allude a questa invenzione nel Canto xxvi del Purgatorio, ove dice : « …..Nella vacca entrò Pa
tiò nelle imbestiate schegge ; » e nel Canto xii dell’ Inferno parla del Minotauro, « Che fu concetto nella falsa vacca. 
enna, tra le altre somiglianze che diedero motivo alla trasformazione del giovinetto Perdice in pernice, anche le seguenti 
erebbe che Plutarco lodasse e dichiarasse più giusta di tutte la pena del taglione. Notino peraltro i giovani studiosi, che
rno, parlando della figura dei Centauri. 112. Orazio nell’Ode 18ª del lib. i, consigliando i suoi amici a non ber mai t
zione anche ai voti imprudenti, e fa così dire a Beatrice nel Canto v del Paradiso : « Non prendano i mortali il vóto a ci
sso all’innocente figlio di Teseo. La predizione è posta sulle labbra del suo trisavolo Cacciaguida nel Canto xvii del Para
one è posta sulle labbra del suo trisavolo Cacciaguida nel Canto xvii del Paradiso : « Qual si partì Ippolito d’Atene « P
Principe, cap. xviii.) Bisogna però notare che il Machiavelli parlava del principato assoluto o dispotico, che in oggi è di
ert, può leggere la lettera di quest’ultimo riportata nell’ Atheneum, del 7 novembre 1874, celebre periodico inglese che si
ii, 525-532.) 136. Il Giusti, che bene a ragione ammirava le opere del Bartolini, vivente a tempo suo, scrisse di lui ne
, 22.) Questa scena fu imitata egregiamente dall’Alfieri nell’atto iv del suo Oreste, e produce sempre grandissimo effetto.
tto, concissimamente com’è solito, facendo pronunziare nel Canto xiii del Purgatorio queste parole : Io sono Oreste, come u
torio queste parole : Io sono Oreste, come un esempio sublime di amor del prossimo, conosciuto anche dai Pagani. 138. Pe
perciò non gli furono resi onori divini. 142. Anche nel Canto xxvii del Paradiso conferma l’opinione che Ulisse fosse ann
Questi due ultimi versi e mezzo sono la traduzione un po’amplificata del famoso « ….. Quid non mortalia pectora cogis, « 
 Crucciato quasi all’umana natura ; » come dice Dante nel Canto xxii del Purgatorio, ove ne dà la seguente traduzione : «
on tristo annunzio di futuro danno. » 147. Dante fa la perifrasi del nome di Didone rammentando di chi essa era figlia
armis : pugnent ipsique nepotes. » 150. Anche Dantenel Canto xix del Paradiso rammenta Anchise morto in Sicilia, la qu
in Sicilia, la quale, alludendo all’Etna, egli chiama « ………. l’isola del fuoco, « Dove Anchise fini la lunga etate. » 1
latini, e principalmente Virgilio, dicono che la regina Amata moglie del re Latino, aveva promessa Lavinia in isposa a Tur
i uccise per disperazione. Dante rammenta questo fatto nel Canto xvii del Purgatorio colle seguenti parole : « Surse in mi
ldassarre Peruzzi nella chiesa detta di Fonte Giusta in Siena, quella del Guercino nella Tribuna della Galleria degli Uffii
ercino nella Tribuna della Galleria degli Uffiizi in Firenze e quella del Razzi nel palazzo della Farnesina in Roma. 165.
7 (1855) Compendio della mitologia pe’ giovanetti. Parte I pp. -389
o De Bisogno Della Metropolitana chiesa di Napoli canonico cardinale del titolo di S. Giorgio Maggiore e Vescovo di Ascalo
de’ beneficii ricevuti. Per un’altra ragione poi ho voluto fregiare del venerato Suo Nome questa mia scrittura, ed è appu
metto non leggier fallo, secondo lo stile de’ moderni, allungando più del dovere questa mia dedicatoria ; pure, se non Le d
sta opericciuola, chè così verrà a scorgersi per avventura, non esser del tutto vana la mia fatica. Gli antichi Greci e Ro
allievi i greci ed i latini scrittori, se non vogliono che si spenga del tutto fra noi ogni benigno lume di gentili discip
ume di gentili discipline. E si spegnerà senza fallo, se la rea peste del moderno romanticismo non lascerà di perdere miser
e un Corso di Mitologia, il quale ha meritato il benigno compatimento del pubblico. Il fine principale di quel mio lavoro f
one. E questo appunto è quello che ora presento al pubblico fregiato del chiarissimo Nome di V. E. R. la quale son certo c
a verità. E però Mitologia vuol dire la conoscenza delle favole, cioè del nascimento, delle favolose avventure, delle ineum
le, cioè del nascimento, delle favolose avventure, delle ineumbenze e del carattere degli Dei de’ Gentili o Pagani, i quali
ole, il quale col suo corso regolare è il misuratore e quasi l’autore del tempo (2). La moglie di Satùrno chiamossi Cibèle
endo debellato i Titàni. Nulladimeno Satùrno, sapendo, esser ne’libri del fato che Giove dovea un dì spogliarlo del regno,
no, sapendo, esser ne’libri del fato che Giove dovea un dì spogliarlo del regno, gli mosse guerra ; ma fu da lui vinto e di
e discacciato dal cielo. Il che vuol significare che il novello corso del tempo discaccia e vince il passato (3). III. D
ùno, e poscia Plutòne, i quali furono nello stesso modo alla crudeltà del padre sottratti. E questi tre figliuoli di Satùrn
, il cielo, cioè l’isola di Creta ; a Nettùno, il mare, cioè le isole del mare Egeo, ed a Plutòne, l’inferno, cioè l’Epiro,
la parte inferiore della Grecia, toccò in sorte. In questa partizione del mondo fatta da’ figliuoli di Satùrno scorgesi ado
lutòne si divisero l’universo. Giano intanto che a que’dì era signore del Lazio, accolse Satùrno con lietissimo animo, ed i
colse Satùrno con lietissimo animo, ed il fece padrone di buona parte del suo reame ; percui questi il regalò di una sì seg
sel vatici costumi, percui fu tenuto per un nume e chiamato figliuolo del Cielo, perchè siam soliti di chiamare figliuoli d
hiamato figliuolo del Cielo, perchè siam soliti di chiamare figliuoli del cielo, o dal cielo discesi coloro di cui ammiriam
sua verga d’oro ed il cangiò nell’uccello detto pico (1). I compagni del principe che per la campagna il cercavano, furono
ti senza prender cibo e senza sonno. Finalmente in un luogo alla riva del Tevere che portò poscia il suo nome, finì disciol
a mensa eran serviti da’ padroni in memoria della sognata eguaglianza del secolo d’oro. Per la tradizione ancora di quel s
uso tempio. Questo tempio tre volte si chiuse a Roma, a tempo, cioè, del pacifico re Numa ; sotto il consolato di T. Manli
usica ed in più altre scienze valse moltissimo. Egli abitava un antro del monte Pelio, ove educò i più insigni Eroi che fur
piede da una saetta intinta nel sangue dell’idra di Lerna, impaziente del dolore, e vano riuscendo ogni rimedio, cedè la su
voluto morire per lui. Fu egli trasformato in una costellazione detta del Centauro. VII. Sacerdoti di Cibèle-Ati-Taurobo
Sacerdoti di Cibèle appellavansi Galli dal fiume Gallo, della Frigia, del quale bevendo le acque, venivano in gran furore,
r cui ebbero il nome di Coribanti ; si tosavano nella parte anteriore del capo, e vestivano un abito donnesco. Si chiamavan
tto il nome di Ati, il quale credesi sepolto sul monte Agdiste, a piè del quale era la celebre città di Pessinunte, a’ conf
Cibèle offerivasi un sacrificio detto Taurobolio per la consacrazione del gran Sacerdote, per l’espiazione de’delitti, e pe
ione del gran Sacerdote, per l’espiazione de’delitti, e per la salute del Principe o di que’che l’offerivano, e fu da’ paga
he dopo venti anni. Terminato il sacrificio, si consacravano le corna del toro. VIII. Vesta. Di lei tempio. Vergini Vest
mente della Terra, e per essa intendono il fuoco. Il culto di Vesta o del fuoco eterno fu per Enèa dalla Frigia recato in I
a nel famoso tempio edificato da Numa, presso al quale era il palagio del suo fondatore. Era di forma rotonda per significa
nti. E oltre il fuoco perpetuo, vi era pure il Palladio, famoso pegno del Romano impero ; ed i Penati che da Troia recò Enè
più di dieci anni. Fu loro uffizio principale, vegliare alla custodia del sacro fuoco della Dea, che esser dovea continuame
olta nelle fasce. Quasi sempre ha la falce in mano, o perchè la falce del tempo ogni cosa miete e distrugge. Si dipinge pur
miete e distrugge. Si dipinge pure alato, per significare la velocità del tempo, o sotto figura di un serpente che si morde
ollo scettro nella sinistra, e nella destra, una lampana ch’è simbolo del fuoco. Cibèle poi era la terra ; percui, a dinota
ronavasi di quercia, per ricordare che gli uomini un tempo nudrivansi del frutto di quell’albero. Spesso si dipingeva sopra
a ; o perchè Giano figurava Noè che veduta avea la terra prima e dopo del diluvio. Alle volte si dipinge con quattro facce,
us Patulcius (da patet) et Janus Clusius (da claudo), perchè le porte del suo tempio in guerra erano aperte, ed in pace era
a erano aperte, ed in pace eran chiuse-Janus matutinus, quasi signore del giorno o del mattino. Janus Pater, quasi padre de
e, ed in pace eran chiuse-Janus matutinus, quasi signore del giorno o del mattino. Janus Pater, quasi padre degli Dei-Janus
sse Dio’ della guerra-Janus Consivius (da consero), Giano propagatore del genere umano. Enthea, cioè divina, piena di Dio,
i ebbe l’onorevole nome di Stercuzio. Nel tempio di Satùrno al pendìo del Campidoglio era l’erario o tesoro pubblico, perch
s’invocava nel principio di tutt’i sacrificii, perchè come portinaio del cielo faceva che le preghiere avessero libera ent
ere avessero libera entrata agli Dei ; o perchè il primo mostrò l’uso del vino e del farro ne’ sacrificii. Egli ritrovò pur
o libera entrata agli Dei ; o perchè il primo mostrò l’uso del vino e del farro ne’ sacrificii. Egli ritrovò pure le corone
ivi allogato. Esso dividevasi come in tre parti, in guisa che il capo del vico si chiamava Janus summus ; il mezzo Janus me
nsigliò col Cielo e colla Terra sul modo di nasconderlo alla crudeltà del genitore. I quali aprirono alla figliuola quel ch
tà del genitore. I quali aprirono alla figliuola quel che per decreto del Fato avvenir dovea di Satùrno e di Giove, e le im
allimaco però, Rea partorì Giove nell’Arcadia, ed il lavò nelle acque del fiume Ladone ; ed in fasce avvoltolo, diello alla
utti ed offerillo al pargoletto Giove, il quale, ottenuta la signoria del cielo, la sua nutrice trasformò in costellazione,
ia, Corno dell’abbondanza, e Corno di Amaltèa. Affinchè poi il vagire del fanciullino udito non avesse il vorace Satùrno, i
ce che le api, allettate dal suono de’ cembali de’ Cureti, nell’antro del monte Ditteo, in Creta, furono col loro mele le n
Come poi Giove ottenuto avesse nella divisione dell’universo l’impero del cielo, si è per noi detto nell’articolo di Satùrn
lì maggiormente, ed a fianco a lui si assise la Maestà, qual compagna del suo trono (συνθρονος. Aeschil.). Al suo lato sede
zia che governano l’universo ; ed egli ottenne il primato per ragione del potere e della forza che sedevan sempre con lui n
Niente di meno gli antichi fecero Giove soggetto alle determinazioni del Fato o sia Destino, ne’ cui libri ei ne leggeva g
do alcuno opporre, e però dal Comico Filemone fu chiamato Dio schiavo del Destino. Quando Giove inchinava i neri sopraccigl
colassù regna. Per ciò salutavasi da’ Poeti coll’epiteto di vibratore del fulmine (αστεροπητης) ; ed al fulmine davasi l’ag
acre danze e con inni. E da ciò quel Iupiter Fulgur apresso Festo. Or del suo fulmine era Giove oltremodo gelose, come ebbe
nti. Il quale non contento della maestà reale, volendo imitare il Dio del fulmine, fabbricò un altissimo ponte di bronzo, c
con empio orgoglio disse, volere impadronirsi della città a dispetto del medesimo Giove ; di che questi adirato tosto il f
Ganimède-Perifànte. L’aquila era l’uccello di Giove e la ministra del suo fulmine. Finsero ciò i poeti, perchè niun’ aq
rra e mare far magnifica mostra di lor bellezza ; e l’ordine che uscì del caos fu sì maraviglioso che il mondo da’ Greci fu
heus), fig. di Giapeto e di Climene, il quale di alto ingegno dotato, del fango della terra formò il corpo del primo uomo a
il quale di alto ingegno dotato, del fango della terra formò il corpo del primo uomo a somiglianza degli Dei, dandogli un s
e nobile e fatto per mirare il cielo. Nel che traluce la vera origine del primo padre degli uomini, che Dio formò del fango
e traluce la vera origine del primo padre degli uomini, che Dio formò del fango della terra e cui diede l’anima e ta vita c
o, col favor di Minerva salito al cielo, accese una flaccola al fuoco del sole, e con questo fuoco celeste animò quella sua
eo da quel supplizio. Or Giove, per vendicare il temerario attentato del fig. di Giapeto, ordinò a Vulcano che di fango ez
chiusa, nella quale era ogni generazione di mali. Epimeteo, dimentico del consiglio del fratello, apri per curiosità la fat
quale era ogni generazione di mali. Epimeteo, dimentico del consiglio del fratello, apri per curiosità la fatale cassetta,
u l’ultima che lasciò la socièta degli uomini. Ebbe luogo fra i segni del zodiaco ed è quello della Vergine. Si chiamò pure
ita, volle fare l’estrema pruova di sua possanza, producendo dal seno del Tartaro il mostruoso Tifeo o Tifone (Τυφεως, Τυφω
placabile mostro d’inseguirli. Essi, vinti dal terrore, per consiglio del Dio Pan, pigliarono sembianza di animali ; Giove,
le vedere se ciò fosse vero. E però gl’imbandì una tavola delle carni del fanciullo Nittimo, suo figliuolo. Giove allora tr
e giunti ad una gran vecchiezza, un giorno, stando presso alla porta del tempio, Filemone si avvide che Bauci si mutava in
ica sì per deliberare e sì per banchettarvi. Omero però nel principio del XX. libro dell’Iliade pone la sede di Giove nella
Quindi significa il cielo stesso, o la parte più alta e risplendente del cielo, dov’è la sede di Giove e degli altri Dei.
Vesta, Minerva, Diana, Cerere, e Venere. Per andare(1) alla gran sala del celeste consiglio passar doveano i Numi per la vi
o, Atlànte ebbe la pena di sostenere sulle spalle il non leggier peso del cielo(2). Si racconta che avvertito dall’oracolo
rsi da un figliuolo di Giove, non volea che abitasse in casa sua uomo del mondo. Pel qual rifiuto sdegnato Perseo, fig. di
simo che nasconde la cima fra le nubi, e da’ vicini si chiama colonna del cielo ; e da ciò la favola che quel Re sosteneva
el Re fosse stato un Astronomo di gran valore, che andava sulla vetta del monte Atlante a contemplare gli astri, e che sost
del monte Atlante a contemplare gli astri, e che sostenne la scienza del cielo co’ suoi studii indefessi e coll’invenzione
mmortalità, e credevasi di una dolcezza nove volte maggiore di quella del mele. Il Nettare poi (da νη priv. e κτεινω, occid
è gli Dei solamente, ma pure i loro cavalli, e quelli particolarmente del Sole, si pascevan d’ambrosia (4). Oltre a ciò era
l’ambrosia quasi un unguento di virtù divina. Venere (5) sulla ferita del figliuolo Enèa sparse, quasi balsamo salutare, l’
; e Giove stesso (6) comandò ad Apollo di ungere di ambrosia il corpo del figliuolo Sarpedone ucciso da Patroclo. La fragra
ra e reca giocondità, si qualifica da’ poeti co’ nomi dell’ambrosia e del nettare(2). Così Petrarca : Pasco la monte di sì
posto ; che fu felice presagio della perpetua floridezza e stabilità del Romano impero. Fu surrogato in luogo di Ebe Ganim
vogliono trasformato da Giove in costellazione, ch’è l’undecimo segno del zodiaco, detto Aquario, di cui le stelle son disp
e questa fu la pelle della capra Amaltea che allattò Giove ; o quella del mostro Egis, ucciso da Minerva. Anche gli altri D
oteggere, spfendere. Nel bel mezzo di essa era il capo della Gorgone, del quale tanto si valse uno de’ più celebrati figliu
al loro nascimento. Eran figlie di Forco, dio marino, e di Ceto, fig. del Ponto e della Terra ; ed aveano un sol occhio, di
e’ capelli perdè per volere di Minerva, la quale per vendicare l’onor del suo tempio da lei oltraggiato, que’ vaghissimi cr
di Giove fu essa dal mare trasportata presso a Serifo, picciola isola del mare Egeo, ove rinvenuta dal pescatore Ditte, fu
la Libia, vennero qua e là a cadere su quell’adusto suolo le gocciole del sangue di quel reciso teschio, dalle quali, come
drappello di nobili donzelle andava un giorno a diletto lungo la riva del mare. E come volle la sua ventura, approdò colà u
ne, fig. di Anfidamante, e dall’armento di lui avesse scelto a scorta del suo viaggio un bue con un segno bianco a foggia d
l’eroe Fenicio dal Parnaso, e vede incustodita giovenca pascere a piè del monte, riverente ne siegue il cammino e sulle orm
o e sulle orme di essa giunge in non conosciuta terra, ove per volere del fato sorger dovea la novella città. Egli intanto
agone, che gl’infelici compagni di Cadmo divorò crudelmente. Il quale del loro indugio forte maravigliando, tutto armato va
hè Tebe fu posteriormente edificata da Anfione. Gli antichi abitatori del paese, ov’era Tebe, si chiamavano Sparti ; e fors
so delle sedici lettere, che sono bastevoli ad esprimere tutt’i suoni del greco linguaggio. Plutarco(1) dice, essere antica
arpedone e Radamanto. Non vi ha forse nome nella Mitologia più grande del nome di Minos, che regnò nell’isola di Creta o Ca
eva credere che ogni nove anni scendeva in una spelonca profondissima del monte Ida per ricevere nuove leggi, la giustizia
, di cui era signore Niso, fig. di Marte, o di Pandione, re di Atene, del quale si parlava molto a que’ dì per la sua chiom
chioma tutta di bellissímo oro, dalla quale la conservazione dipendea del suo regno. Avea egli una figliuola chiamata Scill
a Minos e così meritar la sua mano, perfidamente recise l’aureo crine del genitore, mentre dormiva, ed il recò al nemico pe
a per punirla, fu trasformato in una specie di sparviere, ch’è nemico del ciri. Vuolsi che sia opera di Virgilio un bel poe
ovinetto sì bene diede opera alle arti che ritrovò l’uso della sega e del compasso. Vuole Ovidio che la spina del dorse di
he ritrovò l’uso della sega e del compasso. Vuole Ovidio che la spina del dorse di un pesce gli avesse data la prima idea d
verò in Creta e chiese la protezione di Minos. E qui fu che per colpa del suo ingegno avendo offeso quel principe, fu da lu
e dell’audace ed indocile gioventù, mal seguendo gli accorti consigli del padre, alzò troppo alto il suo volo, per cui il c
i consigli del padre, alzò troppo alto il suo volo, per cui il calore del solle, liquefacendo a poco a poco la cera, discio
lo, secondo Luciano, fu non dispregevole Astronomo, che nella scienza del cielo ammaestrò il figliuolo Icaro, il quale di e
agione il fratello Radamanto lasciò Creta e pose sua sede nelle isole del Mediterraneo, le quali volentieri a lui si sogget
ove per eccellenza. Or Polluce era insigne per la maestria nel giuoco del cesto, o pugilato ; e Castore, nell’arte di maneg
, il tempio, la stella de’ Castori. E della sua gagliardia nel giuoco del cesto diede Polluce insigne pruova nella famosa s
Melìte, al quale si dà il vanto di avere il primo ritrovato il giuoco del cesto. Percui Virgilio (1) per lodare Bute ed Eri
(1) per lodare Bute ed Erice di segnalata destrezza nel combattimento del cesto, dice che discendevano da Amico e dalla gen
iotti. Il che nacque dall’avere quei due fratelli, dopo la spedizione del vello d’oro liberato l’Arcipelago da’ corsali che
percui fu scelto a pilota degli Argonauti, ed intervenne alla caccia del cinghiale Caledonio. Or fra que’ giovani ed i Dio
in esso, Castore fu morto per man di Linceo. Polluce vendicò la morte del fratello, uccidendo Linceo ; e Giove di un fulmin
to (Ζηθος, Zethus) furono gemelli, e fig. di Giove e di Antiope, fig. del fiume Asopo, o di Nitteo, e regina di Tebe. Non m
alle violenze della rivale Dirce, li diede ad allevare ad un pastore del monte Citerone, ove vissero ignari di loro condiz
listo (Καλλιστω, Callisto), ch’era una giovane ninfa di Arcadia, fig. del re Licaone, la quale per insigne bellezza e per p
il nome all’Arcadia stessa, detta prima Pelasgia, ch’era quella parte del Peloponneso da’ poeti tanto decantata per l’incli
overava fra’ giudici dell’inferno. Sua madre fu Europa, o Egina, fig. del fiume Asopo, detta per ciò Asopiade da Ovidio. Re
na siccità, con cui i Numi afflissero l’Attica per punire la perfidia del re Egeo, che avea fatto morire Androgeo. Della qu
ciò la trasformazione delle formiche in uomini. Eaco da Endeis, fig. del centauro Chirone, ebbe Peleo e Telamone ; e da Ps
amone uccise il fratello Foco col disco ; e per evitare la giusta ira del padre si rifuggì a Salamina, e Peleo, a Ftia pres
lodandone la bellezza, gliel’avea domandata. La pose ella in guardia del pastore Argo, che Eschilo dice d’ignota origine (
o, liberasse la giovenca ; il che quegli eseguì, col dolcissimo suono del flauto addormentando que’suoi vigili occhi. Della
è Iside era stata una regina di Egitto che mostrò a quel popolo l’uso del lino. In quanto ad Epafo, appena nato fu rapito d
di Giunone. Ma, uccisi questi da Giove, Io andò lungo tempo in cerca del figliuolo, e ritrovatolo presso la Regina de’ Bib
Ioda Enea ed i Troiani, perchè al sommo Giove riferivano il principio del lor legnaggio e della lor nazione. Ed invero Dard
è oltre modo dolente delle disavventure de’ discendenti di Dardano, e del miserando fato di Troia, abbandonò il suo posto e
dò con alcuni compagni all’isola di Lipari, ove, sposata la figliuola del vecchio re Liparo, ne divenne signore. Egli era u
e a tanta gloria ; la quale poscia svanì in guisa che divenne deserto del tutto ed abbandonato. Ammone chiamavasi Giove dag
iato fosse da sempre verdeggiante selva ; il che aveasi qual miracolo del nume. Una fontana ricchissima di acque che presso
tura, e povero di oro e di argento ; ma altri descrivono il simulacro del nume formato di smeraldi e di altre preziose gemm
arte co’cenni e con varii segni. Celebre nella storia è la spedizione del grande Alessandro al tempio di Giove Ammone(1). N
del grande Alessandro al tempio di Giove Ammone(1). Non contento egli del colmo dell’umana grandezza cui era giunto, si cre
zo al quale era quella favolosa fontana, di cui le acque allo spuntar del sole erano tiepide ; fredde, ne’calori del mezzod
cui le acque allo spuntar del sole erano tiepide ; fredde, ne’calori del mezzodì ; verso sera, si riscaldavano ; e bolliva
, trascorsi i quali doveansi celebrare i giuochi olimpici, ed il nome del vincitore denotava per lo più ciascuna Olimpiade.
) distingueva nella storia de’ Greci, il tempo incerto, dal principio del mondo al diluvio ; il mitico o ’favoloso, dal dil
o le leggi della proporzione, perchè seduto com’era, toccava il tetto del tempio ; che se si fosse dritto levato, l’avrebbe
o scettro di oro o di avorio, ed avea il tempio nel luogo più elevato del Campidoglio, per significare la maggioranza di lu
io Superbo, a tempo della Repubblica arrivò ad una magnificenza degna del nome romano(2). L’aia n’era di otto iugeri, e cia
ella fronte rilevata e quasi gonfia ; ed alla chioma che, come quella del leone, gli scende giù dal capo. Il Winckelmann è
’intendenti però sembra malagevole determinare i caratteri distintivi del Re de’ Numi. Il Giove Ellenio si dipinge senza ba
embiante tranquillo e con quella fronte serena che addita la serenità del cielo. Si vede pure Giove detto Serapide col modi
detto Serapide col modio sul capo, che Millin crede essere un avanzo del fusto della colonna, sotto la cui figura era ques
ol modio circondato da’sette pianeti e dallo zodiaco. In una corniola del gabinetto del Re di Francia, l’Olimpo è indicato
ndato da’sette pianeti e dallo zodiaco. In una corniola del gabinetto del Re di Francia, l’Olimpo è indicato da un Giove, c
ve Ammone dipingesi colle corna, che forse dinotano la forza de’raggi del sole, i quali sono cocentissimi nella Libia. Ebe
nale si appella Iupiter nondum barbatus (1). Diespiter, Giove, padre del giorno, detto Lucetius ne’carmi Saliari, cioè aut
nume. Iupiter Lapis, detto dalla pietra che inghiottì Saturno invece del figliuolo. Presso i Romani santissimo ed antichis
quattro giorni, e vi assistevano i consoli co’magistrati di 47 popoli del Lazio, de’quali i principali, dopo i Romani, eran
Ζευς ορκιος, da ορκος, giuramento ; perchè Giove teneasi per vindice del giuramento, e perchè nel nome suo sogliono gli uo
mite delle ghiande, di cui si cibavano prima che s’introducesse l’uso del frumento. La voce iuglans, noce, è quasi Iovis gl
Astrologi si reputa benigna e prospera al genere umano, a differenza del pianeta di Marte che l’ha terribile e sanguigna(5
erra dal peso de’malvagi(1). Nella pagana Teologia(2) Giove è l’anima del mondo ; e però i poeti dicevano che tutto era pie
Nella sua fanciullezza fu educata da Eubea, Prosinna ed Ascrea, fig. del fiume Asterione ; o da Temeno, fig. di Pelasgo, c
, favoleggiò che Giunone, ucciso Argo da Mercurio, ne pose sulla coda del pavone i soli occhi ; ma Nonno dice che quel past
ndo E schiamazzando, col romor che mena Lo squadron delle grù, quando del verno Fuggendo i nembi l’ocean sorvola : Con acut
è ardirono preferirsi a Giunone, furono cangiate ne’marmorei gradini, del suo tempio(1). Ma più conto è l’odio di questa De
che fu la fatale cagione di tanti famosi avvenimenti. IV. Cagioni del fatale odio di Giunone contra i Troiani. Laomedon
i Troia ; e Pindaro(2) aggiunge che sapendo que’ Numi esser nei libri del Fato che Troia dovea un giorno esser distrutta da
Laomedonte, la quale legata ad uno scoglio aspettava il fatale arrivo del mostro. Per sua buona ventura la regale donzella
dar loro, oltre la figliuola, alcuni cavalli ch’eran figli a’ cavalli del Sole, sì veloci che correvano sul mare, e sulle a
cavalli. Gli antichi ebbero tanto in orrore siffatta doppia perfidia del re Troiano, che l’imputarono a tutto il suo popol
ioniere, ed ella scelse Podarcete, suo piccolo fratello, e per prezzo del riscatto diede un serto d’oro, di cui avea il cap
ndolo bellissimo, il diede secretamente ad allevare ad alcuni pastori del Re, che abitavano sul monte Ida. Igino vuole che
stori del Re, che abitavano sul monte Ida. Igino vuole che i ministri del Re, mossi a pietà del fanciullo, l’esposero in un
avano sul monte Ida. Igino vuole che i ministri del Re, mossi a pietà del fanciullo, l’esposero in un bosco e che avendolo
ite fece conoscere quanto le passioni turbano la naturale rettitudine del giudicare. Assai celebrate presso gli antichi fur
italamio, che sarà in onore fino a che i dotti avranno cara la lingua del Lazio. Peleo adunque, e Telamone, fig. di Eaco, f
rimonio che fermato avea con Teti, sarebbe nato un figliuolo maggiore del padre. Perciò si tenne di sposarla, temendo che u
tenne di sposarla, temendo che un tal figliuolo l’avesse a spogliare del regno, com’egli fatto avea a Saturno. Fece adunqu
a contesa fra le tre Dee Giunone, Pallade e Venere. Si turbò la gioia del convito ; e Giove, non volendo seder giudice fra
fra la moglie e due figliuole, impose loro di rimettersi al giudizio del pastorello Paride. Le Dee se ne andarono da lui s
o secondo altri, in Egitto, con molte preziose cose tolte alla reggia del tradito Menelao. Vi fu chi disse, quest’Elena ess
nandosi della lunga assenza di Ulisse, desidera che dalle insane onde del mare fosse stata coperta quella nave che portò a
e, se non se distrutta Troia(3). Allora fu che Nereo, vedendo la nave del perfido Pastore Ideo, sciolse la lingua ad orribi
perch’io Or non t’afferri, e col flagel non faccia A te prima saggiar del dolo il frutto. E non rammenti il dì ch’ambe le m
sione poco degni della sua grandezza, di modo che il titolo di regina del cielo, ed il trono di oro che le dà Callimaco, lo
e maestà di Giunone. Iride. Da quanto dicono i poeti di Giunone e del suo carattere, siam costretti a credere ch’essi v
nche massima. In Roma ella divideva con Giove e con Minerva gli onori del Campidoglio, ove fin da’ tempi del prisco Tarquin
con Giove e con Minerva gli onori del Campidoglio, ove fin da’ tempi del prisco Tarquinio quelle tre sovrane deità come tu
oso innanzi alla sua sovrana ; e le dice ch’è tutta sua mercè se gode del favore di Giove, se ha l’impero de’ venti e siede
fatale e così accelerarle la morte(4). Vogliono che Iride fosse fig. del Ponto e della Terra, perchè l’Iride o arco baleno
be posta di rincontro al sole ; e da Elettra, che significa splendore del sole. Come Giunone è la Dea dell’aria, così Iride
la quale presedeva a tutti gli avvenimenti, e distribuiva, a seconda del proprio capriccio, il bene ed il male, e specialm
na vestita di tunica talare, con un diadema ornato della mezza luna e del fior di loto, i capelli fluttuanti su gli omeri ;
ciò che accade, dicevano gli antichi, è da’ Numi con immutabile legge del Fato stabilito ; ma gli uomini, lontani dal conso
abilito ; ma gli uomini, lontani dal consorzio degli Dei ed ignoranti del futuro, nel vedere la serie degli avvenimenti che
queste, Giovi i loro mariti(1). Essa accompagnava la sposa alla casa del marito, e presedeva alla cerimonia, con cui la sp
a’ parti, e però a lei le donne incinte facevan voti per la felicità del parto, ed a lei si raccomandava la prole. I Greci
o. Nel tempio di Platea era una statua di Giunone in piedi e maggiore del naturale, opera di Prassitele, il quale fu il pri
le fu il primo a dare lo sfendone a questa Dea. Era esso un ornamento del capo a guisa di corona, detto volgarmente diadema
r legarsi. Giunone il più dipingesi collo scettro di oro, qual Regina del cielo(2), come vedesi nella bellissima Giunone de
i oro, qual Regina del cielo(2), come vedesi nella bellissima Giunone del Museo Pio-Clementino, una delle più perfette stat
occhi, per cui fu chiamata boope, e la sublime nobiltà de’ lineamenti del volto. In un intonaco di Pompei, oltre lo sfendon
un semplice profilo rimasto di una testa muliebre in un guasto cammeo del Museo Strozzi, pe’ tratti della bocca giudicar si
avasi Giunone la Regina, ed era coperta di un gran velo nel rimanente del corpo. In una moneta de’ tempi di Gordiano vedesi
) ; Domiduca, come quella che accompagnava la novella sposa alla casa del marito ; Matrona, da Orazio ; e Materfamilias, da
ato il primo giorno di ciascun mese. Iuno Lacinia. da un promontorio del Bruzlo, oggi Capo delle colonne, antic. Lacinium,
meglio a luce, perchè coll’aiuto di lei i bambini uscivano alla luce del giorno ; e però dicevasi pure Iuno natalis, perch
la della notte, e il re di quella tribù di uccelli che temono la luce del giorno e volano soltanto quando è spenta ». Lo sp
. Quindi negl’inni di Orfeo appellasi figliuola unigenita (μονογενης) del Dio sovrano, uscita del capo di lui. Pindaro(2) v
feo appellasi figliuola unigenita (μονογενης) del Dio sovrano, uscita del capo di lui. Pindaro(2) volendo lodare l’isola di
Vulcano, uscir dovea Minerva, essa, secondo ch’era scritto ne’ libri del Fato, sarebbe rimasta presso quel popolo, il qual
di animali, che sembravano aver moto e vita. Pallade(1) uscita appena del cervello di Giove, si mostrò nella Libia, che cre
lo di Giove, si mostrò nella Libia, che credevasi la più antica terra del mondo e più vicina al cielo, come argomentavano d
recata a Roma. Eusebio vuole che vi era una donzella nelle vicinanze del lago Tritone, nell’Africa, o del fiume Tritone, i
vi era una donzella nelle vicinanze del lago Tritone, nell’Africa, o del fiume Tritone, in Beozia, famosa per le opere di
nità che alle belle lettere ed alle armi soprantende, e ch’era uscita del capo di suo padre. Ma più veramente volevano dirc
, non sono già un ritrovato dell’ingegno umano, ma piuttosto un parto del capo di Giove, cioè dell’inesausta fonte della me
ice che quella Dea ha una potenza ed una intelligenza simile a quella del Padre de’ Numi(6). Quindi si disse(7) che Minerva
dice(1) che nella contesa fra Minerva e Nettuno, questi con un colpo del suo tridente fece uscir della terra un fremente d
. Forse Cecrope approdato nell’Attica, ed avendo ritrovato gli uomini del paese dediti al culto di Nettuno, cioè inchinati
ll’ulivo di Minerva. V. Continuazione. Aracne. Tiresia. Invenzione del flauto. Minerva adunque tenevasi per la Dea d
zione del flauto. Minerva adunque tenevasi per la Dea delle arti, del lanificio, del tessere e del ricamo(2), come l’Is
o. Minerva adunque tenevasi per la Dea delle arti, del lanificio, del tessere e del ricamo(2), come l’Iside degli Egizi
adunque tenevasi per la Dea delle arti, del lanificio, del tessere e del ricamo(2), come l’Iside degli Egiziani, e l’Aracn
maravigliose andava sì grande per quelle contrade che spesso le ninfe del Tmolo, e quelle dell’aureo Pattolo andavano a ved
ito il fece cieco. Ma mossa a pietà delle lagrime della dolente madre del giovanetto, il quale per caso avea commesso quel
lo, per mitigarne il dolore, fece che il figliuolo, privo degli occhi del corpo, fosse assai veggente delle future cose ; p
a modo di ombre. Alla Dea delle arti attribuivasi ancora l’invenzione del flauto (tibia), alla quale(3) diedero occasione i
dolente Minerva, la quale andata a specchiarsi in una limpida fontana del monte Ida, vide che non era senza ragione derisa 
che avendo fatto il satiro Marsia, nella gara con Apollo pagò il fio del suo ardimento, come nell’articolo di quel Nume di
opere fabbrili. Argo, la prima nave che portò Giasone alla conquista del vello d’oro, fu opera di lei, o di Giasone medesi
gli Argonauti vi erano già navi al mondo, sapendosi che molte colonie del continente eran passate ad abitare rimote isole(1
a lei porgevano le loro preghiere. A lei si attribuisce l’invenzione del tessere, per cui la frase operari Minervae signif
dagli occhi azzurri, e la dipinge vispa, violenta, indomabile, amante del tumulto, della guerra e de’ combattimenti ; il qu
opago di Atene. Il Sig. di Santa Croce nel suo libro su i Misteri del Paganesimo, si studia di dimostrare che i Greci f
tà di Egitto, sotto il nome di Neith. La civilizzazione, come dicono, del genere umano, e quindi le prime leggi e l’agricol
ro affiderò la decisione di questa causa. Essi legati dalla religione del giuramento non tradiranno certamente la giustizia
i, i quali ritrovati uguali, Minerva diede il suo suffragio in favore del reo, ed egli fu assoluto. Chiamossi questo il suf
dall’aurea fibbia loda le donne Attiche ; ed anche l’Aurora va lieta del suo croceo peplo (κροκόπεπλος). Questa veste era
mero in più luoghi descrive or Minerva, or Teti, ed ora Venere ornate del loro peplo ; e chiama quello di Venere, più fulgi
Venere ornate del loro peplo ; e chiama quello di Venere, più fulgido del fuoco. Allorchè facevasi a Minerva l’offerta del
Venere, più fulgido del fuoco. Allorchè facevasi a Minerva l’offerta del peplo, questo o si gettava addosso al simulacro d
a un gallo sul cimiero ; ed il Montfaucon, di un’altra ch’è nel Museo del Monastero Sangermanese, la quale ha una lunga ves
a patera rappresenta Minerva armata di scudo e di lancia, mentre esce del capo di Giove. Alcuni dicono che quando uscì dal
re esce del capo di Giove. Alcuni dicono che quando uscì dal cervello del Nume, avea l’elmo, la corazza, in una mano la lan
eri animali, e perciò l’attribuivano a Pallade che uscita della testa del padre degli Dei tutta armata, non respirava che b
e Pausania racconta che Oreste, essendo stato assoluto nell’Areopago del suo parricidio, dedicò un altare a Minerva Marzia
mpii era un altare o una statua di rame ; o perchè ella insegnò l’uso del rame. Corifagena o Corifasia (a κορυφη, caput, e
a o Corifasia (a κορυφη, caput, e γενος, genus) detta o perchè uscita del capo di Giove ; o perchè figlia di Giove e di Cor
sommità di un tempio. Alla civetta attribuivano i Greci la cognizione del futuro, e però l’aveano consacrata a Minerva, sim
Samotracia. I suoi nepoti andarono a Troia e nella più riposta parte del tempio di Pallade ch’era nella cittadella, alloga
no la rapirono. Del quale sacro pegno spogliata fu Troia facile preda del nemico. Silio Italico dice che il vero Palladio f
par che voglia dire apportator di rovina, perchè il soperchio calore del Sole è dannoso agli animali ed apporta agli uomin
fu così detto da’Latini perchè risplende solo nel cielo, qual signore del giorno(2). Infine talora il Sole chiamasi Iperion
si supergradiens, perchè fa le sue passeggiate per le soprane regioni del cielo, Porfirio dice che un medesimo Dio era il S
nell’inferno. E fu detto Libero, perchè libere vagatur per gli spazii del cielo(3). II. Storia favolosa di Apollo. G
o parve nato dalla terra. Or Apollo la madre Latona da ogni oltraggio del gigante difese, uccidendolo colle sue saette, e c
ig. di Giove e d’Io, fu motteggiato, quasi non fosse egli vero figlio del Sole. Attristossene Fetonte, e tutto lagrimoso fu
a far doglianze di quell’oltraggio. Climene, per acchetare il dolore del figliuolo, disse non trovare spediente migliore c
disse non trovare spediente migliore che andar dal padre a chiarirsi del vero ; e Fetonte vi andò di buona voglia. Sopra a
ndò di buona voglia. Sopra altissime colonne era edificata la magione del Sole, la quale di oro e di fiammeggianti piropi p
osso da giovanile vaghezza, chiese di guidare per un giorno i cavalli del cocchio paterno. Si argomentò Apollo di distornar
elo e trasformato in costellazione. Or le tre di lui sorelle, dolenti del tristo fato di Fetonte, alla riva dell’Eridano lo
il quale pel dolore fu cangiato in cigno, uccello che per la dolcezza del canto e perchè credevasi dar qualche presagio del
che per la dolcezza del canto e perchè credevasi dar qualche presagio del futuro, fu consacrato ad Apollo(1). Da ciò è che
dono qualche antico Astronomo, il quale, dedito ad osservare il corso del Sole, fosse morto prima di compiere l’audace oper
fortemente pel lagrimevole caso di Fetonte che volea lasciar la cura del suo cocchio. Ma le maggiori sue sventure ebbero q
uerele di Plutone, il quale si doleva per vedersi rapito un abitatore del suo regno, percosse di un fulmine Esculapio, e co
della Clinica, e sotto forma di serpente adoravasi ad Epidauro, città del Peloponneso, ov’era un suo magnifico tempio ; e d
l’ira sua sfogare con Giove, uccise di saetta i Ciclopi, fabbricatori del fulmine ; per cui Giove lo spogliò della divinità
uccelli ; ma altri vogliono ch’eran mandre di tori(3). Admeto fu uno del principi greci che convennero alla celebre caccia
. Admeto fu uno del principi greci che convennero alla celebre caccia del cinghiale Caledonio, ed uno degli Argonauti. Apol
lui si offrì generosamente a perder la vita. Proserpina mossa a pietà del dolore di quel Re, volea rendergli Alceste ; ma n
A questi tempi accadde il fatto di Dafne, leggiadrissima ninfa, fig. del Peneo, nobile fiume di Tessaglia, il quale, a piè
ima ninfa, fig. del Peneo, nobile fiume di Tessaglia, il quale, a piè del monte Pindo scorrendo, innaffia la deliziosa vall
rno la vistu di Apollo, quand’era per nascondersi nelle paterne acque del Peneo, fu da quel Nume trasformata in alloro, di
ne mangiavano le frondi(3), che credevano comunicare un presentimento del futuro. Esiodo(4) dice che le Muse nel farlo poet
po. Apollo n’ebbe gran dolore, e dal suo sangue fece nascere un fiore del colore dell’ostro di Tiro, che chiamasi giacinto,
e greche lettere αι, αι, ahi ! ahi ! che sono la naturale espressione del pianto. Amico ancora del nostro Apollo fu il bell
ahi ! ahi ! che sono la naturale espressione del pianto. Amico ancora del nostro Apollo fu il bellissimo Ciparisso, fig. di
V. Orfeo. Lino. Mida. Marsia. Niobe. Aristeo. Di Apollo, signore del canto, e della musa Calliope fu fig. il gran cant
dice, una delle Driadi, la quale fuggendo un giorno i villani insulti del giovane Aristeo, un velenoso serpe che stava nasc
tinta consorte dì e notte chiamava, facendo eco al suo pianto le rupi del monte Rodope. E tanta fidanza ebbe nella sua lira
ebbe nella sua lira, che discese all’inferno per la profonda caverna del Tenaro. Quivi sì dolcemente suonò, pregando che g
a sposa, ma con patto che non si voltasse a guardarla prima di uscire del doloroso regno. Questa finzione ha potuto avere o
à. Orazio(2) dice che Orfeo dirozzò le selvatiche genti co’dolci modi del canto e della poesia ; e dal loro vivere e vitto
È fama(2) che un dì, morte di morbo e di fame le industriose pecchie del buon Aristeo, dalla valle di Tempe andò egli dolo
Mida ha le orecchie di asino . Il che fece a tutti aperto il difetto del re. Ciò significa che non è agevol cosa occultare
nno gli uomini a manifestarli. Anche Marsia osò venire a gara col Dio del canto. Fu questi un famoso satiro della Frigia, f
causidici per le loro faccende e per comporre le liti(1). La sorgente del fiume Marsia è una palude spessa di cannucce buon
s’intende la contesa con Apollo, inventore della lira, ed il gastigo del Satiro. Senofonte dice chiaramente(2) che Marsia
uccise. Anfione si diede colle proprie mani la morte ; e Niobe, priva del marito e de’ figliuoli, presso la loro tomba sfog
è tuttavia monumento della sua empietà verso i Numi e dell’ acerbità del suo dolore. Niobe, fig. di Tantalo e sorella di P
uoli. Finalmente Pausania racconta che fu egli di persona sulla vetta del Sipilo per vedervi la favolosa Niobe, e che quivi
e de’ Greci, avea avuta a schiava la giovane Criseide nella divisione del bottino fatto nella Misia. Il desolato genitore,
danaro pel riscatto, domandò la restituzione della figliuola in nome del suo Dio. Agamennone però con villani modi rigetta
me del suo Dio. Agamennone però con villani modi rigetta le preghiere del sacerdote, il quale, l’ira di lui temendo, senza
temendo, senza la figliuola se ne ritorna, e chiede vendetta al Nume del ricevuto oltraggio. Allora scende dal cielo Apoll
e insorge contro Agamennone, perchè il vate Calcante svela la cagione del funesto malore. Il supremo duce de’ Greci si adir
l’ira di Apollo ; il quale, volendo liberare da quella peste il campo del suo sacerdote, in sembianza di uomo accolto in ca
sleale consorte. VIII. Incumbenze di Apollo-Nove Muse. Luoghi del loro soggiorno. Non poche e tutte nobilissime era
da lui inspirati, come tutt’i cultori delle arti belle. Qual signore del canto, andava superbo di una bella lira di oro ch
(1), ed il primo che istituì i cori di donzelle, fu amico dei versi e del canto. Venuto a contesa colle Muse sulla cetra, i
irono velocissime per l’aria ; ed egli che salito su di un’alta torre del suo palagio, volea follemente seguirle, precipitò
a delle piche, è il vero tormento delle dotte orecchie ed il flagello del sacro bosco delle Muse. Le Sirene eziandio(1) osa
re che non era poeta, afferma di non aver bagnato le labbra nel fonte del cavallo. Era questo il bel fonte d’Ippocrene, che
l confondono coll’ Aganippe, che forse ebbe il nome da Aganippe, fig. del fiume Termesso, essendo naturale che una fontana
e vanno. L’Ippocrene poi (ab ιππος, equus, et κρηνη, fons), o fonte del cavallo, ebbe origine dal Pegaso. Esiodo dice che
lissimo, sì leggiadramente descritto da Pausania, e che gli abitatori del Parnasso aveano in grandissima venerazione. Era t
on un gran colpo di pietra quel mostro, il quale, uscendo di un antro del Parnasso, ove stavasi rìntanato, avea tutti morti
talia che Apollo trasformò in fontana, o da Castalio, re dei dintorni del Parnasso. Dirce era fonte e fiume che bagnava Teb
vo delle Muse, appellasi cigno Dirceo(1). Antiope fu fig. di Nitteo o del fiume Asopo, e moglie di Lico, re di Tebe, il qua
e di Tebe, il quale, dopo averla da se discacciata, sposò Dirce, fig. del Sole. Antiope, già incita, partorì Anfione e Zeto
e strascinata, fu per compassione degli Dei convertita in una fontana del suo nome. Il supplizio di Dirce è rappresentato i
del suo nome. Il supplizio di Dirce è rappresentato in un bel gruppo del palazzo Farnese, detto il toro Farnese, che ritro
er costruir quelle mura. Il che vuol dire, che Anfione colla dolcezza del suono e del canto persuase i Tebani a portar le p
quelle mura. Il che vuol dire, che Anfione colla dolcezza del suono e del canto persuase i Tebani a portar le pietre per le
mente tranquilla e circondata da piacevoli obbietti ; e però i luoghi del soggiorno delle Muse si fingevano deliziosi e rid
ucchiavan la soavità de’ loro versi(1). Orazio è qual’ape industriosa del monte Matino, che negli ombrosi boschetti di Tivo
Libetridi presso Virgilio(2). Alcuni vogliono che sia un autro a piè del monte Libetro, così detto dal poeta Libetro, che
capo, per la vittoria riportata sulle Sirene, come in un bassorilievo del palazzo Barberini e nella villa Albani. Anzi spes
esia lirica, alla quale ella presiede. Se le attribuisce l’invenzione del flauto ; percui sul basso rilievo dell’apoteosi d
nella diritta una maschera, ed ha il socco comico a’ piedi. La Talia del Museo Pio-Clementino era coronata di ellera, pian
coelum), quasi celeste, perchè presiede all’astronomia. In una statua del Museo Pio Clementino, tiene in una mano il globo,
all’ eloquenza ed alla poesia epica. Da Ovidio(1) si chiama la prima del suo coro e la più grande delle Muse ; come Orazio
Dei comunicato. Apollo era la medesima cosa che il Sole, detto occhio del mondo, che vede tutte le cose ; e perciò finsero
resentavasi quindi coronato di alloro ch’era simbolo della conoscenza del futuro ; e di alloro si coronavano le imposte de’
o, e prima di quello famoso di Delfo, città della Focide, sulla vetta del monte Parnasso, la quale credevasi dagli antichi
andando con volo eguale, fermaronsi a Delfo(4). Ora in questo centro del mondo era il celebre oracolo ed il nobilissimo te
intorno tagliata, ed il concorso della gente vi faceva una città ; e del tempio e della città le balze ed i dirupi facevan
e veci di mura, sicchè non era certo, se più mirabile fosse la natura del luogo, o la maestà del Nume. Il mezzo della città
non era certo, se più mirabile fosse la natura del luogo, o la maestà del Nume. Il mezzo della città avea sembianza di vast
appellata delfica, perchè era simile a quella mensa o tripode, sopra del quale la Pitonessa dava gli oracoli(1), ispirata
erne la rovina(2). I Greci dicevano che nel tempio di Delfo la radice del rafano era stata posta innanzi agli altri cibi, e
, pel quale i sacerdoti davan gli oracoli. Anche a Delo, luogo natale del nostro Apollo, dava egli i suoi oracoli. E passav
tazione a Delo per offerirvi sacrificii ad Apollo. Per questa scienza del futuro fu consacrato ad Apollo il corvo detto ucc
rificii, il corvo, adocchiati de’ buoni fichi, ma immaturi, dimentico del comando, si adagiò sull’albero per aspettare che
inghiottito dalla terra aperta per un gran tremuoto. Alcmeone, memore del paterno comando, uccise la madre Erifile, per la
l’uccise. Le quali cose dissero i poeti, perchè alle volte il calore del sole è cagione di subitanee morti. Ad Apollo poi,
fa menzione dell’ara cornea, fatta da Apollo, ed una delle maraviglie del mondo. Era essa tutta costrutta di corna di capra
mandre. XV.Continuazione. Febo o il Sole. Circe. Scilla. Armenti del Sole. Apollo finalmente era il dio del giorno
le. Circe. Scilla. Armenti del Sole. Apollo finalmente era il dio del giorno e della luce ; ed in questo senso propriam
’ Romani. Pare dunque che l’idolatria abbia avuto principio dal culto del sole, e che quest’astro fosse stato la divinità d
ote dell’ Etere ; il secondo, d’Iperione ; il terzo, di Vulcano, fig. del Nilo, al quale gli Egiziani avean consacrata la c
esta, secondo la sua usanza, subito sentì cangiarsi la metà inferiore del suo corpo in forma di rabbiosi cani. Della quale
avverti Ulisse che si fosse ben guardato dal recar danno agli armenti del Sole. Erravano questi in gran numero tra buoi e p
ali. Venivan guidati al pascolo da due ninfe, Fetusa e Lampezie, fig. del Sole, e della ninfa Neera. Ma i compagni di quell
di gravi disastri all’infelice Ulisse. XVI. Continuazione. Cavalli del Sole. Aurora. Titone. Mennone. Febo o il Sole
nutrice antica. Ed altrove : Era nell’ora che traea i cavalli Febo del mar con rugiadoso pelo ; E l’Aurora di fior vermi
rsi postosi già il velo. E l’Aurora appunto credevasi la messaggiera del sole, che apriva le porte rosseggianti dell’orien
ffatte comparazioni. Omero spesso l’addita cogli epiteti di figliuola del mattino (ηως ηριγενεια), di Dea dalle rosee dita
la dica lutea, perchè l’uno e l’altro colore sta bene alla bella luce del giorno nascente. Or l’Aurora fu fig. d’Iperione e
nascente. Or l’Aurora fu fig. d’Iperione e di Tea, la quale era fig. del Cielo e della Terra(2) ; o d’Iperione e di Eurïfe
rugiada e fa nascere i fiori. Anzi essa attacca i cavalli al cocchio del Sole, e poscia siede sul suo tirato da due cavall
in Tebe di Egitto, la quale(3), quando era illuminata da’primi raggi del sol nascente, formava un suono articolato. XVI
itrovata fra le rovine di Anzio, antica città d’Italia, verso la fine del secolo XV, fu collocata nel padiglione del Belved
tà d’Italia, verso la fine del secolo XV, fu collocata nel padiglione del Belvedere in Vaticano, donde trae il suo nome. Al
fuori, non giunge ad oscurare le luci, o a contrarre il sopracciglio del Dio del giorno. Il lungisaettantesi ravvisa ne’ s
non giunge ad oscurare le luci, o a contrarre il sopracciglio del Dio del giorno. Il lungisaettantesi ravvisa ne’ suoi sgua
agli omeri sembra che, secondo la frase di Omero, suoni sulle spalle del Dio sdegnato. Un’eterna gioventù si diffonde moll
orgogliosi giganti, o de’figliuoli di Niobe ; e chi dopo l’uccisione del serpente Pitone. Molte statue di Apollo avevano i
di Rodi, opera di Carete Lindio e di Lachete, ed una delle maraviglie del mondo, alto 105 piedi, ch’era allogato all’ingres
le maraviglie del mondo, alto 105 piedi, ch’era allogato all’ingresso del porto di Rodi. Da una parte si vede la testa del
llogato all’ingresso del porto di Rodi. Da una parte si vede la testa del simulacro circondata di raggi, come rappresentava
per indicare ch’egli agita il cocchio, che corre sì veloce le strade del cielo(1). I due piedi di questa famosa statua di
nne esprimono la più alta bellezza. I suoi lunghi crini erano i raggi del sole, e gli si attribuiva una perpetua giovinezza
aurea chioma, detto così dal fulgore de’raggi che sono l’aurea chioma del sole. Apollo Branchideo avea un celebre oracolo
le, secondo alcuni mitologi, era fig. di Urano, marito di Tia e padre del Sole, della Luna e di tutti gli astri. In Omero t
la di Eubea, co’ suoi figli Apollo e Diana, passando vicino all’antro del serpente Pitone, ed uscito questo contro di loro,
(παιαν, paean) chiamavasi un inno cantato in onor di Apollo, feritore del serpente Pitone, o dopo qualche vittoria, o per a
otropio o girasole, fiore che si volta sensibilmente secondo il corso del sole. Il gallo era consacrato ad Apollo, perchè c
pollo, perchè col suo canto annunzia il vicino apparire di Febo, cioè del Sole. Talora se gl’immolavano degli agnelli, come
i giuochi Apollinari, la prima volta celebrati in Roma per un decreto del Senato l’anno 542. Della loro istituzione vedi Li
Storia favolosa di questa Dea. La Luna era la più grande divinità del paganesimo dopo il Sole, percui adoravasi dalla m
corpi luminosi, agevolmente s’indussero a credere ch’erano i padroni del mondo e gli Dei che tutte le cose governano. La L
nacque il Sole, la Luna e l’Aurora. Era essa la regina della notte e del silenzio, come la chiama Orazio, o secondo Eschil
sa guisa ; e però non sarà inopportuno dir qualche cosa della Notte e del Sonno che han tanta attenenza colla Luna. III.
il Sonno dalle nere ali, e la schiera de’ neri sogni. Per ragione poi del regolare ed armonico movimento degli astri, loro
l’Ariosto : Il Sonno venne e sparse il corpo stanco Col ramo intinto del liquor di Lete. Callimaco gli dà l’ala Letea ; e
or di Lete. Callimaco gli dà l’ala Letea ; ed in Ovidio(2) la reggia del Sonno è bagnata da un ruscello di acqua Letea. Il
di quella contrada. In un antro dei Cimmerii Ovidio alloga la reggia del Sonno ch’egli ingegnosamente descrive nelle Metam
i papaveri, mentre abbraccia la testa di un leone sdraiato. Figliuoli del Sonno erano i sogni, sebbene Euripide chiama la T
to letteralmente da Virgilio(3). Morfeo poi era il principal ministro del Sonno e quasi il corifeo de’ sogni, che ad ogni c
al ministro del Sonno e quasi il corifeo de’ sogni, che ad ogni cenno del suo signore imita qualunque sembianza, e le parol
glio risplendente di una aureola di luce e trasformato nella sostanza del Sole. Selene che molto amava il fratello, alla nu
lla sostanza del Sole. Selene che molto amava il fratello, alla nuova del suo infortunio erasi precipitata da una loggia de
atello, alla nuova del suo infortunio erasi precipitata da una loggia del suo palagio ; e dopo quel sogno insieme col frate
stato discacciato e condannato a dormire eterno sonno in una caverna del monte Latmo, nella Caria, alle bocche del fiume M
eterno sonno in una caverna del monte Latmo, nella Caria, alle bocche del fiume Meandro, ove la Luna stessa dal cielo ne va
l nome, egli dice, fu dato al Sole, perchè liberamentepercorre le vie del cielo. Ma Fulgenzio(2) il vuole così detto, perch
llo di Cerere ; il secondo, di Merone o Melone, ch’era un antico nome del Nilo(4), e di Flora ; il terzo, di Cabito o Cabir
tuirono le feste Sabazie ; il quarto, da Giove e dalla Luna, in onore del quale si facevano i sacrificii Orfici ; ed il qui
e all’inferno per liberarne la madre, colla quale ritornato alla luce del sole, dopo molte e rispettose carezze fattegli da
i Bacco si dee sapere che le stelle le quali sono nella costellazione del toro, si appellano le Iadi (Υαδες). Ferecide fu i
le mosso Giove a pietà, queste mutò in sette stelle che pose sul capo del toro. Chiamavansi Ambrosia, Budora, Pasitoe, Coro
piovere. Plinio e Gellio(2) dicono lo stesso e condannano d’imperizia del greco linguaggio i Latini, da’ quali le Iadi si n
che tiene il fanciulletto Bacco fra le braccia. Della molle bellezza del suo sembiante più cose diremo nell’articolo icono
unto a Nasso fu tutto inteso al culto di Bacco ; ma pur ebbe a temere del furibondo Penteo, il quale leo fece imprigionare,
fece imprigionare, e pensava farlo morire. Bacco però non gli mancava del suo aiuto, giacchè gli caddero da se le catene, e
sentato a Penteo, di cui racconteremo l’acerbo fato. Bacco era il dio del vino, e perciò descrivesi di un carattere, quale
di ed era fatto alla foggia de’ Tirii. Fu sua delizia il canto a suon del flauto, per cui era fatto più per le danze e per
eozia, vicino al Parnaso, a Bacco ed alle Muse consacrato. All’arrivo del Nume le campagne di Tebe, risuonano di festose gr
è il vecchio Tiresia. Solo Penteo rampogna i suoi, dileggia i misteri del Nume, ed alle rimostranze di Cadmo, di Atamante e
o e la sparsa chioma, e con le mani ìnsanguinate mostrando il teschio del figliuolo, cantò vittoria con le compagne. Il qua
città destavano le orgie di Bacco, o sia l’uso soperchio e sregolato del vino, fu ucciso dalle Baccanti, cioè da persone f
i che lor pareva udire. Le misere donzelle per campare dalla vendetta del Nume, che mostrasi presente per l’improvviso appa
nemico di Bacco e non volendolo riconoscere per dio, il cacciò fuori del suo regno, e ne fece tagliare tutte le viti, dice
on Erigone e col fedel cane Mera andò nell’Attica per propagare l’uso del novello liquore. Alcuni agricoltori, avendone bev
e Mera col suo mesto latrare mostrò alla figliuola ov’era il cadavere del padre ; ed ella ivi per dolore finì la vita con u
di Eneo, ovvero Oeneo che in greco significa vino. V. Propagazione del culto di Bacco. Spedizione delle Indie. Ma, a
a esso composto di uomini e di donne, tutti agitati dal divino furore del loro duce. Molto han detto i poeti delle Ninfe, c
mo sì spesso in quasi tutte le rappresentanze di Bacco. Ne’ soli vasi del Museo Borbon. Ritrovasi piú di quaranta volte. Si
asciutti. In ciò si scorge copiato il prodigioso passaggio di Mosè e del popolo ebreo pel mar rosso. VI. Continuazione.
agogo. Anche i Satiri, quando eran vecchi, dicevansi Sileni, dal nome del loro capo, e figuravansi quasi sempre ubbriachi.
o piuttosto beffarda ; e se gli dà d’ordinario la coda. In un cammeo del Museo Borbon. Vedesi un Sileno caudato, assiso su
Mida avea fatto un fonte di vino per ubbriacare e quindi impadronirsi del buon Sileno ; dal quale apprese assai buone cose 
preziosa, e di grandi ricchezze dicesi l’oro di Lidia, o le ricchezze del Pattolo. Il ch. Goguet(3) dice che questo re assa
di Bacco. Baccanti. Bacco è spesso chiamato vincitore dell’India, del Gange, del mare barbaro ; e dal Redi, dell’Indico
accanti. Bacco è spesso chiamato vincitore dell’India, del Gange, del mare barbaro ; e dal Redi, dell’Indico oriente do
un gomitolo di filo(1) che ella teneva per un capo, stando alla porta del laberinto, mentre l’altro ne avea in mano l’eroe
itrovare l’uscita di quell’inestrigabile luogo. Poscia, temendo l’ira del padre, fuggì di Creta insieme con Teseo, il quale
’ira del padre, fuggì di Creta insieme con Teseo, il quale, dimentico del beneficio, crudelmente abbandonò l’infelice donze
orgie trieteriche la chiama l’udito nome di Bacco e le notturne grida del Citerone. Questo monte della Beozia era consacrat
Baccanti, le qualì si cingevano di serpenti sì la chioma che il resto del corpo(4) ; andavano coronate di edera e di pampin
umbenze di Bacco. Bacco fu il primo che insegnò agli uomini l’uso del vino, ed il modo di colfivare le viti, per cui sp
il modo di colfivare le viti, per cui spesso da’poeti chiamasi il dio del vino, il piantatore delle viti, il datore dell’al
ti, dice Millin, tributavano i loro omaggi al nume che avea loro viti del nettare involato agli Dei. Oltre a ciò gli antich
raggio giunto al licor che dalla vite cola. Quindi il Redi, parlando del vino, dice : Sì bel sangue è un raggio acceso D
iatore (προτρυγητης). I poeti accagionano Bacco de’perniciosi effetti del vino. A lui(4) attribuir si dee la fiera zuffa de
ribuir si dee la fiera zuffa de’ Centauri e de’ Lapiti. Piritoo, fig. del centauro Issione, sposò Ippodame, o Ippodamia, ed
strano, e fra’ Centauri ed i Lapiti si accese la più sanguinosa pugna del mondo, che Ovidio(5) descrive con tutt’i colori d
e in una mano teneva un vaso da bere, e nell’altra il tirso. Come dio del vino, egli a ragione presedeva a’banchetti ed all
anza ; e celebre è il tiaso, ch’era una danza delle Baccanti in onore del loro dio ; percui Tiasarca era il preside ai trip
tto Cisso, amico di Bacco, danzando avanti a lui, o sia facendo parte del tiaso, cadde e morì, per cui fu trasformato in ed
d effeminato ; molle delicatezza delle mani e di tutte le altre parti del corpo ; corona di pampini e di ellera ; bionda e
azio(2) fu detto candido, epiteto proprio di un bel volto ; e le arti del disegno fecero a gara per raccogliere dalla natur
dolci grappoli di uva pendenti dalle sue corna. Nella così detta casa del Questore a Pompei si vede un Bacco, le cui bionde
nato di edera, come Euripide il dipinge nelle Baccanti. In una statua del Museo Borbon. vedesi Bacco nel fiore della sua im
o da tigri, o da pantere, o da linci, per indicare forse che la forza del vino doma ed ammansisce ogni più indomita natura.
co’satiri. Uno de’più bei monumenti relativi a Bacco è il vaso d’oro del museo d’antichità di Parigi trovato nella città d
el mezzo Bacco ed Ercole che si fanno versare da bere. Bacco si serve del rython, ed è osservabile pel tirso e per la pante
tirso e per la pantera che ha a’ piedi. Ercole è assiso sulla spoglia del leone ; gli sta dappresso la clava, e beve in un
flauti, e siringhe. Presso a Bacco è il suo babbo Sileno. Il contorno del vaso rappresenta la vittoria riportata da Bacco s
bie diritte. Vi è un altro Fauno colle orecchie caprine e colle forme del volto assai esagerate, come soglionsi i Fauni dip
al tirso. La pantera ed i cembali si veggono da un lato e dall’altro del trono di questo dio che sta dipinto sopra un fond
vitore con un corno in mano, perchè gli antichi prima dell’invenzione del bicchiere facevano uso delle corna de’ buoi per b
chio da vino, di cui credevasi inventore. In onore di Bacco inventore del torchio si celebravano le feste Lenee. Lieo, λην
i scese all’inferno per trarne la madre Semele, che Giove, ad istanza del figliuolo, allogò fra le immortali col nome di Ti
nume, o perchè i padri di famiglia volevan porre sotto la protezione del padre Libero i loro figliuoli. Secondo alcuni Bac
di siffatto componimento ; ma gl’Italiani vantano il Bacco in Toscana del Redi, ditirambo che può dirsi perfetto ed a cui n
Αφροδιτη da αφρος, schiuma, perchè Venere si finge nata dalla schiuma del mare. Didimo(2) la fa derivare da due voci greche
antichi ne distinguevano parecchie. Cicerone(3) dice che una era fig. del Cielo o di Urano, e della Luce o del Giorno ; l’a
icerone(3) dice che una era fig. del Cielo o di Urano, e della Luce o del Giorno ; l’altra uscita dalla spuna del mare, dal
lo o di Urano, e della Luce o del Giorno ; l’altra uscita dalla spuna del mare, dalla quale e da Mercurio nacque Cupido sec
ro chiama Venere fig. di Giove ; ed Esiodo la dice nata dalla schiuma del mare presso l’isola di Cipro ; percui Museo(2) la
e presso l’isola di Cipro ; percui Museo(2) la chiama donna e signora del mare ; e da Orazio(3) appella vasi sovrana padron
are un quadro che rappresentava Venere nell’atto di uscire dalle onde del mare, detta perciò Anadiomene. Igino poi(5) racco
e Venere era la luna e che perciò chiamavasi noctiluca. Dalla schiuma del mare adunque, dice Esiodo, nacque Venere, la più
ta dagli Orientali. I Fenicii, conducendo le loro colonie nelle isole del mediterraneo e nella Grecia, vi recarono eziandio
ci che portavan tutto al maraviglioso, finsero ch’era nata dalle onde del mare. III. Continuazione-Adone-Atalanta ed Ipp
ta nel bagno. Alle grida dell’infelice giovane Venere accorse, sparse del nettare sulla ferita e dal sangue di lui fece nas
che Ovidio dice essere l’anemone, fiore che si apre solo allo spirare del vento (ανεμος, ventus). Altri vogliono che l’anem
dalle lagrime di Venere, la quale, entrando nella foresta in traccia del ferito Adone, la spina di un rosaio le punse il p
ferito Adone, la spina di un rosaio le punse il piede, ed una goccia del suo sangue che zampillò dalla ferita, cangiò in r
si anacreontici nell’idillio trentesimo. L’Italia ha il celebre poema del cav. Marini intitolato l’ Adone. La favola di Ata
. La corsa di Atalanta e d’Ippomene è il soggetto di due belle figure del giardino delle Tuilèries. Que’ pomi d’oro che Ven
ll’Iliade e dell’ Eneide. Si è nell’articolo di Giunone favellato del fatal pomo della discordia, del giudizio di Parid
è nell’articolo di Giunone favellato del fatal pomo della discordia, del giudizio di Paride e della vittoria che riportò l
concepì un odio implacabile contro la sua rivale, e portò gli effetti del pernicioso suo sdegno su tutti gli eroi del sangu
vale, e portò gli effetti del pernicioso suo sdegno su tutti gli eroi del sangue di lei. Ed ecco ne’ due grandi teatri dell
se stato fosse possibile, dal turbine che loro soprastava per volere del fato. Nel terzo libro dell’Iliade, Paride rampogn
ide è nel punto di essere ucciso da Menelao ; ma Venere fatta accorta del pericolo « lo ravvolse Di molta nebbia, e fra i
io, e già questi era presso a morire, se Venere, sua madre, oprendolo del suo peplo, non avesse impedito che » ferro Ache
il figlio. Monti. Allora Iride, presala per mano, tirò la Dea fuori del tumulto, ed ella, salita all’olimpo sul cocchio p
sua cintura per significare che questo nume possedeva tutte le grazie del discorso. Il Tasso ha imitato la descrizione che
grazie del discorso. Il Tasso ha imitato la descrizione che fa Omero del cinto di Venere, quando descrive la cintura di Ar
do avanzo il figliuolo di Venere e di Anchise, il pio Enea. Il volere del fato il portava in Italia ; l’ira di Giunone a tu
Or navigando a piene vele la Troiana flotta dalla Sicilia alla volta del Lazio, una tempesta ad istanza di Giunone suscita
e dirla Roma dal suo nome, città ch’esser dovea l’eterna imperatrice del mondo ; e le predice infine la gloria di Cesare,
germogli de’fiori e delle altre piante. Da siffatte solenni promesse del Padre de’ numi Venere rincorata il di vegnente si
benigno ospizio. Ciò detto(1), nel partir la neve e l’oro E le rose del collo e de le chiome, Come l’aura movea, divina l
quivi a ritrovare stanza sicura, ritenuto Ascanio ne’sacri boschetti del monte Idalo, fa sì che Cupido, preso il sembiante
ndarvi il destinato impero ; Venere, per rendere più sicura la dimora del figliuolo in Cartagine, chè ben sapeva, le promes
morosa la madre pel turbine di guerra che addensar si vedeva sul capo del diletto figliuolo, con mille carezze induce Vulca
ara neutrale, e la sorte de’ Troiani e de’ Rutuli alle determinazioni del fato interamente commette. Arde intanto gran fuoc
principessa Lavinia ; ed è vicino il momento, in cui coll’ uccisione del re de’ Rutuli dovea Enea stabilirsi in Italia. Tu
lla riva di quel fiume, e si numerava fra gli Dei indigeti o tutelari del paese (1). VI. Corte di Venere – Cupido ed Ant
erzo, detto Antero, di Venere terza e di Marte. Alcuni lo dicono fig. del Caos e della Terra ; altri, di Venere e del Cielo
te. Alcuni lo dicono fig. del Caos e della Terra ; altri, di Venere e del Cielo ; ma comunemente si dice nato da Venere e d
o la Dea della persuasione, forse per significare che il gran segreto del persuadere è il saper piacere. Esse ordinariament
ia, Eufrosine, amante degl’ inni, e Talia, amica de’ carmi, figliuole del più potente de’ numi. Il fin qui detto dimostra c
de’ più bei fiori di primavera. Presso Omero le Ore sono le portinaie del cielo, e le ancelle di Giunone. Presso i Greci es
irlandato di odorosa maggiorana ; col flammeo ch’era un velo giallo o del colore della fiamma, proprio delle novelle spose 
calzari anche di colore giallo, che portavansi dagli uomini studiosi del vestire elegante ; e con una face di pino in mano
augurava la sua felicità ; e di lui si fece un nume dell’innocenza e del buon costume, e s’invocava il suo nome nelle nozz
to a cantarsi nella celebrazione delle nozze, quando portavasi a casa del marito la novella sposa (1) ; e che questa voce s
o, di Citera e della città d’Idalia. Catullo (3) chiama Venere figlia del mare e signora del sacro Idalio bosco, delle Assi
a città d’Idalia. Catullo (3) chiama Venere figlia del mare e signora del sacro Idalio bosco, delle Assirie pianure, di Anc
quest’isola su di una conchiglia approdò Venere già nata dalla spuma del mare. Ma Cipro, isola natale di Venere, nel Medit
e « a Venere vincitrice ». L’opinione che Venere sia nata dalla spuma del mare, è consacrata da molti antichi monumenti, e
’istante ch’esce delle onde. Era questa la Venere Anadiomena och’esce del mare, nella quale opera, se crediamo a Properzio,
pone il sinistro piede sopra di uncasco, è stata scoperta negli scavi del teatro di Capua, ed ora orna il real palazzo di C
, di cui i Greci ed i Romani la riputavano signora. Omero fa menzione del nitido peplo di Venere, col quale ella ricoprì il
Medici, è simile alla rosa ch’esce fuor della boccia al primo apparir del sole dopo una bella aurora, Heyne con molti versi
a Gnido ed alla quale fu debitrice quella città della sua rinomanza e del concorso de’ forestieri. Questa statua ch’era di
si vede un delfino, su cui stanno due pargoletti Amori(2). La Venere del Museo Capitolino si è conservata meglio di tutte
rigi, e si annovera fra le più belle statue di questa maniera. Invece del deifino della Venere Medicea ha da una parte un g
i per opera degl’industri pennelli alzarsi dalle onde la bella figlia del mare, e più lucente del sole con folgoranti pupil
i pennelli alzarsi dalle onde la bella figlia del mare, e più lucente del sole con folgoranti pupille accender fiamme nell’
detto avresti di veder correre a gara le onde, eccitando nella calma del mare amorosa tempesta. Sollevavan dalle acque le
tra Venere a’ medesimi di Coo, della quale fece la testa e la sommità del petto, e non più, e credesi che avrebbe vantaggia
bellezza della faccia toglieva la speranza d’agguagliare il rimanente del corpo. » E poco appresso : « Del nostro Apelle n
di rose fatto da Zeusi e che si vedeva in Atene nel tempio di Venere, del quale forse fece menzione Aristofane(2). Anche Fi
l più si dipingeva a guisa di bellissima donzella che sta sulle acque del mare e con una conchiglia in mano ; ed avea sul c
uoi cani ; ora con Cupido e colle Grazie ; ma più spesso come uscente del mare sopra di una conchiglia portata da due Trito
ενης θεα da Esidio, απυ του αφρου, a spuma, perchè nata dalla schiuma del mare. Ma il P. Arduino vuole che la voce Aphrodit
e preziosa.Basilea, βασιλεια, ανασσα, regina, perchè credevasi regina del cielo e della terra. Crazio la chiama regina di P
i Smirnesi avea dichiarato che il tempio di Venere Stratonica godesse del dritto di asilo. XI. Alcune altre cose di Vene
be, or da’ cigni ed ora da due neri passeri, come cantò Saffo(1) : «  del padre la magione aurata Lasciavi, ed i bei passer
eloci Le fosche ale agitando in varie ruote, Te, bella Dea, portavano del cielo Per l’ampie strade. B. Quaranta. Virgilio(
il punto fortunato dicevasi di Venere, come il contrario si chiamava del cane. I Genii aveano una certa affinità colle Gra
tare le arti medesime in acconcia ed elegante maniera. In una pittura del Museo Borbonico si veggono i Genii de’ fiori ; ed
vi sono i Genietti mugnai tutt’intenti ad esprimere le varie faccende del macinare, Sono sette e fanciulli di aspetto assai
città o un luogo, quando vi entravano la prima volta, e ciò in onore del Genio tutelare(4) ; i quali Genii spesso si rappr
llo viverebbe sino a che non avesse veduto se stesso. Si risero i più del pronostico, che il fatto dimostrò vero ; perocchè
Tracia(3), ove, al dir di Callimaco(4), egli siede sull’alto vertice del monte Emo. E Virgilio(5), dice che il padre Gradi
li astri e su i pretesi loro influssi. Il torbido e rossastro aspetto del pianeta di Marte fecegli attribuire la virtù di d
perfetto danzatore. In premio di ciò Giunone diede a Priapo la decima del bottino che avrebbe fatto Marte nelle battaglie ;
Continuazione. Seguito di Marte e di lui carattere. Ma il seguito del nostro Marte era veramente formidabile e degno de
Ma il seguito del nostro Marte era veramente formidabile e degno del dio della guerra. Mentre egli(1), eccita alla pug
Esiodo, e da Venere, nacque il Terrore e la Paura, compagni esiziali del nume devastatore delle città, i quali nelle orrid
ioni pongono in iscompiglio. E nello scudo di Ercole si rappresentano del terribile Marte gli alipedi destrieri, e lo stess
oliaste di Eschilo chiama ministri o servi di Marte. Bellona, sorella del nume, gli metteva in ordine il cocchio ed i caval
stragi ed il sangue sono l’infelice frutto de Ila guerra. De’ seguaci del nostro Marte fa pur menzi one Virgilio(2) in una
rra, con bella immagine dice che le Furie con queste vittime infelici del guerriero furore danno un grato spettacolo all’in
sua origine e la sua grandezza, stava assai bene sotto la protezione del Dio delle armi. Finsero adunque che Romolo fosse
olo di Marte. Fu egli quindi meritamente inteso a promuovere il culto del suo divin genitore, e perciò chiamò Martius, da M
eva che ciascun senatore avesse sotto la toga portata fuori una parte del corpo di lui, acciocchè il fatto non si manifesta
rte del corpo di lui, acciocchè il fatto non si manifestasse. Al pari del marito anche Ersilia, una delle Sabine rapite, fu
non perchè era il padre di Romolo, ma perchè così dicevasi da’ popoli del Lazio. Quello poi ch’è più celebre nel culto di M
ando solennemente. Plutarco poi in Numa racconta che nell’ottavo anno del regno di Numa, mentre un’ orribile pestilenza dev
elosamente conservare con altri undici che avessero la medesima forma del celeste. Così si fece e la peste cessò. Allora Nu
ne fece vendetta e l’uccise. Allora Nettuno dolentissimo della morte del figliuolo, chiamò Marte in giudizio ; ma i miglio
sissime, com’eran le Amazzoni, con molta ragione si finsero figliuole del dio della guerra. E perchè nell’ Asia Minore, e p
ue luoghi di Virgilio che la descrivono. Mentre Enea(3) in una parete del tempio di Giunone a Cartagine contempla maravigli
icose nell’Asia, che formavano un popolo presso il Caucaso sulle rive del Termodonte, ed il loro nome significa un’eroina,
esa da molti, non volle darla che a colui che lo vincesse nella corsa del carro. Avea egli cavalli più veloci del vento ; e
i che lo vincesse nella corsa del carro. Avea egli cavalli più veloci del vento ; e perciò tredici o diciassette ne rimaser
rcurio e di Fatusa, una delle Danaidi, al quale avea promesso la metà del regno, vinse Enomao nel corso per essersi rovesci
dalla voce αλαλα, la quale era un grido militare solito a farsi prima del combattimento. Plutarco chiama Alala la figlia de
τειχεσιπλης ; e delle città, πτολιπορθος ; e più altri epiteti degni del nume della guerra. Anche Bellona da Omero si chia
Χαλκεος Αρης, Mars aereus, Marte di bronzo, per indicare la fortezza del dio della guerra. Quindi Χαλκοχιτων, vestito di b
ano il loro ingresso nella città i generali romani che aveano l’onore del trionfo. Una turba di fanatici, credendosi agitat
orpo e col proprio sangue si rende propizia la Dea(4). In Roma, fuori del pomerio, era un gran campo consacrato a Marte, de
tto campo Marzio, e campo per eccellenza, ove si radunavano i comizii del popolo romano per la creazione de’ magistrati, pe
uerra con frequenti esercizii militari sotto la direzione de’ Maestri del campo (campidoctor, οπλοδιδακτης. Vet. Glossar.).
atini. Furnuto(1), e Fulgenzio(2) danno alcune stranissime etimologie del nome Ermete ; e non pochi fanno derivare questa v
quattro Mercurii ; il primo, figlio di Giove e di Maia ; il secondo, del Cielo o del Giorno ; il terzo, di Libero e di Pro
curii ; il primo, figlio di Giove e di Maia ; il secondo, del Cielo o del Giorno ; il terzo, di Libero e di Proserpina ; ed
quale fu ucciso Argo. Cicerone(2) ne annovera cinque : il primo, fig. del Cielo o del Giorno ; il secondo, di Valente e di
iso Argo. Cicerone(2) ne annovera cinque : il primo, fig. del Cielo o del Giorno ; il secondo, di Valente e di Coronide, ch
mese dell’anno, forse perchè quegli fu l’inventore dell’ astrologia e del calendario. Ed in questo mese gli Egiziani celebr
Mercurio, che diede alla luce sullo stesso monte Cilleno, sul pendio del quale era la città di Cillene. Fu quindi questo n
e da’ Greci attribuito a Minerva ; tutte le quali cose essi han detto del loro Mercurio. L’Ermete egiziano finalmente fu ri
ò quel nume una bellissima giovenca. Ma per assicurarsi della fedeltà del pastore, ritornò tosto da lui sotto altra forma,
avviene in Priamo, gli si offre per guida, ed addormentate le scolte del greco esercito, apre le porte ed il vecchio re co
porte ed il vecchio re co’ doni introduce inosservato nel padiglione del figlinol di Peleo. Così, secondo che dice Orazio
le pecore di Sisifo, il quale disperando di poter conoscere l’autore del furto, pensò di marcare le sue pecore sotto a’ pi
studo, tartaruga, al quale Orazio (3) dà sette corde, perchè facevasi del guscio della tartaruga ch’è materia assai sonora.
urio, avendo per caso ritrovato il guscio di una testuggine alla riva del Nilo, ed i soli nervi secchi rimasti, ne avesse a
ve. « Udito ch’ebbe Mercurio, ad eseguir tosto si accinse I precetti del padre ; e prima a’ piedi I talari adattossi. Ali
ono al bastone in guisa da formar quasi un arco colla parte superiore del corpo ; perciò Mercurio volle portar sempre in ma
e il sonno, detto perciò sonnifero da Ovidio. In un antico candelabro del Museo Borbonico vedesi Mercurio che ha due piccio
che niuno potesse morire, se Mercurio non avesse sciolta dal vincolo del corpo l’anima che ad esso era unita per virtù div
hiama in vita le anime spente, e le vive conduce fino alle meste sedi del tartaro. Laonde in molti bassirilievi questo nume
deali il mansueto Ermete. L’Ocean trapassavano, e la bianca Pietra, e del Sole le lucenti porte. Ed il popol de’ sogni : in
so dagli Egizii. L’Oceano, di cui parla Omero, era il Nilo : le porte del sole voglion dire la città di Eliopoli, cioè la c
 : le porte del sole voglion dire la città di Eliopoli, cioè la città del sole (ηλιος, sol, et πολις, urbs.) ; il prato e l
alle volte a’ piedi un gallo ed un becco(2) E com’egli formò la lira del guscio di una testuggine, così spesso questo anim
oggia e dal sole. Le ali poi attaccate al petaso indicano la velocità del celeste messaggiero, o le ali dell’ingegno, perch
ssaggiero, o le ali dell’ingegno, perchè gli si attribuiva la coltura del genere umano. Vi era una statua di Mercurio(1) co
mantello alle spalle. Una delle più belle statue di Mercurio è quella del Museo Pio-Clementino, creduta un Antinoo, e da Wi
fane Εμπολαιος, (εμπολη, lucrum ex negotiatione), cioè soprintendente del traffico ; Κερδεμπορος, (a κερδος, lucrum, et πορ
ντης (ab Αργος, Argus, et φοντης pro φονητης, occisor), cioè uccisore del pastore Argo che avea cento occhi, come nell’arti
laetitia, et φρην, mens), apportatore di allegrezza, forse perchè dio del guadagno. VII. Alcune altre cose di Mercurio.
omando di Giove stesso andò da Deucalione per trattare la riparazione del genere umano dopo il suo famoso diluvio(3) ; per
erno(4) ; inchiodò Prometeo con chiodi di ferro ad un sasso smisurato del monte Caucaso e gli assegnò l’aquila che dovea di
i antichi popoli ; percui si annovera fra i più celebri e vetusti Dei del gentilesimo. E ciò nacque dal naturale amore che
edevano che l’uomo fosse fatto di terra ed acqua riscaldata da’ raggi del sole. Quindi dicevano la Dea Tellure moglie del S
riscaldata da’ raggi del sole. Quindi dicevano la Dea Tellure moglie del Sole o del Cielo, perchè il sole ed il cielo la r
da’ raggi del sole. Quindi dicevano la Dea Tellure moglie del Sole o del Cielo, perchè il sole ed il cielo la rendono feco
a cessazione dell’oracolo di Delfo essere avvenuta, perchè, a cagione del lungo volgere degli anni, mancata era quella virt
quella esalazioni, le quali la mente muovono, e la rendono previdente del futuro a segno di ; predirlo anche in versi ? Sec
ti, si allogò alla bocca della caverna un tripode coperto della pelle del serpente Pitone, sul quale assisa la Pitonessa, d
te Pitone, sul quale assisa la Pitonessa, dopo aver bevuto dell’acqua del fonte Castalio, riceveva, co’ vapori della Terra,
del fonte Castalio, riceveva, co’ vapori della Terra, le inspirazioni del Nume, e così dava gli oracoli. Il mostruoso Piton
oltre i Titani ed i Giganti, da Esiodo anche i Ciclopi si dicono fig. del Cielo e della Terra , sebbene alcuni li dicano fi
rgilio i migliori interpetri intendono il sole. E dalla forma rotonda del loro occhio ebbero il nome di Ciclopi (a κυκλος,
orme statura, e si per valentia erano insuperabili. Esiodo li fa fig. del Cielo e della Terra ; ed Igino, dell’Etere e dell
tro quel nume. Virgilio(2) pone Briareo cogli altri mostri alla porta del Tartaro ; ed altrove(3) dice che ad Egeone arde i
i per ragionare con ordine di tante specie di numi, favelleremo prima del Dio Pan, ch’era la natura stessa deificata, il gr
rtecipasse di tutto l’universo. Avea le corna per significare i raggi del sole e la luna bicorne ; era rosso in viso, per e
forme di animali, allorchè si rifuggirono in Egitto, per lo spavento del crudele Tifone ; e che in grazia di sì prudente c
di sì prudente consiglio, fu da essi trasformato nella costellazione del Capricorno, perchè egli in quel periglio erasi mu
ollo l’arte d’indovinare ; ma che poi vennero a contesa sulla perizia del suono ; e di ciò fu cagione l’esser venuto Pan in
; ed il terzo in cui le cannuce si uniscono colla cera ; l’invenzione del quale da Virgilio e da Ovidio (1) si attribuisce
Ateneo(2), a Marsia. Altri (3), però a Pan attribuiscono l’invenzione del plagiaulo (πλαγιαυλος, tibia obliqua) o flauto tr
e abitavano un monte vicino a Nonaera , città di Arcadia, e figliuola del Ladone, bel fiume che si scarica nell’Alfeo. La q
ne, bel fiume che si scarica nell’Alfeo. La quale fuggendo alla vista del selvaggio Dio Pan, e giunta alle sponde del Ladon
quale fuggendo alla vista del selvaggio Dio Pan, e giunta alle sponde del Ladone , fu per pietà delle ninfe sorelle, cangia
ompei, la quale da questo prezioso monumento ha preso il nome di casa del Fauno.Esso ha le corna, è coronato di pino e vede
a bellissima ode ch’è una specie d’inno. I Luperci poi eran sacerdoti del dio Pan o di Fauno ; e Lupercali si dicevano alcu
le vittime immolate e facendo molte stravaganze. Silvano, antico nume del Lazio, presedeva alla piantagione ed alla semina.
moniosi pianti ; E che il rozzo villan sente da lungi Qualor scotendo del biforme capo La corona di pino il dio de’ boschi,
e in una voce che niente avea dell’umano, ma che sembrava partecipare del nitrito, e del belato delle capre. Il gran solita
he niente avea dell’umano, ma che sembrava partecipare del nitrito, e del belato delle capre. Il gran solitario S. Antonio
a, col naso adunco, col capo cornuto e che avea di capra l’altra metà del corpo. Ed a tempo di Costantino un simile animale
, quel monte essere abitato dai Cabili, i quali, pel soverchio calore del sole, il giorno vivono nelle caverne, e di notte
nsieri. Alcuni derivano il nome Vertunno dall’aver divertito le acque del Tevere dal Velabro, pianura fra il Capitolino, il
ni e de’fruti, e di lui moglie. Ovidio(3) la dice una delle Amadriadi del Lazio che per la sua destrezza nel coltivare i gi
di lei spunta dal suolo un nuovo fiore ; la sua fronte ba il candore del giglio ; le guance sono colorite da vermiglie ros
eritò gli onori divini. I suoi misteriosi riti si celebravano in casa del Pontefice Massimo, o del Console, o di qualche al
suoi misteriosi riti si celebravano in casa del Pontefice Massimo, o del Console, o di qualche altro alto magistrato. Se l
dir di Ovidio, una Dea de’ pastori, cui facevan voti pel felice parto del gregge ed affinchè ne tenesse lontani i lupi ; e
n dei sacrificii alla Dea, eran soliti di purificarlo. Se le offeriva del latte, e di latte si spargeva la statua di lei (4
spesso si trovavano ne’ campi e per le vie (6). Numa istituì le feste del dio Termine dette Terminalia, pel dì 20 di Febbra
Superbo edificare sul Tarpeio un tempio a Giove, acciocchè la piazza del monte libera fosse per la edificazione di esso, o
esso, ordinò di esaugurare tutt’i tempii di quel luogo, ma che quello del dio Termine non fu ammesso dagli auguri. Per siff
ssa. In Esiodo (2) leggesi Γαιαευρυστερνος, per ragione dell’ampiezza del suo seno, cioè delle vaste sue pianure. Curotrof
o dopo la semente, ed in cui si offeriva a Cerere ed alla Terra anche del farro. Nelle feste dette Fordicidia, in onore del
all’antico cereo per creo, perchè questa Dea si reputava la creatrice del grano. Da’ Greci poi chiamavasi Δημητηρ, quasi Γη
di Saturno e di Opi, e secondo il Boccaccio, ve ne fu un’altra figlia del Cielo e di Vesta, sorella di Saturno e moglie di
antichissimo re della Sicilia, il quale a’ suoi popoli insegnò l’uso del frumento. Vi fu già un tempo, dicevano i poeti, i
Cerere, le proferse certa polenta, che la dea trangugiò avidamente ; del quale atto rise sì forte un giovinetto che la dea
o il capo, alla dea disse che Proserpina per forza rapita, già moglie del dio dell’inferno, era regina di quel tenebroso re
el dio dell’inferno, era regina di quel tenebroso regno, come Giunone del cielo. Cerere rimane attonita a tal nuova, e pien
mano e che Proserpina signoreggiava in ampio reame. E poi esser legge del fato, non potere uscir dell’inferno chi vi avesse
svelò un tal fatto ; percui, adirata la dea, spruzzandolo coll’acqua del Flegetonte, il trasformò in malaguroso uccello, d
pagne, per la quale M. Catone(1) chiamò la Sicilia dispensa o granaio del popolo romano. Plutone, dice Tullio(2), rapì Pros
ina per sei mesi con Plutone, era simbolo de’ sei mesi che la semenza del grano è sotterra in quel tempo che il sole corre
o è sotterra in quel tempo che il sole corre per i sei segni australi del zodiaco ; come gli altri sei mesi ch’era colla ma
ra, pregaron gli dei che potessero, fornite di ale, andar sulle acque del mare per averne contezza. E però furon trasformat
eran negli antichi tempi tre principesse, signore delle tre isolette del mar Tirreno che Aristotele chiama delle Sirene. L
angiata, per sotterranei ed occulti luoghi apertomi un sentiero sotto del mare, mantenendo pure e dolci le mie acque, ne an
caduta nell’Alfeo presso ad Olimpia, si vide galleggiare sulle acque del fonte Aretusa ; e ch’esso divien torbido, quando
orrendo per le regioni della terra, a’ popoli distribuisse la semenza del frumento ed insegnasse l’agricoltura ; e ciò fu p
di cinque anni, ne’ quali era permesso solo di entrare nel vestibolo del tempio e non già nel santuario. Or non vi era in
mancava, riputavasi esecrando e spesso si puniva colla morte. Il nome del Gerofante era sì venerato che non potea profferir
, de’ gastighi e de’ premii di un’altra vita ec ; i quali, per timore del popolo, si tenevano con tanta cura celati. Ma i P
re cangiar forma, si fece vendere più volte per soddisfare a’ bisogni del padre, il quale con tutto ciò finì miserabilmente
diadema ; colla doppia fiaccola, e che colla sinistra prende un lembo del manto, nel quale Mercurio mette una borsa piena d
sapere che gli antichi ponevano una corona di spighe avanti la porta del tempio di quella Dea. In un dipinto di Pompei ess
piteti di Cerere. Alma (ab alo), soprannome di Cerere inventrice del grano con cui gli uomini si alimentano. Aloea (α
erere presedeva alla costellazione della Vergine, perchè questo segno del zodiaco cade nel mese di agosto, in cui la messe
Latini, o Volcanus, secondo Varrone(4), dalla violenza e dal fulgore del fuoco, quasi Fulganus. Secondo altri(5), fu così
e di Giunone ; ma Cicerone(2) annovera molti Vulcani ; il primo fig. del Cielo, da cui e da Minerva nacque Apollo, protett
ui e da Minerva nacque Apollo, protettore di Atene ; il secondo, fig. del Nilo, detto Opa dagli Egiziani ; il terzo, fig. d
e prese cura. Lo stesso Omero(4) pone nell’Olimpo la casa e la fucina del Dio del fuoco ; ma Virgilio(5) la pone in un’isol
cura. Lo stesso Omero(4) pone nell’Olimpo la casa e la fucina del Dio del fuoco ; ma Virgilio(5) la pone in un’isola vicina
antunque insigne fosse la deformità di questo nume, pure, in compenso del discacciamento dal cielo, tolse in moglie Venere,
fi. Dal Vulcano adunque degli Egiziani foggiarono i Greci il loro Dio del fuoco, ch’era pure il protettore di quelli che la
eaci, che pareau vivi(1). Mirabile opera di Vulcano fu pure la reggia del Sole con tanto sfoggio d’ingegno descritta da Ovi
te e bellissime opere di arte. Ma di tutte le opere attribuite al Dio del fuoco la più famosa è lo scudo di Achille descrit
Troiano Ettore, questi s’impossessa delle armi di lui ch’eran quelle del figliuol di Peleo e se ne riveste. Alla nuova del
, che vuol correre al campo per vendicarla ; ma la madre Teti, uscita del mare per consolarlo, lo esorta a soprassedere, fi
ne dello scudo di Enea fatta da Virgilio sia mollo inferiore a quella del poeta greco. Anche lo scudo di Ercole descritto d
avorare il ferro, il rame, l’oro, l’argento e tutto ciò che abbisogna del fuoco per maneggiarsi, e l’insegnò agli uomini. E
a Vulcano, ed il fuoco stesso chiamaron Vulcano. Non solo fu egli Dio del fuoco e de’ fabbri, ma esercitò eziandio l’uffici
e, se Vulcano non lo avesse cinto di nebbia e così sottratto al furor del nemico. Famosa poi è la lotta di Achille collo Sc
utti di cittade i Teucri ec. Monti Ecco come Omero descrive la forza del fuoco, simboleggiato sotto il nome di Vulcano, a
nome di Vulcano, a cui niuna cosa o nume vale a resistere. Degno fig. del Dio del fuoco fu Caco, la cui favola appartiene a
Vulcano, a cui niuna cosa o nume vale a resistere. Degno fig. del Dio del fuoco fu Caco, la cui favola appartiene agli anti
sse alla sua spelonca. Ma dal mugghiare delle bestie accortosi Ercole del furto, percuotendo Caco colla sua clava, l’uccise
azza di ferro, uccideva i viandanti che capitavano ad Epidauro, città del Peloponneso. Teseo l’uccise e gli tolse la clava,
giunto di Vulcano assai frequente in Omero. Ignipotens, cioè arbitro del fuoco,si chiama da Virgilio, perchè ritrovatore d
feste in onore di Vulcano, in cui i Romani facevano un picciol saggio del loro studio per una certa superstizione di buouo
i buouo augurio. Plinio il giovane.(2), descrivendo il modo di vivere del suo zio, racconta ch’egli cominciava le sue lette
uccise con uno strale. Dedalione per dolore si precipitò da una rupé del Parnaso, ma Apollo per compassione il cangiò in i
struoso cinghiale. Questa famosa caccia fu posteriore alla spedizione del vello d’oro, e quasi tutti gli eroi che presero p
de’vinti nemici. Ma i fratelli di Altea, mal soffrendo che il premio del valore si fosse dato ad una donzella, violentemen
della madre ; la quale, udito l’indegno fatto, fluttuante fra l’amore del figliuolo e quello degli estinti, questo prevalen
enia a sacrificare sull’altare di Diana gli stranieri che nei confini del suo regno capitavano. Ma uno strano avvenimento t
Grecia. Oreste intanto già adulto si propone di vendicare l’uccisione del padre, e coll’aiuto di Pilade uccide Egisto insie
I greci poeti non poteano con più vivi colori porre avanti gli occhi del popolo lo stato spaventevole di un cuore tormenta
resedevano eziandio le Parche. Le parturienti l’invocavano ne’ dolori del parto, e forse tre volte (4). Quindi Ovidio (5) p
o ed antico. Dalla Media negli antichi tempi si sparse lungo le coste del Mar Nero, e nell’Asia Minore, ove si confuse con
e capre uccise da Diana sul monte Cinto, che era una delle maraviglie del mondo. Essa fu pure assai venerata in Aricia, cit
le maraviglie del mondo. Essa fu pure assai venerata in Aricia, città del Lazio, edificata da Ippolito, fig. di Teseo, e di
ò si pruova dal fatto di Demetrio(1), capo degli orefici che vivevano del lucro ricavato da certi tempietti di argento ch’e
to ch’essi vendevano, ne’ quali era il simulacro di Diana e l’effigie del tempio di Efeso. Il quale, vedendo che S. Paolo a
i vi fosse stato sulla terra, noverato perciò fra le sette maraviglie del mondo. In esso l’ordine Gionico fu posto per la p
arricchirlo con quanto avea di più prezioso(4). Vi erano 127 colonne del più bel marmo, dono di altrettanti re dell’ Asia,
a’fianchi ed un arco teso in atto di scoccare una freccia. Una statua del Museo Napoleone rappresenta Diana cacciatrice, ca
ura di Diana e che vengono a congiungersi ed attaccarsi sulla sommità del capo detta corimbo, la rendono facile ad essere d
oscenze, termina colla guerra di Troia ed arriva sino alla fondazione del regno di Sicione, forse il più antico degli altri
deliberare se fosse stato meglio seguire la via della virtù o quella del vizio, mentre incerto e pensieroso medita sul par
noso fiele Ercole intinse le saette che facevano ferite immedicabili, del quale morì egli stesso. La terza fatica fu quella
anno, non volendola uccidere nè ferire ; ma finalmente nel passaggio del Ladone, già stanca la ferì, e sulle spalle, col b
rli ad Euristeo. L’undecima fatica fu quella di cogliere i pomi d’oro del giardino delle Esperidi ch’era vicino al monte At
o(1). Egli andò al Tenaro, promontorio della Laconia, ov’era la porta del Tartaro, e per quel luogo vi penetrò ed a viva fo
che s’impadronisce de’ pomi d’oro dell’Esperidi. Un bel vaso di marmo del Card. Albani rappresenta in rilievo le varie fati
debellò i giganti che assalirono il cielo ; giacchè essendo ne’libri del fato che senza l’ainto di un mortale non potean e
sentava la pugna di Ercole coll’Acheloo, in cui Marte era dalla parte del fiume, e Minerva, da quella di Ercole. Uccise Eur
il figliuol di Giove e credendo che que’ due monti fossero il termine del mondo, vi fece innalzare due colonne, dette da Pl
e acque era gonfio, Ercole il passò a nuoto, e Deianira, sulla groppa del Centauro Nesso. Ma l’eroe, da lui insultato, con
to ; il quale, vicino a morire, diede a Deianira la sua camicia tinta del proprio sangue, facendole credere che se mai Erco
dall’acerbità de’suoi dolori, fatto un rogo e postavi sopra la pelle del leone Nemeo e la sua clava, vi fece attaccar fuoc
o consumò quanto vi era di mortale nel figliuolo di Giove, per volere del quale fu egli ammesso nel numero degli Dei ed all
un uomo forte e robusto, colla clava in mano e coperto della spoglia del leone Nemeo ch’egli porta qualche volta sopra un
igò a dar loro in matrimonio le sue figliuole, le quali per consiglio del padre nella prima notte delle nozze uccisero gli
uale fuggissene alla città di Lircea. Essa intanto ricuperò la grazia del padre e Linceo fu dichiarato erede e successore a
ciò detto Egisto (ab, αιξ, αιγος, capra). Il quale, per instigazione del padre, uccise Atreo, cui successe nel regno Agame
successe Pentilo, a lui Adrasto, e poscia il figliuolo Egialeo. Dopo del quale salì sul trono Diomede, fig. di Tideo, il q
da’nemici che forte lo stringevano di assedio, ne ottenne buona parte del regno, e quivi fabbricó una città detta Argos Hip
venti e specialmente dell’Aquilone che si credeva abitare in un antro del monte Emo. Da Borea e da Oritia nacquero Zete e C
ibera gli Ateniesi dal sanguinoso tributo. Si vuole che Arianna, fig. del re, che Teseo avea sposata, dato avesse a lui un
di Delfo nel tempo stesso che Laio viaggiava per que’luoghi in cerca del figlio. I quali s’incontrarono nella Focide, ed i
olano, non già d’ingegno sottile, com’era Edipo. Il quale, per orrore del commesso parricidio, si cavò gli occhi e malediss
denza. Intanto i due suoi figliuoli Eteocle e Polinice, dopo la morte del padre, convennero di regnare a vicenda un anno pe
volle cedere il regno a Polinice, il quale in Argo sposò la figliuola del re Adrasto che gli promise di riporlo sul trono.
le mura di Tebe salvo che Adrasto, il quale salvossi per la velocità del cavallo Arione detto vocale da Properzio(1), perc
loro odio che durò anche dopo la morte, essendosi separate le fiamme del rogo, su cui si bruciavano i loro cadaveri. E que
vventura la favola de’ Centauri, i quali aveano nella parte superiore del corpo la forma di uomo ; e nel resto, quella di c
, re de’ Lapiti, e di Nefele. In un trapezoforo o sia piede di mensa, del Museo Borb. si vede un centauro ricoperto di una
volle, già vecchio, destinar Pelia, suo fratello uterino, al governo del regno dì Tessaglia fino a che non divenisse maggi
chiamò il ni pote Giasone, il quale ritrovandosi dalla parte opposta del fiume Anauro, mentre si affrettava di varcarlo, g
la morte, tosto rispose che l’avrebbe inviato in Coleo alla conquista del vello d’oro. Or raccontano le favole che Atamante
quest’animale. Frisso intanto giunto a Colco, ove regnava Eeta, fig. del Sole e della ninfa Perseide e fratello di Circe e
asone, questo giovane eroe volonteroso si offrì ad eseguire i comandi del zio, e chiamato Argo, fig. di Frisso e di Calciop
lico, di Mercurio ; Atalanta, di Scheneo ; Meleagro, di Eneo ; Augia, del Sole ; Ificlo, di Testio ; ed altri non pochi. Or
Cizico ed un gran numero de’suoi restaron miseramente uccisi. Al far del giorno scorto l’errore, gli Argonauti ne furon do
icando quell’eroe, ed approdarono nella Bitinia, ove accadde la pugna del re Amico con Polluce. Indi veleggiarono verso Sal
d Esiodo, Aello ed Ocipede, il quale le chiama fig. di Taumante, fig. del Ponto, e della Terra, e di Elettra, fig. dell’Oce
mano diedero loro la caccia, inseguendole a volo sino a due isolette del mare Tonio, dette le Strofadi (στρεφω, verto), pe
i. Giunto finalmente Giasone, dopo qualche altra avventura, alla foce del Fasi, fiume della Colchide, tosto espose ad Eeta
hide, tosto espose ad Eeta il comando dello zio e gli fece la domanda del vello d’oro. Pronto si mostrò il monarca a compia
Pronto si mostrò il monarca a compiacerlo, ma volle prima far pruova del suo valore, comandandogli di sottoporre al giogo
auce o Creusa, Medea, vedendosi abbandonata, mandò a fuoco il palagio del re, uccise tutt’i figliuoli di lui e fuggissene i
o morte ebbe onori divini Ora diremo brevemente di Bellerofonte, fig. del mentovato Glauco o Creonte, il quale, avendo ucci
l porto di Aulide, ove Calcante, celebre indovino, senza il consiglio del quale non fu in quella guerra intrapresa cosa alc
pe villanamente discacciato. Il sacerdote pregò il nume di vendicarlo del torto, ed Apollo mandò la peste nel campo de’ Gre
de’ Greci. E se Agamennone e Menelao il superavano nella prerogativa del comando, Achille ed essi ed ogni altro di bellezz
o, fugò i Troiani e vendicò, coll’uccidere lo stesso Ettore, la morte del suo amico, il quale gli era stato sì caro che l’a
ngendo esser quello un voto a Minerva che aveano offesa col rapimento del Palladio, fanno mostra di ritornare in Grecia col
ia col resto dell’armata. I creduli Troiani, per le arti specialmente del greco Sinone sì bellamente descritte nel secondo
gli serittori romani lo dicono venuto in Italia, e lo fanno fondatore del regno di Alba Longa. I Cesari ambiziosamente affe
ttuno. I. Nomi diversi dati a questo nume e lor ragione. Dio del mare e fratello di Giove e di Plutone era Nettuno
e, e come questi due fratelli, fu destramente sottratto alla voracità del genitore ; e nella partizione dell’universo fatta
itore ; e nella partizione dell’universo fatta fra quei tre figliuoli del vecchio Saturno, a Nettuno toccò in sorte l’imper
tre figliuoli del vecchio Saturno, a Nettuno toccò in sorte l’impero del mare, come nell’articolo di Giove si è detto. Qui
agnifica è l’idea che Omero(3) ci dà della potenza di Nettuno, ch’era del partito de’ Greci contro i Troiani ; e bellissimi
ne sgorgano larghi fiumi di acqua(6). Anzi qualche volta ad un colpo del tridente del Dio del mare, dicono i poeti, tremò
larghi fiumi di acqua(6). Anzi qualche volta ad un colpo del tridente del Dio del mare, dicono i poeti, tremò non solo la t
iumi di acqua(6). Anzi qualche volta ad un colpo del tridente del Dio del mare, dicono i poeti, tremò non solo la terra, ma
sse la terra e nel tristo regno delle ombre penetrasse la chiara luce del giorno. E questa sua potenza, per la quale chiama
fanno uso i greci pescatori. Certamente esso era un attributo proprio del Dio del mare ed un simbolo del suo assoluto domin
o i greci pescatori. Certamente esso era un attributo proprio del Dio del mare ed un simbolo del suo assoluto dominio su qu
rtamente esso era un attributo proprio del Dio del mare ed un simbolo del suo assoluto dominio su quell’infido elemento, pe
tuno – Alcuni dei principali suoi figliuoli. Come Nettuno era Dio del mare, così a ragione se gli attribuiva una grandi
che tutte le grandi aperture fatte in essa sieno opera di lui, o sia del mare, al vedere quella famosa valle ognuno è indo
uo cocchio si curvano i fiotti, e le ruote che fuggono colla rapidità del lampo, sfiorano appena l’umida loro superficie. N
fiorano appena l’umida loro superficie. Nettuno, oltre all’essere Dio del mare, avea pure la cura de’cavalli, dicendo Omero
o della pace. Per tutto ciò Nettuno è stato uno degli Dei più onorati del paganesimo ; ed Erodoto asserisce ch’esso era sco
i quelli che per insigne virtù si distinguono, quasi fossero progenie del cielo ; così dicono figliuoli di Nettuno, cioè qu
sì dicono figliuoli di Nettuno, cioè quasi partecipi della inumanil à del mare, coloro che per immane ferocia o singolare e
, ma che dopo fungo tempo avverossi pur troppo. Per quell’accecamento del figliuolo Nettuno sdegnato tenne tanto tempo l’ac
ozia, ed Eolo, all’Eolia. Pausania dice che Eumolpo fu pure figliuolo del nostro Nettuno e di Chione, fig. di Borea, re di
chi, dice Millin, aveano molti nomi per significare il Dio protettore del mare, come Pontus, Nereus, Oceanus ; ma in appres
tituì a tutti Posidone o Nettuno. L’ Oceano, secondo Esiodo, era fig. del Cielo e della Terra, e marito di Teti, diversa da
conda la terra. Dicesi ch’esso sia stato il primogenito de’ figliuoli del Cielo ; e per ciò spesso da’ poeti se gli dà l’ag
fe. Lo troviamo poi figurato in forma di un vecchio assiso sulle onde del mare con una picca in mano ed un mostro marino al
ini o da cavalli marini, nell’atto di andare a diporto su per le onde del mare, accompagnata dalle Nereidi che portano le r
e col suono delle lor trombe ricurve annunziano l’arrivo della regina del mare. Spesso tiene uno scettro d’oro ; e secondo
mezzo donna e mezzo pesce. Virgilio(2) elegantemente descrive il Dio del mare col nobile corteggio delle marine deità. Vi
del mare col nobile corteggio delle marine deità. Vi era Forco, fig. del Ponto e della Terra e fratello di Nereo, il quale
del Ponto e della Terra e fratello di Nereo, il quale era quasi duce del coro degli altri marini Iddii e de Tritoni. Figli
cilla ; e Toosa, madre di Polifemo. Da Omero Forco si chiama principe del mare. Vi era Tritone, fig. di Anfitrite e di Nett
re per le onde portata sul dorso di un enorme Tritone. Nel corteggio del signore del mare si annovera anche Glauco, il qua
de portata sul dorso di un enorme Tritone. Nel corteggio del signore del mare si annovera anche Glauco, il quale era pesca
Glauco, il quale era pescatore. Avendo egli un giorno nella spiaggia del mare posto sull’erba alcuni pesci, questi ritorna
la stessa sorte, con Melicerta si precipitô nel mare da un’alta rupe del promontorio Lecheo. Nettuno allora, ad istanza di
mpeste dal naviganti. Più antico dello stesso Nettuno era Nereo, fig. del Ponto e della Terra. Da Esiodo si chiama il maggi
el Ponto e della Terra. Da Esiodo si chiama il maggiore de’ figliuoli del Ponto e vecchio marino ; e questo poeta, il dipin
di Dori. Omero(1) afferma che le Nereidi in un antro ch’era nel fondo del mare, formavano il’ bel corteggio di Teti, madre
i Teti, madre di Achille, la quale con esse compiange l’infelice fato del figliuolo e lo consola della morte dell’amico Pat
ico Patroclo. Presso Virgilio(2) in un antro ch’era sotto la sorgente del Peneo, stanno in compagnia di Cirene, madre di’ A
io. Catullo(4) le rappresenta in atto di sollevare il capo sulle onde del mare e di ammirare stupefatte la prima nave Argo
o afferma Virgilio(1). Da Omero si scorge che Proteo era il guardiano del gregge di Nettuno, ch’era composto di foche, anim
iullo, e di altri mostri marini : pereui disse Orazio(2), che a tempo del diluvio di Deucalione, Proteo guidava il suo greg
illo ed alle volte commosso e sdegnato, per indicare il diverso stato del mare or quieto, ed or turbato. Si rappresenta pur
in mano. Una delle più belle statue di questo nume in piedi è quella del Museo Pio-Clementino. Sulle medaglie della città
che portano il suo cocchio, hanno di cavallo tutta la parte superiore del corpo, mentre l’inferiore termina in coda di pesc
d altre subalterne marine deità. Si noti infine che le statue antiche del Dio del mare sono rarissime. VI. Principali ep
subalterne marine deità. Si noti infine che le statue antiche del Dio del mare sono rarissime. VI. Principali epiteti di
οσιγαιος, lat. Ennosigaeus presso Giovenale ; soprannome di Nettuno o del mare deificato, da ενοσις, concussio, e γαια, ter
asilo, sul Tenaro, promontorio della Laconia, formato dall’estremità del monte Taigeto. Tridentiger, et Tridentifer, Trid
e si celebravano sotto capanne formate di rami di alberi sulle sponde del Tevere. Scilla da’più dicesi fig. di Nettuno e d
. Per la virtù de’ quali magici farmachi fu essa nella metà inferiore del corpo cangiata in più rabbiosi cani marini che or
lt vitare Charybdim . Conso, divinità venerata da’ Romani come il Dio del consiglio, credesi essere lo stesso che Nettuno E
el consiglio, credesi essere lo stesso che Nettuno Equestre, in onore del quale Romolo fece celebrare quei solenni giuochi
o espiabili. Lo chiamavano Erebo, che Esiodo a ragione dice figliuolo del Caos e fratello della Notte ; sebbene altri affer
rno tutto quanto. Oltre a ciò dicevasi Dite (Dis, Ditis), ch’era nome del Dio delle ricchezze, o del Dio dell’inferno, e ta
iò dicevasi Dite (Dis, Ditis), ch’era nome del Dio delle ricchezze, o del Dio dell’inferno, e talvolta si prende per l’infe
so e coperto di perpetua nebbia, per cui di rado godevano della vista del Sole. percui tenebre cimmerie proverbialmente si
ti popoli dell’Epiro o della Tesprozia, come vuole Le Clerc, o quelli del Bosforo, o di altre parti del mondo (2). É dunque
esprozia, come vuole Le Clerc, o quelli del Bosforo, o di altre parti del mondo (2). É dunque poetica licenza, se Omero pon
bra di Tiresia. Plinio (3) pone la città de’ Cimmerii nelle vicinanze del lago di Averno non lungi da Pozzuoli, da’Campi Fl
oscuri e circondati da montagne che impedivano di vedere il tramontar del sole. Nell’Iliade (4) Giove proibisce a’ numi di
dilettevole può immaginare una bella fantasia colpita dalla dolcezza del clima e dalla piacevole varietà della natura. Pos
unate, ov’è l’augusto palagio di Saturno. Amabili venticelli ch’escon del mare, rinfrescano quelle isole, eterno soggiorno
nti gli occhi la felice turba che alberga negli Elisii. Quivi, al dir del poeta, non giovanetti e donzelle, ma magnanimi er
virtù li guidò quasi per mano a quel fortunato soggiorno. Ma i versi del poeta meritano di esser letti per la loro bellezz
er folte tenebre che il circondavano, spaventoso, era una delle porte del regno delle ombre ; come ancora una spelonca di s
a Laconia, credevasi una delle bocche dell’inferno. Nel primo entrare del doloroso regno stanno cento forme mostruose e ter
aco e grande olmo erge al cielo le annose braccia ; sotto ogni fronda del quale, a guisa di vani fantasmi, si annidano i So
anime de’guerrieri e degli eroi ; nel sesto era la tremenda prigione del Tartaro, ove giacevano i famosi scellerati, come
, è quello della nostra Campania, non lungi da Pozzuoli, ne’ dintorni del quale essendo naturalmente assai caverne e luoghi
cui uscivano vapori pestilenziali, oggidì ve li trae per l’abbondanza del nutrimento che loro offre. In alcuni siti ha 180
all’Acheronte che comunicava coll’inferno e per la quale gli abitanti del paese pretendevano che Ercole avesse tratto fuori
di vita ; è egli steso su di un letto in un perfetto sopore, e privo del nettare e dell’ambrosia. Oltre a ciò egli è separ
odo (3). Virgilio pone il Lete nei confini de’ beati Elisii. Le acque del qual fiumicello beveansi dalle anime di coloro ch
no anche il sonno. Virgilio nel quinto libro dell’Eneide diede al Dio del sonno un ramo stillante di umor Leteo ; ed Ovidio
nte di umor Leteo ; ed Ovidio, nelle Metamorfosi, descrivendo la casa del Sonno, vi fece scorrere intorno un ramo di questo
intorno un ramo di questo fiume. L’Ariosto, nel Furioso, imitò l’idea del fiume Lete, allorchè pose nella luna un gran fium
, si mostravano dell’acerbo lor fato assai dolorosi, come dalla morte del fanciullo Glaucia affermò Stazio (4). Finsero ino
he le diè morte (2). E Tibullo (3) dice che intorno agli oscuri laghi del Tartaro la turba delle Ombre era pallida, colle g
era pallida, colle guance scarne e co’ capelli bruciati dalla fiamma del rogo. Oltre a ciò si finse che le ombre de’ morti
dice fornito di una voce di bronzo e di cinquanta teste ; lo fa fig. del gigante Tifeo e di Echidna. Comunemente però a qu
ro ferrati covili ; ma in altro luogo egli mette Tisifone all’entrata del Tartaro, a far da carnefice delle anime condannat
i rapire la stessa Proserpina. Ma come vide l’aureo ramo, cadde l’ira del vecchio nocchiero, ed il figliuolo di Anchise fu
’cadaveri una moneta di oro o di argento per pagare a Caronte il nolo del loro passaggio. Pare che Virgilio (2) ci descriva
iustizia, come Eaco, fig. pure di Giove e di Europa, o di Egina, fig. del fiume Asopo, con ugual fama di giustizia regnò in
; ma Tantalo ebbe l’imprudenza di svelare agli uomini le segrete cose del padre de’numi. Fu per ciò da Giove condannato a s
pena datagli da Giove che gli sospese sul capo un sasso, dalla caduta del quale era continuamente atterrito. Quindi chiama
o era oltre l’oceano, cioè al Nilo, chè dagli Egiziani nel linguaggio del popolo così chiamavasi quel fiume ; e di là delle
inguaggio del popolo così chiamavasi quel fiume ; e di là delle porte del Sole, cioè di Eliopoli (ab ηλιος, sol, et πολις,
ce il Banier, che Virgilio pone nell’inferno e particolarmente quella del Tartaro, prigione tenebrosa collocata nel centro
ra, son prese dalle moltissime stanze, dagli anditi e dalle giravolte del famoso laberinto di Egitto, e sopra tutto da quel
. Se il pubblico accusatore provava essere sta ta cattiva la condotta del morto, se ne condannava la memoria e privavasi de
i Greci la favola de’giudici dell’Inferno ? Anche i principali fiumi del Tartaro sono stati foggiati da’Greci sulle idee r
ello di un lago di Egitto, presso Menfi, detto Acherusa, nelle sponde del quale si facevano le cerimonie de’ funerali dagli
ete. Da tutto ciò han pigliato i Greci le prime idee de’Campi Elisii, del fiume dell’obblio, del Cocito ec, Plutone
igliato i Greci le prime idee de’Campi Elisii, del fiume dell’obblio, del Cocito ec, Plutone I. Nomi diversi dati
e nel modo stesso che i due primi, fu sottratto alla crudele voracità del genitore. Nella divisione dell’universo a lui toc
Giove terrestre ; da Virgilio, Stiglo Monarca ; e da Ovidio, tiranno del profondo inferno. Claudiano (5) introduce una Par
r osserva che gli antichi davano il nome di Giove non solo al signore del cielo, ma ancora al Dio del mare, come in Eschilo
vano il nome di Giove non solo al signore del cielo, ma ancora al Dio del mare, come in Eschilo, ed a quello dell’inferno,
obio (2) ; e pare che possa confermarsi con ciò che i mitologi dicono del celebre elmo di Plutone. Quando i giganti diedero
Plutone. Oltre a ciò il Sig. Dupuis fa vedere che Proserpina, moglie del Dio dell’inferno, era l’emblema della corona bore
ogliono che negli antichi monumenti ritrovasi Plutone col capo ornato del fiore detto narcisso, il quale si reputava grato
no ; così lo rappresentò in rilievo e circondato dalle Ore sulla base del trono di Amiclea, il celebre scultore di Magnesia
racconta che Ercole osò ferire di saetta lo stesso Plutone alla porta del Tartaro, per cui diede grida di grandissimo dolor
he facevali pascolare sulle rive di Cocito, e li attaccava al cocchio del suo signore. A Plutone si offerivano vittime di c
o Bacco ; e dal medesimo dicesi fig. di Giove primo e di Cerere, cioè del Cielo e della Terra, e reputavasi la virtù vegeta
dell’inferno, come a lungo si è raccontato di sopra ; e come consorte del fratello di Giove, fu tosto dichiarata regina de’
e ed i due mentovati eroi fossero entrati nell’inferno col passaporto del ramo dalle foglie d’oro, essendoche, pel bel racc
done una nell’Olimpo, nè sulla terra, che accettar volesse lo scettro del tenebroso suo regno, irritato minaccia di scuoter
di Peleo e di Teti, introduce le Parche che cantano i grandi destini del fatale eroe che da loro nascer dovea, essendo not
crive le Parche che, volgendo i loro fusi, cantano gli eterni decreti del Fato, di cui erano ministre(2). Da un verso del l
no gli eterni decreti del Fato, di cui erano ministre(2). Da un verso del lodato poeta(3) si scorge che le Parche erano ves
coperte della più risplendente e lucida porpora. Baticlete sulla base del trono di Amicleo pose le Parche insieme colle Ore
omo dee dimorar sulla terra, come da Ovidio si scorge, allorchè parla del fatale tizzone, al quale era attaccata la vita di
sse compiono i tempi assegnati dal fato(2) ; ed alle volte si servono del ministero degli uomini per togliere la vita a col
antemente Virgilio(3) per significare che Aleso dovea morire per mano del figliuolo di Evandro, dice che le Parche gli pose
a quelli, di cui servivansi in Grecia per coglier fiori, era simbolo del canestro che teneva Proserpina, allorchè fu rapit
nel Campidoglio in un tempio di Minerva. Sopra un vaso della galleria del principe Ponialowscki, che rappresenta l’istituzi
tiene a cosa sì debole. Se esse aveano le ali, ciò dinota la velocità del tempo che vola e passa come un sogno. Le corone c
so ; l’antro tenebroso che esse abitano, era un simbolo dell’oscurità del nostro destino. Finalmente, se i Filosofi le hann
mbolo poi più ordinario di questa Dea era il papavero, come l’emblema del sonno de’morti. Consiglio generale di pubbli
i pubblica instruzione Napoli 13 Settembre 1856 Vista la domanda del tipografo Andrea Festa, con la quale ha chiesto d
l’opera intitolata : Compendio di Mitologia per uso de’ giovanetti del Sacerdote D. Antonio Maria Durante ; Visto il par
giovanetti del Sacerdote D. Antonio Maria Durante ; Visto il parere del Regio Revisore Sig. D. Girolamo d’Alessandro ; Si
 4. Tacit. XIV. 20. (1). Plutarch. de amore frat. Vinckelmann. Stor. del Dis. cap. I. (1). Sat. VI, v. 15. Virg. Aen. VII
Nem. I. v. 58. (2). Ovid. Fast. VI, v. 37 sq. (3). Stor. delle arti del Disegno. T. 1, p. 316. (1). Diss. XIV. (2). Pau
I, el. 3, v. 34. Pittur. Ercol. T. IV, tav. 3. (2). Stor. delle arti del Dis. 111. 2. (1). Plin. XXXV. 5. (2). Geminorum
8 (1824) Breve corso di mitologia elementare corredato di note per uso de’ collegi della capitale, e del regno pp. 3-248
dunque di tanti sistemi ci appiglieremo ? L’incertezza, e l’oscurità del problema non lascia luogo alla scelta. Vi sono be
nerva è il simbolo della prudenza, Venere della bellezza. Lo scroscio del tuono non è l’effetto dei vapori, è Giove armato
ciliare tra loro i Mitografi, difficile è pur anche il far la diceria del gran numero degli Dei. Nel creare una divinità no
guito degli Eroi, quali erano i Re, e gl’illustri guerrieri, soggetto del canto de’ poeti. Tra questi Agamennone, Ulisse, e
ccoppiate alla storia degli Dei, ma che per altro non forma una parte del sistema religioso. Tali erano le favole di Bauci,
er consultare cotesto libro2. Spesse fiate i poeti confondono il nome del Destino con quello di Legge immutabile, privandol
issipare da per ogni dove la densità delle nuvole. Una picciola parte del zodiaco comincia a comparire sulla sua testa. Si
e : credevano essi, che la materia fosse eterna, e che l’alta potenza del Creatore l’avesse posta in moto per formarne l’un
che significa il Cielo) è il più antico degli Dei. Egli era il figlio del Giorno, e sposò sua sorella Gè, o Titèa, eioè la
Giganti, e le tre Furie : quella parte, che si mischiò colla schiuma del mare produsse Venere detta altresì Afrodite, perc
gricoltura, l’uso della moneta, le regole della giustizia, e la norma del ben vivere sotto il governo delle leggi. Finalmen
corso, e quello, che cominciava, sia perchè avesse egli la conoscenza del passato, e del futuro, o finalmente perchè avesse
, che cominciava, sia perchè avesse egli la conoscenza del passato, e del futuro, o finalmente perchè avesse diviso il suo
’ampollina al suo fianco ci mostra il corso sempre eguale, e misurato del tempo, ed il serpente, che si morde la coda forma
o altresì misteriose. Egli mutilò suo padre, perchè dopo la creazione del mondo, tutto era compito. Ingozzò i suoi figli, p
ure Titèa, cioè, Terra, perchè presiede al nostro Globo. Fu detta Rèa del Greco Rhèo, fluo per le piogge, ed i fiumi, che s
im’ordine ; come altresì Vesta l’antica per distinguerla dalla figlia del nome medesimo : tal nome ebbe anche Titèa sua mad
ve. Giove era il primo, e’ l più potente degli Dei. Al solo inarcare del suo sopracciglio tremava l’Universo : il Fato sol
e a tal tempo si servì di Ercole, che diede non equivoci contrassegni del suo valore. Ciascuno degli Dei ebbe parte in ques
, che sommamente accrebbe la potenza di Giove, volle questi occuparsi del governo del Mondo, e più ancora de’ suoi piaceri,
ente accrebbe la potenza di Giove, volle questi occuparsi del governo del Mondo, e più ancora de’ suoi piaceri, ai quali si
liato, colla fronte coverta da nuvole, coll’aquila accanto, ed armato del fulmine. A’ suoi piedi fanno sgabello il Rispetto
e gli Dei la riconoscevano. La sua bellezza corrispondeva alla maestà del suo grado : ma il suo orgoglio era insoffribile.
dicea « Io sposa, e sorella di chi regge il tuono, Regina degli Dei, del Cielo, e della Terra : ah si salvi l’onor mio, e
pettegolezzi. La Dea non perdeva giammai di vista tutti gli andamenti del suo sposo, e perseguitava a morte chiunque poteva
in pavone. La Dea in compenso della di lui fedeltà appiccò gli occhi del suddetto alla coda del suo pavone. Giunone fu det
ompenso della di lui fedeltà appiccò gli occhi del suddetto alla coda del suo pavone. Giunone fu detta pronuba, come colei
e : chiamandola pure Domiduca, perchè accompagnava la sposa alla casa del marito. Per testimonianza di Cicerone fu altresì
one aveva preso parte nella guerra degli Dei : Giove volle punirla, e del castigo Vulcano volle essere il ministro. Egli so
iove, che per altro esaudì i suoi voti : ma si ci opponeva un decreto del Destino, che Proserpina non sarebbe giammai useit
arimente figlia di Saturno, e Cibele era Vesta Dea della verginità, e del fuoco, per cui portava una fiaccola nelle mani. I
i tutte le belle arti. Riguardavano gli antichi questo Dio come padre del giorno, e della luce : come regolatore del carro
ichi questo Dio come padre del giorno, e della luce : come regolatore del carro del Sole : anzi era considerato come il Sol
o Dio come padre del giorno, e della luce : come regolatore del carro del Sole : anzi era considerato come il Sole medesimo
di un carro sfavillante, e tirato da quattro furiosi cavalli. « Nume del giorno, e della luce sei tu, che regoli il corso
. L’Aurora figlia di Titano, e della Terra apre ogni mattina le porte del Cielo al carro del Sole. Questo carro circondato
i Titano, e della Terra apre ogni mattina le porte del Cielo al carro del Sole. Questo carro circondato dalle Ore figlie di
a Reggia è in Parnaso, in Pindo, in Elicona ; sulle rive di Permesso, del fonte Castalio, o d’Ippocrene, luoghi poco discos
a nella superba statua dell’Apollo di Belvedere. L’artista servendosi del marmo di Carrara ignoto ai Greci, ma il più atto
ibili in ranocchi, e li condannò ad abitare ne’ pantani. Ad onta però del potere di Giove, non avrebbe Latona ritrovato un
to un sito ove sgravarsi, se Nettuno mosso a compassione con un colpo del suo tridente non avesse fatta sorgere dal fondo d
ione con un colpo del suo tridente non avesse fatta sorgere dal fondo del mare l’isola di Delo, non inclusa nel giuramento
arie Ninfe ; ma fu sempre infelice nelle sue intraprese. Dafne figlia del fiume Penèo in Tessaglia, fu l’oggetto primiero d
iuro. Da Nettuno contemporaneamente furono fatti inondare dalle acque del mare, con inviar colà per giunta un mostro orribi
amone figliuolo di Eaco Re di Salamina sposasse Esione, in guiderdone del coraggio da esso mostrato per essere stato il pri
vestito della sua gloria. Ma siccome Esculapio fu l’innocente cagione del suo esilio, così un altro de’ suoi figliuoli gli
in grazia di poter condurre per un sol giorno il suo carro per le vie del Cielo. Tal dimanda fece tremare Apollo, che si pe
o per le vie del Cielo. Tal dimanda fece tremare Apollo, che si pentì del giuramento, che rivocare non era permesso agli De
con averlo fatto precipitare nell’Eridano, o sia Pò. Le Eliadi figlie del Sole Lampetusa, Lampezia, e Faetusa, sorelle di F
contro il Serpente Pitone, volle altresì vendicarsi dell’orgoglio, e del disprezzo di Niobe Regina di Tebe, figliuola di T
ia. Pane ebbe l’ardire di mettere al paragone il suo flauto alla lira del figlio di Latona : gli propose una disfida, che A
sfida a patto, che chi restava al di sotto, fosse stato a discrezione del vincitore. Marsia fu vinto, indi legato ad un alb
me nacque alquanti momenti prima di Apollo, non sì tosto vide la luce del giorno, che apportò degli ajuti a Latona, e tocca
lmemte, prese l’aspetto di Diana istessa. La Dea venuta in cognizione del tutto, discacciò ignominiosamente Callisto, che d
diede alla luce Arcade. Furono a notizia di Giunone i nuovi intrighi del suo sposo, e Callisto pagò il fio del reato di Gi
zia di Giunone i nuovi intrighi del suo sposo, e Callisto pagò il fio del reato di Giove : Giunone implacabile trasformò in
io che aveva mostrato questa giovane principessa, le offrì il teschio del cignale. I fratelli di Altea moglie di Enèo crede
a nell’impero di Plutone, di là il trasse, e lo nascose in una grotta del monte Latmos nella Caria. Vedesi Diana ordinariam
Dei. Canta Calliope al suon di dolce lira, Ed alte imprese scopo son del canto. Con vaga illusion mista d’ingegno Talia sc
gar Venere sua madre a disfarsene : ma ella per sottrarlo allo sdegno del Sovrano dell’Olimpo, lo nascose ne’ boschi, ove s
istanza di Venere fece quella di Enea. Vulcano finalmente era il Dio del fuoco, e la sua figura è poco vantaggiosamente es
la mano, per lo più assiso innanzi alla sua incudine. Vulcano ad onta del suo rozzo impiego sulla terra, ne aveva non perta
ove al suo caro Ganimede1. Minerva. Minerva nacque in una maniera del tutto singolare. Giove dopo la guerra de’ Titani
saviezza, ed uu fanciullino a cui il Destino aveva riserbato l’impero del mondo, egli divorò Meti. Dopo qualche tempo gli v
ia di Idimone nativo di Colofone per essersi vantata di sapere l’arte del ricamo al pari di Minerva istessa. La Dea in segn
e servizio alla nuova città, avesse tal facoltà. Nettuno con un colpo del suo tridente battè la terra, e fece uscire un cav
ti sulla di lui carrozza : il Furore, e lo Sdegno formano l’ornamento del suo elmo : la Fama lo precede da lontano, ed il T
endo, Di estinti un folto stuol empie l’inferno 1. Mercurio Dio del commercio, e messaggiero degli Dei. Atlante figli
batori. Non ancor grande in età egli rubò alcune vacche degli armenti del Re Admeto, e da Apollo custodite, che trasportò n
consultavano, e dava ad essi le risposte. Era il Dio dell’eloquenza, del commercio, e dei ladri, come si è detto. Vedevasi
verga intorno a cui sono attorcigliati due serpenti. Come protettore del commercio porta una borsa di cuojo : allorchè poi
e’ morti all’inferno, gli si dà una semplice bacchetta1. Bacco Dio del Vino. Bacco è figliuolo di Giove, e di Semele na
ede a Mercurio, che lo consegnò a Niso. Questi lo educò nelle caverne del Monte Nisa nell’Arabia. Le figliuole di Atlante,
a punta. Per tale conquista Bacco fu detto il domatore delle Indie, o del Gange, fiume che attraversa questa contrada. Era
sud diti di celebrare le feste di Bacco, questo Dio ispirò alla madre del Re, ed alle sue Menadi, o siano Baccanti un sì fa
lvolta assiso sopra una botte, e tirato da due tigri1. Nettuno Dio del mare. Nettuno figliuolo di Saturno, e di Clbele
del mare. Nettuno figliuolo di Saturno, e di Clbele nella divisione del Mondo ebbe, come si è detto, l’impero del mare, d
e di Clbele nella divisione del Mondo ebbe, come si è detto, l’impero del mare, dove principalmente esercitava il suo poter
che fanno echeggiare l’aere al suono delle conche marine, e degli Dei del mare, che tutti circondano, e sieguono a nuoto il
apportarle. Egli sposò Amfitrite figliuola dell’Oceano, e di Dori Dea del mare. Plutone Dio dell’inferno. Plutone figli
o, che avevano avuto gli onori della sepoltura1, allontanando a colpi del suo remo le altre che si affollavano per passare.
Lete, o sia dell’Obblìo 1, le di cui acque facevano perdre la memoria del passato. Gli Elisj erano il soggiorno delle ombre
aveva osato di aspirare al possesso di Giunone. Giove per assicurarsi del suo delitto, gli avea consegnata una figura fanta
un orribile disegno. Come l’oracolo avea predetto, che uno de’ figli del suo germano lo avrebbe rovesciato dal trono, egli
endetta della morte de’ suoi fratelli. Parte seconda Divinità del second’ordine. GL’Iddj maggiori, di cui abbia
occupavano dei dettagli, che per necessità dovevano sfuggire agli Dei del prim’ordine. Per conseguenza furono gli uomini ob
nimento de’ più particolari di sua vita. Amò questo Dio Siringa ninfa del seguito di Diana : ma come questa non voleva per
re la forza : la ninfa si diede alla fuga, e si rifugiò in un canneto del fiume Ladonte suo padre, dal quale fu cangiata in
Siringa dal nome della ninfa. Fauno. Fauno figliuolo di Pico Re del Lazio cra altresì il Dio de’ pastori, ed è rappre
rso non lo avesse consigliato di andare a lavarsi le mani nelle acque del fiume Pattolo, ove perderono la proprietà dianzi
to di un satiro. La sua effigie consisteva nella sola parte superiore del corpo : il rimanente era un tronco, o pietra. Tal
nel seno : fu inoltre così proclive al vizio, che se ne formò il Dio del libertinaggio. A lui fu sagrato l’asino. I fiu
he guardavano i monti : tutte quelle che avevano l’impero sulle acque del mare, erano dette Nereidi da Nereo loro genitore.
condeva ne’ boschi fralle rupi, e le montagne. Ella abitava le sponde del Cefiso. Aveva la proprietà di parlare tutte le li
discorsi. Ridotta a tale stato infelice vide il bel Narciso figliuolo del fiume Cefiso, e della ninfa Liriope. Era questi i
ngiato in un fiore, che conserva anche oggi il suo nome. Divinità del mare. L’Oceano, e Teti. Dopo Nettuno, il pi
icono Amfitrite, aveva la figura di uomo fino alla cintura : il resto del corpo terminava in pesce con doppia coda. Il suo
grificò a Marte il suo ariete, che dopo fu situato fra i dodici segni del zodiaco. Questa fuga afflisse molto Atamante, che
rocce, occupandosi di dar la morte ai naviganti tirati dalla dolcezza del loro canto. Tanto loro aveva promesso il Destino,
recchi de’ suoi compagni, e facendosi egli stesso legare ad un albero del naviglio. Per la rabbia di essere stata elusa la
bovi : indi cangiata in mostro marino. Scilla figliuola di Forco Dio del mare, e di Ecate, o sia della Notte era altresì u
o del mare, e di Ecate, o sia della Notte era altresì un altro mostro del mare. Per lo innanzi era stata una ninfa bellissi
ompevano all’ora stabilita dal Destino. La Notte. La Notte figlia del Caos, sposa dell’Erebo, madre del Sonno, e della
tino. La Notte. La Notte figlia del Caos, sposa dell’Erebo, madre del Sonno, e della Morte regna fralle tenebre. In man
ebo, madre del Sonno, e della Morte regna fralle tenebre. In mancanza del Sole ella percorre la superficie della terra in u
o delle tenebre. La Morte. La Morte figlia della Notte, e germana del Sonno, è la Dea che presiede agli ultimi istanti
è sì bella, che ci fa chiaramente conoscere la natura, e gli effetti del sonno. Situa egli il suo palazzo nel paese de Cim
aggio di luce non penetra, ed altro non si sente che il solo mormorio del fiume Lete, che c’invita a dormire. Innanzi alla
i l’uno sopra l’altro. Morfeo, Fobetore, e Fantaso, erano i tre figli del Sonno. Il suo altare era collocato presso quello
ello delle Muse per dinotare, che gli uomini di lettere hanno bisogno del riposo, e della calma dello spirito1. Le Ombre
ur avendo a suoi piedi una ruota per correre da pertutto, e giudicare del merito di ognuno. Divinità domestiché. I
erano piccole statuette, o Idoletti convenevoli al culto particolare del padrone della casa : spesso era un semi-Dio, o un
a moltitudine di sciocchi, ed ignoranti2. Di varie altre Divinità del second’ordine. Pluto, o sia il Dio delle ric
lagnarsi contro la Providenza1. Arpocrate. Arpocrate era il Dio del silenzio, in origine filosofo Greco. Egli è rappr
gevano in forma di una donna che chiamarono Muta. Temi. Figliuola del Cielo, e della Terra era Temi Dea della Giustizia
e Minerva una casa, questo Dio ebbe a ridirci qualche cosa. Le corna del toro dovevano essere più vicine agli occhi per po
Momo non sembra conveniente al suo carattere, giacchè lo fanno figlio del Sonno, e della Notte. Il suo fare è grottesco, e
Colla bilancia ella pesa le azioni di ciascuno, ed egualmente giudica del merito di chicchessia : colla spada punisce i mal
o pieno di frutta di ogni sorta. La Povertà. Era questa figliuola del Lusso, e dell’Ozio dipinta come una donna pallida
o sopra di pietra quadrata per indicare la fermezza, ed aggiustatezza del suo carattere. La Verità. La sua figura è di
i nuda con uno specchio alla mano. Era figlia di Saturno, o piuttosto del Tempo. La Menzogna. Vediamo la Menzogna spess
andezza coverto di occhi, e di orecchi, la cui voce imita lo scroscio del tuono : i piedi poggiano in terra, e la testa si
o veri, e falsi rumori. » Leggasi la bella descrizione che fa Ovidio del palazzo della Fama. La Concordia. Due tempj a
nel Cielo, allorchè la guerra la discaccia dalla terra. Dalle volte del Ciel aureo lucenti Discendi, o bella Pace, e col
iel aureo lucenti Discendi, o bella Pace, e col tuo ciglio Arresta Tu del Ciel la troppo giusta Meritata da noi tarda vende
ove, e da Temi è nata la Legge. Porta in mano uno scettro per simbolo del suo impero. La Sfrenatezza o la Licenza. Comp
a Frode. La sua fisonomia era ridente per meglio ingannare. Il resto del corpo terminava in serpente colla coda di scorpio
cera, e da tutti è detestato. La Vittoria. Era figlia di Stige, e del gigante Pallante. Si dipinge alata con un ramosce
e, nel momento che prova la debolezza dello spirito umano, ci avverte del bisogno che abbiamo della mano di Dio in tutti gl
eritato un tale distintivo. Questa storia porta l’epoca della nascita del mondo, al momento che Prometeo formò il primo uom
omento che Prometeo formò il primo uomo, e l’animò con una particella del fuoco celeste. Prometeo. Prometeo figliuolo di
Egli per emulare la potenza di Giove ardì creare, un uomo, servendosi del semplice limo della terra cui diede l’anima con u
diede l’anima con una particella di quel fuoco celeste, che dal carro del sole aveva rapita. Ingelosito Giove, che un morta
e l’ordine a Mercurio, o a Vulcano d’incatenar Prometeo in una roccia del monte Caucaso, ove un’ aquila, o un avoltojo gli
utt’i mali che inondarono la terra. La sola speranza. restò nel fondo del vaso1. Licaone. Moltiplicatisi gli uomini vis
si nel fondo delle foreste. Inesorabile allora Giove giurò la perdita del genere umano ; ma senza far danno alla terra, che
uomini. Questi si salvarono in una barchetta che si fermò nella cima del monte Parnaso, e dopo aver ringraziato i Dei, pen
e nel luogo, dove Atene fu fabbricata. Sposò la figliuola di Attèo re del paese, e della sua colonia se ne formarono dodici
i borghi, che diedero principio al Regno di Atene. Al culto degli Dei del paese aggiunse quello de’ suoi, e sopra tutto que
utti. Cadmo non vedendoli ritornare, si recò egli stesso sulla faccia del luogo, e gli riuscì di ammazzare quel mostro. Per
uscì di ammazzare quel mostro. Per ordine di Minerva seminati i denti del dragone produssero de’ nuovi soldati che si scann
scì a Giove di penetrare nella torre. Divenne Danae madre di Perseo : del che accortosi Acrisio la fece mettere in una barc
isio la fece mettere in una barchetta, e l’abbandonò alla discrezione del mare. Battuta dai venti Danae per azzardo arrivò
reggia per il suo arrivo. Nel giorno decimo avendo aperto le lettere del re d’Argo, impose immantinente all’Eroe di andare
é era superiore ai perigli, gli diede sua figlia in isposa colla metà del suo regno ». Minosse. Gli Ateniesi avendo ass
he spiccandosi a volo non si levasse troppo in alto, mentre il calore del Sole avrebbe potuto liquefare la cera. Lanciarons
nsi dunque nell’aria : ma Icaro vedutosi in libertà, poco profittando del consiglio del padre temerariamente s’innalzò tant
l’aria : ma Icaro vedutosi in libertà, poco profittando del consiglio del padre temerariamente s’innalzò tanto, che staccat
temerariamente s’innalzò tanto, che staccatesi le penne per l’ardore del Sole, cadde infelicemente nel mare, cui diede per
tene per vedere Egèo suo genitore. Cammin facendo diede i primi saggi del suo valore. Passando pel territorio di Epidauro,
di Minosse non lo avesse consigliato di attaccare un filo all’entrata del Laberinto ove il mostro abitava. Si valse Teseo d
se Teseo dell’avviso : uccise in battaglia il Minotauro, e coll’ajuto del filo uscì dagl’intrighi tortuosi di quel luogo. V
questa promessa. Egèo che impaziente attendeva sulla riva il ritorno del figlio, osservando il bruno segnale, che indicava
e Ippolito. Fu Teseo uno degli Argonauti, che andarono alla conquista del Vello d’oro. Accompagnò Meleagro alla caccia del
arono alla conquista del Vello d’oro. Accompagnò Meleagro alla caccia del cignale Calidonio. Dopo la morte di Antiopa, Tese
nna. Ben sapendo egli, che le madrigne guardano di mal occhio i figli del primo letto, inviò Ippolito presso il suo avo Pit
lito presso il suo avo Piteo. Divenne questo figlio in seguito l’odio del padre per una nera calunnia di Fedra. Volendo Tes
saudire i suoi voti. Un giorno, mentre Ippolito passeggiava alla riva del mare, fece venir fuori delle acque un mostro metà
e Teseo un’amicizia strettissima con Piritoo re de’ Lapiti. Alla fama del valore di questo Eroe, Piritoo volle farne la pru
golar tenzone. Nel punto però di azzuffarsi, furono entrambi sorpresi del proprio coraggio : quindi mossi da sentimenti di
più bravo fra gli Atleti, avendo ucciso il terribile Amico al giuoco del cesto. Castore si segnalò nel corso, e nell’arte
orso, e nell’arte di domare i cavalli. Entrambi andarono al conquisto del vello d’oro, e fecero la guerra a Teseo che aveva
oltraggio. Castore uccise Lincèo, che da Ida fu vendicato colla morte del primo. Polluce vendicò parimente Castore colla mo
inalmente furono trasportati nel cielo, e diedero il nome a due segni del Zodiaco chiamati i Gemelli 1. Giasone. Regnan
in Tessaglia Esone principe debole, ed incapace di difendere i dritti del suo popolo ; fu sbalzato dal trono da Pelia suo f
ter governare. Divenuto adulto gli fu proposto dallo zio la conquista del vello d’oro, che il giovane avido di gloria non e
dorso di un ariete, la cui lana era di oro, e traversarono un canale del mar nero. Elle ebbe la disgrazia di cadere, e die
viaggio però era il minore de’ mali a fronte di quelli dell’acquisto del vello. Bisognava in primo luogo rompere una barri
avessero ispirato amichevoli sentimenti per Giasone a Medèa figliuola del re di Celco, maga espertissima, al cui potere ubb
osa vendetta prese i figli che aveva avuti da Giasone, ed al cospetto del padre barbaramente li trucidò : indi montato un c
que quest’Eroe da Alcmena, e da Giove, che la sedusse sotto l’aspetto del suo sposo Anfitrione figliuolo di Alcèo. Come Gio
e in isposa Megaride sua figlia. Questi non furono che piccioli saggi del suo valore, e preludj de’ travagli, che gli aveva
. Per mano di Ercole caddero caddero altresì gli augelli straordinarj del Lago Stimfalo in Arcadia. Era tanto numeroso il l
inerva gli aveva donati. La quarta spedizione fu la presa della cerva del monte MenaIo, che aveva i piedi di bronzo, e le c
le stalle di Augìa re di Argo, che l’Eroe per nettarle deviò il corso del fiume Alfeo. Un toro che gittava fiamme dalle nar
fu cangiato in una stella che comparisce al levarsi, ed al tramontare del sole, detta perciò Lucifer, ed Hesperus. Osservam
o perduti, se non avesse udito il muggìto de’ bovi. Pagò Caco la pena del suo delitto : si riprese Ercole i bovi, ed uccise
glio della Terra ripigliava nuove forze Antèo sempre che la toccava ; del che avvedutosi Ercole lo tenne sospeso in aria fi
jugale, arrivò Ercole alla corte di Admeto. Commosso dalla sposizione del fatto non volle, che un’azione sì grande restasse
lendo condurre alla patria, pregò Nesso centauro a trasportarla di là del fiume Eveno. Nesso gli avrebbe nel passaggio del
a trasportarla di là del fiume Eveno. Nesso gli avrebbe nel passaggio del fiume involato la sposa, se Ercole non lo avesse
non volle ritornarci, e prese la strada della Focide. In uno stretto del monte Citerone ebbe la sventura d’incontrarsi con
n cane desolava le campagne di Tebe, e standosi in aguato in un passo del monte Ficèo, assaliva i passaggieri, che uccideva
ssolubili. Creonte, che dopo la morte di Lajo aveva ripreso le redini del governo, fece noto al publico, che colui che ucci
olui che uccidesse la Sfinge, sarebbe divenuto l’immediato successore del trono, ed avrebbe sposato Giocasta. La vita del m
’immediato successore del trono, ed avrebbe sposato Giocasta. La vita del mostro dipendeva dallo scioglimento di uno degli
Lajo fosse stato riconosciuto, e punito. Lo sventurato Edipo convinto del delitto, e vedendo che al parricidio aveva aggiun
gnare un anno per ciascuno. Eteocle come primo di età prese le redini del governo : ma terminato l’anno, non si sentì la vo
be fu una delle più famose nei tempi eroici. Ella è stata il soggetto del canto di molti poeti, come quella di Troja, che d
le ; incontrò non ostante la morte all’assedio di Tebe. Egli fu padre del celebre Diomede, che si segnalò nella guerra di T
fizj colla speranza di riacquistare la perduta tranquillità. Fegèa re del paese lo accolse, e gli diede per moglie Alfesibe
i fratelli, che vendicarono l’affronto fatto alla sorella colla morte del perfido Alcmeone. Capanèo è l’Eroe, che forma il
a morte del perfido Alcmeone. Capanèo è l’Eroe, che forma il soggetto del poema di Stazio intitolato la Tebaide. Questo pri
i bruciava il cadavere di Capanèo, e mischiò le sue ceneri con quelle del marito. Ippomedonte, e Partenopèo ebbero poca fam
e nel libro dell’ avvenire, e col dono della vita cinque volte di più del resto de’ mortali. Dopo la morte de’ figli di Edi
sta seconda guerra fu detta degli Epigonidi : Leodamante fu spogliato del trono, e vi ascese Tersandro figliuolo di Polinic
superare al corso i suoi cavalli, ch’erano velocissimi, perchè figli del vento. Pelope che anelava di ottenerla, se la int
di Enomao, che gli promise di spezzare l’asse che sosteneva le ruote del carro, a patto però, che Pelope gli desse per un
sotto il pretesto di vendicare la morte di Enomao. Pelope s’impadronì del paese, che fu detto in seguito Peloponneso, oggi
alla Corte, dove invitatolo a solenne banchetto, svenati i due figli del fratello, li diede a mangiare allo stesso padre,
te riconobbe il suo figlio Egisto ; Pelopea sopraggiunta, ed istruita del fallo involontariamente commesso si diede la mort
gli Atridi perchè figli di Atrèo, cacciati dalla patria dopo la morte del padre, si ritirarono presso Polifide re di Sicion
he divenne celebre. Dopo qualche anno volle Oreste vendicare la morte del padre ; arrollò delle truppe, e prese congedo da
oja, di cui daremo una minuta descrizione nella seguente quarta parte del presente corso di Mitologia. Parte quarta
gran lunga la gloria di suo padre, rinunziò di buona gana agl’impulsi del suo cuore, e maritò Teti a Peleo figliuolo di Eac
Eaco re della Ftiotide nella Tessaglia. Achille, che superò la gloria del padre, nacque da questa coppia. Tali nozze furono
scordia di non esservi stata chiamata gittò un pomo di oro nella sala del festino, col motto alla più bella. Ecco sorgere u
rsi la guerra, e dopo lunghi preparamenti si fece in Argo la rassegna del numero de’ combattenti. Questa bella armata radun
poteva espiarsi, se non col sangue di una principessa della famiglia del reo. Mostrossi pronto Agamennone a sacrificare su
a preferibile la gloria ad una vita così vergognosa. Un altro decreto del fato comandava, che si cercassero le frecce di Fi
a ruggine. Tolti di mezzo questi ostacoli, sarebbe Troja caduta prima del tempo, se lo spirito di partito, e di divisione n
n fosse entrato nell’armata : divisione appunto che forma il soggetto del divino poema del grande Omero. Analisi dell’Ili
ell’armata : divisione appunto che forma il soggetto del divino poema del grande Omero. Analisi dell’Iliade. Del figliu
ema del grande Omero. Analisi dell’Iliade. Del figliuol di Pelèo, del divo Achille Al par nell’odio, e nell’amor sublim
, Cantami, o Musa etc. etc. Ces. traduz. di Omero. Nella divisione del bottino dopo la presa di Tebe spettò ad Agamennon
spedì due araldi alla tenda di Achille, che rapirono Briscide schiava del figliuolo di Pelco, e che amava alla follìa. Mont
a, se prima non si fossero vendicati i suoi torti. Teti fin dal fondo del mare intese le querele di suo figlio, ed immantin
i fratelli, i parenti, i Trojani tutti, e la stessa sua sposa diedero del ridicolo a questa fuga vergognosa. Pretesero gius
a questa fuga vergognosa. Pretesero giustamente i Greci l’adempimento del trattato, ma gli Dei che si erano radunati per de
ojani, che furono posti in fuga, allorchè Giove si svegliò. Accortosi del cambiamento per arte di sua moglie, la rimproverò
geva, e per la morte data a Sarpedone re della Licia, obbliò l’ordine del suo amico : più voleva inoltrarsi, ma Apollo si o
cadere gli predisse la sua morte per mano di Achille. Ettore si burlò del presagio, e lo spogliò delle sue armi. Appena che
vendicata all’istante, se avesse avute le sue armi. Assisa al fianco del vecchio Nereo, intese Teti negli abissi dell’Ocea
ei stessi fra loro si attaccarono. Achille intanto immolava all’ombra del suo amico estinto chiunque gli si opponeva : ma q
sse la vittoria. Achille finalmente la vinse, e la trista rimembranza del suo amico perduto lo rendette inesorabile fino al
a in lutto. La prima cura di Achille fu d’innalzare un rogo alla riva del mare, sopra del quale fece collocare il corpo del
rima cura di Achille fu d’innalzare un rogo alla riva del mare, sopra del quale fece collocare il corpo del suo amico, e vi
e un rogo alla riva del mare, sopra del quale fece collocare il corpo del suo amico, e vi appiccò il fuoco. Indi recise la
er lo spazio di nove giorni trascinò tre volte il mattino il cadavere del suo nemico, che Apollo covrì col suo scudo per no
ersene padroni. Fine della vita di Achille. Achille morì per mano del più vigliacco de’ figliuoli di Priamo. Quest’Eroe
, che Apollo diresse al calcagno di Achille. Era questa la sola parte del suo corpo soggetta ad essere ferita, poichè Teti
ad essere ferita, poichè Teti sua madre lo aveva tuffato nelle acque del fiume Stige per renderlo invulnerabile : il solo
sanguinose battaglie, e degli Eroi, che diedero pruove non equivoche del più sublime coraggio. Abbiamo osservato in person
aveva già costruito un battello : lo ascende, e si dà tosto in balìa del mare. Per il corso di dieciassette giorni la sua
negli abissi dell’oceano. Non si perde l’Eroe di coraggio : in preda del pericolo comparisce sulla superficie del mare, ed
’Eroe di coraggio : in preda del pericolo comparisce sulla superficie del mare, ed abbracciandosi ad un piccolo avanzo del
sce sulla superficie del mare, ed abbracciandosi ad un piccolo avanzo del suo naviglio, stretto a quello si tiene, errando
discrezione dell’onda furiosa. Ino di fresco ammessa fralle divinità del mare viene a soccorrerlo : lo consiglia di andare
à che forma il carattere di quei temdi remoti. Ulisse in contracambio del gentile accoglimento espone la cagione, ond’era s
ospitalità. Dopo tale racconto, si ritira Ulisse a goder le dolcezze del riposo. Il dì seguente il buon re Alcinoo raduna
poso. Il dì seguente il buon re Alcinoo raduna l’assemblea de’ grandi del Regno : loro presenta il suo ospite : espone la d
fermandosi in una picciola isoletta della Sicilia che stava a fronte del porto. Avendo posto piede a terra con i suoi comp
’ ebbe la forza d’immergerlo in un sonno profondo. Profittando allora del momento, Ulisse preso un forte bastone, che aveva
o di mangiar la carne umana, ed in fatti furono divorati due compagni del figliuolo di Laerte. Di là la flotta approdò all’
aerte. Di là la flotta approdò all’isola di Circe, famosa maga figlia del Sole, i di cui incantesimi sorpassavano le forze
uì allo stato di prima i suoi compagni. Ulisse si trovò così contento del trattamento, e dell’amor della Dea, che si tratte
proprio suo regno : ma Minerva sotto l’abito di un pastore l’avvertì del luogo ov’egli si trovava. Mai sempre prudente riu
’areo maraviglioso. Ulisse parimente si fa innanzi : i principi danno del ridicolo alla di lui pretenzione, e non gli perme
ei loro aderenti. I sudditi che attendevano con impazienza il ritorno del re, fanno risuonare la reggia delle loro grida :
o, saggio, e valoroso. Seguiamolo pertanto. Era memore ancora Giunone del giudizio di Paride, e voleva perseguitare gli ava
hè avesse posto il mare in iscompiglio, ed avesse ingojato i vascelli del figliuolo di Venere. Eolo ubbidisce, ed all’istan
all’istante una terribile burrasca si alza dal profondo degli abissi del mare : una porzione della flotta si separa, e sar
gentilmente li ricevette, e diede gli ordini che si andasse in cerca del principe Trojano. Venere allora fa sgombrare la n
suo arrivo, dando le disposizioni per una grandiosa festa. Sul finir del banchetto è richiesto Enea di fare il racconto de
amente li determinò. Laocoonte che aveva scagliata la sua asta contro del cavallo, stando in atto di fare un sagrifizio a N
a breccia dianzi aperta. Lo scellerato Sinone avendo aperto il fianco del cavallo, ne fa uscire gli armati ivi nascosti ; i
on quanti a lui si presentano. Non avendo potuto Enea salvare la vita del vecchio re, si affretta per la difesa della sua s
ita del vecchio re, si affretta per la difesa della sua sposa Creusa, del figlio suo, e di Anchise suo padre. Presi gli Dei
nere queste nozze, che finse di acconsentirvi. Profittano le due Dive del momento di una tempesta suscitatasi mentre tutta
rio che lo persuade ad abbandonare Cartagine. Docile Enea agli ordini del Sovrano degli Dei, si dispone alla partenza, e fa
vele da un lido, dove era stato accolto con tanta cortesia. Accortasi del tradimento Didone monta il piano di una loggia a
pani, ove da un anno era morto il vecchio suo padre Anchise, in onore del quale fece celebrare de’ giuochi dopo avere ademp
sta, dove avrebbe ritrovata una pianta, che aveva un ramicello, senza del quale non avrebbe potuto penetrare nell’inferno,
di Venere, levò l’ancora, dirigendo la sua flotta verso l’imboccatura del Tevere. Il Re Latino regnava in questa contrada.
guerra cominciò, e fu ben lunga. Giove affidò tutto l’affare in mano del destino, e i due partiti stanchi dai disagi della
emplicemente, e se talvolta hanno un qualche rapporto colla religione del Gentilesimo, non ne formano parte : in generale i
hezza. Gl’immortali viandanti nel di vegnente per punire gli abitanti del paese, e per mostrare il loro potere a chi gli av
ò a colà far ritorno la sfortunata Tisbe, che ritrovò sotto la pianta del moro l’infelice Piramo, che spirava l’ultimo fiat
elice Piramo, che spirava l’ultimo fiato. Sospettando la vera cagione del funesto avvenimento, egualmente Tisbe raccolto il
ale, si uccise per il dolore. Il loro sangue zampillando sulla pianta del moro, le sue frutta da bianche divennero di color
bella Galatea, una delle tante figliuole di Nereo. Assiso sulla riva del mare, ad alta voce la chiamava, pregandola di ven
ngue di Aci diede la nascita ad un fiume che fu chiamato Aci dal nome del pastorello. Driope. Driope ninfa di Arcadia,
o tanta insensibilità, la cangiarono in pietra, simbolo della durezza del suo cuore. Coreso, e Calltroe. Calliroe donze
ce intendere la disgrazia di suo marito. Spaventata la misera Alcione del sinistro presagio, corse forsennata al lido, e re
iuola di Giano, e di Venilia. Fu amato da Circe famosa maga, e figlia del Sole, e che lo vide mentre andava in cerca di erb
are dai Napoletani. Siccome sarebbe strana cosa l’aver piena contezza del Greco, e Latino idioma, ed ignorare nel tempo ist
i ad indagare l’eccessiva capricciosa folla degl’Iddj della Grecia, e del Lazio, senza conoscere quelli che riscuotevano un
monumenti. Possiamo solamente per via di congetture stabilire le basi del nostro argomento. Dee credersi certamente che ist
usi medesimi, e la Religione della madre comune. Il Circo, gli avanzi del nostro teatro, il corso lampadico, la palestra ci
ementari, potrà di leggieri acquistare la Gioventù le idee necessarie del primo antico culto. Vero è che l’argomento che tr
ntinente cessò, allorchè furono a nuova vita rigenerati mercè il lume del Vangelo, e della santa nostra Religione Cattolica
artenope dal Sepolcro della estinta Sirena. Colà in seguito a cagione del suo amenissimo clima concorsero diversi altri pop
rteneva alla statua colossale di Partenope. Ignorasi il luogo preciso del sepolcro di lei, da molti situato nel monticello,
a scossa di un gran terremoto (afflato monte), e compiangere la morte del suo allievo, cioè del padre di Stazio.   II.
rremoto (afflato monte), e compiangere la morte del suo allievo, cioè del padre di Stazio.   II. Il Sebeto. L’ant
ilmente ciò dinota il celebre motto Nama 1 Sebesio scolpito nel collo del toro ne’ sacrifizj a Mitra, cioè, al Sole, e più
mi gli onori divini, e presso di noi si celebravano in Capua le feste del Volturno, dette Vulturnalia. In un fierissimo ter
tavano scolpite diverse sacre immaginette, e fra queste vi era quella del Sebeto. Il suo nome però e la sua gloria mal corr
osì detta dal patrio nume Eumelo, situata verisimilmente nel circuito del quartiere, o sia regione Capuana. Citano gli anti
muratori di alcune vecchie fabbriche sepolte molti palmi al di sotto del livello della strada. Pervenuto ciò a notizia del
i palmi al di sotto del livello della strada. Pervenuto ciò a notizia del Governo, furono deputate persone intelligenti, ch
erno, furono deputate persone intelligenti, che recatesi sulla faccia del luogo, ritrovarono in fatti e marmi, ed iscrizion
opuli longe emigrantis Apollo. E virgilio nel 6 dell’Eneide parlando del famoso di lui tempio : Arces, quibus altus Apoll
fanciullo, di un giovanetto, di un uomo : alludendo alle quattro età del Sole nel tempo degli equinozj, e de’ solstizj. Tr
pianeti col nome di Ebone. La nostra Cattedrale edificata sulle ruine del tempio di questo Dio abbastanza ce ne assicura. A
ymphis adsultavere marinis. In somma pressochè generale era il cutlo del Sole in Napoli antica. Oltre le mentovate denomin
ciò perchè nell’Egitto Serapide, cioè il sole, era stato l’inventore del vino. Il decantato nostro Cecubo, Falerno, Sorren
. Non altro significa quell’ignobile otium che la perfetta cognizione del corso e dell’influsso de’ pianeti, Illo me tempo
enti riguardanti questa Deità. Ed è verisimile, che siccome al tempio del sole fu sostituito il nostro Duomo, e consegrato
ervavano moltissimi monumenti di questo tempio famoso. Il circondario del tempio della luna era il più rispettabile di Napo
la cui testa vedesi oggi nel Regale Museo de’ Regj Studj, ed il resto del corpo fu destinato a formare le campane del Duomo
’ Regj Studj, ed il resto del corpo fu destinato a formare le campane del Duomo per opera del Cardinal Caraffa. Colà tuttav
resto del corpo fu destinato a formare le campane del Duomo per opera del Cardinal Caraffa. Colà tuttavia si ammirano diver
ria di un tale Nicola Pesce espertissimo nuotatore, che vivea a tempi del Governo Viceregnale. Costui con grandissima facil
avesse ingojato. X. Cerere. Fralle patrie Divinità tutelari del prim’ordine ascrivere si dee Cerere Attèa, o sia
na, ed ucciso il famoso ladrone Caco nel Lazio, visitò varie contrade del nostro regno, a cui diede il suo nome. Oltre di E
nicj, che loro adattarono una denominazione corrispondente all’indole del suolo, che dava fuoco dapertutto, perchè sottopos
che fosse stato il tempio a Vesta dedicato. Infatti la rotonda figura del medesimo, ed alcuni marmi colà rinvenuti, oltre d
i, che chiamavano Vesta. Osservavasi questo tempio accanto il palazzo del Duca di Casacalenda, e propriamente a fronte dell
e abitavano gli Alessandrini, ed Egiziani, come rilevasi dalla statua del Nilo, ivi ancora esistente con iscrizione del dot
e rilevasi dalla statua del Nilo, ivi ancora esistente con iscrizione del dotto Matteo Egizio, ed ornata da varj simboli, e
ne’ quali si univano i parenti, ed affini in contrassegno e conferma del comune attaccamento fra di loro. Proxima cognati
olitanis, nel secondo tomo della Theca Calamaria. Ed eccoci alla fine del nostro trattato elementare sulle antiche favolose
e, e nei Regj Musei gelosamente si conservano, mercè le provvide cure del Re nostro Signore. Il di più la gioventù medesima
e favole. La Mitologia degli antichi comincia dall’unione di Urano, o del Cielo con la Terra, e termina per lo ritorno di U
2. Racchiudono le favole qualche volta gli effetti, o gli attributi del mondo fisico. Vulcano, a modo di esempio, vien pr
pervenuti, cioè l’arrivo di Apollo ne’ paesi degl’Iperborei, le nozze del fiume Ebro, e la Teogonia. Credesi lo stesso auto
eggere il destino di Giulio Cesare. 3. Noi trattiamo in questo luogo del Caos, e del Cielo, perchè erano i più antichi deg
stino di Giulio Cesare. 3. Noi trattiamo in questo luogo del Caos, e del Cielo, perchè erano i più antichi degli Dei ; seb
ano i più antichi degli Dei ; sebbene non fossero compresi tra’ venti del primo ordine. 1. S. Girolamo nella versione del
compresi tra’ venti del primo ordine. 1. S. Girolamo nella versione del cantico di Giuditta rassomiglia ai Titani i guerr
omi Galli, e Corybantes, scorrevano per le strade, portando la statua del loro nume. Danzavano davanti ad essa in una data
ando al cielo acute grida straziavano i loro corpi. (1). Dal fragore del tuono Giove fu detto Jovis anticamente da Latini,
Giove fu detto Jovis anticamente da Latini, siccome Zevs dal fischio del fulmine lo dissero i Greci. Gli Ebrei chiamarono
. 1. Il tempio di questa Dea di Efeso era una delle sette meraviglie del Mondo per i tesori, e le statue d’oro, d’avorio,
nel terzo della natura degli Dei ammette più Veneri ; la prima figlia del Cielo, e del Giorno ; la seconda nata dalla schiu
la natura degli Dei ammette più Veneri ; la prima figlia del Cielo, e del Giorno ; la seconda nata dalla schiuma del mare ;
prima figlia del Cielo, e del Giorno ; la seconda nata dalla schiuma del mare ; la terza figlia di Giove, e di Dione ; la
te lasciò scritto ch’ella presedeva alle virtù che formano le delizie del cuore, a differenza dell’altra Venere popolare, c
terzo della Natura degli Dei, riconosce tre Vulcani ; il primo figlio del Cielo, il secondo del Nilo, ed il terzo di Giove,
li Dei, riconosce tre Vulcani ; il primo figlio del Cielo, il secondo del Nilo, ed il terzo di Giove, e Giunone. Quest’ulti
n senza fondamento credono taluni, che Vulcano favoloso sia una copia del famoso Tubalcain, di cui parlasi nel libro della
li Ateniesi di dire, che Minerva si compiaceva di tre villane bestie, del serpente, della civetta, e del popolo. 1. Il Dio
a si compiaceva di tre villane bestie, del serpente, della civetta, e del popolo. 1. Il Dio delle battaglie fu secondo Ome
evano gli Egiziani il costume di trasportare colle barchette al di là del Nilo i cadaveri in un sito destinato alle sepoltu
o chiamavasi Charon, onde i poeti inventarono la favola di Caronte, e del fiume Stige. 1. Credesi chiamato Lete uno de’ ra
di Caronte, e del fiume Stige. 1. Credesi chiamato Lete uno de’ rami del Nilo. L’autore di questa favola forse fu Orfeo, c
ta nella curiosità di Epimeteo ha cagionato i malanni, e le disgrazie del genere umano. L’idea forse è presa dalla Genesi,
. L’idea forse è presa dalla Genesi, ove si parla della disubbidienza del primo uomo. Cicerone nel libro quinto delle Tuscu
sue osservazioni, stava sempre nel monte Caucaso. Egli fu l’inventore del fuoco, o perchè lo trovò nelle selci, o perchè ra
o trecento anni prima della guerra di Troja : in conseguenza nel 2540 del mondo, e 1514 prima di Gesù Cristo. 1. Andromeda
ta di Cassiope, ch’era Andromeda, non si fosse lasciata a discrezione del mostro. Così fu fatto. 1. Chiamavansi anche Dios
e’ Latini. 1. Vedesi tuttavia in Roma la spelonca di Caco alle falde del Monte Aventino. 1. Sembra che i Greci abbiano fo
ori squarci che l’antichità ci ha tramandati : tanta è la delicatezza del gusto che in esso si ravvisa. Virgilio nacque in
9 (1831) Mitologia ad uso della gioventù pp. -
zione ne fosse fatta in termini così misurati dal lato della morale e del costume, che questo libro potesse girare tra le m
quei filosofi che tanti diritti si sono acquistati alla riconoscenza del genere umano, comincieranno a divertirli e servir
il loro spirito, formavano il loro cuore, e lo guidavano alla pratica del bene. » Diremo loro che la poesia sarebbe spogl
e il volto. Che bell’effetto e che forza aggiungono all’ espressione del poeta i due nomi Marte e Amor ! Diremo loro inol
ti preziosi sfuggiti alle devastazioni dei conquistatori ed ai rigori del tempo ; e non dissimil sorte toccherebbe ai capi
e alla nostra esposizione col riportare alcuni squarci di un discorso del maggior dei poeti italiani de’ nostri tempi scrit
stre Uno spirto, una mente, una divina Fiamma scorrea, che l’alma era del mondo. Tutto avea vita allor, tutto animava La be
turno A Titano, maggiore dei figli di Urano, apparteneva l’impero del mondo, ma cedette i suoi diritti a Saturno dietro
uttavia Rea o Cibele sua moglie trovò modo di sottrarre alla crudeltà del marito Giove, Nettuno e Plutone. Titano scoperta
n veochio con lunga barba, colle ali e con una falce in mano, emblema del tempo, il quale passa rapidamente e distrugge ogn
ent’anni, dopo cui deponendo le sacre bende e rinunziando al servigio del tempio potevano maritarsi. Se per negligenza di a
on Giunone e fu sottratto, come si è detto, dalla madre alla crudeltà del padre ; furono dopo di lui salvati anche Nettuno
ono e lo fece prigioniere. Da quel momento Giove cominciò a dar segni del suo valore. Assalì Titano, liberò suo padre e lo
iove era nato per dar leggi all’universo, attentò più volte alla vita del figlio ; questi, irritato per l’ingratitudine del
più volte alla vita del figlio ; questi, irritato per l’ingratitudine del padre, gli mosse guerra apertamente, lo detronizz
o scacciò dal regno e l’obbligò a ricovrarsi nel Lazio. Impadronitosi del trono Giove sposò sua sorella Giunone e divise l’
e’ mari, quello dell’inferno al secondo, e riserbando per sè l’impero del cielo e della terra. I fratelli uniti a Pallade e
mosser guerra ed ammucchiando monti sopra monti, tentarono l’assedio del cielo per iscacciarne Giove, il quale, essendosì
del cielo per iscacciarne Giove, il quale, essendosì già impadronito del fulmine, li folgorò, schiacciandoli sotto le stes
lo della favola, dicono che Saturno fu re di Creta ; che fu spogliato del regno da’ suoi figli com’egli ne aveva privato il
occidentale, a Nettuno le coste marittime fu perciò detto il primo re del cielo, dell’inferno il secondo, del mare il terzo
ttime fu perciò detto il primo re del cielo, dell’inferno il secondo, del mare il terzo ; che molti ebbero il nome di Giove
ove corruppe i custodi di Danae, pel toro la nave che aveva l’insegna del toro colla quale rapì Europa, ecc. Giunone
amente gelosa e non a torto. Non cessò mai di sorvegliare la condotta del marito e perseguitò mai sempre le concubine di lu
el che era, la chiese in dono, ed ottenutala la mise sotto la guardia del pastore Argo che aveva cento occhi, ed essendo qu
o che lo avea indormentato prima col suono della zampogna e col tocco del caduceo, Giunone pose gli occhi di Argo nella cod
na e col tocco del caduceo, Giunone pose gli occhi di Argo nella coda del pavone, uccello a lei consacrato, tormentò Io, se
congiura degli Dei contro Giove, ed essendo essi stati vinti, il Dio del cielo la sospese in aria e le fè legar da Vulcano
re accese due fiaccole sul monte Etna per ricercarla. Andò alla corte del re Trittolemo cui insegnò l’arte di ben lavorare
ermò nei giardini di Flora, ove fu da questa interrogata dell’oggetto del viaggio ; venutane Flora in cognizione, le promis
era a Roma perchè i Romani riguardavano questo Dio come il protettore del loro impero. Augusto gli innalzò un magnifico tem
Dea della bellezza e degli amori, nacque secondo alcuni dalla schiuma del mare, secondo altri dal sangue del Cielo mutilato
acque secondo alcuni dalla schiuma del mare, secondo altri dal sangue del Cielo mutilato con una falce da Saturno, da Giove
in quel cinto le grazie, il riso, i vezzi, i piaceri. Paride, innanzi del quale levatosi il cinto si mostrò Venere in tutta
nere ha dato il suo nome ad un pianeta chiamato volgarmente la stella del pastore. Diana Diana dea della caccia, fig
ai piedi che son per altro nudi ; come porta scoperta la parte dritta del seno. Le si mette la mezza luna soventi su la tes
tempio che si fosse mai veduto ed annoverato fra le sette maraviglie del mondo dagli antichi. Questo tempio era sostenuto
o di Saturno e di Rea, fu salvato da sua madre come Giove, dal furore del padre, e consegnato a certi pastori d’Arcadia per
uase Anfitrite a sposare Nettuno ; e questi per compensare il delfino del servigio a lui renduto, lo collocò fra gli astri
mpero delle acque, colle isole e tutti i paesi vicini, e fu detto Dio del mare. Scacciato dal cielo per aver congiurato con
medonte fabbricato le mura di Troia, adoperando a tale seopo i tesori del tempio di Apollo e di quello di Nettuno. Gareggiò
ratello di Diana, fu chiamato Febo in cielo perchè conduceva il carro del Sole tirato da quattro cavalli e Apollo in terra.
va con esse i monti Parnaso, Elicona, Pierio, le rive dell’Ipocrene e del Permesso, ove pascolava ordinariamente il Caval P
dal cielo e nel suo esiglio ritirossi presso Admeto re di Tessaglia, del cui gregge fu fatto custode ; ed è per questa rag
edesi con maggior fondamento che gli fosse data da Mercurio in cambio del famoso caduceo. Il più rinomato de’templi che gli
etro Dafne e noa potendola raggiugnere, la trasmutò in lauro, co’rami del quale si fece una corona. Zefiro giuocando con Gi
crebbero delle canne le quali agitate dal vento ripetevano le parole del barbiere e si fece in tal modo noto a tutti che M
più celebre monumento che ci resta dell’antichità è il famoso Apollo del Belvedere che trovasi nella Galleria del Gran Duc
antichità è il famoso Apollo del Belvedere che trovasi nella Galleria del Gran Duca di Toscana a Firenze. Fra le statue ant
che ha meno sofferto dal furore de’ barbari e dalla mano distruttrice del tempo. Mercurio e Batto Mercurio Di più
e messaggiero degli Dei e specialmente di Giove suo padre, al levare del quale doveva ogni giorno trovarsi per ricevere i
te le ali alla testa ed ai piedi. Mercurio era riguardato come il Dio del commercio, dell’eloquenza, dei pastori, dei viagg
serpenti s’avviticchiarono ad essa in tal modo, che la parte più alta del corpo loro veniva a formare un arco. Mercurio d’a
e simbolo di pace, aggiugnendovi le ali come simbolo della rapidità e del potere dell’eloquenza. Si rapresenta come un bel
do ed ora con un manto su le spalle, che non gli copre se non la metà del corpo. Talvolta egli porta una lancia o pertica a
atta da Giove a parecchie Divinità, Apollo fu incaricato di aver cura del fuoco, Febo della terra, Venere dell’aria e Mercu
i chiamare o fugare a suo talento il sonno su gli occhi de’ mortali ; del caduceo si serviva pure per guidare le anime de’
iversi dai primi cui erano state unite. Gli si dava la borsa come Dio del commercio ; e come quello dell’eloquenza si finse
o che gli sta vicino soventi è il simbolo della dolcezza dei discorsi del Dio dell’eloquenza ; il cornucopia dell’abbondanz
e ne scoprissero le tracce. Il pastore Batto che era stato testimonio del furto avea avuto una bella vacca onde conservasse
ù voti. Il suo culto era molto esteso ; e particolarmente nelle città del Peloponneso in cui vi aveva più gran commercio s’
no state da molti dotti risguardate se non come altrettante allegorie del corso del sole e dei fenomeni da quest’astro prod
a molti dotti risguardate se non come altrettante allegorie del corso del sole e dei fenomeni da quest’astro prodotti. B
che sapeva essere incinta e dopo avere mosso dei dubbi su la divinità del suo amante le mise in animo un’ardente brama di v
sue coscie, ove lo tenne il resto dei nove mesi ; venuto poi il tempo del suo nascere fu nascostamente consegnato ad Ino, s
pure l’agricoltura, coltivò pel primo la vigna e fu adorato come Dio del vino. A lui si deve l’arte di estrarre e di appar
. Punì severamente tutti quelli che vollero opporsi allo stabilimento del suo culto, trionfò di tutti i suoi nemici e di tu
offerivasi mele, vino e latte ; gli si sacrificava il capro, il morso del quale si reputa così nocevole alle viti, e la gaz
furono le prime che portarono un tal nome. Vulcano Vulcano dio del fuoco era figlio di Giove e di Giunone. Nacque eg
, ed il solo occhio scintillante in mezzo della fronte era il simbolo del cratere. Vulcano fu chiamato. Dio del fuoco e de’
zzo della fronte era il simbolo del cratere. Vulcano fu chiamato. Dio del fuoco e de’fabbri per le cose maravigliose da ess
ea alle preghiere di Venere. Erano pur lavoro di Vulcano, il palazzo del Sole, la corona d’Arianna, il monile d’Ermione, i
esi che Pandora ebbe ordine da Giove di presentarlo a Prometeo contro del quale era adirato perchè aveva rapito il fuoco al
tutti i mali che infestano il mondo, restando solo la speranza infine del vaso tanto conosciuto sotto il nome di vaso di Pa
. Essendo il Dio dell’inferno e non regnando che sui morti, la natura del suo impero inspirava una tale avversione a tutti,
Dite ed Orco ; benchè secondo alcuni Orco sia più propriamente il Dio del giuramento e punitore degli spergiuri. Venia tal
e anime allorchè sortono dal corpo. Lo ritengono altri come l’emblema del sole, che, nella sua assenza durante l’inverno, p
li, l’altro per una caverna nel Tenaro, or capo di Maina, promontorio del Peloponneso. Ovidio ne finse un terzo in Sicilia
tti e tre passarono pei sovrani più giusti de’loro tempi. La saggezza del loro governo e la loro probità fecero dar loro do
liziose campagne della Betica parte della Spagna meridionale. L’idea del Tartano pare che sin stata presa da Tartesso picc
resa da Tartesso piccola isola che esisteva una volta all’imboccatura del Beti, oggi Guadalquivir, in Ispagna, perchè vi si
Stige, Cocito, Acheronte, Lete e Flegetonte. Acheronte diceasi figlio del Sole e della Terra da alcuni e di Titano e di Cer
ne fecaro una Ninfa figlia dell’Oceano ; essa formava un decimo ramo del fiume Oceano, scorrente sotterra, mentre l’Oceano
i spergiuri. Annoverasi tra i fiumi dell’Inferno anche l’Erebo figlio del Caos e della Notte, padre dell’Etera e del Giorno
ferno anche l’Erebo figlio del Caos e della Notte, padre dell’Etera e del Giorno, che fu cangiato in fiume e precipitato ne
ua. Le anime degli insepolti doveano errare per cento anni sulle rive del fiume prima di essere traghettate. Caronte si ra
to, con folta e canuta barba, con un oscuro vestimento indosso, lordo del fango del fiume infernale. La sua barca ha vele c
lta e canuta barba, con un oscuro vestimento indosso, lordo del fango del fiume infernale. La sua barca ha vele color di fe
un esilio per un anno in uno de’ più oscuri e dei più orribili luoghi del Tartaro per aver fatto passare Ercole, il quale n
ia suoni barcaiuolo, e che con esso si denotasse colui che per ordine del re tragittava nella sua barca quelli che avevano
, e che li conduceva vicino a Menfi nelle amene campagne in vicinanza del lago di Acherusa. I sacerdoti egizi rifiutavano i
anza del lago di Acherusa. I sacerdoti egizi rifiutavano il passaggio del lago a quelli che erano morti senza pagare i loro
no tolto dagli Egizi l’idea di far errare per cento anni sulle sponde del Cocito le anime degl’insepolti, perchè quelli che
a non ricevevano funerali se non un secolo dopo e si facevano a spese del pubblico. Dal lago che alcuni chiamano Palude di
nversazioni e al crescimento dei fanciulti che nascono. Ecate figlia del titano Perseo si dipinge come brava cacciatrice,
veneficii cogli stranieri, avvelena il proprio padre, s’impadronisce del soglio, edifica un tempio a Diana, e fa immolare
immolare a questa Dea tutti gli stranieri spinti dal caso sulle coste del Chersoneso di Tauride : indi ella diviene sposa d
da altri della Discordia ; ed avvi chi le vuole figlie della Notte e del fiume Acheronte. Erano tre : Tisifone, Megera ed
ed il cipresso era la pianta che loro si consacrava. La Notte figlia del Cielo e della Terra, Dea delle Tenebre che sposò
palazzo in luogo deserto e sconosciuto, ove non penetrano mai i raggi del sole. All’entrata del suo palazzo stanno de’ papa
to e sconosciuto, ove non penetrano mai i raggi del sole. All’entrata del suo palazzo stanno de’ papaveri e dell’erbe conci
siccome simbolo dell’oblio in cui giaccionsi le tenui cure all’ombra del benefico suo impero. Si faceva soggiornare in fin
poeti hanno conservato il nome di alcuni più celebri tra i condannati del Tartaro ed il genere del supplizio con cui vi era
nome di alcuni più celebri tra i condannati del Tartaro ed il genere del supplizio con cui vi erano tormentati. Tantalo r
Avendo inteso Danao dagl’indovini che dai generi dovea essere privato del regno ordinò alle figlie di uccidere la stessa no
e fratello di Atamante e di Salmoneo era uno de’ più astuti principi del suo tempo. Avendo occupato l’istmo di Corinto, in
rose da due avoltoi. Annoverano i poeti tra i più celebri condannati del Tartaro anche i Giganti o Titani che mossero guer
a guerra de’Titani contro gli Dei, e che fosse oppresso sotto il peso del monte Etna e che venisse poscia liberato. Deg
animali che abitavano il monte Liceo ed il monte Menalo in vicinanza del fiume Eurota nel Peloponneso ove Apollo andava a
colle corna in testa, lo stomaco coperto di peli, la parte inferiore del corpo simile a quella di un capro. Gli si sacrifi
rticolarmente Dio delle selve e si rappresenta ora colle corna e metà del corpo di capra, ora con tutta l’umana forma ; ed
pesse fiate invece di pino ha un ramo di cipresso in mano per memoria del giovane Ciparisso che da lui non da Apollo, come
abbondanza nell’altra. Ebbe questo Dio un tempio a Roma nella piazza del mercato. Invaghitosi di Pomona Dea de’ frutti e d
iamate foche o vitelli marini, è suo padre in compenso lo avea dotato del dono di predire l’avvenire, ma non lo diceva se n
penetrare. I re d’Egitto avendo d’altronde l’uso di portare, in segno del loro coraggio e del loro potere, la spoglia di un
itto avendo d’altronde l’uso di portare, in segno del loro coraggio e del loro potere, la spoglia di un leone, di un toro o
ve in salvo il simulacro di lei, ella fece subito rinverdire il legno del quale era composto il simulacro ed il bosco stess
psacio, Lampsaceno o Lampsaco. Dicesi che Venere essendosi innamorata del Dio del vino per capriccio, andò ad incontrarlo m
Lampsaceno o Lampsaco. Dicesi che Venere essendosi innamorata del Dio del vino per capriccio, andò ad incontrarlo mentre eg
aiuoli e dei signori appiccava il fuoco, poscia spargeasi su le brace del vino ed una parte delle provvisioni che avevano p
cipe dedito allo studio dell’astronomia, il quale, coll’ osservazione del flusso e riflusso, prediceva, soventi con precisi
tra questi ultimi erano que’che spiravano dai quattro punti cardinali del cielo, Borea o Aquilone cioè dal settentrione, Eu
ndo potuto renderla sensibile alla sua passione, la rapì dalle sponde del fiume Ilisso dove si trastullava con altre fanciu
velocità, che correano sulle spiche senza curvarle e sulla superficie del mare senza affondare. Quelli che distinguono Aqu
lor nero, perchè questo colore è quello degli Etiopi o degli abitanti del Levante, ov’esso domina. Austro vento estremament
esso domina. Austro vento estremamente caldo dimorava nei climi caldi del mezzogiorno. Il suo fiato era alcuna volta sì inf
. Un giorno che le signore di Atene dovevano celebrare sulla spiaggia del mare la festa di Cerere, alla quale doveva interv
uire il disegno. Portossi poscia in Atene, e dichiarò in un’assemblea del popolo il suo essere, e ciò che gli era accaduto,
discordi i mitologi nel fissare l’origine di Cupido. Lo fanno figlio del Caos e della Terra, di Zefiro e di Eride o la Dis
o ; con un arco ed un turcasso d’oro pieno di frecce ardenti, simbolo del suo potere su gli animi, alcune volte con una tor
, e un delfino nell’altra. Ora si vede tra Ercole e Mercurio, simbolo del potere che hanno in amore il valore e l’eloquenza
ioia pura ed un’affezione virtuosa e sinoera. Momo Momo figlio del Sonno e della Notte era il Dio de’buffoni. Satiri
a maschera da un volto. Altri lo dipingono con un bastone su la punta del quale sta una piccola figura, immagine della pazz
one delle loro opere. Momo le criticò tutte e tre. Disse che le corna del toro dovean essere più vicine agli occhi o alle s
Arpocrate e Muta Arpocrate figlio di Iside e di Osiri era il Dio del silenzio. Vogliono i poeti che sua madre, avendol
lettere. Si pretende da alcuni che sua madre lo desse alla luce prima del termine e che nascesse estremamente debole e coll
eno materno ; questa attitudine fu interpretata dai Greci per comando del silenzio. Altri lo hanno creduto un filosofo che
foglie di pesco hanno la figura di una lingua, e il suo frutto quella del cuore : emblema della perfetta unione che dee esi
unione che dee esistere tra il cuore e la lingua. Muta o Lara figlia del fiume Almone era la Dea del silenzio. Giove le fe
il cuore e la lingua. Muta o Lara figlia del fiume Almone era la Dea del silenzio. Giove le fece tagliare la lingua e la c
a. Questa Dea avea diversi tempii, e tra gli altri uno in Flio, città del Peloponneso, che aveva il privilegio dell’immunit
Aurora Questa Dea figlia secondo alcuni di Titano e della Terra, del Sole e della Luna secondo altri, presiedeva al na
lla Terra, del Sole e della Luna secondo altri, presiedeva al nascere del giorno. Amò teneramente Titone, giovinetto molto
o ; si scorgono su la di lei fisonomia tutti i segni dell’incostanza, del capriccio, dell’insolenza e della leggerezza ; la
della loro vecchiaia. Si ammettono dai mitologi due specie di decreti del Destino : gli uni irrevocabili, e dai quali dipen
inge anche con una corona sormontata di stelle ed uno scettro simbolo del sommò suo potere. Per indicare che esso non varia
si distinguono all’aspetto di una bella donna, con un braccio intorno del quale sta avviticchiato un serpente il quale si d
ina. Gli si rendevano onori divini particolarmente in Epidauro, città del Peloponneso famosa pel tempio che vi fu eretto in
mali, lasciavano nel tempio qualche cosa che rappresentasse la parte del loro corpo che era stata risanata. Si rappresenta
conservare o di rigenerare i corpi. Temi Temi o Temide figlia del Cielo e della Terra è la dea della giustizia. È d
resenta di un contegno dolce, con volto soave, con una piccola statua del dio Pluto in una mano, con spiche, rose e rami d’
reale e la sua dignità era a vita. Fetonte Fetonte era figlio del Sole e di Climene. In una gara che ebbe con Epafo
ulli giuocavano insieme, Epafo rinfacciò a Fetonte che non era figlio del Sole come si credeva. Fetonte adiratosene, andò a
ò al Sole per accertarsi della sua nascita. Fetonte entrò nel palazzo del Sole e lo trovò seduto sul suo rilucente trono ed
i una grazia, senza dire quale essa si fosse. Il Sole in contrassegno del paterno affetto giurò per lo Stige di accordargli
presa, onde suo malgrado gli consegnò il carro dopo d’averlo istruito del come doveva guidarlo. Fetonte non conoscendo peri
montò nel carro e partì. Appena egli giunse sull’orizzonte, i cavalli del Sole non riconoscendo più la mano del loro signor
iunse sull’orizzonte, i cavalli del Sole non riconoscendo più la mano del loro signore, non obbedirono a quella del nuovo c
on riconoscendo più la mano del loro signore, non obbedirono a quella del nuovo condottiero e traviarono dal solito loro ca
applicò sommamente all’astronomia e soprattutto a conoscere il corso del sole ; che morì in freschissima età, e lasciò le
tte ; e da ciò i poeti dissero non aver egli potuto condurre il carro del Sole sino al termine della sua carriera. Aggiungo
osperità, e chi si mostrava orgoglioso per la bellezza e per la forza del corpo e per l’ingegno, e coloro finalmente che di
e non si rifiutava mai a vendicare le amanti vittime dell’infedeltà e del tradimento. Si rappresenta coll’ali, armata di fa
r parte anche delle persone che avevano regnato o abitato sulle coste del mare, come Proteo, Etra, madre d’Atlante, Persa,
e essendo stato strettamente legato dagli altri Dei, Teti, coll’aiuto del gigante Briareo gli restituì la libertà ; vale a
vano le dorate redini. Una gran vela di porpora ondeggiava al disopra del carro ; era essa più o meno gonfia dal soffio di
Destino che il figlio da essa nato sarebbe più grande e più possente del padre, gli Dei la cedettero a Peleo. Poco content
la quale per vendicarsi di non essere stata invitata, gittò in mezzo del banchetto quel rinomato pomo d’ oro che fu di tan
le, tranne il tallone ch’essa teneva per immergerlo, e che dall’acque del fiume non fu punto bagnato. Dopo la morte di Patr
ccia che un giorno mentre cacciava un cervo lo inseguì sino alla riva del mare. Il cervo essendosi dato a nuotare, Sarone s
corpo fu trasportato nel sacro bosco di Diana, e tumulato nell’atrio del tempio. Questo avvenimento fece dare il nome di g
e Sarone annegò e desso fu messo da’ suoi popoli nel numero degli Dei del mare, e divenne in seguito il Dio tutelare dei ma
osse guidice infernale, Minosse secondo, Dedalo ed Icaro, descrizione del labirinto e dell’areopago Parlando delle Divi
ome, che quasi tutti i mitologi confondono col primo. Minosse nipote del precedente distinto sotto il nome di Minosse II s
precedente distinto sotto il nome di Minosse II sposò Pasifae figlia del Sole e della ninfa Perseide dalla quale ebbe pare
delle conquiste nelle isole poco distanti da Creta e divenne padrone del mare. Questo principe avrebbe goduto la fama di u
esi e dei Magariani colla guerra che fece loro per vendicare la morte del proprio figlio Androgeo assassinato dagli Atenies
’oro o di porpora cui era attaccato il suo destino e quello pur anche del suo impero. Informato Niso dall’ oracolo che dall
’ oracolo che dalla conservazione di quel capello dipendeva la durata del suo impero, non è difficile l’immaginarsi qual cu
padre di lei che si era da sè stesso ucciso per non cadere nelle mani del vincitore, in una specie d’aquila di mare che non
olte ; ma nella quarta Teseo, uno dei giovani dannati ad essere preda del mostro, lo uccise, liberando così la patria sua d
la sua liberatrice, che abbandonò poi nell’isola di Nasso. La favola del Minotauro si spiega in tal guisa. Dicesi che Pasi
nto dedicato al Sole. Altri lo han creduto un Panteone. Gli abitanti del paese danno ai resti di cotesto edificio il nome
a perfezione. Gli antichi gli attribuiscono l’invenzione della scure, del trapano a mano, dell’uso dolla colla di pesce e d
ione della scure, del trapano a mano, dell’uso dolla colla di pesce e del livello. Egli si rese specialmente famoso per la
sorella. Questo giovine prometteva maggiori talenti e maggior ingegno del suo n.aestro. Egli inventò la sega, il compasso,
suo n.aestro. Egli inventò la sega, il compasso, il torno e la ruota del vasellaio. Dedalo ne ebbe tanta gelosia che lo pr
e ali di Icaro, il quale era ito troppo in alto, contro le istruzioni del padre, si sciolsero pel calore del sole, e questo
oppo in alto, contro le istruzioni del padre, si sciolsero pel calore del sole, e questo giovane non essendo più sostenuto
ole, e questo giovane non essendo più sostenuto cadde in quella parte del mar Egeo o Arcipelago che portò poi il nome di Ic
un giorno si annegò, ed allora fu detto che gli Dei marini lo avevano del tutto ammesso nella loro compagnia. Eco Ec
e della Terra, una delle Ninfe seguaci di Giunone, abitava le sponde del fiume Cefiso nella Focide. Giunone la condannò a
olte anche Mercurio e le Muse. Stanziavano per l’ordinario sulle rive del Cefiso e in Orcomene per cui furono dette le Dee
nario sulle rive del Cefiso e in Orcomene per cui furono dette le Dee del Cefiso e di Orcomene. Si celebravano molte feste
a Urania non bisogna confondere Urania o la Venere Celeste, figliuola del Cielo e della Luce. Secondo gli antichi animava e
astità e la modestia che le erano proprie. La testuggine è il simbolo del ritiro e del silenzio, che a donna maritata conta
odestia che le erano proprie. La testuggine è il simbolo del ritiro e del silenzio, che a donna maritata contanto si addico
e fu in origine trasferita da Roma nel 1587 sotto Ferdinando I figlio del Gran Cosimo, e dalla galleria di Firenze dei prin
Essa rappresenta Venere nell’atto di nascere o emergere dalla spuma del mare. Difficile sarebbe l’esprimere colle parole
unone ; diffatti in alcune statue di questa Dea, veggonsi al dissopra del capo di lei rappresentate le Ore. Ebbero l’incari
ducazione di Venere. Era loro cura di allestire il carro ed i cavalli del Sole. Si vuole che presiedessero all’educazione d
usa, Euriale e Steno. Stanziavano al di là dell’Oceano, all’estremità del mondo, in vicinanza del soggiorno della Notte e d
anziavano al di là dell’Oceano, all’estremità del mondo, in vicinanza del soggiorno della Notte e dei giardini delle Esperi
o un po’ per una a vicenda ; il dente era più lungo però di una zanna del più forte cignale. Avevano le chiome di serpenti,
sa, Steno ed Euriale andarono ad abitare presso l’Inferno, alla porta del nero palazzo di Plutone, ove poscia hanno sempre
i utile al genere umano, egli non avrebbe eseguito che una sola parte del suo divisamento, allora quando avesse tollerato c
orti della Fenicia e delle isole della Grecia, rinchiudesi il mistero del dente, del corno e dell’occhio che le Gorgoni pre
Fenicia e delle isole della Grecia, rinchiudesi il mistero del dente, del corno e dell’occhio che le Gorgoni prestavansi vi
nsi sue figlie. Allorchè Perseo troncò il capo di Medusa, dalle gocce del sangue che caddero da esso si vuole che nascesser
per combattere la Chimera. Avendo poscia Bellerofonte voluto servirsi del Pegaso per salire in cielo, Giove lo precitò in t
Perseo se ne servì per liberare Andromeda, e per rubare i pomi d’oro del giardino delle Esperidi. Questo cavallo abitava i
all’articolo di questa Dea. Ecco il modo con cui si spiega la favola del caval Pegaso. Medusa altro non era fuorchè una de
delle une e delle altre. Le Ninfe celesti o uranie regolano la sfera del cielo. Poco si dice delle Ninfe infernali se non
quest’officiosa quercia, ai rami della quale poi sospendesti la culla del pargoletto tuo figlio. » Non si lasciò neppur te
a disposta ad accordargli quanto cra in suo potere, per ricompensarlo del servigio che avevale reso con prolungare la sua e
. Sono chiamate le caste Ninfe dagli occhi neri, che abitano il fondo del mare. Scorrono sollazzandosi, sulla superficie de
acri come le grandi divinità, e degli altari, specialmente su le rive del mare. Quando stavan fuori dell’acque, d’ordinario
Erano invocate per rendere il mare propizio. Alle Nereidi offrivasi del latte, dell’olio e del mele ne’ sacrifici che lor
dere il mare propizio. Alle Nereidi offrivasi del latte, dell’olio e del mele ne’ sacrifici che loro facevansi ; talvolta
o sopra le coste, oppure che si rendettero celebri collo stabilimento del commercio e della navigazione. Lo stesso nome fu
u dato altresì a certi pesci di mare cui supponesi la parte superiore del corpo a un dipresso simile a quello di una donna.
rabil bianchezza, per la divina bellezza delle forme, per l’avvenenza del volto. Amata da Polifemo e da Aci, preferì questo
nnamorò subito, ma essa passò su l’altra sponda e se ne fuggì. Il Dio del fiume la inseguì pei campi e pei monti, fino a ch
mele e di olio ; e più soventi contentavansi di porre sui loro altari del latte, dei fiori e dei frutti, ma non erano se no
ro abitanti delle acque, soggiornavano d’ordinario negli antri vicini del mare, adorni di fontane e d’arboscelli e di quant
rtati in Grecia hanno dato luogo alle finzioni di questo popolo amico del meraviglioso. Le Esperidi Le Esperidi eran
di cui gli antichi avevano poche nozioni e che credevano l’estremità del mondo ; oggi si ritiene essere le Isole Esperidi
a cui figura offriva sino alla schiena un uomo che nuota, ed il resto del corpo mostrava un pesce con lunga coda. Era egli
del corpo mostrava un pesce con lunga coda. Era egli il trombettiere del Dio del mare ; sempre lo precedeva, annunciando l
po mostrava un pesce con lunga coda. Era egli il trombettiere del Dio del mare ; sempre lo precedeva, annunciando l’arrivo
li turchini. Si poneva d’ordinario la figura di Tritone sulla sommità del tempio di Saturno. Oltre l’ufficio di essere trom
irene, Scilla e Cariddi Le Sirene erano secondo alcuni tre figlie del fiume Acheloo e della Musa Calliope e si chiamava
una voce terribile e che le orrende sue grida rassembrano al muggito del lione ; che è un mostro il cui aspetto farebbe fr
ssare i vascelli nello stretto, dicono i poeti, sporge la testa fuori del suo antro e se li attrae per farli perire. Dalla
è una donzella di una bellezza seducente, pesce enorme nel rimanente del corpo, ha una coda di delfino e un ventre di lupo
vuole da alcuni che i Lari fossero figli di Mercurio e di Lara ninfa del Tevere, che Mercurio condusse all’inferno per ord
turità ; Mellona proteggeva le api ed i loro lavori. Colui che rubava del mele o guastava gli alveari del suo vicino espone
pi ed i loro lavori. Colui che rubava del mele o guastava gli alveari del suo vicino esponevasi allo sdegno di questa Divin
a Divinità. Stercuzio o Stercuto o Sterculio o Sterquilino era il dio del concime, che dicevasi figlio di Fauno e che aveva
rodotta la concimazione de’ campi. Latturcina o Lacturcina era la dea del latte secondo alcuni ; secondo altri s’invocava p
inciavano a gonfiare le spiche, la polpa delle quali ha la bianchezza del latte. Ogni uomo era in tutela di un Dio particol
ansi ad ogni uomo, l’uno buono e l’altro cattivo. Ciascuno nel giorno del suo nascere sacrificava al proprio Genio. Gli si
tal sorta di sacrifici. Presiedeva secondo gli antichi ad ogni parte del corpo un Dio particolare, come le varie vicende d
, Minerva alle dita, Mercurio ai piedi. Nascio o Natio diceasi la dea del nascere ; Vagitano o Vaticano era quel che presie
no era quello che allontanava i mali ed i pericoli. Nerina era la dea del rispetto e della venerazione ; Como era il dio de
Tebe a raddoppiati colpi e molti altri prodigi annunziarono la gloria del figlio di Giove. Alcmena partorì due gemelli, Erc
di Pallade si raddolcì allora alquanto ed acconsentì anche di dargli del proprio latte onde renderlo immortale. Una goccia
ma ammirando la bellezza di quel fanciullo consigliò Giunone a dargli del suo latte. Giunone vi acconsentì, ma il bambino l
e ad Euristeo che la voleva per sè, raggiunta che l’ebbe su le sponde del Ladone, la prese viva, se la pose su le spalle e
tò a Micene. 5.° A colpi di freccia uccise tutti gli orribili uccelli del lago Stinfalio. Essi erano mostruosi, avevano il
o e la loro grossezza era tale che le loro ali impedivano che la luce del sole si spandesse su la terra. 6.° Sconfisse le
uell’impresa. Le Amazzoni erano donne guerriere che abitavano le ripe del Termodonte in Capadocia. Non volevano uomini seco
este. Ercole uccise anche questi mostri. 11.° Uccise il Drago custode del giardino delle Esperidi, nato anch’esso da Echidn
il Mediterraneo all’ Oceano, e credendo che quel punto fosse la fine del mondo, vi eresse due colonne, su le quali trovoss
Dei. Un giorno in cui trovavasi molto incomodato dagli ardenti raggi del Sole, andò in collera contro questo pianeta e tes
orte e robusto, e con una mazza o clava in mano, armato delle spoglie del leone Nemeo, ch’egli porta qualche volta sopra un
i riposarsi sopra la clava, vestito colla parte superiore della pelle del leone. Alcune volte si dipinge coronato di foglie
o figlio di lui e di Deianira sposò Iolea, ma Euristeo serbando verso del figlio l’odio che nutrito avea contro del padre l
ma Euristeo serbando verso del figlio l’odio che nutrito avea contro del padre lo scacciò dal regno insieme agli altri Era
e altre deità, non vuol significare altro che il sole. L’universalità del culto di Ercole, l’antichità de’ suoi templi di F
segni che trascorre il sole nello zodiaco è uno de’ più forti appoggi del sistema astronomico di Ercole considerato come il
sistema astronomico di Ercole considerato come il sole. I sostenitori del sistema astronomico di Ercole asseriscono che non
sistema astronomico di Ercole asseriscono che non solo all’estremità del Mediterraneo, ma a quella ancora del ponte Eusino
scono che non solo all’estremità del Mediterraneo, ma a quella ancora del ponte Eusino scorgevansi due colonne dette egualm
roe verso occidente ; e che due altari vedevansi nelle Indie in onore del medesimo Ercole eretti i quali segnavano il termi
poichè si vedono espressi chiaramente in esse i due termini naturali del corso di quel grande astro il quale ogni giorno t
serpente Pitone, che fu poi ucciso da Apollo. Anche Cerambo, abitante del monte Otri in Tessaglia, si ritirò sul Parnaso pe
su la storia. Sotto il regno di Deucalione re di Tessaglia, il corso del fiume Peneo fu fermato da un terremoto nel luogo
ogenea la quale fu amata da Giove che la rese madre di Etlio. L’epoca del diluvio di Deucalione dovrebbe essere verso l’ann
Il re accolse cortesemente la madre e diede il fanciullo ai sacerdoti del tempio di Minerva perchè lo educassero. Perseo di
o perchè sapeva che non ne aveva. Questo giovine ardente di far prova del suo coraggio offerse di portargli invece del cava
ine ardente di far prova del suo coraggio offerse di portargli invece del cavallo la testa di Medusa, una delle tre Gorgoni
un figlio di Giove che gli avrebbe un giorno rapiti i più bei frutti del suo giardino, gli negò l’ospitalità e lo scacciò.
predetto l’oracolo. Intanto il dolore provato da Perseo per la morte del suo avolo gli fece abbandonare il soggiorno di Ar
ccorsi ai giganti ribellatisi al supremo Nume. Atlante era il padrone del giardino delle Esperidi in cui si conservavano i
igete e Merope. Furono esse cangiate in istelle e collocate sul petto del toro, uno de’ dodici segni dello zodiaco, perchè
e. Fu tanto il dolore che provarono le figlie di Atlante per la morte del loro fratello e sparsero tante lacrime, per cui G
oro compassionevole stato le cangiò in istelle e le pose su la fronte del toro, ov’esse piangono tuttora. Si racconta da al
e di cattivo tempo. Questa costellazione nomasi da alcuni Ia dal nome del fratello delle Iadi. Fanno alcuni queste Ninfe fi
orea o in Tracline di Tessaglia, come vogliono alcuni, da Etra figlia del re Pitteo, la quale fu moglie prima di Nettuno, p
i Semidei e creduto il maggiore di essi dopo Ercole. Fu sempre nemico del vizio. Purgò l’Attica dai ladri che la infestavan
gli Olimpici. Trovossi al combattimento dei Centauri, alla conquista del toson d’oro, alla caccia del cignale di Calidona
mbattimento dei Centauri, alla conquista del toson d’oro, alla caccia del cignale di Calidona e secondo alcuni alle due gue
ito, poi disperata s’uccise ; e Teseo addolorato per l’ingiusta morte del figlio, non ebbe da quel momento più pace. Il rit
nche le nere vele con cui era partito ; ma Teseo dimenticò il comando del padre, sicchè questi vedendo da lungi tornar il n
antità di buoi o di tori divenuti furiosi devastavano le terre vicine del monte Pelia in Tessaglia. Alcuni giovani che avev
fuggire. Narrasi pure che i Centauri essendo la maggior parte parenti del re di Tessaglia, vollero partecipare alla success
orella essendo stata rapita da Giove, Agenore che ignorava la qualità del rapitore, ordinò a Cadmo e agli altri suoi figli
simi principii. Cadmo si vedeva genero di due grandi divinità e amato del pari che rispettato da’suoi sudditi ; egli era pa
empeste. Seguirono Giasone in Colchide e contribuirono alla conquista del vello d’oro. Ritornati nella loro patria ripreser
morte Polluce ferito anch’esso da Ida. Polluce afflitto per la morte del fratello pregò Giove che rendesse questi alla vit
ano in grande venerazione perchè il loro apparire dicevasi apportator del bel tempo. Orfeo, Euridice Orfeo uno de’ p
la, ove si fosse a lei rivolto per mirarla, prima d’uscire dai limiti del loro impero. Non gli restava a fare che un passo
giorni su le rive dell’Acheronte senza prender alcun cibo, pascendosi del suo dolore e delle sue lagrime. Si ritirò poscia
i racconti su la morte di Orfeo ; avvi chi pretende che nell’eccesso del suo dolore si uccidesse da sè stesso, altri lo fa
corde. Vien anche asserito che questo musico innalzò il primo altare del quale sia stato onorato Mercurio nella Grecia. Al
icato le mura di Tebe col suono della sua lira, che indipendentemente del suo talento nel maneggiare questo istromento, egl
lto più armoniose, il Dio, divenutone geloso, lo uccise. Gli abitanti del monte Elicona prima di sacrificare alle Muse, fac
llo di Orfeo si attribuiscono diverse opere, cioè quelle sull’origine del mondo, sul corso del sole e della luna, sulla nat
buiscono diverse opere, cioè quelle sull’origine del mondo, sul corso del sole e della luna, sulla natura degli animali e d
e sul monte Pelio ove il centauro Chirone, il più saggio degli uomini del suo tempo, prese cura della sua educazione e gl’i
desse Giasone ad educare a Chirone regnando egli intanto negli stati del nipote. Volendo Giasone giunto in età di venti an
ale hanno tutti e due origine che al suo ritorno gli darà il possesso del trono che gli appartiene. Giasone era in quella e
deva poter abbisognare nella sua intrapresa. Giove promise colla voce del tuono il suo soccorso a quella truppa di eroi, la
arono finalmente in Colchide regione dell’Asia, su la costa orientale del ponte Eusino oggi mar Nero e precisamente nell’od
osto di uccidere il mostro che vegliava incessantemente alla custodia del vello d’oro ; e tutto ciò doveva esser fatto in u
mmansa i tori, li sottopone al giogo, ara il campo, vi semina i denti del drago, lancia una pietra frammezzo ai combattenti
perire. Siccome Pelia non si decideva a restituire a Giasone il trono del padre, Medea trovò il mezzo di liberare il suo sp
tato dal peso delle sue sventure, egli perirebbe colpito dagli avanzi del vascello degli Argonauti, ciò che gli accadde in
e gli accadde in fatti. Un giorno ch’egli stava riposando, su le rive del mare, riparato dai raggi del sole da quel vascell
orno ch’egli stava riposando, su le rive del mare, riparato dai raggi del sole da quel vascello tirato a terra, una trave c
tauro viveva avanti l’acquisto di Troia. La sua grotta, situata appiè del monte Pelio in Tessaglia, divenne la più famosa s
di Chirone che gl’insegnò le orgie, i baccanali e tutte le cerimonie del culto bacchico. Chirone portò a tal segno il suo
tauri, sperando questi di calmare il furore dell’eroe con la presenza del suo antico maestro, si rifuggirono a Malea dove r
aturno, e pose il Centauro nello zodiaco, dove formò la costellazione del Sagittario. Argonauti. Nome col quale si disting
imbarcarono con Giasone per andare nella Colchide a fare la conquista del vello d’oro. Sono chiamati Argonauti dal nome del
benchè alcuni ne numerino cinquantadue, senza contare però le persone del seguito di ciascuno. Giasone promotore dell’impre
più distinti erano Castore e Polluce, Telamone figlio di Eaco e padre del famoso Aiace, i fratelli alati Calai e Zete figli
ripe all’intorno colle loro grida. Argo figlio di Alettore co’legni del monte Pelio e con una quercia tolta alla selva Do
arrivarono gli Argonauti in Tracia, dove furono istrutti dal re Fineo del modo onde superare gli scogli Cianei o Simplegadi
li Cianei o Simplegadi, che urtandosi fra di loro impedivano l’uscita del Bosforo, e Giasone in ricompensa ordinò agli alat
ni prima della guerra di Troia. Il Vello o Toson d’oro era la spoglia del montone che trasportò Frisso ed Elle nella Colchi
ed Elle nella Colchide, e la di cui conquista fu l’oggetto principale del viaggio degli Argonauti. Varie sono le opinioni s
che il primo fu spedito a scegliere la più bella pecora delle mandre del re per offrirla in sacrificio a Giove. Mentre la
gni dello zodiaco. Se discordi sono i mitologi nel riferire la favola del vello d’oro e di quanto vi ha rapporto, non varia
pelli di montoni ; locchè si pratica anche presentemente su le sponde del Rodano e dell’Arriège ove la polvere d’oro si rac
fatta finzione. Hanno forse più ragione coloro che spiegano la favola del toson d’oro con tutto ciò che vi ha rapporto coll
e se voleva corrispondere a’suoi desiderii lo avrebbe posto sul trono del suo sposo ; ma avendolo trovato insensibile, lo a
ggio che credeva aver ricevuto, pregandolo di vendicarlo con la morte del colpevole. Da questo avvenimento furono chiamate
li che le portano. Partì Bellerofonte e giunse felicemente su le rive del Xanto. Giobate lo ricevette con gioia, lo tenne s
giorni, ed in ciascun giorno immolava un toro ai numi, ringraziandoli del felice arrivo del giovine eroe. Nel decimo dì gli
cun giorno immolava un toro ai numi, ringraziandoli del felice arrivo del giovine eroe. Nel decimo dì gli chiese i segni ch
segni che mandavagli il re suo genero : aspettò fino allora in grazia del costume di que’tempi nei quali una maggior premur
che aveva ricevuti, e gli diede in isposa sua figlia e con essa metà del suo regno. I popoli medesimi, tocchi di ammirazio
ra una montagna dell’Asia minore nella Licia, che al pari dell’Etna e del Vesuvio mandava fiamme, durante però la notte sol
eoni ; a metà eranvi de’pascoli dove pascevano delle capre ; ed appiè del monte stesso vi erano delle paludi infestate da s
e. Per combattere questo mostro invitò Oeneo tutti i giovani principi del paese alla testa dei quali pose Meleagro e questa
assero tutti gli anni dall’Affrica in Beozia per piangere su la tomba del fratello. Atalanta era figlia di Scheneo re di S
tomba del fratello. Atalanta era figlia di Scheneo re di Sciro isola del mar Egeo secondo la maggior parte de’ mitologi, a
aggior parte combinano nel dire che dessa si trovò alla famosa caccia del cinghiale di Calidone, e che Meleagro capo di que
a schiatta di Deucalione, essendo inconsolabile a cagione della morte del suo sposo Ceice, figliuolo di Luciefero e re di T
orse gli Dei contro Giove, egli aveva condotto via dall’Erizia i buoi del Sole. Giove avendo comandato ad Ercole di batterl
fabbricò una città che dal suo nome fu chiamata Gianicola. Nel tempo del suo regno essendo Saturno stato scacciato dal cie
evolmente dei doni che erano chiamati Strenne. Gordio, descrizione del nodo gordiano Gordio re di Frigia, padre di M
netta che veniva ad attinger acqua, ed avendole significato il motivo del suo viaggio, ella, essendo della schiatta degli i
o. Egli condusse con sè questa donzella onde imparare da lei la forma del sacrificio, ed avendola poscia sposata, n’ebbe un
, ed egli pose fine a tutte le loro differenze. Mida, in riconoscenza del favore che Gordio aveva ottenuto da Giove, gli de
che non si poteva scoprirne le estremità. Secondo l’antica tradizione del paese, un oracolo aveva dichiarato che colui il q
Grande in Frigia, nella città di Gordina, antico e rinomato soggiorno del re Mida, ebbe desio di vedere il famoso carro cui
il principe fece nell’indomani dei sacrifici per ringraziare gli Dei del favore che gli avevano accordato e dei contrasseg
uno della sua corte acciò lo facesse perire, ma questi, fatto pietoso del figlio lo attaccò solo pei piedi ad un albero. Fu
esso. Pretendono altri che l’uccidesse, mentre in un angusto sentiero del monte Citerone, Laio volle arrogantemente costrin
’occupava premurosamente a farne ricerca, venne a scoprire, col mezzo del pastore che lo aveva salvato, non solamente che l
Giocasta presa egualmente da disperazione, sale al più eminente luogo del palazzo, vi attacca un laccio fatale e in questa
poeti non tralasciano di situarlo nel numero de’più famosi condannati del Tartaro. Eteocle e Polinice che eran gemelli o p
annati del Tartaro. Eteocle e Polinice che eran gemelli o per ordine del padre, come alcuni vogliono, o spontaneamente con
ul trono, si dovesse allontanare da Tebe : ma Eteocle prese le redini del governo per il primo e terminato l’anno ricusò di
ò anche dopo la loro morte ; e credesi d’aver osservato che le fiamme del rogo su cui facevansi bruoiare i loro corpi siens
eroici. Creonte il quale successe alla corona, fece rendere gli onori del sepolcro alle ceneri d’Eteocle, siccome quello ch
ch’essa tendeva ai passeggieri, tirandoli negli scogli e ne’macchioni del monte Ficeo, là dove riusciva loro impossibile di
uo tocco, aveva la virtù di guarire ogni sorta di malattia. I confini del regno di Tantalo erano immediatamente uniti a que
fratello. Non contento di questa atrocità, fece recare verso la fine del pasto le braccia e le teste di questi figli. Dice
rono essi chiamati Atridi. Dopo la morte di Atreo, Tieste s’impadronì del regno d’Argo e fu sua prima cura di allontanare i
one. Divenuti generi di un potente re, pensarono a vendicare la morte del loro avo. Tindaro accordò loro delle truppe colle
potente principe della Grecia, scelse la città di Micene per capitale del suo impero. Menelao divenne re di Sparta. In vist
e per capitale del suo impero. Menelao divenne re di Sparta. In vista del vasto suo potere Agamennone fu scelto a voce unan
endole una cerva e lei trasportò in Tauride, ove la fece sacerdotessa del suo tempio. Dopo questo sacrificio, un favorevol
lorchè Agamennone fu di ritorno, a tradimento l’uccise e impadronissi del regno d’Argo. Oreste figlio di Agamennone e di C
ove all’età di venti anni tornò incognito in Argo a vendicar la morte del padre coll’uccisione di Egisto e di Clitennestra.
Strofio, con cui era stato educato, giunse in Tauride, ove per ordine del re Toante fu in procinto di essere sacrificato a
evano come arbitro delle loro questioni. Sposò la ninfa Enone, figlia del fiume Lebreno, e visse con lei nella più perfetta
sere stata invitata alle nozze di Teti, per trarne vendetta alla metà del banchetto gettò essa sulla mensa degli Dei un pom
li non mancarono di portare la più strepitosa vendetta sulla famiglia del loro giudice. Quindi le irritate Dee giurarono la
ppigliarsi, lo riconobbe e l’indusse a seco partire. Si è già parlato del sacrificio d’Ifigenia mentre le navi greche erano
gemmi da lui impiegati a danno di Troia il più fatale fu l’invenzione del cavallo di legno. Fece egli costruire da Epeo uno
a’ Greci onde placare lo sdegno di Pallade irritata per la violazione del Palladio o simulacro di Pallade che Ulisse con ar
l figlio andò a ricovrarsi ad Antandro città della Frigia alle radici del monte Ida. Quivi raccolti quanti potè de’ Troiani
lotta, si mise in mare. Dopo molte vicende sbarcò in Italia alle foci del Tevere. Ivi accolto cortesemente dal re latino, n
i cui fu cagione ai Greci prima, indi ai Troiani, formano l’argomento del primo poema epico che sia apparso, vale a dire de
ie’ vita agli Oracoli ; l’impostura li accreditò e vi pose il sigillo del fanatismo. La venerazione tributata agli Oracoli
steriore degli edifici tutto contribuiva a mantenere la pia credulità del volgo. Nella Beozia sì fertile in Oracoli non isc
ell’Epiro, dove i sacerdoti rendevano le risposte ascosi nelle querce del bosco a Giove consacrato, per cui le favole disse
, scranna piccola con tre piedi, che Apollo aveva coperto colla pelle del serpente Pitone. Quando costei voleva predir il f
elle sue risposte, in confronto degli altri ; di modo che gli Oracoli del tripode passavano in proverbio per antiche ed inf
e ed infallibili verità. Il privilegio degli Oracoli venne coll’andar del tempo accordato a quasi tutti gli Dei e ad un gra
ispondesse a coloro che ivi recavansi a consultare Apollo. Col tratto del tempo in un giorno d’ogni mese, il Dio pronunciav
ndro, quando andò a consultare Giove Ammone. Anche gli antichi popoli del Nord avevano i loro Oracoli come l’Italia e la Gr
invase di spirito profetico ed alle quali attribuivano la cognizione del futuro. Convengono generalmente gli antichi che v
Cuma in Eolide e confusa soventi con quella d’Italia per l’uniformità del nome del luogo ov’esse soggiornavano quantunque i
olide e confusa soventi con quella d’Italia per l’uniformità del nome del luogo ov’esse soggiornavano quantunque in paesi d
a, e poscia dicesi che disparve. Sebbene questa storia senta in tutto del favoloso, egli è però certo che i Romani possedev
fece porre in una cassa di pietra, la quale fu posta sotto una volta del Campidoglio. La custodia ne fu primamente commess
n si poteva consultare questi libri senza una speciale autorizzazione del senato, il quale non la concedeva se non quando s
erano sempre accompagnati da libazioni, che consistevano nel versare del vino, o in mancanza d’easo dell’acqua, in onore d
evano nel versare del vino, o in mancanza d’easo dell’acqua, in onore del Dio al quale sacrificavasi. La patera di cui si è
in Delfo la Pizia sacerdotessa di Apollo ; in Roma le Vestali custodi del fuoco sacro di Vesta, e in molte parti della Grec
i sa positivamente quando i Parassiti, le cui funzioni facevano parte del culto pagano, incominciarono a degenerare e a cad
ossore sacrificavano. I Romani, ammettendoli alle loro mense, usavano del diritto di porli in ridicolo, di maltrattarli e t
fausto o infausto. Gli Augurii si prendevano altri dall’osservazione del cielo, altri dal canto e dal volo degli uccelli c
fenomeni straordinari, tutti i casi impensati, tutti i moti volontari del cuore, degli occhi, delle ciglia, il sonar degli
io in particolare ed anche a molti insieme dedicato. Eravi un decreto del senato romano che gli ordinava espressamente. Pri
e più robusti, essendo questi esercizi propri ad accrescere le forze del corpo e a procurare una vigorosa sanità. I Giuoch
i sotto quello di Scenici. I Ginnici abbracciavano tutti gli esercizi del corpo, la corsa a piedi, a cavallo o sulle bighe
dibile. Furono distinti pei luoghi ov’eran celebrati o per la qualità del Dio cui erano dedicati. I primi erano compresi so
celebravansi dei giuochi non solo in onore delle divinità abitatrici del cielo, ma eziandio di quelle che regnavano nell’i
Anfione e di Zeto. V. Giove. 16. Api. V. Oracolo. 432. Apollo. 48. —  del Belvedere. 54. Aquilone. 139. Aracne. 253. Areopa
cole. 299. Como. 163. V. Altre divinità, ecc. 278. Condannati celebri del Tartaro. 103. Coribanti o Cureti. V. Cibele. II.
roia (guerra di). V. Paride, ecc. 412. Turno. V. Enea. 426. U Uccelli del lago Stinfalio. V. Ercole. 287. Ulisse. 418, 421.
salemme liberata, cant. I, st. LVIII. (1). Estratto dalla Prefazione del Manuale delle Mitologie pubblicato coi tipi del s
atto dalla Prefazione del Manuale delle Mitologie pubblicato coi tipi del sig. Antonio Fontana nel 1826. (1). In varie par
se di colpevole amore pel proprio padre. Pretendono certuni che l’ira del Sole fosse il principal movente della colpa di le
10 (1841) Mitologia iconologica pp. -243
ava L’autore F in da quel momento, in cui un grazioso volere del nostro illustre Ordinario dagli studii dell’amena
Sonetto G enerosi lettori ecco il primiero Parto alla luce del mio scarso ingegno : Che accoglierete il rozzo do
arso ingegno : Che accoglierete il rozzo dono io spero Dandomi in ciò del vostro amore un segno. Il perdon vostro non faram
il dir, che questa terra Benigna accolse il primo sudor mio, Ad onta del destin, che mi fa guerra. Riceva ognun ciò, che d
olatria.(2) Imperocchè perduta gli uomini a poco a poco la cognizione del vero Dio in tal profonda oscura notte d’illusioni
nganni ne caddero, che della lor nobile origine, e beato fine confuse del tutto le idee, cominciarono a lavorarsi Dei a cap
tanto di qualificar Dei a capriccio seguito dalla oscurata cogniziono del vero Dio, sembra, Læt. Lib. 2 de fals. Rel. che a
iusero ; e così dilatando essi la loro potenza sin agli estremi paesi del mondo conosciuto, a questi tutti comunicaro le lo
ti, perciò ei solo (qual cosa farassi similmente degl’ altri) come fù del ritratto, così dello sviluppo ancora sarà unicame
oso di volto, e maestoso d’aspetto. Quivi, e propriamente nell’ antro del Monte Argeo procurò sua madre di farlo allevare d
o, in cui da uno degli stessi suoi figli era spogliato temerariamente del Regno, con inudita crudeltà divorava tutti i masc
tro di se novellamente machinava, con arte affatto nuova, e con forza del tutto inudita lo cacciò superbamente dal regno, q
on poco, ed afflitto. Qui però parlerò soldi due le più principali, e del pari le più adatte a far conoscere chi propriamen
oi potentinemici, e così vinto, e domato il loro orgoglio si assicurò del suo regno, e riacquistò la perduta sua pace(1).
per queste superbe vittorie gloriosa sempre più sfavillasse la maestà del gran Giove ; pur essa oscurata venne non poco da
facciatamente si diede. Imperochè quantunque egli assicuratosi di già del sortito suo regno impalmato avesse per mogli e Me
si di già del sortito suo regno impalmato avesse per mogli e Meti dea del Consiglio, e Temi dea della Giustizia, e Cerere d
ente Dies, come riferisce Macrobio. Da Romani venne detto Capitolinus del monte, ove da Tarquinio Superbo fù perfezionato u
nne altresi detto Feretrius da ferre opem ; Fulminator dallo scroscio del fulmine : Stator per aver fermato i Romani fuggen
i verso il solistizio d’ogni està per cinque giorni continui a cagion del quinario esercizio, cioè della pugna, della lotta
tinui a cagion del quinario esercizio, cioè della pugna, della lotta, del disco, del salto, e della corsa, quali cose tutte
ion del quinario esercizio, cioè della pugna, della lotta, del disco, del salto, e della corsa, quali cose tutte comprendev
o Per tutto il guardo suo terribil pare. Due Tritoni la guardia hanno del soglio, E se s’irrita il mar turba, e confonde, O
dell’ onde. Dichirazione, e sviluppo Quantunque pel primo Dio del mare fù dagl’ antichi riconosciuto il Ponto prodi
Nettuno Nettuno figlio di Saturno, e di Rea pel vero, ed assoluto Dio del mare, regno a lui sortito nella general divisione
ente il respinse. Un fortunato Delfino però conscio delle pretenzioni del suo gran Nume avendo ritrovato un giorno la brama
Nume avendo ritrovato un giorno la bramata Anfitride presso le falti del monte Atlante, a tutto potere si diè a persuaderl
orata per altro da popoli collo stesso culto divino qual degna moglie del gran Dio Nettuno(1) Non fù egli però contento de
stinate a menare, e respingere i flutti dal lido ; onde a somiglianza del suo fratelle Giove variamente cambiandosi a sfoga
esto dio una gran contesa colla dea della Sapienza Minerva per ragion del nome da darsi alla novella Cittä di Cecopre, pret
mbe con eco sonoro delle conche marine, innanzi a’ quali per rispetto del gran Nettuno si appianavano pacificamente le onde
l cocchio Nettuno istesso pregiavasi essere il regolatore colla virtù del suo grave tridente, come cel descrive Stazio… Tri
l trastullo. Sue feste. Molti hanno confuso questo Dio con Conso Dio del Consiglio ; ma stimo meglio con altri distinguerl
iascun si fe’ marito. Venere lo tradi nelle sue soglie, E allor si fù del rìo voler punito. Guai a chi è brutto, vecchio, e
genio gli stessi suoi genitori, e soprattutto Giove geloso mai sempre del suo decoro proveniente dal contegno di sua maestà
di essi fissare il soggiorno, e sollecito insegnarli i moltiplici usi del ferro, e del fuoco, a quali cose era egli natural
re il soggiorno, e sollecito insegnarli i moltiplici usi del ferro, e del fuoco, a quali cose era egli naturalmente inclina
ece dalla sua Caverna pezzi di opera si ragguardevoli, che riscossero del pari la maraviglia degli Dei, e degl’ uomini, e r
suo nome non senza gloria degli stessi suoi collaboratori. Invenzioni del suo ingegno, e fatture delle sue mani al certo di
o ingegno, e fatture delle sue mani al certo dicesi essere il palazzo del Sole, la corona di Arianna, la collana di Ermione
poi ebbe questo Dio, fra mitologisti non si acconviene, ad eccezione del solo Erittonio, che comunemente gli viene attribu
lorarsi a fuoco(1). Sua qualità. Acquistatosi pertanto Vulcano mercè del suo ministerio la grazia del suo padre Giove, non
ità. Acquistatosi pertanto Vulcano mercè del suo ministerio la grazia del suo padre Giove, non isdegnò questi di ammetterlo
in mezzo all’abitato star non dovesse il tempio dedicato al gran Dio del fuoco. L’altro, che credesi edificato da Tazio, s
tava dentro i recinti della Città, ove tenevansi sovente le assemblee del popolo per importantissimi affari. Molte similmen
ato. Dichirazione, e sviluppo Chi fù Marte. Avvegnachè figlio del troppo augusto matrimonio di Giove, e di Giunone
i latini scrittori essere stata la sua nascita. Piccatasi fortemente del suo marito l’orgogliosa Giunone per aver egli da
olo senza vantarvi ella parte data alla luce Minerva qual dimostranza del suo invitto potere, pensò di operare anche essa u
a un consimile sovraumano portento, un Dio producendo senz’alcun’opra del suo rivale marito. Anziosa quindi di veder paghe
te stanca fermandosi presso la Dea Flora, questa all’udire il disegno del suo cammino con dolce sorriso un fiore additolle,
n minore era il culto, che da’ Romani a lui si prestava, si per amore del lor fondatore, che per timore delle loro battagli
prodezze. Mentre Apollo guardava lungo il fiume Anfrigio gli armenti del re Admeto da lui teneramente amato, questo Dio di
n bosco cautamente appiattolli. Non ebbe però la fortuna di sottrarsi del tutto all’ altrui vigilanza, mentre nel meglio de
rtuna di sottrarsi del tutto all’ altrui vigilanza, mentre nel meglio del suo nero attentato fù veduto dal vigilante Batto.
il secreto, nè di ciò contento per isperimentar col fatto la fedeltà del pastore cambiando portamento, e sembianza sconosc
ra (detta poi pietra di paragone) acciò cosi egli restasse al coverto del furto, e quegli nel tempo stesso il fio pagasse d
contratti, e maestro de’ negozianti vien chiamato Dio de’ mercanti, e del guadagno : come padre delle destrezze, e delle fr
fra loro, ambasciator di pace s’appella : come padre delle lettere, e del ben dire vien detto Ermete ossia interpetre, e Di
ui fù dato per aver addormentato, e quindi ucciso per espresso volere del padre degli Dei il pastore Argo dotato di cento o
rie. Sia però che le stesse facende col sottrargli il tempo, avessero del pari distolti da queste cose i suoi pensieri, opp
Nè invecchia mai per lungo volger d’anni : Eccovi il Nume apportator del giorno. Dichirazione, e sviluppo Sogliono
ene fra il sodalizio degli Dei uno de’ più rinomati si era per cagion del suo vasto singolare sapere ; pur tutta volta a du
la doppia sua prole Apollo cioè, e Diana ; quale isola poi per favore del nato Nume non più fù errante com’era, ma restò fe
i per favore del nato Nume non più fù errante com’era, ma restò ferma del tutto, ed immota, per essere cosi di memoria a po
io intanto questo Dio de’ patimenti tollerati da sua madre per cagion del detto mostro insecutore pria d’ogni altra cosa co
ò le sue frecce, e con violenta morte gli fè pagare ben presto il fio del suo nero attentato. Dopo un tal fatto tutto sdegn
ste bravure depose insieme collo sdegno le armi, e spinto dalla forza del molle amore con strane guise tutto agl’ amoreggia
primieramente rapito egli da violento affetto per Dafne famosa figlia del fiume Peneo, la quale burlandosi de’suoi amori fi
gno lo spregiò, che benchè da lui dopo lungo cammino presso la sponta del Lemeo fosse stata un giorno raggiunta, si content
re la Ninfa Bolina, mentre questa amò più tosto abbandonarsi nel seno del mare, che nelle braccia lasciarsi dell a passione
cir dovea pel padre un bel motivo d’allegrezza, fu per lui la cagione del più aspro dolore. Imperocchè alla vista d’Ippolit
, come per la causa istessa con inondazioni fè similmente il gran Dio del mare. Sue contese. Contro di questo Dio valentis
tesa per giudizio di Tmolo Re di Lidia, pagò colle umiliazioni il fiò del suo presuntuoso attentato, e Mida suo fautore con
chi di asino tirategli dal vincitore Apollo alle chiome diede la pena del suo mal giudicato. Mosso dopo un tal fatto o da s
questo Nume alle pruove ; ma anche esso restandovi disotto fù a genio del vincitore ligato ad un albore, e vivo denudato de
e ligato ad un albore, e vivo denudato della rozza sua pelle a tenore del convenuto. Riacquistata finalmente la grazia dí G
l figlio senza prestar orecchio ai giusti motivi chiese l’adempimento del giuramento già fatto. Ma che All’ accorgersi i ca
potere ; questi però sono i principali. Vien chiamato Delio a cagion del luogo, dove nacque, detto l’isola di Delo : Febo
nacque, detto l’isola di Delo : Febo per cagion della luce, e calore del sole da lui guidato, o perche egli stesso fù cred
mazzato il serpente Pitone : Attico finalmente, e Palatino per ragion del promontorio Atio celebre per la vittoria di Augus
occa della Sacerdotessa Pitia situata sul Tripode coverto dalla pelle del Serpente Pitone rendevansi gli oracoli i più famo
ungi dal compiacersi delle sue fortune, e viver content per l’altezza del grado, da tumultuanti suoi affetti incessanemente
rte perseguitava chiunque credeva recarle qualch’ onta. Son testimoni del suo sdegno Io, Europa, Danee, Semele, Latona, Alc
tto da Giove. Nè qualora pensava alle vendette punto curava la maestà del suo grado ; ma prostergando ogni decoro non s’ ar
dizio di Paride divenuto arbitro nella gran contesa sorta per cagione del pomo d’oro gittato dalla Discordia nelle nozze di
uesta orgogliosa Dea di Ebe, e Vulcano suoi figli concepiti per opera del suo Giove, sollecita impegnossi ancora un altro c
he essa la gloria volle d’ aver cavato sol da se dagl’occulti recinti del suo seno un’animato prodigio di fortezza. Suo ca
vendetta elesse il deforme suo figlio Vulcano. Pronto questi a voleri del padre, non si curò di stendere le mani contro la
olatrar la vedi Scorrendo ogni tugurio, ogni soggiorno. Sono i cultor del suo favor gl’ eredi, Ed o che cade il sole, o fà
tò i suoi preziosi tesori a mortali, sichè questi rapiti dalla novità del portento, e da essa, e dal figliuol di Celio Trit
sso fratello Giove preso dalle vaghe sue forme, ed obbliando le leggi del sangue cadde in fallo con essa ; pel qual fatto e
nfelice sua sorte. Conscia quindi la Dea della per dita, ma ignorante del fatto, dando presto di piglio a fiaccole accese m
era dalle chiome della diletta sua figlia, e fatta quindi consapevole del tutto dalla ninfa Aretusa, sollecita volse indiet
altri sei col suo marito Plutone. Sue vendette. Gelosa pur troppo fù del suo onore questa Dea ; sicche il suo sdegno evita
iù solenni. Il primo fù detto mistero Eleusino de Eleusi, ove per man del re Celeo ebbe la Dea cortese accoglienze ne’ suoi
to all’impareggiabile suo merito : anzi perchè era riguardata per Dea del fuoco, e pel fuoco istesso sovente pur presa, ben
e la gloria, qualora gran fiamma d’amore per essa si accese nel petto del religioso Nume II. Re de’ Romani. Ordinò questi e
tutte, che dicevansi esser di Vesta non rappresentavano la nostra Dea del fuoco, ma sibbene la Vesta antica, ossia la Dea T
o soltanto il caso di grave infermità, in cui partendosi in compagnia del gran pontefice, erano posto sotto la custodia di
mente di Giove appena nata Fù sapiente, e guerriera al par famosa. Nè del uom, nè de’ Dei fù mai la sposa, Solo ad opre sub
vrebbe alla luce con un fanciullo, cui dal fato si riserbava l’impero del mondo, una bambina di tanta ; e tale sapienza, ch
ambinà con prodigio inudito saltando dal seno della madre nella testa del padre, quivi fissò per ben tre mesi con modo più
di Vulcano si fè in due parti aprire il capo, per osservar cosa fosse del suo tormento il motivo. Vide allora con suo stupo
tro il competitore Nettuno, come nella vita di costui sta scritto, fù del suo onore si fortemente gelosa, che senza pietà c
enza pietà con castighi sopraffece chiunqne non la rispettava a tenor del suo grado. Provò primieramente gl’effetti del suo
n la rispettava a tenor del suo grado. Provò primieramente gl’effetti del suo sdegno la vana figlia di Idimone Aracne. Ques
ce per unir così le amare lagrime delle sue aventure colle salse onde del mare. Questa Dea inoltre perchè invaghita sopramm
e salse onde del mare. Questa Dea inoltre perchè invaghita soprammodo del caro pregio della nobilitante castità, a severi c
l suo vergineo candore. E per qual altra cagione invero privato venne del prezioso lume degl’occhi l’infelice Tiresia, se n
o sapere. Cap. XI. Venere Sonetto D el ciel figlia, e del mar possente, e bella, Madre d’ogni piacer, madre
o, pel quale sebbene di più figli fù madre ; pure perchè mal contenta del suo consorte imprese a fare un traffico troppo in
al contenta del suo consorte imprese a fare un traffico troppo infame del suo corpo, altri molti perciò da altri, ed in par
o ingegnavasi infiammare il freddo seno della infelice Didone a favor del ramingo Troiano giusta l’anacronismo di Virgilio.
fù detta finalmente Melene, cioè tenebrosa, e chi non sa, che le opre del sozzo amore amano la secretezza, e la notte ? Omn
i, le Sire, le Medi, le Persiche, le Lidie onorar questa Dea. A spese del suo culto, o ad edificazione di sue statue conver
ficazione di sue statue convertivano quell’argento, che colla perdita del proprio onore venivano vergognosamente a ritrarre
ei sacrò di forma schietta. Cinzia vien detta ancor, come Febea Suora del Sol, e l’uomo o veglia, o dorme Col raggio, e col
ta tutta sollecita si esibì per levatrice a sua madre nello sgravarsi del suo secondo portato distinto sotto il nome di Apo
da dolori, da quali travagliata mirava sua madre nelle laboriose ore del parto, giurò di serbar perpetua la sua Verginità.
dello Oceano, non che di venti altre verginelle, che la cura avevano del suo campestre equipaggio ; quali tutte affinchè n
in qualunque maniera potevano svegliarle nel seno l’abborrito piacere del senso. Sue vendette. Da ciò ne avvenne, che impla
sembravale far ombra al suo amato candore. Sperimentò in vero i colpi del suo sdegno l’incauto Atteone figliuol di Aristeo.
ar violenza ad Opi sua Ninfa ne è un luminoso attestato. Non men però del suo onore, che di sua purezza fù molto gelosa Dia
essa volle quando spedi un cignale terribile a desertare le Campagne del re di Calidone Eneo ? Il poco rispetto che ebbe q
più sensibili dissipando le tenebre guida si rende, de’viaggi. Regina del silenzio, e madre de’riposi, ne avvi pianta in se
saper da lui le sue avventure cercò rendersela propizia col donativo del cotanto celebrato ramo di oro, giusta i consigli
soprapposto ritratto. Suo ritratto. La effigie di questa Dea ha più del boschereccio, che del Divino. Pingesi ordinariame
Suo ritratto. La effigie di questa Dea ha più del boschereccio, che del Divino. Pingesi ordinariamente assisa sopra un ca
nella Grecia, ed in tutte le spiagge Orientali, ma in tutte le parti del mondo, come ricavasi da molti monumenti degl’anti
otto l’architettura di Ctesifonte, annoverato fra le sette maraviglie del mondo per la magnificenza del lavoro, per la rari
nte, annoverato fra le sette maraviglie del mondo per la magnificenza del lavoro, per la rarità delle colonne, per le ricch
in furibondo viso. Ogni avvenir dal suo poter deciso, Nè i desiderii del mortal previene, Sordo agl’affanni altrui, sordo
lamente era questi l’arbitro delle mortali vicende, giusta quel detto del Giovenale : Fata regunt homines  ; ma il dispoti
parere di chi afferma, che la prosperità dell’empio, e la infelicità del giusto ne sia stata tutta la cagione, ed il motiv
fin ad addentare la provvidenza, la giustizia, e la esistenza stessa del vero Dio conchiudendo con Lucano .… Sunt nobis n
giamo negl’antichi autori poter avvenire alcune cose oltre la volontà del fato, tali squarci si spiegano non pel fato detto
ostrò nei consigli, sì fiero nei tratti, che non sol si fè usurpatore del Regno dovuto a Titano per dritto di primogenitura
t (1) Suo ritratto. La sua immagine però ha più dell’orribile, che del di lettevole. Rappresentasi egli qual grinzo vecc
e ali, ed una ambollina al suo fianco, quelle per dinotar la velocità del tempo, questa il corso sempre uniforme, e costant
ii istituiti in onor di questo Dio. Egli perchè si deliziava non poco del sangue umano, perciò non altra vittima che umana
nti col capo non velato era la cerimonia in preferenza degl’altri Dei del tutto sua propria(1). Sue feste. Celebri furono
ranza, e tema. Egli fa che il mortal vacilla, e trema Quando le porte del furor disserra, E quando il sacro olivo innalza,
ontrarii affetti, La speranza, e il timor sostiene a gara, E li versa del pari in tutti i petti. Or dà contento, ed or la d
tivo figlio di Sifeo sterile germoglio di prole, e divenuto quindi re del Gianicolo nell’Italia meritato avesse in virtù de
Giano ben sapendo, che la vera gloria, e la perenne felicità per dono del Clelo unicamente si ottiene, mosso da divoti affe
entrambi un sol Re ; se pur ciò simboleggiar non voglia la conoscenza del passato, e del futuro, di cui in grazia del detto
Re ; se pur ciò simboleggiar non voglia la conoscenza del passato, e del futuro, di cui in grazia del detto Nume andava eg
non voglia la conoscenza del passato, e del futuro, di cui in grazia del detto Nume andava egli fregiato ; che se talvolta
uesto Dio da Romolo di comun consenso con Tazio, quale per prescritto del successore Numa sempre dovea tenersi chiuso in te
sieme L’antichità dipinse il nume Amore, Signor dell’alme, e guidator del core, Fabbricator d’affanni, e insiem di speme. P
i pianti ei pasce, Gl’uomini, e i Numi a rea battaglia sfida Flagello del mortal fin da che nasce. Cieco chi il siegue a pr
quindi attribuir si deve la colpa, che per sottrarre al giusto sdegno del regnator dell’Olimpo l’amato suo parto, con gelos
nio perduto amante della giovanetta Psiche, la prima poi fù per voler del cielo a tracannare l’amarezza di frutto si infett
ciò a rimettere ad altri fonti i curiosi lettori. La sola esposizione del Nume Monarca con poche circostanze a lui più da p
poteva ogni dominio qual’assuluto, ed esclusivo padrone. Ad onta però del suo ammirabil potere su i morti Dea in sorte inco
e accettato l’avesse in marito. La sua deformità, la tenebricosa aria del suo regno, le mille penurie quivi galleggianti er
senza sensi di pietà decidevano delle mortali sorte in nome, e virtù del tartareo lor Nume. Orrore facevano le tre furie T
ra, ed Aletto dette Erinni da Greci, che aggirandosi intorno al trono del lor Sovrano scarme, ma foribonde nel viso, con im
to, Lachesi, ed Atropo, che tutto di aggirandosi intorno al ministero del tremendo lor fuso troppo a vivo risvegliavano i t
della mortale fralezza. Orrore finalmente recava quel cerbero custode del tartareo ingresso, che impugnando le tre terribil
le terribili chiave, dette le chiavi della morte in scgno, che nessun del suo regno disserrar mai più poteva quella porta,
obligarsi dal giuramento prestato, ratto volò all’ Olimpo, e decorato del glorioso suo ammanto tosto ne scese. La forza del
che in terra ; ivi nel combattere coraggioso contro i Giganti a favor del sno buon padre Giove, e qui nel rendersi padrone
acia, che per aver voluto distruggere le viti sacre a questo Mecenate del vino, ebbe a recidersi le gambe col proprio suo f
ciò ne avvenne, che le Baccanti nel sollennizzar le sue feste al par del lor Dio si adornavano si della pelle di tigre, ch
e feste al par del lor Dio si adornavano si della pelle di tigre, che del fresco tirso ; onde dalle esterne insegne, e dal
e sue beneficenze più care, questo forma per essa la gloria più bella del suo essere, ed il più ammirabile encomio delle su
ed il più ammirabile encomio delle sue qualità. I rari pregi adunque del suo ritratto, i sacrificii istituiti in suo onore
le cerimonie, che precedevano, e seguivano i sacrificii della troia, del toro, e della capra animali, che svenar si dovean
i alle stelle. Altra consimile festa introdussero i Romani ìn memoria del giorno, in cui dalla Frigia ad essi pervenne il c
o, che il solo deliziarsi di fiori, e perciò ben sovente distaccavasi del fianco di sua madre per andar ne’campi, e quivi d
osì non avendo il marito con chi dividere gli affetti fosse ella sola del cuor di quello unicamente l’obbietto. Suo ritrat
sentarono alcuni in triste atteggiamento di far resistenza alle furie del rattore Plutone, e con alzate mani raccomandarsi
iù affettuosi sensi per esse, acciò rapiti in tal guisa dalla dignità del portento, lasciandosi manudurre da guide si belle
li Angioli somiglia ? Chi è mai costei, che la ragion consiglia, Nuda del tutto, e in pochi cor s’annida ? Chi è mai costei
lesar giammai non resta, Costante più, quanto è di più sprezzata. Che del par lieta in calma, ed in tempesta Figlia del tem
è di più sprezzata. Che del par lieta in calma, ed in tempesta Figlia del tempo, che l’aspetta, e guata. Sappi mortal, la V
nto degna in se stessa, altrettanto disprezzata da mortali per cagion del perverso lor animo pingesi nuda per dimostrare la
essa non può esser guardata, che da se stessa soltanto. Dicesi figlia del tempo, che aspetta, perchè al solo tempo si appar
erchè al solo tempo si appartiene scovrir la verità, la quale, al par del sole, che può essere intercettato, ma non mai suf
suffocato dalle nubi, può restar per poco tempo nascosta, ma non mai del tutto depressa, giusta la massima passata oggi in
lli timori. Non, cura il rischio atroce a lui presente, Nè pur cangia del volto i bei colori : Dà il pan, che mangia in boc
l detto fanciullo si pinge presso orrido Drago, che con mano di amore del proprio pane alimenta, questo troppo chiaro ci sc
ulle ha vicino, ed alla meta Di gran disegno volge l’intelletto, Cura del tutto ognor si nudre in petto, Che alcun si accos
a Pace. Annotazioni La pace serenità della mente, tranquillità del euore, vincolo di carità, gioia in somma della te
er mondano. Tien la cicogna a piedi, ed è sì bella, Che figlia sembra del fattor sovrano ; Questa è pietà della bontà gemel
che fingesi tener stretta a suoi piedi manifesta ben chiaro le pruove del naturale gentil suo genio nel carattere appunto d
erri il Genitore, Stende le braccia a lui con dolce amore Condannando del mondo i rei costumi. E per mostrar d’amor l’opra
ata setto le sembianze di contristata donzella piangente alle carceri del disgraziato suo Padre, che col proprio latte nudr
ccia di tal principale virtù è stata la ragione, per cui nella morale del sonetto si è conchiuso, che essa nel cielo soltan
unque brama prestare a Dio sacrificio accetto, e gradito, giusta quel del Ecc. al 35. Qui facit misericordiam offert sacrif
e chiunque anela richiamarsi perciò tutte le grazie, e le benedizioni del Cielo. Qui sequitur iustitiam, et misericordiam i
fanciulli, e a vecchi nò. Annotazioni. L’allegrezza dolce moto del cuore pinta venne sotto l’aria di giovane donna,
ma sibbene coll’insistere sempre alle opere buone, acciò conscia essa del nostro ben fatto dia fiato alla tromba onoratrice
baldanza, Tien l’altra un velo, e l’alza in modo strano. Covre questo del bene ogni sembianza, Ecco l’Occasïon, che l’uomo
a, e con dolore sempre si versa dà con tali attribuzioni la vera idea del travaglio eterno compagno dell’uomo per la senten
timido, e dimesso, Non osa alzarlo verso il ciel sereno, Ogni raggio del Sol gli par baleno, Mira gemendo in tutto il prop
appella. Se è vero però, che il vero rimorso è la funesta ricordanza del male commesso attendiamo a tenerci lungi dalla ca
ara d’avanti. La ruota, che le guida i passi simboleggia la prestezza del vindicativo nel compire suoi rei disegni, ed il t
che quella succinta, e lacera veste, di cui ella si ammanta simbolo è del bestial suo naturale, che laddove essa non può to
il tutto rode, Raro la forza sua riman delusa, Culunnia è questa, che del mal sol gode. Della credenza altrui tiranna abusa
benda, con cui covre gli occhi de’creduli è il primo, e vero segnale del mentitore. Essendo però il proprio nemico dell’an
duce talor la gente sciocca, La biforcuta coda alcun se tocca Vittima del velen cade gemendo. Molto gira, e ritenta iniqua
ice ella la iniqua donna fa uso per muovere gli affetti allo sdegno ; del flagello si serve per aizzare contro uno l’altro
urlando siede, Lacera, e nuda äita a tutti chiede, E fremendo si duol del proprio torto. Non spera mai dalle tempeste il po
odioso ritratto non ci spinga o a mal soffrire la povertà, che al dir del Crisost. serm. 18. sup. ep. ad Haeb. è la bella c
l dir del Crisost. serm. 18. sup. ep. ad Haeb. è la bella conduttrice del Cielo, o a disprezzare i poveri molto cari a Dio,
passi erbette, e fiori, Sorride al suo venir l’alma natura Mitigando del sole i gravi ardori. Al mare, al fonte, al rio be
i l’aria intorno é piena, Tien la cicala stridolante in testa, Sembra del par feroce, e insiem serena Fà la gioia de’ cambi
a il core, Che fra perigli suoi parve più bella, Perche figlia gentil del crëatore. Essa qual nave esposta a mille venti Sc
r il salso impero, E sicura affrontò mille cimenti, Perché il braccio del Nume avea nocchiero. Ella trionfò tra mille, e mi
ei depresse, e uccise. Nel sangue giusto sollevò il suo trono, Che fu del soglio suo primo ornamento ; Ma da quel sangue po
accolse i vacillanti figli, Gìunse senza timor ne’ lidi Eoi Troncando del delitto i crudi artigli. Coll’ opre, cogli affett
e istituzioni poetiche L a poesia prima fra le arti belle, al dir del melanconico cantor della notte, insiem col mondo
o, onde svegliare sempre più sensi di tenerezza, ed affetto nel cuore del gran Dio d’Israello se non diversi cantici compor
lica letteraria han vita tanti Eroi un dì nascosti nel tenebroso seno del obblio. Per essa vivono alla immortalità quanti p
si inoltrerà giammai. Scorrasi pure dal Indo al Moro, dagli abitatori del Gange sino a’ Cretini delle Alpi, che non senza r
trui poetiche istituzioni son manche) onde cosi additando a’giovani e del Parnasso il sentiere, ed animandoli del pari a te
de cosi additando a’giovani e del Parnasso il sentiere, ed animandoli del pari a tenersi dietro le mie orme, quasi versando
quivi finalmente arrivati essi congratularsi con la guida, e la guida del pari con essi a comune esultanza. Pria però di ve
dicasi almen generalmente qualche cosa. Cap. I. Della materia, e del modo di disporsi. La poesia al par della elequ
i ascolta ; ma sibbene una ben adatta maniera di proporre l’argomento del poema ; onde è che da più scrittori il proemio po
o colla lunghezza, e specialmente coll’ esser prodotti sino alla fine del poema, mentre quivi dovendo il parlare far ritorn
rivato dall’ avvedutezza, ch’egli ebbe di specchiarsi negli esemplari del cieco pur troppo veggente celebratissimo Greco. Q
te le espressioni da comprendersi, sichè da soggetti funebri debbonsi del tutto eliminare scherzevoli frasi, come da lieti
ti le tetre, da teneri le aspre ecc. ; fare in somma che la tessitura del verso sia sempre analoga all’ obbietto, di cui si
e. 2. Si ricordino di tenere per una sillaba sola, fuorchè nella fine del verso, le parole mio tuo ecc : non altrimenti che
ono prendere per una, o due sillabe secondo che lo richiede l’armonia del verso. Facciano inoltre elisione delle vocali, ch
per essere esatti osservatori di essa abbiano a fare i sordi al suono del verso ; mentre questo a quello, checchè si dicano
come nei in faccia di bella donna, ma nei piccoli componimenti sanno del mostruoso, e deforme ; menocchè però quando la di
rir volle la morte alla lettnra di un libro diffuso non senza stupore del Re di Persia, che ad una di queste due pene l’ave
ad una di queste due pene l’aveva condannato. E non fu forse risposta del senato di Sparta, che del lungo ragionare dei Per
l’aveva condannato. E non fu forse risposta del senato di Sparta, che del lungo ragionare dei Persiani ambasciatori erasi o
to ? Un tal parlare però sentenzioso, ed armonico senza la conoscenza del verso unquemai non s’apprende. Dal verso sì prove
to, numero, e legge alle musicali note(1) non che alle regole istesse del ballo. Leggansi nel Inglese romanziere Walder-Sco
late degli Scozzesi per conoscere quanta sia la potestà, ed il valore del verso anche presso le nazioni barbare un tempo, e
barbare un tempo, ed incolte. Ma che se magnifica pomba ne fa il Sol del melico emisfero Pietro Metastasio ? Egli con copi
chiuda benchè in un grande prosastico volume quanto il celebre figlio del Tebro ha conciso in pochi versi o nel delineare n
egno Tra le brutture della plebe è sorto Ma l’innalzaro ai primi onor del regno. Parlar facondo, lusinghiero, e accorto. L
a comprovare la preposta verita, che dalla sola conoscenza, e pratica del verso deriva quel sentenzioso, e mellifluo parlar
so deriva quel sentenzioso, e mellifluo parlare, che padroni ci rende del cuor di chi ci ascolta. Il verso però in altro mo
secondochè ha permesso la maggiore, o minore fecondità delle immagini del lor genio diverso. Consultiamo in fatti gl’istori
or genio più, o meno focoso li suggeriva alla mente. Gli stessi salmi del figlio d’ Isai fan conoscere l’imperfetto ritmo d
pari alla cera ben indifferente alle diverse forme, qual vera figlia del suono, e dell’ arbitrio, altre composizioni potre
alberi Ricerca in mezzo i ruderi Colle lor fronde tremole L’ossa del caro Uranio. Fan eco a mesti gemiti. Poi dice 
bile Col gorgogliar suo flebile Se al par d’afflitta tortora Cresce del cor la smania, Senza l’amico tenero Le grotte m
nacreonte il carattere serba, ed il nome, è uno di quelli, che al dir del Crescimbeni, sono i più spiritosi, e leggiadri in
apprendersi dalla lettura, e specialmente dalle diverse composizioni del Palermitano Balducci ; il più comune però abbracc
a morte Cap. VIII. Dell’ode pindarica Questo bel metro, e del pari nobile, e melodioso dicesi pindarico, poichè
o veramente alla metà, perciò prevengo i miei giovani, che ad esempio del detto Manzoni la prima loro mira in tal azzardo s
ndirono dall’Italica poesia, attenendosi soltanto alla sestina eroica del Casti negli animali parlanti, della quale si parl
nto l’esempio. Artemisia, che beve le ceneri di Mausolo. Vittima del dolor La fiamma del suo sen, Presa da doppio ar
emisia, che beve le ceneri di Mausolo. Vittima del dolor La fiamma del suo sen, Presa da doppio ardor Il suo sposo, il
do vero al comune sentimento de’ maestri dell’arte, che la condizione del tronco è difficile nelle chiusure ; mentre quivi
edie, per cui un tal verso comunemente divenne la delizia, ed il cuor del teatro. Non però comparve come nel natio suo suol
tezza. Tale è per avventura la comedia intitolata Diogene nella botta del celeberrino antichissimo Antonio Franchini. Spieg
ntre mostra quanto ha di più grande, e più bello la poesia, manifesta del pari quanto ha la stessa di più labborioso, e dif
ubbidirò. Il decasillabo poi, che è il Sole di questa oscura notte del Novenario, la vera delizia dell’armonia poetica,
maniera, merita per ogni rapporto la preferenza fra i molti, e degno del pari si è d’essere il principale scopo de’ virtuo
Ma non basta ; l’istesso suo figlio, Che la regia donzella si adora E del padre l’amor non ignora Egli stesso la deve svena
con minacce s’induce, Già si porta alla tomba ogni duce, E fà l’ordin del campo spiegar. Venne Pirro qual’uom condannato, E
Venne Pirro qual’uom condannato, E la donna rëale il seguì Alla tomba del padre arrivato Stupidito tremò, s’ammutì Ma costr
n questo metro sia accorto a disporre al secondo verso il cambiamento del pensiere per trovarsi colla rima adattata alla st
cone la norma. Zeleuco, che salva un occhio al figlio colla perdita del suo. Promulga il re Zeleuco il gran decreto Che
r periglio Ognun, che trasgredisce il suo divieto ; Ma tosto si pentì del suo consiglio, E pianse afflitto sulla propria le
l dì, che nacque regge Tardi condanna il troppo suo rigore, E il duol del cor nel volto suo si legge ; Ma pensando al dover
gore, E il duol del cor nel volto suo si legge ; Ma pensando al dover del regnatore, E qual’obbligo tien colui, che regna,
metro avranno l’accuratezza di disporre nel secondo verso la sentenza del quarto, conseguiranno facilmente lo scopo bramato
scopo bramato. Eccomi alla norma. Orazia, che piange sulle spoglie del Curiazio ucciso dal fratello. In mezzo a lieto s
o I fasti ostendi ? Mirar potesti il moribendo aspetto, Veder potesti del suo sangue un rio. Mentre invocava il labro palli
e Tiberio suoi figli a morte. Già la Romana libertà vagiva Per opra del possente ardito Bruto, Già la superba tirannìa fu
metro più nobile, che vantar possa l’italica poesia, ed il più adatto del pari a descrivere in vaghe forme le più grandiose
ari a descrivere in vaghe forme le più grandiose idee è l’Ottava rima del Boccaccio. Questa mercè gli otto eroici, de’ qual
de due toscani Omeri l’Ariosto cioè, ed il Tasso ? L’Orlando furioso del primo, la Gerusalemme liberata del secondo sono i
è, ed il Tasso ? L’Orlando furioso del primo, la Gerusalemme liberata del secondo sono in questo metro i più perfetti poemi
mo sovente si adatta ancora a materie giocose, come la Secchia rapita del Tassoni, lo scherno degli Dei del Bracciolini ec.
rie giocose, come la Secchia rapita del Tassoni, lo scherno degli Dei del Bracciolini ec. Ma se la grandiosità del poeta no
assoni, lo scherno degli Dei del Bracciolini ec. Ma se la grandiosità del poeta non nobilita in tal caso il poema, tal metr
se boscarecce. Eccone l’esempio. Uranio, e Titiro, che si lamentano del pastor Melibeo, perché è un ladro. Tit. Vicni,
sebbene in tempi non tanto remoti sia stata trattata dalla gran penna del Sannazzaro, pur nella tessitura cemparve sotto le
le insegne Virgiliane, piuttosto che Esiodiche. Impegno poscia si fù del celebre, ma immorale Cav. Gioambattista Marino di
ferma il volo Sulla fronzuta quercia l’usignuolo. E dolce il mormorar del fiumicello, E grato il gracidar pur della rana, E
i ? Chi ne darà più aita ? Ma perchè invidiar l’alta sua sorte ? Egli del tanto zelo Già trova il suo riposo in sen di Dio,
tica, tradotta da Provenzali un di nel culto seno della bella Italia, del Sonetto io dissi. Questo più nobil patro però del
etto io dissi. Questo più nobil patro però dell’umano ingegno ad onta del suo natio decoro ha incontrato a dirla schietta l
lo stretto ceturno di Melpomene, ed adagiarsi sull’ invariabile letto del famoso Procuste, quasi che se non si avesse qualc
e se non si avesse qualche sonetto di questi tali ne andrebbe, al dir del Menzini, il Parnasso tutto in rovina. Deh ! Ricre
vogliono colla moneta dei pubblici scarcasmi pagar meritamente il fio del loro audace ardimento. Chi vuol montare a questo
trarsi pian piano al cimento di si ardua impresa. La celebre raccolta del carmelitano Teobaldo Ceva, colle note critiche de
a celebre raccolta del carmelitano Teobaldo Ceva, colle note critiche del Muratori, non che la dissertazione dello stesso m
fan chiaro conoscere la difficoltà di un tal componimento, confermano del pari, e non con minor lume l’azidetta mia verità.
tto. La sola distribuzione della materia però (previa di già la unità del pensiere, la nobiltà dell’ argomento) degna sempr
l’andamento se è breve. Or per ben riuscirvi bisogna, che ogni parte del Sonetto contenghi una proporzionata dose di mater
incipale loro scopo. Può darsi in vero chiusura più bella o di questa del Petrarca. « Poco manco che io non restassi in Cie
l Petrarca. « Poco manco che io non restassi in Cielo » « o di questa del Frugoni : Ecco in un pugno il vincitor del Mondo 
i in Cielo » « o di questa del Frugoni : Ecco in un pugno il vincitor del Mondo » o di questa del Zappi : « Qualche nuovo s
ta del Frugoni : Ecco in un pugno il vincitor del Mondo » o di questa del Zappi : « Qualche nuovo sospirio imparerai » o di
i questa del Zappi : « Qualche nuovo sospirio imparerai » o di questa del Tasso : « Ch’io son dagli anni, e da fortuna oppr
l Tasso : « Ch’io son dagli anni, e da fortuna oppresso » o di questa del Bentivoglio : « Del gran Titiro mio sol mi conten
del Bentivoglio : « Del gran Titiro mio sol mi contento » o di questa del Maggi : « Passò l’onda villana, e non rispose » o
 ; pur tutta volta perchè nelle precedenti composizioni hò dato tutto del mio senza copiar le altrui fatiche, così mi convi
rna cupressi. Virg. ec. 1. Tullia, che passa col carro sul cadavere del Padre. SONETTO ENDECASILLABO. L’iniqua figlia di
ed il Sonetto coll’ intercalare, a quali in fine aggiungerò una norma del Sonetto a rime obbligate. I. Il Sonetto di rispos
ente formavansi dagli antichi le risposte, come può leggersi ne Comm. del Crescimbeni ; ma presso i moderni dietro il Petra
ioè colle stesse consonanze, ma non colle stesse parole, o rispondere del tutto colle stesse voci adoperate nella proposta.
i t’aspetto Passiam dell’ ozio il tempo alla capanna Quando il raggio del Sol non più ci affanna, E dei campi più dolce è a
ettar la mia capanna, E quando il sol col raggio non affanna M’occupa del mio ovil solo l’aspetto. Dopo gli affar mi pince
agno eterno Quel crudel, che di me volle lo scherno. Fin che compagno del mio lungo errore Scenderà meco nell’ orrendo infe
nell’ orrendo inferno Dividendo con me l’aspro dolore Sempre compagno del mio lungo errore. III. Finalmente intorno al Son
rio apporre altre nozioni ; mentre, esso le tracce, e le norme siegue del Sonetto in generale. Suole questo per lo più dars
Ciel contro di me tuona, e balena. Balena Come per me il favor cangiò del fato ? Fato Tardi conosco il folle, e vil desio,
r cui l’ esiglio mio soffro spietato. Spietato Deh ! Rammentisi ognun del dolor mio ; Mio Se Augusto al mio servir si mostr
est’ ultima parte sacra alle muse latine un distinto trattato al pari del primo ben’ ampio, ed esteso, potendola ben consid
hiaro. Nel 1. parlerò de’piedi, loro nomi, e valore. Nel 2. ragionerò del verso, e delle differenti sue specie. Nel 3. Fina
la Giamba, ed usato ne’ componimenti satirici, e pungenti è l’opposto del Trocheo, perche costante d’una breve, e d’una lun
e Plurima, Ducere, Carmina ecc. VI. L’Anapesto finalmente è l’opposto del Dattilo, perchè per esso nelle danze in un modo t
 : Christus colendus l’us della parola Christus, che per la Reg. L. del nuovo Met. è breve, perchè seguita dalla parola c
e molto più nei Tetrametri indifferentemente si è fatto cadere oltre, del detto Spondeo, il Tribraco, il Dattilo, l’Anapest
napesti, dei quali era composto improntò il suo nome, nel decadimento del rigore colla sostituzione de’ dattili, e de’ Spon
la sostituzione de’ dattili, e de’ Spondei in lor vece restò decorato del semplice nome, e privo della tessitura primiera ;
ll’aver ricevuto un valore equivalente al primo è da dissi più felice del detto Titolato. Cap. III. Della diversita’
ap. III. Della diversita’ delle strofe. In quest’ultimo capitolo del ristretto della poesia latina passando sotto sile
un intero componimento da me rozzamente lavorato nelle seconde nozze del nostro augusto sovrano Ferdinando II. che Dio sem
n difetto il vostro ingegno seminato vi scorge incolpatene la brevità del tempo prefisso, e se pur volete, la insufficienza
no contraffatte. Cic. de Of. Lib. 1. sub init. (1). Ed in vero del Politeismo infausto fondamento d’ogni altra favol
chi Egizii, e Caldei. Qual maraviglia perciò fia vedere i primi saggi del Gentilesimo burlarsi degli stessi lor Dei ? Basta
gni idolatria, perchè ei si fù il primo, che inalzò un tempio in onor del suo padre Belo, cui volle, che si tributassero gl
quai riformatori della falsa loro religione, benchè privi della luce del Vangelo, con molta prudenza, e cautela però si co
o. Suo culto. Chi fù Nettuno (1). Parlando i Mitologi di questo Dio del mare, fan parola ancor delle Sirene, che fingonsi
ave ; quale invenzione poi scorgendo la Sirene mosse dalla impazienza del dolore, ululando, e gemendo si precipitarono nel
ettuno suo padre, fece si, che tutti quei mostri marini, che sonavano del pari avanti al cocchio dell’ alto regnatore delle
tondo in mezzo la fronte. Erano essi, secondo Euripide afferma, figli del gran gigante Polifemo figliuol di Nettuno. I prin
ferito a questo immaginario lor Nume la stessa abilità, e professione del figlio di Lamech, e di Sella Tubalcain, di cui pa
uno scintillante scudo di rotonda figura inviatogli da Giove in segno del conceduto favore. Allora il religioso re in memor
, alla cura de’ quali affidò questo scudo, e con esso altri ben molti del tutto, simili al primo costruiti per sua ordinanz
rlasi della profondità, e facondia nel dire chi fra tutti i banditori del vangelo fù di Paolo più sublime per la cognizione
ntili, nel seno de’ quali per moltissimi lustri vivevano nell’Egitto, del tutto proibì farsi i suoi altari di lavorate piet
Esod. al 20 non aedificabis illud sectis lapidibus. Che se tal legge del patto antico oggi per istituzione di Silvestro pa
e tal legge del patto antico oggi per istituzione di Silvestro papa è del tutto abolita, ciò avvenne sì perche cessato era
ò originalmente ciò leggersi. Sol dico, che approssimandosi la venuta del Verbo in Carne, siccome molte statue non sò in ch
de recato, pure per mezzo di Diomede di bel nuovo pervennc nelle mani del Trojano Enea, il quale seco lo tradusse in Italia
essi consoli, questi per rispetto alla loro dignità o doveano deviare del cammino, o abbassare le loro autorevoli insegne.
Sulle oscure, e confuse idee, che avevano i gentili della generazione del Verbo Eterno dal Padre, fabbricarono i Poeti, al
suo padre Nitteo, onde conseguirne l’incestuoso commercio fù in pena del suo attentato cambiata in questo animale, che fug
do prese a dire, che Minerva si compiaceva di tre bestie più villane, del Serpente cioè, della Civetta, e del popolo. Suo
iaceva di tre bestie più villane, del Serpente cioè, della Civetta, e del popolo. Suo culto Chi fù Venere. (1). Non solo
e. Che se qvesto fù il suo depravato disegno, con ragione pagò il fio del suo attentato per mano degl’ingannatori Sacerdoti
corrucciato Cupido la trasformò in Colomba. La Dea quindi in memoria del ricevuto beneficio tuttocché trasformata tenerame
chè questa nelle rosseggianti sue foglie sempre rammentavale il fatto del suo caro Adone, che punto in atto di coglierla di
r la quale essa recide le opere della carne, e supera gl’allettamenti del senso. Gentilis quoque error Deas virgines finxit
 ; così non può conservarsi illesa da macchia la castità, se la spada del pudore essa non vanti in sua difesa. Suoi tempii.
di voti sciolti sospendevasi in quel tempio seguendo in ciò le tracce del poeta Arato, che per mostrar qual in ciò fosse la
zzarro ingegno in pensare alla infallibile immutabilità, e prescienza del vero Dio non passi neppur per volo d’immaginazion
maginazione la triste conseguenza tirata da Gentili per la immobilità del lor destino : Desino fata Deum flecti sperare pr
occhè sappia dover avvenire le cose a norma della Divina prescienza ? del resto non potendo io senza taccia di temerità da
usa adottato però dal detto Sifeo, che il parer di chi il dice figlio del Cielo, e di Ecate, perchè sotto questa seconda di
la prudenza, di cui servivasi a conciliare gl’ animi vertiginosi, che del numero, e valore delle sue forze atte a comprimer
i, e la seconda che l’adottò, e che sebbene lasciato venne sulle rive del Nilo, pure per speciale grazia fù presevato, e so
ebsdem se colere, venerarique testatur. Non fia perciò meraviglia se del Dio Baal parlando il profeta Elia sembra che ne p
o ritratto. Suo culto. (1). Il celebre Crotosiano Pitagora dal ritmo del verso croico ricavò il modo delle musicali cadenz
uesto squarcio abbia succhia to il dolce de’ fiori sparsi nel sonetto del cav. Marino sullo stesso argomento dicendo : Ap
enza alcuna legge al solo arbitrio di chi compone. Tal è il ditirambo del celebre Francesco Redi intitolato, Bacco in tosca
casillabo sciolto. Se perô un tal verso sciolto é della stessa natura del rimato per cagione della inflessione, e sol diffe
si dalla lettura dei poeti. (1). Poichè la natura dell’ Eptametro, e del Trimetro Archilochio non si è finora sviluppata g
11 (1836) Mitologia o Esposizione delle favole
nacque l’ Erebo o la Notte; da questi l’ Etere, e la Giornata la Dea del giorno. La Notte partorì poi inoltre il Fato, la
erra ebbe Taumante, Forco, Ceto, ed Euribia. Da Nereo, e Dori, figlia del fiume Oceano, nacquero le Nereidi o Ninfe del mar
a Nereo, e Dori, figlia del fiume Oceano, nacquero le Nereidi o Ninfe del mare. Da Taumante ed Elettra, figlia parimanti de
l loro nascere; le Gorgoni Steno, Euriale, e Medusa, il Drago custode del giardino delle Esperidi, la mostruosa Echidna mez
le Naiadi Ninfe dei fonti e de’ fiumi tra le quali Stige decimo ramo del fiume Oceano, che scorre giù nell’ Inferno, mentr
il ferro, nè formò una falce dentata, ed istigò i figli a vendicarsi del padre. Crono o Saturno assunse l’ impresa, e pos
Gea lo raccolse, e il fece nutrire nascostamente in un profondo antro del monte Argeo: ed a Saturno in vece fu presentato u
poc’ anzi, cui Giove per eterna memoria infisse a Pilo o Delfo sotto del monte Parnasso. Fin qui Esiodo. Altri Mitologi ha
tano e Saturno; che il primo a richiesta della madre cedette il regno del cielo al secondo, colla condizione però, che non
rò Saturno compreso dover un giorno esser da Giove privato nuovamente del regno, armossi contro di lui, ma vinto fu discacc
cortesemente vi fu accolto da Giano, che ivi regnava, e messo a parte del governo; che Saturno in ricompensa a lui diede il
hiamato Cronos, che significa Tempo era perciò riguardato come il Dio del tempo, e di piugevasi colla falce, e in atto di d
ll’ Etere, e padre di Proserpina e di Libero o Bacco, l’ altro figlio del Cielo, e padre di Minerva, il terzo nato in Creta
a, che altri hanno chiamato Opi o Cibele, fu ivi nascosto in un antro del monte Argeo o Ditte dalle Ninfe, e dai Cureti sac
aturno suo padre, ci diviselo co’ fratelli, ritenendo per se il regno del cielo e dell’ aria, e lasciando a Nettuno il Regn
er se il regno del cielo e dell’ aria, e lasciando a Nettuno il Regno del mare, ed a Plutone quello dell’ inferno. Ma fieri
ne quello dell’ inferno. Ma fierissime guerre per conservare il regno del cielo ebbe egli a sostenere. La prima, secondo Es
li i giganti, e sotto de’ loro monti li seppellì. Assicurato il regno del Cielo, Giove secondo Esiodo menò per prima moglie
regno del Cielo, Giove secondo Esiodo menò per prima moglie Meli Dea del Consiglio, ma allorchè que sta ebbe conceputa Min
rie, dicono che Saturno fu re di Creta, che come egli spogliato aveva del regno suo padre, cosi ne fu privato da’ propini f
ccidentale, a Nettuno le coste marittime, perciò il primo fu detto re del cielo, il secondo dell’ inferno, il terzo del mar
iò il primo fu detto re del cielo, il secondo dell’ inferno, il terzo del mare; che avendo molti avuto il nome di Giove, e
Giove corruppe i custodi di Danae, pel toro la nave avente l’ insegna del toro, colla quale rapì Europa, per l’ aquila un’
e i fulmini gli ministrava, è che quindi chiamavasi l’ augel ministro del fulmine, o l’ augel ministro di Giove. Fra le pia
none di quel che era, la chiese in dono, e la mise sotto alla guardia del pastore Argo che aveva cento occhi. Questi per or
iove fu da Mercurio addormentato col suono della zampogna e col tocco del caduceo, e poscia ucciso. Giunone allora pose gli
eo, e poscia ucciso. Giunone allora pose gli occhi di Argo nella coda del pavone uccello a lei sacro, e tormentò lo, second
cerone si accennano: la prima che fu detta moglie di vulcano; e madre del più antico Apollo; la seconda figlia del Nilo, ed
a moglie di vulcano; e madre del più antico Apollo; la seconda figlia del Nilo, ed adorata in Egitto particolarmente da’ Sa
ne. Aracne figlia d’ Idmone Colofonio osò sfidare Minerva nell’ arte del tessere. Minerva, secondo Ovidio, in mezzo alla s
figlie di Cinira per lo stesso motivo trasformale da Giunone de gradi del suo tempio. Aracne rappresentò Giove per Europa c
angiò Alettrione in gallo, che or sempre col canto previene il nascer del Sole. Tereo fu re di Tracia, e marito di Progne
poi il figlio Iti, e ne diede a Tereo a mangiare le carni. Sulla fine del convito chiedendo Tereo che il figlio Iti gli fos
mo era figlia di Numitore già re di Alba. Amulio, che privato l’ avea del Regno, fè esporre appena nati i due gemelli in un
ulcano. Quattro Vulcani sì annoverano da Cicerone; il primo figlio del Cielo e sposo di Minerva; il secondo figlio del N
rone; il primo figlio del Cielo e sposo di Minerva; il secondo figlio del Nilo, e dagli Egizi chiamato Opa; il terzo figlio
e nelle isole Vulcanie opere maravigliose; per cui venne chiamato Dio del fuoco, e dei fabbri. Celebri presso Omero sono i
alle preghiere di Venere. Oltrecciò opera di Vulcano erano il palazzo del Sole, la corona di Arianna, il monile di Erminion
Quattro Venere pur si trovono nominate da Cicerone: la prima figlia del Cielo, e della Giornata o Dea del giorno, che ebb
minate da Cicerone: la prima figlia del Cielo, e della Giornata o Dea del giorno, che ebbe un tempio in Elide; la seconda n
del giorno, che ebbe un tempio in Elide; la seconda nata dalla spuma del mare, che unita a Mercurio partorì Cupidine, la t
con Marte già si è detto Ma oltre a questo amò ella Anchise Troiano: del quale concepì Enea, e soprattutto amò perdutament
, che Mirra figlia di Cinira e di Cencreide innamoratasi furiosamente del padre, e disperata di poter soddisfare a questo a
brame di lei secondando fra le tenebre della notte la guidò al letto del padre come un’ ignota amante. Stato con lei più n
altro, rimase attonita, il coltello le cadde a terra, e una scintilla del fuoco della lucerna caduta sopra una spalla’ di A
, che pasceano di là di un fiume in luoghi inaccessibili, e una canna del fiume le insegnò la maniera di averlo; in seguito
azie e di vezzi, che dato sarebbele da Proserpina; e scesa per la via del Tenaro ottenne da Proserpina il vaso, ma al ritor
ntavasi avente in mano una fiaccola accesa. Capo IX. Dell’ Aurora, del Sole, e della Luna. Figli d’ Iperione e di Tea
tesa con Epafo figlio di Io; sentendosi da lui negare di esser figlio del Sole, andò per consiglio della madre nella regia
di esser figlio del Sole, andò per consiglio della madre nella regia del Sole stesso, e per prova di essergli figlio richi
Stenelo e di una sorella di Climene, piangendo anch’ egli la sciagura del suo cugino ed amico, fu tramutato in cigno. Eeta
ino ed amico, fu tramutato in cigno. Eeta fu re di Coleo e possessore del vello, d’ oro, che poi conquistato fu da Giasone
nde questa cangiossi in mostro marino; rifiutata parimente da Pico re del Lazio lui trasformò in picchio, cangiò in fiere i
, Agrio, e Latino, e secondo gli altri poeti Telegono. Come portatore del giorno il Sole figuravasi sopra; di un carro lumi
sasse di trattar l’ arco e gli strali. Questi irritato, per dar prova del valor suo, scoccò uno strale dorato contro di lui
ro di lui medesimo, per cui ardentemente innammorossi di Dafne figlia del fiume Peneo, ed una di piombo a Dal ne, per cui o
ollo ad inseguirla, e già slava per raggiugnerla, quando frodate vide del tutto le sue speranze; perciocchè ella al padre r
, ch’ era nel porto, e da essi condotto a Roma, e deposto nell’ Isola del Tevere, dopo aver liberata la città dalla pestile
se o questi la zampogna, o quegli la lira; ed avendolo vinto, in pena del suo ardimento’ gli trasse la pelle, e dalle lagri
fida ebbe ivi da Pane, e parimente vincitore ne fu dichiarato dal Dio del monte Imolo. Ma alla decisione di questo si oppos
li fece crescere le orecchie d’ asino. Ingegnossi egli colle velature del capo a ricoprirle, ed ordinò al suo tosatore di n
enzone di altro genere ebbe Apollo con Forba, il quale impossessatosi del cammino di Delfo vietava che alcuno vi andasse; m
devasi dalla sacerdotessa Pitia posta sul tripode coperto della pelle del serpente Pitone, e da questi luoghi ei trasse i n
pocrene o Cavallino, che si disse fatto sgorgar di terra da un calcio del cavallo Pegaso nato dal sangue di Medusa. Il mont
curi troviamo presso di Cicerone, il primo nato dal Cielo e dalla Dea del giorno; il secondo figlio di Valente e di Foronid
ergli mano. Pallade ciò sapendo mandò l’ Invidia ad infettare Aglauro del suo veleno. Ella perciò al venir di Mercurio cerc
o Libero: il primo figlio di Giove e di Proserpina; il secondo figlio del Nilo, che si disse aver ucciso Nisa; il terzo fig
tare Bacco, furono cangiate in nottole. Era egli tenuto per inventore del vino, e le sue feste celebravansi dalle Baccanti
co offerivasi mele, vino, e latte, e sacrificavasi il capro, il morso del quale cosi nocevole vico riputato alle viti. In R
corse per ogn’ intorno a riceverla colle fiaccole accese alle fiamme del monte Etna. Aretusa, che era prima una ninfa dell
rra, Io spedì sopra il suo carro tirato da due dragoni in varie parti del mondo ad insegnarla. In Patrasso mentre Trittolem
narla. In Patrasso mentre Trittolemo stava addormentato, Anteo figlio del re Eumele ebbe vaghezza di salire sopra quel carr
a Terra, l’ altra che si dicea figlia di lui, e adoravasi come la Dea del fuoco. Il rito di adorare il fuoco e conservarlo
etendesi da alcuni che fosse già in uso presso i Tirreni. La custodia del fuoco sacro, era affidata in Roma ad un collegio
nt’ anni, dopo cui deponendo le sacre bende e rinunziando al servigio del tempio potevano maritarsi. Nell’ atto che prese e
e, e godeano la facoltà di testare. In molta venerazione erano presso del popolo, e la loro interposizione ha sovente giova
ea, e dagli antichi Latini Tellure, fu da essi riguardata come moglie del Cielo, e madre di Saturno; ma da’ posteriori mito
Coribandi da coryptein agitare il capo, perchè con grandi agitazioni del capo e di tutto il corpo, e con grande strepito d
feste della Dea buona celebravansi alle calende di Maggio nella casa del Pontefice massimo con gran mistero, e dalle sole
si dice padre della discordia di Pane, delle tre Parche, di Pitone, e del Cielo stesso e della Terra. Fra gli Dei terrestri
asformandosi in pastore. Ma non potè vincere quella di Siringa figlia del fiume Ladone, la quale da lui fuggendo in riva al
io delle selve, e rappresentavasi con un cipresso in mano per memoria del giovane Ciparisso, che da lui non da Apollo vogli
e in un subito rinverdire tutte le piante. Aveva però un tempio a piè del monte Soratte, ove dicevasi che gli uomini dello
e in bellissimo giovane. In Roma Vertunno avea un tempio sulla piazza del mercato. Le feste vertunnali celebravansi in Otto
ed a’ boschi, e si appellavano Driadi ed Amadriadi. Le Nereidi ninfe del mare appartenevano agli Dei marini. Molte delle c
lle sementi; Matura quella della maturità; Lactura o Lactucina la Dea del latte; Mellona quella del mele; Sterculio o Sterc
della maturità; Lactura o Lactucina la Dea del latte; Mellona quella del mele; Sterculio o Stercuzio il Dio dei concime, c
o favoleggiato che fosser figli di Mercurio accoppiatosi a Lara ninfa del Tevere nell’ atto che la conduceva all’ inferno p
cui basterà accennare la principali. Nascone o Nazione diceasi la Dea del , nascere; Vagitauo o Vaticano quel che apre la bo
o che univa i coniugi; Domiduco quello che guidava la sposa alla casa del marito; Domizio e Minturna per cui ella in casa e
a dalle angosci e, e fa che tacciano i lamenti, onde fu detta pur Dea del silenzio, e dipingevasi colla bocca fasciata e si
i e i pericoli; come era ài Dio de’ conviti; Momo quel della satira e del riso. Era Martea venerala dargli eredi; Laverna i
di Marzo. Capo XVII. Di Nettuno, e degli Dei marini. Primo Dio del mare, secondo Esiodo, fu Ponto figlio della Terra
erra e Padre di Nereo a cui Dori figlia dell’ Oceano partorì le Ninfe del mare dette perciò Nereidi. L’ Oceano da Esiodo e
no e Ponto, considerandoli amendue come esprimenti il mare. L’ impero del mare nella divisione tra i figli di Saturno abbia
a di Salmoneo e moglie di Creteo, la quale ingannò assumendo la forma del fiume Enipeo, ebbe Pelia, che spedì Giasone alla
forma del fiume Enipeo, ebbe Pelia, che spedì Giasone alla conquista del vello d’ oro, e Neleo padre di Nestore; da Toosa
e nominate in appresso, la prima Malina, e la seconda Liduna. Custode del gregge marino era Proteo figliuolo dell’ Oceano e
terra, il quale da Nettuno avea per ricompensa ottenuto da previsione del futuro; ma noi predicea se non legato, e godea la
che Proteo avea innanzi predetto a Tetide che sarebbe stato più forte del padre. Avendo Peleo in appresso ucciso il fratell
de. Ma avendolo Polifemo con lei sorpreso, lo schiacciò con’ un pezzo del monte Etna, ed ella poscia cangiollo in fiume. Fo
monte Etna, ed ella poscia cangiollo in fiume. Forco o Forcine figlio del Ponto e della Terra, secondo Esiodo, fu padre del
mare, divenne Dio di quell’ elemento. In modo non molto dissimile Dii del mare divennero Ino e Melicerta. Ino figlia di Cad
ipali tra questi erano quei che spiravano da’ quattro punti cardinali del cielo, vale a dire Borea o Aquilone da tramontana
, od Orco; sebbene, Orco da Esiodo è chiamato più propriamente il Dio del giuramento, e punitore degli spergiuri. Rapì egli
rsecutore, specialmente delle menzogne e degli spergiuri era Orco Dio del giuramento. Gli Dei Mani erano una specie di geni
la Morte, eoi Sonno, e co’ Sogni suoi figli. Morfeo figlio e ministro del Sonno era quello, che gli nomini addormentava, sp
Campania, ora Terra di Lavoro nella Puglia, l’ altro per una caverna del Tenaro, or capo di Marina promontorio del Pelopon
a, l’ altro per una caverna del Tenaro, or capo di Marina promontorio del Peloponeso. Ovidio ne finse un terzo in Sicilia n
, Flegetonte o Piriflegetonte, Lete e Stige. Acheronte diceasi figlio del Sole e della Terra e cangiato in fiume infernale,
ge era figlia dell’ Oceano, e formava, secondo Esiodo, un decimo ramo del fiume Oceano, scorrente sotterra, mentre l’ Ocean
 di Cenopia, o Enona, cui dal nome della madre chiamò Egina. Il luogo del premio era un delizioso soggiorno detto Eliso, ov
to suo fratello; ma avendo inteso che dai generi doveva esser privato del regno, ordinò alle figlie di uccidere la stessa n
che dai più si confonde con Osiri stesso e con Api; ed Arpocrate Dio del silenzio, che dipingevasi col dito indice alla bo
, terra si sparsero, incontanente, restando la sola speranza al fondo del vaso che Pandora avvedutamente richiuse. Nè di ci
a di argilla, salì al cielo coll’ aiuto di Minerva, e accesa al fuoco del Sole una fiaccola, con essa diede alla sua statua
i furon esse medesime cangiate in vacche. 11. Uccise il Drago custode del giardino delle Esperidi, nato anch’ esso da Echid
onde le orme indicassero contrario cammino, le chiuse in una caverna del monte Aventino, dov’ ei si; stava, Ercole sulle p
li l’ infedele Laomedoate negato poscia i cavalli della razza di quei del Sole, che in ricompensa gli avea promessi, Ercole
a Ercole lo ferì di saetta in un’ ala, e quagli cadendo fece col peso del proprio corpo che la saetta gli penetrasse nel fi
rla, se non che quegli avvedutosi a tempo il colpì con un dardo tinto del sangue dell’ Idra, e l’ uccise. Lasciò però Nesso
ell’ Idra, e l’ uccise. Lasciò però Nesso a Deianira la veste intrisa del suo sangue e del veleno dell’ Idra, dandole a cre
ccise. Lasciò però Nesso a Deianira la veste intrisa del suo sangue e del veleno dell’ Idra, dandole a credere che con quel
ilo re dell’ Ecalia, di che Deianira fatta gelosa gli mandò per mezzo del giovine Licia la veste tinta del sangue di Nesso,
ira fatta gelosa gli mandò per mezzo del giovine Licia la veste tinta del sangue di Nesso, sperando di richiamarlo con ques
Deianira, rifugiato in Atene presso di Teseo, Euristeo serbando verso del figlio l’ odio che nutrito avea contro del padre,
o, Euristeo serbando verso del figlio l’ odio che nutrito avea contro del padre, andò ad assalirlo; ma da Illo medesimo in
Gorgoni, figlia di Foreo e di Ceto, e regina delle isole Gorgadi, ora del Capo Verde, nel mare Atlantico. Erano stati a Med
er ultimo a combattere la Chimera, che infestava il monte della Licia del medesimo nome. Era la Chimera un mostro nato da T
l’ altra a Biante suo fratello. Capo V. Di Meleagro, della caccia del cignal Calidonio, d’ Atalanta, e d’ Ippomene.
zion di Tebe, che fu poi capitale della Beozia, così detta in memoria del bue sopraccennalo. Ebbe Cadmo da Ermione o Armoni
e prese Dirce, la quale temendo che Antiopi tornar potesse in grazia del marito, ottenne di tenerla rinchiusa in una stret
romesso. Altri dicono che l’ uccidesse, mentre in un angusto sentiero del monte Citerone Laio volle arrogantemente costring
andò a morire in Atene. I due gemelli Eteocle e Polinice o per ordine del padre, come alcuni vogliono, o spontaneamente con
e alternatamente un anno per ciascheduno: ma Eteocle, prese le redini del governo, ricusò di più cederle al fratello, e lo
ciulli giugnessero immantinente all’ età matura per vendicar la morte del padre. Capo VIII. Di Giasone e degli Argonauti
mente di allontanarlo, animandolo alla grande impresa della conquista del vello d’ oro, il quale veniva riputato come sicur
o della prosperità dello stato che il possedesse. Era questo la pelle del montone, su cui Frisso ed Elle, figli di Atamante
oi più famosi, che allor vivessero. Argo figlio di Alettore co’ legni del monte Pelio, e con una quercia tolta alla selva D
Borea e di Orizia, il poeta Orfeo. Plutarco vi aggiugne ancora Teseo, del quale altri tacciono: e unito crasi ad essi ancor
arrivarono gli Argonauti in Tracia, dove istruiti furono dal re Fineo del modo onde superare gli scogli Cianei o Simplegati
r due tori spiranti fiamme e sottoporli al giogo poi seminare i denti del drago ucciso da Cadmo, che ad Eeta erano stati ma
li uomini che ne sarebbero nati; per ultimo uccidere il drago custode del vello. Giasone ebbe l’ arte d’ innammorare Medea
ivolti, e tra loro uccisi. Ciò tutto avvenuto e impossesatosi Giasone del vello d’ oro, se ne parrì coi compagni è con Mede
, dove Giasone trovavasi. Giasone erasi quivi acceso di Glauce figlia del re Creonte, di che Medea irritata finse per più s
che desiderò di morire e fu trasportato in cielo nella costellazione del Sagittario: le quali cose mentre la figlia Ociroe
ambi, presso de’ naviganti, perchè il loro apparire dicevasi portator del bel tempo. Polluce erasi reso celebre nella lotta
. Il secondo figlio di Licasto e di Ida, figlia di Coribante e nipote del primo ebbe in moglie Pasifae figlia del Sole e di
figlia di Coribante e nipote del primo ebbe in moglie Pasifae figlia del Sole e di Perseide la quale furiosamente innamora
itone ottenne coll’ oro che la città gli fosse venduta da Arne figlia del re, che fu quindi caugiata in mulacchia; indi pos
a; indi posto l’ assedio a Nisa chiamato poscia Megara, Scilla figlia del re Niso di esse innammoratosi recise al padre add
o. Ma il giovin Icaro di quel volo invaghito, contro gli avvertimenti del padre, volle levarsi troppo alto, sicchè squaglia
ti del padre, volle levarsi troppo alto, sicchè squagliatasi al calor del Sole la cera, le penne gli caddero, ed ei privo d
X. Di Teseo, e di Piritoo. Teseo nacque in Trachine da Etra figlia del re Pitteo, la quale congiunta prima a Nettuno si
i sopravvanzavano, o stiravali a forza, se non arrivavano alla misura del letto. Vuolsi pure che in Tebe egli abbia ucciso
ta. Ma nel presentarla riconobbe Egeo la spada che sepolta avea sotto del sasso, e gettata la tazza abbracciò Teseo’ come s
icato da Dedalo; e Teseo per potere di là sottrarsi dopo l’ uccisione del Minotauro essendosi procacciato l’ amore di Arian
i Dedalo un gomitolo di filo, che attaccato per un capo all’ ingresso del labirinto andò svolgendo, finchè giunto al Minota
anche le nere vele con cui era partito; ma Teseo dimenticò il comando del padre, sicchè questi vedendo da lungi il naviglio
ito, poi disperata si uccise e Teseo addolorato per l’ ingiusta morte del figlio, dai quel momento non ebbe più pace, finch
dre di Ippodamia, la quale perchè bellissima, e perchè unica ed erede del regno, veniva ambita da molti. Ma Enomao sapendo
ndole una cerva, e lei trasportò in Tauride, ove la fece sacerdotessa del suo tempio. Partito Agamennone per la guerra di T
asa sua ad un solenne convito, a tradimento l’ uccise, e impadronissi del regno di Argo. Cercò egli di uccidere anche Orest
ve all’ età di venti anni tornò incognito in Argo a vendicar la morte del padre coll’ uccisione di Egisto e di Clitennestra
Strofio, con cui era stato educato giunse in Tauride, ove per ordine del re Toante fu in procinto di essere sacrificato a
stato interpretato che cagionare ei dovesse l’ incendio della Città e del regno, Priamo il fe appena nato esporre da Archel
e testimonio della morte di lui. Ercole volle che le sue frecce tinte del sangue dell’ Idra fossero seppellite con esso-lui
e fe giurarsi da Filottete di non mai ad alcuno manifestare il luogo del suo sepolcro. Ma avvertiti i Greci dall’ oracolo,
e fu cagione a’ Greci in prima, indi a’ Troiani, formano l’ argomento del primo poema epico che sia apparso, vale a dire de
o di quella gustasser l’ erba de’ prati troiani, e bevessero l’ acqua del fiume Xanto, egli con Diomede andò a prevenirlo a
stratagemma di Ulisse più a Troia fatale fu in appresso l’ invenzione del cavallo di legno. Fece egli costruire da Epeo uno
da’ Greci, onde placar lo sdegno di Pallade irritata per la violazion del Palladio, e che Troia sarebbe stata eternamente s
ra Belcastro. Teucro per non aver vendicato contro di Ulisse la morte del fratello Aiace, arrivato a Salamina sdegnosamente
prender parte, ferito avea Marte stesso, indi Venere accorse in aiuto del figlio Enea. Or Venere in vendetta fè che Egialea
o la Palude Meotide); e di là scese all’ inferno a consultar l’ anima del tebano Tiresia. Qui fatti i prescritti sacrifizî
i prescritti sacrifizî a Proserpina ed a Plutone, vide prima l’ anima del compagno Elpenore, che caduto dal letto nell’ Iso
cole. Tornato a Circe, e data sepoltura ad Elpenore, avvertito da lei del viaggio che aveva a tenere, e dei pericoli che do
tare, navigando verso levante e mezzogiorno si sottrasse all’ insidia del canto delle Sirene all’ isola di Capri, chiudendo
e i compagni contro il suo divieto divorarono le vacche delle mandre del Sole; per cui questi irritato ricorse a Giove, il
si in un fiume dell’ isola. Quivi presentatosi nudo a Nausicaa figlia del re Alcinoo e di Arete, che colle ancelle era anda
ed essendo là venuti per assalirlo Eupide padre di Antinoo con altri del suo partito, Laerte per consiglio di Pallade gett
uti Ulisse e Telemaco per discacciarlo, egli con una spina avvelenata del pesce trigono o tortora marina feri Ulisse senza
smarrì, e andò a riamarsi ad Andandro città della Frigia alle radici del monte Ida. Quivi raccolti quanti potè de’ Troiani
accostatasi al mare per lavarne il corpo, vide sull’ onde il cadavere del figlio Polidoro, e chiamato a se Polinnestore a t
linnestore a titolo di consegnarli un nuovo tesoro da dare al figlio, del quale dissimulò di sapere la morte, furiosamente,
epano, ora Trapani, ove fu accolto amorevolmente dal re Aceste figlio del fiume Crinise e di Egesta Troiana, ma ivi con est
r fuoco alle navi, onde non essere più costrette ad esporsi a’ rischi del mare, e quattro di queste rimasero incendiate, il
resso il luogo che poi da essa n’ ebbe il nome; indi giunto alle foci del Tevere vide la bianca Troia predetta da Eleno; e
amò dall’ inferno la Furia Aletto, la quale accitò prima Amata moglie del re Latino a nasconder la figlia ne’ monti sotto i
ce che Ascanio coll’ uccisione di un cervo allevato da Tirteo pastore del re desse occasione alle prime zuffe tra i Latini
to dal regno di Etruria; ed Enea per consiglio avuto in sogno dal Dio del fiume Tevere, n’ andò per esso a chiedere soccors
. Tornato al campo va in cerca di Turno, cui Giuturna, presa la forma del cocchiere di lui conduce in tutt’ altra parte. En
ivare il terreno per trarne la necessaria sussistenza. Succede l’ età del rame in cui gli uomini cominciarono a farsi guerr
i uomini cominciarono a farsi guerra tra loro. Seguì da ultimo l’ età del ferro, nella quale inondarono tutt’ i vizi, Da qu
gitto diventa Iside, Parte I. Capo IV. Faetonte mal reggendo il carro del Sole è fulminato da Giove e precipitato nell’ Eri
di ciò irrirata l’ accieca, e Giove in compenso gli dà la previsione del futuro. Interrogato Tiresia da Liriope moglie del
li dà la previsione del futuro. Interrogato Tiresia da Liriope moglie del fiume Cefiso, se il figliuol loro Narciso vivuto
nesi opponendosi i parenti alle nozze da lor bramate, per una fessura del muro che divideva le case loro, concertano di tro
ide anche essa colla medesima spada, e il loro sangue fa che i fruiti del gelso, dapprima bianchi, diventin neri. Leucotoe
no mostri marini. Parte I. Capo XVII. Aracne sfida Minerva nell’ arte del tessere, ed è mutalo in ragno. Parie. I. Capo V.
tigone figlia di Laomedonte in cicogna, le figlie di Cinira ne’ gradi del tempio di Giunone. Parte I Capo V. Varie trasform
i alati Calai, e Zete. Parte I. Capo XVIII. Giasone va alla conquista del Vello d’ oro; coll’ aiuto di Medea doma i tori sp
fio, perseguitata a morte da’ figli, è cangiata in uccello. Un nipote del fiume Cefiso da Apollo è cangiato in foca. Anteo
Cinque Naiadi sacrificando agli altri Iddii, posto in non cale il Dio del fiume Acheloo, sono da esso gettate in mare, e si
’ figli. Parte II. Capo VI. Bibli, figlia di Mileto e di Circe figlia del fiume Meandro, s’ innamora di Cauno suo fratello
che dà il nome alla città di Pafo. Mirra figlia di Cinira s’ innamora del padre; è trasformata nell’ albero della mirra; da
orecchie d’ asino. Parte I. Capo X. Laomedonte froda Apollo e Nettuno del prezzo convenuto per l’ edificazione delle mura d
o. Dal loro rogo escono due giovani, che son nominati Coroni. I figli del re Molosso fuggendo da un incendio son convertiti
voce. I compagni di Ulisse vengon da Circe cangiati in porci; Pico re del Lazio è mutato in picchio, Canente moglie di lui
di Virbio. Nel medesimo bosco si ritira la Ninfa Eperia dopo la morte del maritò Nu-ma Pompilio, ed è cangiata in fonte. Ne
in fonte. Nell’ Etruria un aratore profondando l’ aratro più addentro del solito solleva una zolla pesante, cui vede cangia
gnato quanto terreno può cinger di un solco dal nascere al tramontare del sole. Esculapio sotto la figura di serpente e con
ondo l’ Ab. Banier incominciò dal culto degli astri, e principalmente del Sole e della Luna. Da questo, si passò al culto d
e principalmente del Sole e della Luna. Da questo, si passò al culto del Fuoco, dell’ Aria, e de’ Venti, del Mare e dei Fi
una. Da questo, si passò al culto del Fuoco, dell’ Aria, e de’ Venti, del Mare e dei Fiumi, della Terra e de’ Monti, e fina
ran sempre accompagnati dalle libazioni, che consistevano nel versare del vino (o in mancanza di esso dell’ acqua) in onore
ano nel versare del vino (o in mancanza di esso dell’ acqua) in onore del Dio, al quale sacrificavasi. Usavasi pure ne’ sac
in Delfo la Pitia sacerdotessa di Apollo; in Roma le Vestali custodi del fuoco di Vesta, e in molle parti cosi della Greci
zolla di terra, cui sollevò un agricoltore profondando l’ aratro più; del consueto. I sacerdoti Arvali erari quelli che sac
sto o infausto. Gli auguri poi si prendevano altri dall’ osservazione del cielo, che propriamente dicevansi auguri, altri d
fenomeni straordinari, tutti i casi impensati, tutti ì modi volontari del cuore, e degli occhi, delle ciglia, il sonar degl
presso i Caldei e gli Egiziani, e propagata poscia nelle altre parli del mondo, e con cui pretendevasi di potere da’ movim
ell’ Epiro, dove i Sacerdoti rendeano le risposte ascose nelle querce del bosco a Giove consecrato per cui le favole disser
re di Orcomeno, e avendosi secondo Plutarco, fabbricato in compagnia del fratello Anamede il tempio di Delfo, ne chiese ad
e veduto a’ Sacerdoti, che a loro modo l’ interpetravano. L’ oracolo del bue Api in Egitto traevasi dall’ accertar ch’ ei
12 (1861) Corso di mitologia, o, Storia delle divinità e degli eroi del paganesimo: Per la spiegazione dei classici e dei monumenti di belle arti (3e éd.) « Appendice. » pp. -386
avere splendida civiltà ; laonde non breve fu la lotta che la verità del Cristianesimo dovè sostenere contro di essi. E ap
ia non sarà sterile di morali e civili insegnamenti. Il politeismo del primo secolo dell’era cristiana. 746. Quando
liteismo del primo secolo dell’era cristiana. 746. Quando la luce del Cristianesimo spuntò nell’Asia, i Romani, ch’eran
n dispregio quelle divinità fantastiche e capricciose, che agli occhi del politeista popolavano l’universo come altrettanti
agli occhi del politeista popolavano l’universo come altrettanti genj del male coi quali tregua non v’era mai ; e che senza
malefica attività de’Romani, fomentasse tutti i vizj degli oppressori del mondo. Nelle scuole di Atene o di Corinto, un fil
er l’uomo di riconoscerla e d’adorarla è attestata dalla magnificenza del mondo, e dall’ordine delle cose celesti. Così dev
a negli inni sacri le tradizioni degli avi e le antiche superstizioni del paese. Ovidio facea della terra, non solamente il
i vizj de’suoi Dei ; per modo che si può argomentare, che le credenze del politeismo più non servissero ad altro che a lusi
rsuadere. Cotesto poema dunque è insieme il più ingegnoso commentario del paganesimo ed il segnale più chiaro della sua dec
più la vita guerriera teneva occupati i Romani, tanto più le credenze del politeismo signoreggiavano ne’loro cuori, di cui
La convocazione delle assemblee, l’elezione dei magistrati, la forma del voto popolare, tutto infine nell’esercizio della
duto, convalidato, sancito dagli auspicj ; e, se spesso la scaltrezza del senato abusava della loro prevalenza per disciogl
con cui ne veniva a capo, era una prova della superstiziosa credulità del popolo. Il discredito poi in che venne il politei
o de’tempi, le frequenti rivoluzioni dello stato, l’ardente curiosità del popolo di conoscer l’avvenire in cui leggea sempr
li auspicj caduti in disuso ; e la magia s’era arricchita della ruina del paganesimo. Nel resto del mondo soggetto al domin
o ; e la magia s’era arricchita della ruina del paganesimo. Nel resto del mondo soggetto al dominio romano, l’istinto relig
acerdoti, ed avea fatto grande avanzamento per cagione delle sventure del paese. Più non sorgevano tribune per gli oratori 
ibune per gli oratori ; ma i sofisti più liberamente poteano beffarsi del culto degli Dei. Le antiche sètte filosofiche tut
rte la mescolanza degli Dei eleganti della Grecia colle superstizioni del paese. Tu v’incontravi ad ogni piè sospinto schie
erdisse con fecondità straordinaria, era l’Egitto. L’antica religione del paese, il politeismo greco, il culto romano, le f
omano, le filosofie orientali erano riunite e confuse come gli strati del fango che il Nilo straripato ammucchia sulle sue
una di queste innumerabili divinità. Gl’Indi giacevano sotto il giogo del loro antico sacerdozio, e nell’immobilità delle l
toria, si rinvengono così manifeste nell’antica lingua della Grecia e del Lazio,145 s’erano ravvivate colla conquista d’Ale
avesse avuto nei tempi più remoti un culto più ragionevole e più puro del politeismo d’Europa. Non ammetteva idoli ; ed il
, era un’adorazione dell’Essere eterno rappresentato sotto il simbolo del fuoco. I Magi, che ne erano i sacerdoti, all’epoc
ravasi il culto di Mitra, i cui misteri erano celebri nei primi tempi del Cristianesimo, e s’assomigliavano in parte alle c
anta. Dominava soprattutto in questi paesi la tradizione dei due genj del bene e del male. Ci rimane a parlare di quel popo
ava soprattutto in questi paesi la tradizione dei due genj del bene e del male. Ci rimane a parlare di quel popolo nato a m
, e che, già sparso quasi per l’intero universo, non avea partecipato del generale traviamento, e solo tra tutti i popoli c
cioè di coloro che voleano scacciare i Romani o perire sotto le ruine del tempio. Di qui l’accanimento di quella guerra spa
struzione. Singolar cosa ! l’eccidio di Gerusalemme parve la vittoria del politeismo sopra il culto d’un solo Dio. Il tempi
a Roma, si fece portare dinanzi nel suo trionfo i vasi sacri, il velo del santuario e il libro della legge ; la nazione giu
dai suoi lumi stessi, dall’avvilimento di tutti i culti, dal fascino del commercio, delle sofisticherie e delle immaginazi
pel passaggio delle legioni. Lusingò tutte le inclinazioni che l’odio del giogo romano nodriva nel cuore dei popoli soggett
io medesimo, a questo eran giunte di fare una cosa sola della virtù e del piacere. Da queste semplici osservazioni si può g
ligioni d’un mondo invecchiato nella corruzione. Alle splendide feste del Paganesimo, alle seducenti immagini d’una vaga mi
ca, a tutti gli adescamenti delle arti e dei piaceri, oppone le pompe del dolore : oppone riti gravi e lugubri, le lagrime
: oppone riti gravi e lugubri, le lagrime della penitenza, le minacce del terrore, l’arcano dei misteri, il tristo séguito
io di nazioni intiere soggiogate prima di loro, cadono pur essi a piè del Cristianesimo, che in premio del pentimento lor p
prima di loro, cadono pur essi a piè del Cristianesimo, che in premio del pentimento lor promette l’immortalità, e già fa l
ce, sacro segno di pace e di salute, sventola da lontano sulle rovine del Pagancsimo abbattuto. I Cesari gelosi avean giura
ine del Pagancsimo abbattuto. I Cesari gelosi avean giurato la rovina del Cristianesimo, ed eccolo assiso sul trono de’ Ces
vostra autorità teme o si vergogna di scrutinare in palese le ragioni del suo procedere per dare il diritto alla giustizia,
che sorta di male si dirà mai questo, nel qual non si trova la natura del male ? Cioè nè timore, nè vergogna, nè tergiversa
ergiversazione, nè penitenza, nè doglianza ? Che sorta di male, dico, del quale il reo si allegra, l’accusa del quale si br
anza ? Che sorta di male, dico, del quale il reo si allegra, l’accusa del quale si brama, la pena del quale per felicità si
co, del quale il reo si allegra, l’accusa del quale si brama, la pena del quale per felicità si considera ? Non puoi dire c
hè il giudice non sia ingiusto. Solo si attende quello che è lo scopo del pubblico odio, cioè la confessione del nome e non
attende quello che è lo scopo del pubblico odio, cioè la confessione del nome e non l’esame del delitto. Se si tratta d’al
o scopo del pubblico odio, cioè la confessione del nome e non l’esame del delitto. Se si tratta d’altro reo, al solo nome d
nza, ma richiedete e ricercate le circostanze convenevoli, la qualità del fatto, il numero, il luogo, il tempo, i complici
neppure ai Cristiani già defunti : anzi quegli estraggono dal riposo del sepolcro, dall’asilo sicuro della morte, già dive
ricompensare il male col male ? Ma non fia mai che una setta, che ha del divino, con fuoco umano vendichi i suoi torti, e
uomini si fosse distaccata da voi e ritirata in qualche remoto angolo del mondo, certamente avrebbe la perdita di tanti cit
a vostra solitudine, per lo silenzio delle cose, per un certo stupore del mondo ; e quasi avreste cercato a chi comandare.
ini di tutte le città. Ma voi piuttosto avete voluto chiamarli nemici del genere umano. Chi di voi però da quegli occulti n
sario, avete voluto stimare nemici, mentre che siamo certo nemici non del genere umano, ma bensì dell’umano errore…. Ma pro
una sorta di semenza. Molti appresso di voi esortano alla tolleranza del dolore e della morte, come Cicerone nelle Tuscola
quistare intera la divina grazia e per ottenere il perdono col prezzo del proprio sangue ? Perciocchè dal martirio sono can
tà secolari, per la quiete delle cose, per lo ritardamento della fine del mondo.150 Ci uniamo per rammemorare le divine Scr
si raccoglie, quasi che si compri la religione ; mentre in un giorno del mese ciascuno vi pone qualche danaro, quanto gli
tribù, tante curie e decurie infettano l’aria cogli aliti puzzolenti del loro stomaco. Per le cene de’Salj vi è necessità
’antica usanza fa d’uopo d’arrolare una legione di cuochi. Le guardie del fuoco stan vigilanti al gran fumo delle serapiche
n vigilanti al gran fumo delle serapiche cene.152 Nondimeno solamente del modesto convito dei Cristiani si mormora. E pure
considerazione che si ha delle persone bisognose. Laonde, si la causa del convito è onesta, argomentatene l’ordine rimanent
sti insieme s’adunano, non si dee chiamare fazione. ma adunanza, dove del ben comune si tiene consiglio…. Con un altro tito
na pel mio capo ; ma, comprando non ostante i fiori, che importa a te del come io me ne serva ?155 Sembrano a me i fiori pi
a meno che una moltitudine immensa di solitari sparsi nelle tre parti del mondo, e tutti diretti al conseguimento di un med
a face delle scienze. Nessun ordine politico, filosofico, o religioso del Paganesimo, avrebbe potuto operare questo effetto
e l’eresia, servi possentemente alla conservazione ed al risorgimento del sapere. In qualunque ipotesi che immaginare si vo
avea forse fatto verun progresso, perchè Nerone non credeva negli Dei del Campidoglio, e ne calcava con disprezzo le statue
vrebbero verosimilmente dilacerato l’imperio, i soldati eran corrotti del pari che tutto il resto dei cittadini ; e più in
asi morali. Gli antichi ammettevano l’infanticidio, e lo scioglimento del nodo nuziale, che non è, a dir vero, se non il pr
si limitavano ai confini della patria, nè oltrepassavano l’estensione del proprio paese. I popoli nel loro complesso avevan
paese. I popoli nel loro complesso avevan principi diversi da quelli del cittadino particolare. Il pudore e l’umanità non
lmente, per istrappare tutto un popolo corrotto ai vili combattimenti del circo e dell’arena, bisognava che la Religione av
ebaide. Gesù Cristo può dunque con tutta verità esser detto Salvatore del mondo nel senso materiale, come si dice nel senso
nde avvenimento che avesse mai luogo fra gli uomini, poichè la faccia del mondo cominciò a rinnovarsi dopo la predicazione
dell’Evangelio. Notabilissimo è il momento in cui s’avverò la venuta del Figlio dell’uomo : un po’prima la sua morale non
mangiassero ; calunnia che avea origine da una atorta interpretazione del Sacramento dell’ Eucaristia. 149. Quesl’altra ca
i disordine. 150. L’inlerprelazione Iroppo letterale d’alcuni Iralli del Vangelo facea, nei primi secoli della Chiesa, cre
Vangelo facea, nei primi secoli della Chiesa, credere vicina la fine del mondo. 151. I Preli o Presbileri, così chiamali
e’gran fuochi che si facevano in cucina, slavano vigilanti le guardie del fuoco delte Sparteoli. 153. Iotende degli spett
le guardie del fuoco delte Sparteoli. 153. Iotende degli spettacoli del teatro e del circo. 154. I Saturnali ai celebrav
l fuoco delte Sparteoli. 153. Iotende degli spettacoli del teatro e del circo. 154. I Saturnali ai celebravano d’inverno
13 (1806) Corso di mitologia, utilissimo agli amatori della poesia, pittura, scultura, etc. Tomo I pp. 3-423
à, l’eleganza, e’l buon gusto così oramai se ne accrebbero, che nuove del tutto potrebbono giudicarle l’Età trascorse. Non
, onde non omettere alcuna Favola, atta a promuovere i grandi oggetti del piacere e dell’utilità, altrettanto di attenzione
pressioni, colle quali sino a’ giorni nostri vennero esposte, o sieno del tutto taciute, quando il descriverle altro effett
tatori, la diversità della loro origine, la stoltezza e superstizione del volgo, il capriccio de’ Poeti, gli abbagli degli
i finalmente nelle gesta dell’Ebreo popolo le vestigia vi ravvisarono del Gentile Eroismo. Come dunque in così oscure mater
ile) la semplice concatenazione delle materie ; che alla castigatezza del linguaggio si attenda nell’esporle ; e che inviol
veneravano altresì le loro Statue nelle primarie Città della Grecia e del Lazio. Gli Ateniesi aveano loro alzato un altare,
e il fio al loro snaturato genitore. Saturno lo fece perire. L’impeto del mondo passò allora appresso di lui, di Titano, e
dovesse sempre ardervi il fuoco, perchè credeva che dalla perpetuità del medesimo avesse a dipendere quella del Romano Imp
è credeva che dalla perpetuità del medesimo avesse a dipendere quella del Romano Impero(h) (2). Se si smorzava, se ne traev
ano entrare gli uomini di notte, nè penetrare giammai in quella parte del medesimo, ove si custodiva il Palladio(b) (5). Ne
nalmente la madre dal tempio. La seguì la figlia con passo più franco del consueto, e s’ avvide ch’ era divenuta uomo. Fece
li non istette alla promessa, e prese ad amare una Ninfa(14) ; figlia del fiume Sagari o Sangaro, e però detta Sagaritide,
ale dovere era di serbarsi vergini, e di attendere alla conservazione del sacro fuoco. Se questo per loro negligenza mancav
naviglio, avvenne, che il medesimo d’improvviso si arrestò alle foci del Tevere, nè v’era forza sufficiente a farlo più ol
iuolo, Trittolemo(5) ; e volendo renderlo immortale, il dì lo nutriva del suo latte, e lo nascondeva la notte sotto il fuoc
ie discesa dal Cielo (a). Fu denominata Empanda, perchè somministrava del pane a coloro, che si rifugiavano nel di lei asil
lo erano alle maggiori (b). I primi stavano solamente nel’ Vestibolo del tempio ; i secondi ne penetravano l’ interno, e l
ne tralle Feste Ambarvali e le Amburbie (g). Al tempo di queste prima del sacrifizio si conduceva la vittima intorno a’ con
epì e achthos, molestia, celebravasi appresso gli Ateniesi in memoria del dolore, che Cerere ebbe a soffrire per la perdita
etra ritornò alla primiera forma di donna ; ed Erisittone, avvedutosi del privilegio, che godeva la figlia, di tramutarsi,
avrebbe dato, lo spedì secretamente nell’ Isola di Creta, in un antro del monte Ida, appresso i Coribanti(1). Questi, finge
embali e timpani, facevano sì, che Saturno non potesse udire i vagiti del Nume bambino (b). Variano i Mitografi nel riferir
che la nutrice di Giove fu Adamantea ; che questa sospendeva la culla del bambino a’ rami di un albero, onde poter affermar
Minerva presso i Tegeati (b). Aglaosténe nomina tra quelle una Ninfa del monte Ida in Creta, chiamata Cinosura, che fu da
ore delle acque, l’altro dell’ Inferno, e riserbò per se la sovranità del Cielo e della terra (i). Ma la grandezza e la tra
(d), che fu da Giove renduta madre di Etlio, padre di Endimione (e), del quale parleremo. In onore di Giove s’instituirono
a farlo sotto le mentite spoglie di Atleta (d) (9). Col progresso poi del tempo anche le femmine poterono non solamente tro
ci Registri degli Elei, e rientrarono nella loro patria coll’apparato del trionfo, decantati da’ Poeti, e dagli Scultori ra
ia preside e custode della città (e). Si poneva allora sopra l’altare del Nume orzo mescolato con frumento. Tostochè uno de
are in qualsivoglia Magistratura, affinchè sempre attendesse al culto del suo Nume. Non poteva nè andare a cavallo, nè dorm
credette, che fosse stata esaudita la preghiera ; e Romolo alle falde del monte Palatino eresse al Nume un tempio col titol
i lui soldati ebbero tal fatto per infausto presagio, o per un avviso del Nume, ondo Haminio si arrestasse, nè si esponesse
rontonte (c) o Bronteo fu chiamato, perchè era creduto il suscitatore del tuono. I Latini lo chiamavano per questa ragione
tte le sorta di metalli Erano pur d’oro la capigliatura e il mantello del Nume (d). Questo simulacro era stato opera di Fid
ulacro era stato opera di Fidia, figlio di Carmida (e). Le fondamenta del predetto tempio furono gettate da Pisistrato, e m
si sarebbe chiusa, qualora vi si fossero gettate le cose più preziose del paese, v’ avea gettato gran parte delle sue ricch
o (b). Appresso di questo scorreva una fonte indovina, detta l’ Acqua del Sole. Questa era gelida sul meriggio, e calda al
le. Questa era gelida sul meriggio, e calda al rinascere e tramontare del Sole. Ad essa niuno osava d’avvicinarsi fuorchè i
iove, fonnato di bronzo, e fornito di pietre preziose. Il piedestallo del medesimo era d’oro, e avea la forma di navicella.
ve Ammone, ma i suoi detti erano molto intricati ed oscuri. La statua del Nume, quando si portava in processione, veniva ri
iespitero fu appellato da’Romani, perchè si risguardava come il padre del giorno, ossia l’autore della luce. Per questa rag
fferse, il sacrifizio a Giove, e quelle tosto si ritiraro no al di là del fiume Alfeo (b) (16). E’stato detto Pluvio ; ossi
a pioggia (c). Sotto questo titolo aveva in Roma un altare nel tempio del Campidoglio, Narrasi, che l’armata di Trajano, ve
o cangiare situazione ; e che quindi furono lasciati entro il recinto del nuovo tempio (d). L’immobile fermezza di Termine
immobile fermezza di Termine ebbesi per buon augurio della perpetuità del Romano Imperio, e affinchè si potesse sacrificare
si potesse sacrificare allo stesso Nume, si Iasciò scoperta una parte del predetto tempio, perchè altrimenti non era permes
i, che nè gli alberi, nè gli animali, benchè fossero opposti a’ raggi del Sole, producessero ivi alcuna ombra di se medesim
riponeva nel pubblico erario (i). Ebbe il nome di Trifilio a cagione del magnifico tempio, ch’ egli avea in Trifilia, picc
niero, nol introducesse in casa propria, e non gli presentasse subito del sale (m). Le donne lavavano i piedi agli ospiti (
unti all’estremo della vecchiaja, e allora fu, che dinanzi alla porta del predetto tempio Baucide rimase convertita in Tigl
agliò in quello stesso istante un fulmine, con cui incenerì la Reggia del Tiranno. Questi spaventato fuggì nelle selve, e v
ll’ajuto di Minerva ascese in Cielo ; e, appressata una face al carro del Sole, ne portò un’ altra volta il fuoco sulla ter
Molti vennero favoriti da Giove. Tra questi si nomina, Calamo, figlio del fiume Moandro. Egli amava Carpo, figlio di Zefiro
re dell’ Attica, divenuto tale per l’esimia sua equità, non fece uso del suo potere, che per rendete felici i suoi sudditi
sotto il nome di Giove Conservatore. Ciò talmente promosse lo sdegno del Sommo Giove, che questi voleva con un fulmine pre
stesso Nume lo cangiasse invece in Aquila, gli affidasse la custodia del suo fulmine, e gli permettesse di avvicinarsi al
dissuadernela, ma sempre in vano. Ascese quindi sull’Olimpo, si armò del suo fulmine, e fece ritorno a Semele. Non appena
rsecuzioni di Giunone, lo nascosero ne’ loro antri, e lo alimentarono del proprio latte. Oppiano nomina come di lui nutrici
to nell’ Isola d’Eubea appresso Macride, figlia d’ Aristeo, inventore del mele e dell’ olio(a). Una delle prime azioni di q
nsegnò l’arte di coltivare le viti : e quindi fu venerato come il Dio del vino(c). In memoria di tale conquista, per cui il
alcune vecchie, coronate d’ ellera, stavano allora assise alla porta del tempio di Bacco, alzavano dinanzi a se un focolar
are certi liquori, mescolati col mele, per versali nel fuoco ad onore del Nume(g). Eleleo (a) o Iacco(b) (5) o Bromio (c),
alla voce milica, fico, perchè egli era stato il ritrovatore non solo del vino, ma anche de’ fichi (g). I Potniesi, mentre
a loro, e finalmente per volere di Bacco stesso sostituirono in luogo del giovinetto una capra, per cui il Nume acquistò il
ra le donne si battevano con verghe all’ altare di Bacco, e la statua del medesimo si portava sotto un’ ombrella(e). Le Bru
o solennizzate dagli Ateniesi nel giorno undecimo, e ne’ due seguenti del mese Antesterione, dal quale furono così chiamate
avendo ucciso sua madre, come più diffusamente vedremo, per purgarsi del suo delitto, giunse in Atene, mentre si celebrava
luse dalle Agrionie(a). Le Tiie si solemizzavano dagli Eleesi, popoli del Pelopouneso, durante le quali credevasi, che Bacc
le si celebravano. Tre vasi vuoti allora si riponevano nella Cappella del Nume a vista di tutti. I Sacerdoti ne sigillavano
i vi dimostrava maggiore destrezza. Dopo la festa portavasi la statua del Nume intorno alle vigne, e se ne invocava la prot
attaccavano certe figurine di Bacco, dette oscille per la piccolezza del loro volto(c). Le Sacerdotesse di Bacco si chiam
stato gettato. La figlia, al vederlo, pel dolore s’appiccò(15). Mera del pari morì per eccessiva tristezza(a). Molti venne
e gli Edonj, avendo inteso dall’ Oracolo, che sarebbono stati privati del vino, Anchè fosse rimasto in vita Licurgo, lo fec
dilettevoli racconti, e tra questi la mutazione di colore delle more del Gelso(19). Rimbombò all’improvviso in que’ dintor
ntere, e talvolta da leoni o da linci(g). Virgilio dice che le redini del predetto carro crano formate di pampini(h). Fu ta
ov’ella nacque. Que’di Samo dicevano nella loro Isola, lungo le rive del fiume Imbraso (b). Altri dicono, che sia comparsa
vuole da Oceano e da Teti (e) ; i Greci dicevano dalle tre figliuole del fiume Asterione, dette Eubea, Prosinna, e Acrea (
ace, monte della Laconia, il quale poi fu detto Coccigio, ossia monte del cuculo (a). Per la medesima ragione gli Argivi ne
empre di Giove, lo andò cercando, nè potendolo trovare in alcun luogo del Cielo, abbassati gli occhi, alla terra, e osserva
Ovunque egli guârdasse, l’ animale eragli sempre presente. Nelle ore del giorno lo guidavi alle pasture, e nella notte lo
edersi questa Dea. Per questo pue fece ella provare a molti il rigore del suo sdeno. Tra gli altri spezialmente si nominano
sò questi di tutti i mezzi per uarirnele, e perfino promise una parte del suo reno, e una delle stesse sue figliuole in mat
10) ma di ciò non contento, fece sì, che Preto cedesse un’altra partè del suo Regno, e Lisippe a sue fratello, Biante (b) (
orpo di mele, e nudo Io lasciò esposto in un campo. Aedone ebbe pietà del marito, e si fece ad allontanare le mosche e gli
trimonio. Tale sacrifizio consisteva nell’ offerire alla Dea porzione del capelli della sposa, e una vittima, il di cui fie
tri dicono, ch’ella venne così denominata, perchè una delle ceremonie del matrimonio appresso i Romani era il dividere la c
di aver prole, si sottomettessero a’colpi di sferza, che i Sacerdoti del Dio Pane(15) al tempo de’ Lupercali(16) davano a
la Signora, perchè Giove, come abbiamo detto, era il re e il signore del Cielo e della terra. Sotto l’uno e l’altro titolo
un carro per la città, spargendo voce, che quella era Platea, figlia del re Asopo, cui Giove voleva sposare. Così si esegu
ella era una statua, e riconomendo l’azione, come un tratto d’astuzia del suo marito, so ne compiacque, e si rappacificò se
ome di lui fu detta Citeronia (b). Giove poi per ricompensare quel re del consiglio datogli, Io cangiò in un monte tra la B
rivo da Lacinio, promontorio d’ Italia, nella Gran Grecia, poco lungi del quale la Dea aveva un tempio ricchissimo (b). I C
mo (b). I Crotoniati professavano grande rispetto per quello. Al lato del medesimo eravi un bosco sacro, in cui si nutrivan
d’ Euristeo, fuggita da Argo, approdò a Samo ; e credendosi debitrice del felice esito della sua’ fuga a Giunone, si fece a
rubato quella statua, sperando poi di far postare ad Adniete la pena del furto, e di vendicersi così della di lei fuga. Co
a, e procurarono di placare da Deità, cui essa rappresentava. Sul far del giorno Admete s’ accorse, che mancava nel tempio
diede avviso a que’ di Samo. Costoco, avendola trovata sulla spiaggia del mare, credettero, che volesse fuggirsene ; e per
Tonee, nelle quali ogni anno portavano la medesima statua sulle rive del mare ; e dopo di a verle offerto certe focacce, l
a stata detta Feronia dalla città di questo nome, situata alle radici del monte Soratte, nella di cui sommità ella aveva un
avandosi il volto e le mani nella fontana sacra, che scorreva al lato del di lei tempio (c). Virgilio racconta, che rimasto
a Boopide, perchè veniva rappresentata con occhi grandi, coine quelli del bue (d). Si diceva Calendaride, perchè le erano c
e fecero strage de’ nemici. Il Senato riconobbe Giunone, come autrice del fatto sì felicemente riuscito, prese dal predetto
poi, e le sue compagne conseguirono la libertà, furono marine a spese del pubblico erario, ed ebbero la permissione di vest
li abiti delle Matrone Romane (b). Ebbe il nome di Lanuvia per cansa del tempio che aveva in Lanuvio, città del Lazio. Num
e il nome di Lanuvia per cansa del tempio che aveva in Lanuvio, città del Lazio. Numerose genti da per tutto concorrevano a
in una mano un pomo granato, e nell’altra uno scettro, sulla sommità del quale eravi un Cuculo (a). Le Feste, sacre a ques
r visitare le viscere più profonde della Sicilia. Quivi lungo le rive del lago Pergusa(b), o Pergo, vicino alla città di En
ssero in città(e). I Terentini presero il loro nome da Terento, luogo del Campo Marzio, ov’ eravi il tempio di Plutone, e u
. Valerio Poplicola, che gl’ instituì per la salvezza e conservazione del Romano Impetio(a). Prima del tempo de’ medesimi s
instituì per la salvezza e conservazione del Romano Impetio(a). Prima del tempo de’ medesimi si spedivano araldi per l’ Ita
cettro, ed ha nell’ altra varie chiavi. Queste indicano, che le porte del di lui Regno sono talmente custodite, che chi v’
na (b), figlia secondo Omero (c) di Saturno, e secondo Apollodoro (d) del Titano Ceo e di Febe. Giunone sdegnata, perchè Gi
ione avvenne non lungi dal fiume Cefisso, il quale scorre alle radici del fiume Parnasso (g). Apollo poi, secondo l’ordine
stituì i Giuochi Pitici (a) (5). Gli abitanti di quasi tutte le Isole del mare Egeo, conosciute sotto il nome di Cicladi, c
un inno, accompagnato colla cetra, in cui si cantava il combattimento del Nume contro Pitone (d). Il premio de’vincitori ne
Nume appresso Admeto, re di Fere nella Tessaglia. Egli lungo le rive del fiume Anfriso prese a pascerne gli animali. Quest
e Giacinto, figlio di Amicla Volle un dì divertirsì seco lui al gioco del disco ; ed essendo questo ricaduto con impeto sul
lora alzandovi le mura di Troja. Il Nume insieme con Nettuno, ramingo del pari sulla terra, esibì la sua assistenza a quel
a’suoi vaticinj. Digiunava tre giorni, beveva e si lavava nelle acque del Castalio fonte, e masticava foglie d’alloro, racc
pollo per mezzo della Pitonessa ricercò agli abitanti di Sifno, isola del mare Egeo, la decima parte di ciò, che ritraevano
due Divinità, le quali perciò si restituirono in Egialea. In memoria del fatto si dedicò un tempio a Pito, e ogni anno si
lo e Diana (a). Le Teofanie si celebrarono da que’di Delfo in memoria del giorno, in cui Apollo per la prima volta loro si
o de’mesi lunari, o solamente, come vuole Plutarco, il settimo giorno del primo mese di primavera, perchè que’di Delfo pret
vano nel portare focacce e rami d’alloro, e nel cantare Inni in onore del Nume (d). Le Azie furono così dette dal Promontor
dall’orzo cotto nel latte, ch’era in tal giorno la mater a principale del sacrifizio. Anche Apollo fu detto Galasio ; ma ta
ale maniera onorato(b). L’Epidemie si celebravano in Delfo in memoria del pellegrinaggio d’Apollo sulla terra(c). Dopo la b
otto il Consolato di Appio Claudio e di. Q. Fulvio Flacco, e dal nome del Nume chiamati Apollinarj(d). I Romani v’assisteva
osi nella Focide insieme con un certo Pagaso gittò i primi fondamenti del tempio di Delfo, sacro ad Apollo, e che perciò il
dalla peste nel tempo della guerra, che sostenevano con alcuni popoli del Peloponneso a’giorni di Pericle (a). Al nome di A
udirono dall’ Oracolo, che doveano fermarsi, ove i naturali abitanti del paese avrebbono loro mosso guerra. Costretti colo
re(c). E’ stato denominato Ismenio dal tempio, che avea lungo le rive del fiume Ismeno nella Beozia(d). I Tebani ogni anno
i si diede questo nome. Alcuni ladri, dicesi, rubarono tutti i tesori del testè nominato tempio, e li nascosero sotterra. U
o Dio per disprezzo fu gettata in mare. I flutti la spinsero sui lido del Peloponneso. Gli Spartani la raccolsero con tutta
lie. Le prime si celebravano ogni nove anni da’ Beozj. Allora la cima del tronco d’un ulivo, coronato di alloro e altri fio
a). Le Targelie si solennizzavano in Atene nel sesto e settuno giorno del mese Targelione. Il primo dì s’impiegava tutto ne
nto, quand’ anche il corso di lui fosse stato rapido al par di quello del Sole(c). Il Sole arse d’amore per la vezzosa Leuc
suoi raggi di aprire la strada alla misera, onde ritornasse alla luce del giorno, ma l’ industria riuscì vana, e la pietà f
acqua, e sempte se ne stette, accompagnando coll’occhio il movimento del Sole. Consumato in sì deplorabile condizione tutt
ne ; e queste, agitate dal vento, andarono ripetendo le stesse parole del servo, e manifestarono a tutti l’accaduto(a). Cer
o Corebo, Eroe d’Argolide, lo uccise. Non per questo cessò la collera del Nume, e colla peste desolò la città d’Argo. Coreb
dicato ; e il vicino villaggio fu da lui denominato Tripodisco, ossia del tripode (b). Apollo come castigò, così amò parecc
tigò, così amò parecchi altri. Tra questi sono celebri Cirene, figlia del fiume Peneo ; Ciparisso, figlio di Telefo ; Sinop
pollo ebbe a vederla nel momento, in cui, pascolando ella gli armenti del padre, combattè sola contro un leone. Ne ammirò i
che colei teneramente amava(c). Bolina, originaria d’Acaja, contrada del Peloponneso, era amata da Apollo, ma non voleva c
maturano(d). Apollo, come Dio delle Muse, dipingesi assiso sulla cima del Parnasso, circondato dalle Muse, di bell’aspetto,
a sempre d’abbattersi in lei. Era egli per raggiungerla sulle sponde’ del fiume, suo padre, quando la giovine chiamò il gen
ECate secondo alcuni era figlia di Perse e di Asteria, secondo altri del Sole e della Notte, o di Cerere e di Giove, o di
ve e di Latona. Fu detta Ecate, o perchè riteneva cento anni al di là del fiume Stige chi dopo morte era rimasto senza sepo
mata Titania (b). Ecate poi sotto il nome di Diana comparve alla luce del giorno sull’altissimo monte, Cinto, nell’ Isola d
nsultare al di lei pudore (d). Fece altresì esperimentare gli effetti del suo sdegno ad Atteone, cacciatore, nato dal celeb
). Nè sarebbe da maravigliarsi, che ciò avesse potuto essere la causa del di lui castigo. Sappiamo da Omero, che questa Dea
lui in matrimonio, ed era per chiamare la stessa Diana in testimonio del giuramento. Lasciò poscia cadere il pomo a’ piedi
ne le impediva. Avvertì finalmente Cidippe, ch’era quello un castigo del trascurato giuramento, e per non esperimentarlo p
a ottenne da Giove il privilegio di sempre dormire(8) in una spelonca del Latmo, monte della Caria (d). Era là, dove Diana
e la impaurì. Si ritirò alla riva dell’ Erimanto, e le apparve il Dio del fiume, chiamato Alfeo. Aretosa al vederlo fuggì,
o all’ Isola Ortigia, daddove la Ninfa si rimise in Sicilia alla luce del giorno. Aretusa fu quindi soprannominata Alfeiade
norata sotto il nome di Elafebola (e), o di Elafia, ossia cacciatrice del cervo, perchè in ciò spezialmente ella trovava di
ltresì un bosco. Un servo fuggitivo n’era il Sacerdote col nome di Re del bosco. Esso doveva aver ucciso di propria mano il
saissimo la caccia(11). Inseguì un giorno un cervo sino alla spiaggia del mare. L’animale si gettò a nuoto, ed egli fece lo
detta Munichia dal re Munico, figlio di Pentacleo ; o da quella parte del Pireo, che si chiamava Munichia, dove gli Atenies
tua della Dea. Ogni anno vi si celebrava la memoria della liberazione del predetto Oreste e d’ Ifigenia, della quale si par
rificarono molte fanciulle, e si fece una legge, che nessuna donzella del . Borgo si potesse maritare, se prima non era stat
a torre (a). Fu detta Trivia per le tre strade, ch’ella scorre, l’una del cielo, l’altra della terra, e la terza dell’ Infe
n fanciullo e una fanciulla per placarla, mentr’era adirata per causa del delitto, commesso nel di lei tempio da Cometo e M
ochi (e). Le Lafrie erano feste, le quali si facevano in Patra, città del Peloponneso nell’ Acaja. Augusto, avendo spopolat
o, l’altro in Efeso, e il terzò nella Chersoneso Taurica. Sulle porte del primo si appendevano delle corna di bue. Plutarco
Diana sul monte Aventino, avrebbe procurato alla sua città l’imperio del mondo. V’ andò egli. Il re Servio, avvertito del
sua città l’imperio del mondo. V’ andò egli. Il re Servio, avvertito del vaticinio, lo manifestò al Pontefice. Questi, per
ontefice. Questi, per deludere il Sabino, gli fece credere, che prima del sacrifizio conveniva, ch’egli andasse a purificar
lavava, il re sacrificò la gioventa, e ne attaccò le corna alla porta del tempio, a differenza di tutti gli altri tempj di
uovo tempio, che stavano innalzando alla Dea, purchè nell’ Iscrizione del medesimo avessero ricordato il di lui nome. Non v
, cosiochè questo secondo tempio niente era minore nella magnificenza del primo (c). Gli Sciti di nuovo lo distrussero (d).
andemo, ossia Popolare (a). Cicerone ne distingue tre : l’una, figlia del Cielo e del Giorno ; l’altra, prodotta dalla schi
a Popolare (a). Cicerone ne distingue tre : l’una, figlia del Cielo e del Giorno ; l’altra, prodotta dalla schiuma del mare
’una, figlia del Cielo e del Giorno ; l’altra, prodotta dalla schiuma del mare ; la terza, nata da Giove e da Dione, da cui
atini non fanno menzione, che di quella, la quale sortì dalla schiuma del mare, e fu risguardata come la Dea della bellezza
dalla schiuma del mare, e fu risguardata come la Dea della bellezza e del piacere(c). La medesima secondo Esiodo passò nell
; in Isparta, ove trovavansi molte statue di lei(1) ; in Lesbo, Isola del mare Egeo ; in Pafo, città dell’Isola di Cipro. C
ione, che si avea per lo stesso tempio, estendevasi anche a’sacerdoti del medesimo. Quindi si sa, che Catone offerì al Re T
tempio di Pafo, dedicato a Venere, furono fabbricati da Pafo, figlio del mentovato Pigmalione. Coloro, che così pretendono
predetto tempio di Venere in Cipro, dicesi che in esso col progresso del tempo la Dea abbia avuto un Oracolo il quale l’Im
ultò, quando, si trasferì in quell’ Isola per congratularsi con Galba del suo innalzamento all’ Impero(b). Si racconta inno
ce greca afros, schiuma, fu detta Afrodite, per alludere alla schiuma del mare, da cui era nata(i). E’stata denominata Gene
de(l), perchè si credeva, che ella avesse avuto parte nella creazione del mondo(m). Cesare, che pretendeva di descendere da
fatto prigioniero da certi corsali Tineni, poi liberato dalla figlia del loro capo, la quale se n’era invaghita, alzò sopr
del loro capo, la quale se n’era invaghita, alzò sopra un Promontorio del suo paese un tempio a Vedere, e la denominò Colia
Murzia. Ella aveva, una Capella non lungi dal Foro Boario alle radici del monte Aventino(a) (5). Plinio fa menzione del nom
Foro Boario alle radici del monte Aventino(a) (5). Plinio fa menzione del nome di Cloacina(b). Egli lo deriva dal verbo lat
fu consecrato per ricordare, che le Matrone Romane, durante l’assedio del Campidoglio fatto da’ Galli, si avevano reciso i
il nome di Automata, perchè improvvisamente si erano rotte le gomone del predetto naviglio ; l’altro sotto quello di Epide
evole giovine ne divenne amante(a). Si denominò Ericina dalla sommità del monte Erice, nella Sicilia, dov’ebbe uno de’più c
sse genti celebravano un’altra Festa, detta Catagogia, ossia la Festa del ritorno, perchè allora dalla parte dell’ Africa V
ò, e lo stese sull’arena. Venere, sebbene lontana, riconobbe i gemiti del moribondo. V’accorse sollecita, e alla vista d’Ad
). La Dea oltre Adone favorì anche Selinno. Pastore d’Acaja, contrada del Peloponneso. Questi piacque alla Ninfa Argira, la
sorte di Selinno continuava a destare compassione, gli fece obbliare del tutto la memoria di quella Ninfa. Per questo si c
utto la memoria di quella Ninfa. Per questo si credette, che le acque del predetto fiume avessero la virtù di far perdere a
a Mirina, sua moglie, una figlia, di nome Ipsipile. Costei ebbe pietà del suo genitore, lo nascose nel tempio di Bacco, e p
le piante sacre a questa Deità (b). La prima, perchè era stata tinta del sangue d’Adone, quando si punse con una di quelle
irto pure era grato a Venere, perchè nasce per lo più lungo le sponde del mare, dond’era nata la Dea ; ovvero perchè Venere
ond’era nata la Dea ; ovvero perchè Venere, trovandosi sulle spiaggie del mare per asciugarsi i capelli, e veggendo da lung
la nutrice di Netteno(b) (1). Questo Nume nella divisione dell’Impero del mondo ebbe la signoria del mare, delle isole, e d
). Questo Nume nella divisione dell’Impero del mondo ebbe la signoria del mare, delle isole, e di tutti i luoghi circonvici
che perchè trovò l’arte di cavalcare(a), ovvero perchè egli fece dono del cavallo agli uomini(b). Dagli Arcadi gli furono i
nche da’Romani col nome di Giuochi Consuali. Appresso Mantinsa, città del Peloponneso nell’Arcadia, eravi un antichissimo t
tenesse a Giunone, mentre lo pretendeva egli, inondò la maggior parte del loro paese. Il Nume finalmente alle preghiere di
esse, e vi riuscì(c) (4). Nettuno amò anche Pirene, figlia d’Ebalo, o del fiume Acheloo, come più comunemente si crede, e l
rinto dicevano, che Nettuno e il Sole pretendevano d’avere il dominio del loro paese. Briareo, uno de’Ciclopi, scelto per g
o con molta magnificenza. Eglino oltre i soliti esercizj della Corsa, del Pugilato, della Musica, e della Poesia, v’introdu
v’assegnarone de’doni ancor più ricchi. Tre volte si cantava in lode del vincitore un Inno, detto Callinico : una volta ci
degli animali, perchè l’amarezza di quello avea relazione con quella del mare(f). Non s’intraprendeva alcun viaggio maritt
a Nettuno una figlia di Clitone e di Leucippe. Questo Nume sul pendìo del Campidoglio aveva un tempio, e nel Circo Flaminio
tani(c). Il suo carro è una vasta conchiglia, tirata sulla superfizie del mare da animali anfibj, cioè mezzo cavallo e mezz
na spezie di tromba, formata d’una conca marina, annunzia la presenza del Dio delle acque. Altri finalmente ci danno a dive
divenne un asilo pe’ rei, e in cui si conservò poi la pelle e i denti del Cinghiale di Calidone(a) (2). Ebbe il nome di Boa
lunghezza(c). Custodi dello esso erano de’serpenti, che ogni primo dì del mese ricevevano dagli Agremoni sacerdoti il sacri
a gareggiare tra loro, Minerva non seppe trovare eccezione sul merito del lavoro e dell’arte, usata dalla sua competitrice 
e anche oggidì va tessendo una finissima tela per eternare la memoria del suo antico esercizio,(a) (4). Fu denominata Scira
, freno, perchè aveva in Corinto un tempio, ov’era adorata in memoria del freno, ch’ella mise al cavallo Pegaso, quando Bel
nella Beozia(b) ; o finalmente perchè venne alla luce il terzo giorno del mese, come vuole Callistene, citato da Tzétze(c).
izione, si ritirarono nel tempio di Minerva per sottrarsi agl’insulti del vincitore. I Dorj ne furono avvertiti, e appiccar
i dell’Isola di Creta, nell’andarsene a Trezene, vi rimasero lapidate del popolo, il quale allora trovavasi in tumulto. Gli
eressere in varie altre parti della torra, prova la grande estensione del di lei culto. Ella n’ebbe in Egitto, nella Fenici
u allevato da Priapo, che lo addestrò nella danza e in altri esercizj del corpo, per cui divenne siffatamente atto alla gue
mpilio, il quale allora vi regnava, venne in cognizione, che l’impero del mondo era destinato a quella città, in cui si sar
onservato quello scudo. Lo stesso re lo frammischiò con altri undici, del tutto simili a quello, affinchè la difficoltà di
istra. Cantavano anche certi Inni, ne’ quali celebravano pure il nome del predetto Mamutio, com’egli avea ricercato in prem
pure il nome del predetto Mamutio, com’egli avea ricercato in premio del suo lavoro (c). Altri sono di parere, che gli anz
mi e le Insegne militari (c). In tale occasione i soldati in presenza del popolo facevano anche la revista delle armi(3). G
igura di pastora, e la rendette madre di due gemelli. Ella per timore del padre li getto appena nati nel fiume Erimanto. Le
questa lo risguardava come il padre di Remo e Romolo, e il protettore del suo Imperio. Tra’ tempj, ch’ebbe appresso i Roman
dopo la battaglia di Filippo, era uno de’ più celebri. Nell’ ingresso del medesimo eravi la statua di Venere a lato di quel
a di essersi addormentato, quando dovea fare la sentinella alla porta del palagio di Vulcano, finchè Marte si tratteneva co
iove(a). Cicerone riconobbe quattro Vulcani, uno de’ quali era figlio del Cielo, l’altro del Nilo, il terzo di Menalio, e i
iconobbe quattro Vulcani, uno de’ quali era figlio del Cielo, l’altro del Nilo, il terzo di Menalio, e il quarto di Giove e
faceva in certe fucine, le quali si trovavano in Lenno, nelle caverne del monte Etna in Sicilia, e nelle Isole di Lipari, d
na sedia d’oro, la quale egli spedì in Cielo a Giunone per vendicarsi del disprezzo, ch’ella gli aveva dimostrato per causa
imostrato per causa della di lui bruttezza. La Dea, che non diffidava del figlio, allettata dalla bellezza del dono, si aff
tezza. La Dea, che non diffidava del figlio, allettata dalla bellezza del dono, si affrettò a sedervisi, e sì fortemente ne
i Re d’ Egitto erano andati a gara per abbellirlo. Innanzi al portico del medesimo v’avea la statua del Nume, alta sessanta
gara per abbellirlo. Innanzi al portico del medesimo v’avea la statua del Nume, alta sessanta cinque piedi. Vulcano ebbe mo
come lo erano que’ di Marte. Gli Auguri aveano giudicato, che il Dio del fuoco e quello della guerra non dovessero starsen
uso di tutte le cose, il quale servì di prima materia alla produzione del Mondo(b). (2). Virgilio parla dell’ Erebo, descr
e un fiume dell’ Inferno(d). (3). Oceano fu riconosciuto come un Dio del mare, marito di Teti, sorella di Saturno, e Dea p
alla Necessità, e il di cui ingresso non permettevasi che a’ ministri del medesimo(e) (d). Hesiod. Theog. 460. (a). He
o dal verbo latino eo, andare (b). (12). Gli Aborigini furono popoli del Peleponneso, passati a stabil rsi in Italia sotto
l primo, in quanto ch’ egli si risguardava preside alle quattro porte del Cielo, cioè all’ Oriente, al Ponente, al Settentr
o talento rinunziare ; quelli all’opposto erano sottoposti al dominio del loro padrone quasi non altrimenti che gli animali
dadi uno de’ convitati, a cui davano il nome di Simposiarco, ossia Re del Convito, perchè presiedeva alla mensa, eprescrive
convito. Le tazze, in cui beveano, erano coronate di fiori. Nel fine del pranzo si ungevano il capo d’unguenti odorosi, i
odorosi, i quali giudicavano opportuni a preservare da’tristi effetti del vino, di cui allora piucchè mai a dismisura usava
(d). Que’ d’ Eleusi le consecrarono un tempio(e). Finalmente parlando del Tempo, nociamo, che il Gentilesimo riconosceva pu
pure offrivasi come sacrifizio gratissimo agli Dei(e). Col progresso del tempo vi si sostituirono gli animali. Eusebio vuo
ò la voce immolazione (b). Indi si scannava l’animale, e si aspergeva del suo sangue l’altare. Se la vittima si lasciava co
ne recideva la testa, e questa colla pelle veniva appesa alle colonne del tempio. Si esaminavano poscia le interiora dello
rne de’ presagi, e si aspergevano di farina, o di vino, o di latte, o del sangue della stessa vittima. Al tempo del sacrifi
a, o di vino, o di latte, o del sangue della stessa vittima. Al tempo del sacrifizio si abbruciava pure dell’incenso, e dal
offrivasi il sacrifizio(a). Quest’ acqua si conservava sull’ingresso del tempio in un vaso, chiamato Acquiminario. Notisi
gli affari pubblici e privati. L’utile poi, che gli astuti Sacerdoti del Paganesimo ne ritraevano, fece sì che sempre di n
erudirli in quell’arte il primo sia stato Tage. Festo lo fa figliuolo del Dio Genio, e nipote di Giove. Altri dicono ch’egl
artito. Questo Indovino conseguì un tempio in Clazomene, ove a motivo del mentovato tradimento era proibito alle donne il m
ccelli predicevano l’avvenire(b). Tale distinzione però col progresso del tempo svanì, e il nome di Auspici si estese anche
quindici. Il più vecchio d’età n’era il capo, echiamavasi il Maestro del Collegio (e). Gli Auguri custodivano certi fatidi
olli. Era loro interdetto l’esplorarne gli andamenti fuorchè all’alba del giorno. In questo tempo i sacri Ministri, detti p
iosi nascondesse in quelle acque. Lara, o’ Laranda, o Larunda, figlia del fiume Almone, palesò a Giunone e a Giuturna la di
Costei perciò fu denominata Tacita o Muta, e fu venerata come la Dea del silenzio, a cui si porgevano voti e sacrifizj per
fatto morire Osiride, e dopo di averlo vinto e ucciso salì sul trono del padre, ma poi dovette soccombere sotto la forza d
rincipi Titani, che lo misero a morte. Iside, avendo trovato il corpo del figlio nel Nilo, gli restituì la vita, lo rendett
gli Egiziani ad adorare un bue, candido la fronte, e nero il restante del corpo. Non lo lasciavano lungo tempo in vita ; e
negli stagni, si dicevano Limniadi(c) ; Nereidi si chiamavano quelle del mare, nate da Nereo, e da sua sorella, Doride. Qu
a Grecia boschi e altari in varj luoghi, e spezialmente lungo le rive del mare(l). Erano invocate, onde rendessero placido
e il nome di Potamidi(p). Tra queste la più bella era Egle(a), figlia del Sole e di Neera(b). Cinque delle Najadi fecero un
isdegno gonfiò le sue acque, e trasporto nel mare le Ninfe e il luogo del sacrifizio. Nettuno per compassione le cangiò in
. Alcuni credettero, che grata altresì riuscisse ad esse l’obblazione del mele, spremendosi questo da’ fiori, de’ quali ell
o se ne invaghì. Giunto quegli all’età virile, si trasferì alla Corte del Re di Pessinunte per isposarne la figliuola. Agde
empo di notte(g). Tralle Vestali parimenti una certa Emilia, accusata del medesimo delitto, invocò la sua Dea, e gettato il
corda coll’ Epoca di Euripide(h). La Delfica chiamavasi Dafue, figlia del Tebano Tiresia, celebre Indovino, di cui parlerem
della sua gioventù. Quindi tutti sopra di lei si accumularono i danni del tempo ; e dicesi che avesse 700. anni, quando la
te nel tempio di Apollo dal fondo di un antro, uscendo da cento parti del medesimo orribili voci, che rendevano attonito ch
i suo natali in Babilonia(b). Pausania riferisce, che no bosco sacro del tempio di Apollo Sminteo sussistevi ancora a’ suo
piantavano sempre intorno a questi, e sì gli uni che gli altri erano del pari rispettati. Tagliare alcun ramo del sacro bo
gli uni che gli altri erano del pari rispettati. Tagliare alcun ramo del sacro bosco era gravissimo delitto. Neppure era l
morte a quello, che avesse lasciato leggere que’ libri senza decreto del Senato. Questo sì prezioso tesoro dopo 450. anni
Senato. Questo sì prezioso tesoro dopo 450. anni perì nell’ incendio del Campidoglio sotto la Dittatura di Cornelio Silla(
Ottacilio, e L. Valerio ve ne riportarono mille versi. Col progresso del tempo se ne raccolsero inoltre da varj altri luog
a, soggiungendo al tempo stesso che la morte sarebbe stata il castigo del vinto. Benchè terribile, fu tuttavia accettata la
egareo, e di Merope, aspirò anch’ egli a quelle nozze, nè si sbigottì del tristo fine di tanti altri, ma supplice ricorse a
ppomene, nè più gli contrastò il trionfo. Ippomene sconoscente obbliò del tutto il favore ricevuto da Venere. La Dea, volen
o di Celeo, ch’eglino sieno stati quelli ; i quali avvertirono Cerere del ratto di sua figlia, e che la Dea per gratitudine
coltivare la terra (c). Igino (d), e Lattanzio (e) lo chiamano figlio del re Eleusio : Secondo questo ultimo Scrittore la m
questa, salita di nuovo sopra il suo carro, lasciò Deifonte in preda del fuoco (h). (7). I Serpenti, detti anche Dragoni,
Re de’ Geti, popoli di Misia, perchè egli fece morire uno de’ Dragoni del carro, consegnato a Trittolemo (e). Rapporto poi
detta Costellazione altri dicono, che Ercole, avendo liberato le rive del fiume Sangario da un grosso serpente, che ne divo
tissimi anni il privilegio, che uno di loro fosse sempre il Gerofante del tempio di Cerere in Eleusi. Chi avea conseguito t
elebravano o per onorare i Numi e gli Eroi, o per esercitare le forze del corpo, o per correggere i costumi dell’ animo (f)
’ quali si descrivevano le gesta de’ Numi e degli Eroi. Col progresso del tempo si rappresentarono gli stessi Fatti, favend
danse ed altri spettacoli (b). I Ginnici comprendevano varj esercizj del corpo, e tra questi i principali erano la Corsa,
minarono anche Atleti (n). Questi, per impedire il freddo nel momento del sudore, usavano un certo abito di lungo pelo, det
ano disputare na loro il premio, stabilito da Achille nell’ esercizio del Disco, Achille lo diede subito ad Agamennone (b).
rminava che colla vita (g). Eccone l’origine : Acca Laurenzia, moglie del pastore Faustolo, e nutrice di Remo e di Romolo,
Di Polibote leggesi, che mentr’egli toccava co’piedi il più profondo del mare, la superfizie di questo appena gli arrivava
i Egiziani solevano dire, che i vapori di quella palude erano effetto del respirare, che vi faceva lo stesso Gigante : e qu
o una statua in Alti(a). Ligdamide Siracusano rinovò il combattimento del Pancrazio, e quello della corsa a cavallo(b). Cle
e chiudendo con tutta la forza le labbra, così si gonfiava i muscoli del corpo, che si spezzava la fune(a). Finalmente que
he gli Efesini gli offrirono una somma d’argento, ond’egli si dicesse del loro paese. I Cretesi, come lo seppero, lo puniro
Teopompo, figlio di Demarato, riportò ne’ Giuochi Olimpici il premio del Pentatlo. Lasciò un figlio dello stesso suo nome,
retta da’ suoi concittadini, per premiarlo d’aver riportato il premio del Pancrazio tre volte a’ Giuochi Istmici, due a’ Ne
i quel la d’uomini, che correvano a piedi. Davasi anchè lo spettacolo del Pugilato, della Lotta, e della Naumachia (e). Que
se ne andarono colla corona e colla palma al Campidoglio. In memoria del qual fatto la Porta, per cui que’cavalli rientrar
ra indicasse, che i consigli devono essere secreti (c). Col progresso del tempo tali Giuochi si celebrarono con maggiore ma
I Greci credevano, che fossero stati così denominati da Circe, figlia del Sole, perchè questa fu la prima, che l’introdusse
itise. (19). Arnobio dice, che il Giove Conservatore era Esculapio, del quale parleremo (h). (e). Cic. pro Rabir. (20
el. de Rom. Rep. (a). Calep. Sept. Ling. (21). I Romani a motivo del fatto riferito ebbero le oche in grande venerazio
iferito ebbero le oche in grande venerazione. Le alimentavano a spese del pubblico nel Campidoglio ; e ogni anno ne conduce
messa, mentr’era Censore (a). Dopo sedici anni si fece la dedicazione del medesimo tempio da C. Licinio Lucullo, il quale v
iamo, che Capaneo, dopo essere rimasto fulminato, ricevette gli onori del Rogo (g). Il Rogo era un mucchio di legna per abb
o v’appiccava il fuoco. Vi si gettavano ad ardere le più ricche vesti del defonto, e le di lui armi, se era stato guerriero
rzate ch’erano le fiamme, i parenti raccoglievano le ceneri e le ossa del morto, non consumate dal fuoco (c) : lo che si di
niero, nol introducesse in casa propria, e non gli presentasse subito del sale (m). Le donne lavavano i piedi agli ospiti (
a vicende volmente confabulare su tal proposito. Ercole si compiacque del soprannome, ch’eragli stato imposto, proruppe in
. (31). Prometeo, per essersi considerato come il primo ritrovatore del fuoco, ebbe nell’Academia d’Atene un’Ara comune c
uesti per la stessa ragione al teizo. Quegli, che giungeva al termine del corso, senzachè di si fosse mai smorzata la fiacc
rono consecrate anche a Vulcano e a Minerva, perchè il primo permezzo del fuoco ridusse durissimi metalli a varie forme (c)
(33). La madre d’Arcade fu Callisto, nata da Licaone, re d’Arcadia, del quale abbiamo parlato. Colei era esperta nell’uso
e spettava il custodire la porte dell’Olimpo (e), e l’essere ministre del Sole (f). Omero v’aggiunge, ch’elleno suscitavano
ita ; ma venuto il tempo, in cui i due bambini doveano vedere la luce del giorno, la terra nuovamente si aprì, e queglino c
(f). Di Cario finalmente narrasi, che passeggiando egli lungo le rive del fiume Torrebia, udì il canto delle Ninfe di quell
mai colpita dal fulmine ; di poter fissare sempre gli occhi ne’raggi del Sole, senza rimanerne abbagliata (f) ; e di esser
Ovid. Metam. l. 3. (3). Euripide dice, che fu Dirce, una delle Ninfe del fiume Acheloo, quella, che trasse Bacco dal seno
n capretto, e lo consegnò a Mercurio, affinchè lo portasse alle Ninfe del Monte Nissa(h). (c). Huet. Demonstr. Evang. Pro
li Dei trasferite in Cielo, ove formano una Costellazione nella testa del Toro, esse, quando nascono o tramontano, producon
cinque anni nella Beozia, ricorsero supplici a Giove, e tra la bocca del Toro e la coda dell’ Ariete ne vennero cangiate i
dia(e). Le figlie di Atlante furono soprannominate Atlantidi dal nome del loro padre(f). Il nome poi di Plejadi deriva dal
ra gli uomini(a). Pomponio Mela lasciò scritto esservi state al di là del monte Atlante certe Isole, nelle quali di notte s
inato Littorale, perchè i Romani gli eressero un tempio lungo le rive del mare ; e si denominò anche Dendroforo, perchè i d
i particolari. Il Dio Forculo presiedeva a ciò, che chiude l’apertura del muro, per cui si entra ed esce dalla casa(f). Il
dio(a) viene confusa con Carna, la quale presiedeva alle parti nobili del corpo umano. La medesima da principio era una Nin
La medesima da principio era una Ninfa della selva Elerna no’dintorni del Tevese, conosciuta sotto il nome di Grane, e la q
nte racconto : Bacco co’suoi seguaci erasi recato a rivedere le vigne del Timolo e del Pattolo, monte quello, e questo fium
: Bacco co’suoi seguaci erasi recato a rivedere le vigne del Timolo e del Pattolo, monte quello, e questo fiume della Lidia
di Bacco, che ne lo liberasse. Il Nume lo mandò a lavarsi nelle acque del fiume Pattolo : dal che ne nacque, che le vicine
celebrazione di tali Feste(f). Finalmente in questo tempo si offriva del nuovo vino a Giove, perchè i Latini, guerreggian
pretendono, che l’anzidetta Festa, Eora, si fosse instituita in onore del re Temaleo, o di Egisto e di Clitennestra (c). (
anta s’immerse la spada nel seno. Passò l’umor sanguigno per le fibre del Gelso, e tinse le bianche more di color nero, mis
’amante, impugnò anch’ella il ferro, s’aprì le vene, e spirò. Le more del Gelfo fin d’allora non riacquistarono più la prim
Ladone (g). Aveva cento teste e varie voci (h). Rapporto alla origine del medesimo Apollonio lo fa nascere da Tifone e da E
porzione de’ suoi Stati (a). (4). Argo ebbe in moglie Ismene, figlia del fiume Asopo, la quale gli partorì un figlio, dett
quale fu cangiato in isparviero da Nettuno, perchè avea somministrato del formento a’ Trojani, che il predetto Nume voleva
t. l. 2. & 3., Ovid. Metam. l. 1. (6). Epafo sposò Menfi, figlia del Nilo, e fabbricò una città, cui diede il nome di
, contro di cui egli nuttiva irreconciliabile odio. Biante coll’ajuto del di lui fratello, Melampode, vi riuscì nell’impres
catevi altre fila di color porporino, con queste descrisse l’atrocità del misfatto, e l’empietà del colpevole. Compito il l
porporino, con queste descrisse l’atrocità del misfatto, e l’empietà del colpevole. Compito il lavoro, lo consegnò ad una
ette Feste. Mangiò Tereo, nè seppe di mangiare le sue carni in quelle del figlio. Non avea per anco finito di cibarsene, ch
quelle del figlio. Non avea per anco finito di cibarsene, che ricercò del suo Iti per divertirsi seco lui. Comparve allora
tirsi seco lui. Comparve allora Filomela, e gettò sulla mensa il capo del fanciulletto. Stette Tereo per qualche tempo immo
vano voti ed offerte, affinchè la novella sposa permanesse nella casa del marito (b). Per lo stesso oggetto si venerava il
tori sulla di lui nascita. Erodoto lo fa nascere in Arcadia alle rive del fiume Ladone da Mercurio, e da Penelope, figlia d
ento musicale prese il nome di Siringa da una Ninfa d’Arcadia, figlia del fiume Ladone. Era colei di avvenenza e leggiadria
to rustico Nume tenne dietro a Siringa dal colle Liceo sino alle rive del predetto fiume. A quel varco trovandosi la giovin
dette da’ Greci Licee, si celebrarono da prima nell’Arcadia in onore del Dio Pane (f), e da Evandro vennero poi trasportat
do poi al sacrifizio della capra, narrasi, che a questa col progresso del tempo siasi sostituito un irco (d). Dicesi finalm
l matrimonio. Lo sposo spediva alla sposa un anello (h), o come segno del loro scambievole amore, ovvero affinchè in forza
lla sposa ; finalmente nel terzo giorno conduceva la sposa dalla casa del padre alla sua. La sposa allora vestivasi di lung
edeva con una fiaccola. Questa, primachè la sposa entrasse nella casa del marito, veniva dagli amici rapita, acciocchè cole
vicina morte dell’uno o dell’altra (d). Giunti alla porta della casa del marito, la quale era ornata di rose, mirti, e all
20). Certe Ninfe, dette Citeronidi, perchè abitavano un antro in cima del monte Citerone, è fama, che ispirassero gli abita
cione ne attendeva alla nascita (l), e avea un tempio in Ardea, città del Lazio (a) ; Alemona, o Alimona presiedeva al nutr
di ognuno che nasceva (h). Vagitano, o Vaticano presiedeva a’ vagiti del bambino (i) ; Rumilia (l), o Rumia, o Rumina al l
(e). Declaustre Diction. Mythol. (f). Id. Ibid. (24). Parlando del tempio, che Giunone aveva in Argo, ci si risvegli
anime. Dal che s’inferisce, che l’uomo anche tra le più dense tenebro del Paganesimo conservò sempre nel suo cuore il senti
iene numera tre sole(e). Tre lingue pure gli vengono date(f). La coda del medesimo terminava colla testa di serpente. Egli
de’viventi n’ è l’immagine ; però soggiungesi, che la Morte è sorella del Sonno(b). Quindi gli Spartani rappresentavano ne
o d’un moute presso gl’Italici Cimmerj(b). Omero colloca il soggiorno del Sonno nell’ Isola di Lenno ; e soggiunge, che il
forme, quante spighe ha una messe, frondi una selva, e arene il lido del mare(g). I più noti sono Momo, Monfeo, Fantaso, e
li uomini(e). Alcuni però nol riconoscono per figlio, ma per ministro del Sonno(g). Fantaso, così detto dallo sconcertare c
i ebbero una Statua in Sicione nel tempio di Ercole, a lato di quella del Sonno(a). Nè quì è fuor di proposito il notare al
te la conservazione de loro vascelli(b). (5). Le Furie, ossia le Dee del furore(c), furono figliuole d’ Acheronte e della
lestine da Paleste, città dell’ Epiro(a) ; Aristofane le appella Cani del Cocito, e Apollonio Cani di Giove. Elleno finalme
e ebbero un tempio anche nella decima quarta Regione di Roma al di là del Tevere. (6). Le Arpie erano uccelli rapaci, così
la sua figliuola, Filonoe(f) o Achemenia, in matrimonio, e una parte del suo regno(g). Dicesi, che l’anzidetta moglie di P
taglia il filo(n). L’opinione co nune è, che dipendessero da’ voleri del Destino(a). Esiodo ce le descrive come persecutri
orpo sottile, di cui n’era rivestito lo spirito, e che avea la figura del corpo umano. Quest’ ultima parte dell’ uomo era q
osservato. Gli stessi Dei, se mancavano al medesimo, venivano privati del nettare, e spogliati della Divinità, nel quale st
llo Stige sta continuamente specchiandosi il giovine Narcisso, figlio del fiume Cefisso, e di Liriope, bella Ninfa della Be
lo stesso avessero la virtù di togliere a chi le bevea, la ricordanza del passato(e). Tale immaginazione derivò dal favolos
; altrimenti venivano trasferite nell’ Erebo(g). Era questi figliuolo del Caos e della Caligine, e padre della Notte(h). Ci
lie, la quale avea eseguito il comando datole solamente per far prova del di lei amore ; che avendo ottenuto il permesso di
ere sullo stesso un carro, che produceva uno strepito simile a quello del tuono ; e da di là lanciava fiaccole accese a gui
non li mise in libertà, affinchè spiegassero il volo in diverse parti del mondo ; ma essi tosto ripresero invece il loro pr
safone gli onori divini(a). Emo finalmente, re della Tracia, e figlio del fiume Strimone, e Rodope, di lui moglie, vollero
i il nettare e l’ambrosia per farne dono agli uomini(f). Lo Scoliaste del predetto Poeta vuole, che Tantalo siasi appropria
ei, e volendo accertarsi, se erano tali, offerì loro in cibo le carni del suo figliuolo, Pelope ; che Cerere, niente accorg
on vuole, che Pelope sia stato messo a morte dal padre, ma che nej dì del predetto convito Nettuno lo abbia rapito onde gli
E perchè Pandaro o’ Pandareo, abitante di Mileto, era stato complice del mentovato delitto di Tantalo, perciò Giove volle
e fatrolo morire, salì sul di lui trono (b). Iperinnestra in memoria del predetto fatto, felicemente riuscito, fabbricò un
rappresentasi collo scettro in mano, assiso sopra un tribunale, appiè del quale concorrono le ombre a rendere conto delle l
iole, e secondo altri dei narcisi. Panfo, poeta anteriore ad Omero, è del sentimento di questi ultimi (c). In Sicilia quind
lla Dea (e). (a). Claud. l. 2. de Rapt. Proserp. (23). In memoria del matrimonio di Plutone con Proserpina si celebraro
non sorprendeva alcuno, se prima Proserpina non avea svelto dal capo del moribondo un capello, detto perciò fatale. Ne’sac
ino avrebbono riacquistata la salute, qualora egli, seguendo il corso del Tevere, li avesse condotti sino a Terento. Valesi
un bicchiere, attinse dell’acqua di quel fiume, e la portò, ove vide del fumo ; ma non trovandovi scintilla di fuoco, ne l
fini della Licia. Assetata pel caldo eccessivo, scuoprì in un vallone del monte Chimera certa acqua stagnante, bastevole a
donne Romane le eressero un tempio vicino al Tevere nell’infima parte del Campidoglio, quando fu loro restituito l’uso del
re nell’infima parte del Campidoglio, quando fu loro restituito l’uso del cocchio, di cui erano state private per decreto d
restituito l’uso del cocchio, di cui erano state private per decreto del Senato. Il nome di questa Dea fu dato da’ Romani
te perciò Carmentali. Al tempo di queste queglino sacrificavano prima del mezzodì a Carmenta, perchè avea predetto molte co
Apollo ne trasse fuori il bambino, e lo trasferì in Delfo alla porta del di lui tempio. Il Nume inspirò alla sua sacerdote
commesso. Jone alla testa de’ convitati chiese giustizia da’ministri del tempio, ed essi condannarono la regina ad essere
precipitata dall’alto d’una rupe. Creusa si ritirò appresso l’altare del Nume. Jone era per farnela allontanare, quando co
mieramente facevano un sacrifizio solenne a Cerere, come Dea tutelare del luogo. Que’, che presiedevano a tale sacrifizio,
to, e Pale(f). In onore di questa i Pastori celebravano nel principio del mese le Feste Palilie o Parilie, affinchè ella al
rcole(g). (f). Joh. Jacob. Hofman. Lex. Univ. (20). Sulla sommità del Promontorio dell’ Isola di Leucade v’avea un temp
dei tempj(b), e fu soprannominato Branchiade(c), e Filesio a cagione del bacio ricevuto da Branco(d). Branco pure dopo mor
Sul monte Soratte eravi una fontana, la di cui acqua bolliva al levar del Sole, e faceva morire sull’istante gli uccelli, c
l suo carro nell’ Esperia, e ch’ella fissò la sua dimora in un’ Isola del mare Siciliano, la quale si denominò Circea(e). C
ircea(e). Circe, trovandosi in Italia, fece esperimentare gli effetti del suo sdegno anche a Pico, antico re del Lazio, fig
fece esperimentare gli effetti del suo sdegno anche a Pico, antico re del Lazio, figlio di Saturno, e Augure famoso. Quegli
figliuolo di Giove e della Ninfa Io, negò, che colui fosse figliuolo del Sole. Faetonte se ne querelò appresso Climene, su
Faetontide(b). Febo altresì, preso da grave tristezza per la perdita del figlio, privò per un’intera giornata della sua lu
io di Faetonte. Anch’egli n’ebbe tal’eccessivo dolore per la sciagura del nipote, che, abbandonate le cure dello Stato, sol
aetonziadi dal loro fratello, Faetonte(e). Solevano pascere le greggi del loro padre nell’ Isola Trinacia(f). (a). Metam.
(d). Id. Ibid. l. 4. (32). Mimnermo riconobbe le Muse come figlie del Cielo, e più antiche di Giove. Altri le dissero f
issea, e l’Eneide. Vuolsi, che da Calliope sia nato Jalemo, inventore del canto lugubre(i). Le Muse si chiamarono anche El
all’ Olimpo, e sacro ad esse. Sul predetto monte trovavasi una fonte del medesimo nome, la quale era parimenti sacra alle
e(g). Queste vennero chiamate inoltre Camene a cagione della dolcezza del loro canto(h). Varrone pretende che anticamente i
dell’oro, la trasse un dì nel tempio di Minerva, e la rendette madre del medesimo cavallo(a). Notiamo per ultimo che alle
piegava che l’idromeli, ossia certa acqua mellata, che avea il sapore del vino(c). (34). Il Parnasso è il più alto di tutt
u l’arca di Deucalione, la quale era stata ivi trasferita dalle acque del Diluvio(e). Acquistò poi il predetto nome da Parn
cono, di Nettuno(f). Egli trovò l’arto di predire il futuro per mezzo del volo degli uccelli, e inoltre fabbricò una città
sto di vivere(b). Il Parnasso divenne famoso anche perchè sulle vette del medesimo si ritirarono Deucalione e Pirra, quando
ne a singolare tenzone(g). Sopra il medesimo monte trovavasi la tomba del celebre Orfeo, di cui parleremo(h). (36). Il Pie
assero il genio della Poesia(d). (39). Il Castalio scorre alle falde del Parnasso. Pretendevano, che non solo le acque, ma
me d’ Ippocrene, e appresso i Latini quello di Caballino, ossia fonte del Cavallo (g). Secondo i Poeti anche chi bevea a qu
ncio le di lei guancie. Minerva per accertarsene si recò ad una fonte del monte Ida, e non appena v’ osservò la sua deformi
rificare il carro a Giove. Gordio si fece dirigere da lei nella forma del sacrifizio, la sposò, e n’ebbe Mida. Insorsero fr
nutrice. Rimase deluso il materno tentativo, poichè Eolo udì i vagiti del bambino, e comandò, che quello fosse tosto espost
a, affinchè di sua mano si uccidesse. Macareo, informato dello sdegno del padre, si ritirò in Delfo, dove fu ammesso tra’ S
di Crotopo,-re d’Argo. Colei non appena lo partorì, che temendo l’ira del padre, lo nascose tra certi virgulti, dove i cani
fu dagli Sciti creato loro re. Egli poi ebbe la temerità di far prova del suo canto colle Muse ; ed essendone rimasto super
ttaccarono Dirce alla coda d’un toro indomito, il quale colla varietà del suo corso la fece morire di mille morti, e vi reg
uantità di ricchezze, volle ritornarsene donde era partito. I marinai del naviglio, su cui era salito, determinarono di pri
ad Orfeo disfogare notte e giorno col pianto la sua doglia ne’ campi del monte Rodope, nella Tracia, ma risoluto di discen
cendere nel Regno di Plutone, se ne aprì il varco per l’ampia caverna del Promontorio di Tenaro. Giuntovi appena, v’ addorm
rimenti la avrebbe nuovamente perduta. Era ormai per rivedere la luce del Sole, quando temendo, che la moglie nol seguisse,
che il capo e la lira di lui, gettati nell’ Ebro, furono dalla forza del fiume trasportati in Lesbo ; che poi la stessa li
l vincitore. Etolo restò seco lui ; ma Peone si trasferì sulle sponde del fiume Assio, e ne diede il suo nome a quella part
ano, ma non intieramente. I capelli tosati venivano riposti sul petto del morto, come ultimo dono. Molti altri esterni ecce
ore si manifestavano allora, strappatura cioè di capelli, lacerazione del petto e de’fianchi sino a sangue : il quale costu
la moneta, di cui abbiamo parlato. I Greci ponevano anche alla porta del defonto un vaso d’acqua, affinchè si purificasser
are il cadavere. Alle porte si appendevano altresì i capelli tagliati del morto(a). La pompa funebre in Roma sempre seguiva
a pompa funebre in Roma sempre seguiva di notte, e nella Grecia prima del nascere del Sole. Il morto portavasi sul feretro
bre in Roma sempre seguiva di notte, e nella Grecia prima del nascere del Sole. Il morto portavasi sul feretro da’più stret
o(c) ; innoltre i Liberti Orcini, ossia que’servi, che per testamento del defonto aveano conseguita la libertà(d). Finalmen
(f). Vestivano alle volte anche il Ricinio, abito corto, mezza parte del quale gettavano dietro le loro spalle(g). Se il D
colonne e statue, che ornavano i sepolcri, e alludevano alle imprese del defonto. Ne’sepolcri si accendevano lampadi, dett
proibito da una legge delle dodici Tavole(d). Finalmente la famiglia del morto per tre giorni si Ourificava dall’infezione
ggiornava Erone, bellissima sacerdotessa di Venere. Sull’opposta riva del predetto mare trovavasi Abido, ove abitava il gio
e all’amata giovine non gli permise d’aspettare, che il mare si fosse del tutto abbonacciato, nè avendo forze bastanti a su
etillide (b). Riguardo alle Genetillidi, Suida le considera come Genj del seguito di Venere. (a). Job. Jacob. Hofman. Lex
e si frammischiò tralle nobili donne Ateniesi, allorchè lungo le rive del mare celebravano i Misterj di Cerere, a’quali anc
queste forse non furono che tre giovinette, le quali per la vivacità del loro spirito, e per la loro bellezza moritarono d
a e di Giove(b) ; altri di Giove e di Autonoe(c) ; ed altri di Egle e del Sole(d). Esiodo finalmente dice, ch’elleno nacque
pubblici e privati conviti(f). Le Grazie soggiornavano lungo le rive del Cefiso, fiume della Beozia, per cui si denominaro
del Cefiso, fiume della Beozia, per cui si denominarono anche le Dee del Cefiso. Alle medesime si celebravano le Feste Car
lla maniera di rappresentarle. Comparivano giovani, perchè la memoria del benefizio non deve mai invecchiare ; vivaci, perc
Tuttavia ambedue restatono di piccola statura(f). E’famosa l’Istoria del matrimonio di Cupido con Psiche. I genitori di qu
l. l. 7. (a). Paus. l. 7. (a). Ovid. Metam. l. 14. (b). Traduz. del Pitisc. (c). Stat. Theb. l. 4. & 5. (a).
’era il nome della figlia di Laomedonte) legata ad un sasso sull’orlo del mare, fu costretta a soggiacere alla non meritata
Venilia e Salacia, i quali due nomi esprimevano il flusso e riflusso del mare. Vuolsi, che sia stata chiamata pure Salacia
e tutto quel, che di tristo era per accadere alla sua patria a motivo del ratto di Elena, di cui parleremo(f). Pretendesi,
anze(c). Notisi per ultimo, che Nereo secondo altri Poeti era un Nume del mare antichissimo, e creduto figlio d’Oceano e di
h), perchè faceva successivamente passaggio da una in un’altra forma, del tutto diversa. Compariva acqua, fuoco, fiera, alb
o sott’acqua, e dava a credere, che avesse secreti colloquj cogli Dei del mare. Finalmente si annegò, o fu messo a morte da
a il fatto diversamente : Glauco, dic’egli, passava i giorni sul lido del mare, ove stava asciugando le reti, o numetando i
tà, o dalla efficacia di quel terreno. Credette alfine, che nell’erbe del medesimo potesse esservi qualche virtù ; ne gustò
e per lui, e lo eccirò ad amare piuttosto lei, che, come Dea e figlia del Sole, più meritamente poteva divenire l’oggetto d
ltri dissero, ch’ella comparve con sei reste di cane, e col rimanente del corpo, simile a quello de’serpenti (d). Anche Ome
le, e ne rimase ucciso (e). (10). Cencreo nacque da Salamina, figlia del fiume Asopo. Nettuno, avendola rapita, la traspor
a del fiume Asopo. Nettuno, avendola rapita, la trasportò in un’isola del mare Egeo, vicina a quella d’Egina. Cencreo ne di
ippa, la quale dal giorno, in cui eglino nacquero, viveva per comando del padre rinchiusa in una carcere. Beto ed Eolo si a
i ci descrivono Tritone, come un Dio possente, che regna negli abissi del mare, e il di cui uffizio principale è quello di
are le procelle. Gli Antichi lo rappresentavano nella parte superiore del corpo simile all’uomo, e nel rimanente al pesce c
oda(i). (d). Paus. l. 2. (15). Altri dicono, che Melicerta, figlio del Tebano Atamante, e d’Ino, fuggendo colla madre da
figlio del Tebano Atamante, e d’Ino, fuggendo colla madre da’ furori del padre, si precipitò nel mare, e venne portato sul
ortunali, e in greco Palemonie. I Romani le celebravano lungo le rive del Tevere presso il predetto monte(b). Stazio ne fa
circostanza si sacrificava(c). I Venti secondo Esiodo erano figliuoli del Gigante Tifone, eccettuati però i Venti favorevol
ero(e), e Virgilio(f) stabiliscono il soggiorno de’ Venti nelle Isole del Mediterranco, situate tra l’Italia e la Sicilia,
commettesse al Sonno di far sapere ad Alcione per sogno l’infortunio del di lei marito, Ceice. Così si fece ; Morfeo, sped
ò il suo rio destino. Il dì seguente ella ne vide il corpo sulle rive del mare. Allora tal dolore la prese, che corse a pre
atili(b). Non è da confondersi l’anzidetta Alcione coll’altra, figlia del fiume Eveno, moglie d’Ideo, e primieramente chiam
encrazione. Così fu chiamata da Tazio, il quale, volendo impadronirsi del Campidoglio, invocò questa Dea, onde gliene apris
ide asperso di sangue l’ispido corpo. Se fastosa ne andava la giovine del colpo felice, non meno ne gioiva Meleagro, che ar
nominata Alcione, perchè, come un’altra Alcione, avea pianto la morte del suo marito. Diana alla fine, soddisfatta di tali
r viaggio, e il suo corpo fu da Diomede fatto trasferite in una città del Territorio d’ Argo, la quale portò poscia il nome
ter. Archaeol. Graec. l. 2. (6). Anche altre Dee si videro ricoperte del Peplo. Esso d’ordinario davasi alle Grazie (e). U
o, che l’armata Romana dopo la sconfitta, data a’ Volsci, per comando del Console consacrò a Lua le armi di coloro, ch’ era
sia guerriera, verso cui il Console scagliava un’ asta, quando a nome del popolo dichiarava la guerra a qualche Nazione(d).
redizioni (g). Gli stessi Sacerdoti si appellavano Comani dalla città del medesimo nome, nella quale trovavasi un tempio, e
i, citate dagli Oratori, si sospendeva il corso di quella (b). A lato del medesimo Tribunale v’ erano due colonne, sopra le
madre, mentre questa stava appresso il fuoco. Altri lo dissero figlio del predetto Nume, perchè appena nato fu trovato da c
14 (1806) Corso di mitologia, utilissimo agli amatori della poesia, pittura, scultura, etc. Tomo II pp. 3-387
re a che in quella sì ardua difficoltà dovea appigliarsi. La risposta del Nume fu, che il trovare Europa non era impresa da
endo ; che l’acqua della mentovata fontana fosse infettata dal veleno del Dragone, scorse quà e là per trovarne dell’altra.
’uno può dirsi beato, primanchè chiuda per sempre gli occhi alla luce del giorno. Ad amareggiare la tranquillità e gioja di
tello di Europa. Cadmo però attribuì tutte le sue seiagure al destino del luogo, ove soggiornava ; e quindi, dopo essere an
in vece un di lui nipote lo ucciderebbe. Per impedire la veriocazione del funesto vaticinio. Acrisio rinchiuse la sua figli
Compita l’impresa, l’Eroe nuovamente s’alzò per l’aria colla spoglia del suo trionfo. Scorse a volo molte terre, finchè gi
di serpenti, i quali da di là si propagarono anche nelle altre parti del Mendo,(a) (6). Colà non fermossi l’Eroe, ma conti
Ninfe se ne dolsero con Nettuno, e lo pregarono di vendicarle. Il Dio del mare mandò un mostro a devastare le campagne Etio
ora Cefeo avesse esposto la sua figliuola, Andromeda, a divenire cibo del vorace mostro. L’innocente vergine pertanto venne
nomeno, talchè si fecero un piacere di formarne una sementa nel fondo del mare(7). Perseo poi alzò tre altari, uno a sinist
gli vi concorse, e molto vi si segnalò colla sua destrezza nel giuoco del Disco. A’ medesimi giuochi v’assisteva pure Acris
ne (a). Pelia, divenuto grande, s’impadronì, dopo la morte di Creteo, del regno di Iolco, che apparteneva ad Esone. Temendo
sso Chirone. Il giovine, giunto all’età di vent’ anni, lasciò l’antro del Centauro, e si portò a ripetere il paterno soglio
uro, e si portò a ripetere il paterno soglio. S’abbattè lungo le rive del fume Anauro(3) in Giunone, da lui non conosciuta,
d’oro(4), che Frisso stesso avea colà portato, e di cui Eeta, figlio del Sole, e della Ninfa Perseide(5), e re di quel pae
e uccidere il dragone, il quale notte e giorno vegliava alla custodia del Vello d’oro Doveansi altresì seminare i denti del
e madre di due figliuoli. Egli le avea giurato, che dopo la conquista del Vello d’oro sarebbesi restituito appresso di lei 
giuramento (d). Da Lenno si trasferì a Cizico, città situata a’ piedi del monte Dindimo, il di cui re era Cizico, figlio di
iso da Giasone. Questi, appenachè ne venne in cognizione, diede segni del più vivo dolore, e volle espiarsi con sacrifizj,
di un bosco. L’età, la condizione, e sopra tutto l’avvenente aspetto del Tessalo Eroe destarono nell’ animo di quella giov
te dell’aurora si adunò immenso popolo nel campo di Marte, e al cenno del re comparvero i tori co’ piedi di bronzo. A vista
domestici, li sottopose all’aratro, e andò con essi seminando i denti del mentovato Dragone, che già poc’ anzi avea ucciso.
mescolò tra coloro, e molti ne uccise di propria mano. Impadronitosi del Vello d’oro, in compagnia di Medea, la quale avev
pollonio da Asteroclea(b), o da Eurilite, come riferisce lo Scoliaste del predetto Apollonio ; e dopo d’averlo fatto in pez
are, affinchè la cura di raccogliere quelle, e ’l dolore, che a vista del funesto spettacolo lo avrebbono sorpreso, ritarda
el funesto spettacolo lo avrebbono sorpreso, ritardassero la rapidità del di lui corso(c) (22). Gli Argonauti, pervenuti ne
perfido eccitamento, ch’esse medesime immergessero il ferro nel corpo del genitore, onde estraerne il vecchio sangue, e rie
scettro, che gli apparteneva ; ma vi si oppose allora Acasto, figlio del predetto Pelia, ch’era stato uno degli Argonauti,
eccelente cacciatore. Quegli, morto il padre suo, subito s’impossessò del trono, e costrinse Giasone a ritirarsi appresso C
opa aver condotto una vita errante, mentre si riposava sulla spiaggia del mare all’ombra della nave stessa, con cui avea fa
iconciliato con Medea, e avendo dato varie prove della sua prudenza e del suo invitto valore, meritò dopo morte gli onori d
dalle sue persecuzioni, ed abbia ella stessa somministrato ad Ercole del proprio latte, di cuì il bambino avendone lasciat
stia, la sbranò, e portolla sulle spalle a Micene. Euristeo, sorpreso del di lui valore, e preso nello stesso tempo dallo s
mento.Era già per rimanerne vittorioso, quando Giunone spedì in ajuto del feroce animale un Cancro ; ma l’Eroe ben tosto lo
Ercole inoltre dovette vincere la Cerva, che trovavasi nelle foreste del monte Menalo nell’ Arcadia. Essa, benchè avesse i
ero, e di tale grandezza, che quando volavano, impedivano che i raggi del Sole si spandessero sulla terra. Plinio vuole, ch
I Bistoni, sudditi di Diomede, presero le armi per vendicare la morte del loro Sovrano, e per riaverne i cavalli. Ercole af
Sovrano, e per riaverne i cavalli. Ercole affidò questi alla custodia del giovanetto Abdero, suo favorito, e disfece la mag
lide, il quale, mentr’era figlio di Forbante(f), fu creduto figliuolo del Sole(g), possedeva un numero sì grande d’animali,
stretto a ritirarsi in Dulichio, perchè avea condannato l’ingiustizia del di lui padre nel non mantenere la parola data ad
gloriose gesta d’ Ercole. Egli uccise Sauro, che infestava i dintorni del monte Erimanto nell’ Elide(c). Il medesimo Eroe l
’averli vinti, li facevano crudelmente morire(d). Calai e Zete, figli del vento Borea, e di Oritia, nata da Eretteo, re d’
Anteo, ma Ercole, destatosi dal sonno, li rinchiuse tutti nella pelle del Leone Nemeo, e li portò ad Euristeo(g). Dusiride
care ogni anno uno straniero a Giove. Ciò subito si esegui per ordine del re sullo stesso Indovino(c). Busiride poi continu
li altri ministri della di lui crudeltà(d). Termero, famoso assassino del Peloponneso, faceva morire i passeggieri, schiacc
hè ne conosceva lo straordinario valore, ma anche perchè avea bisogno del di lui ajuto. Quel Principe aveva una figlia, det
tutto il Lazio. Ercole aveva condotto i buoi di Gerione lungo le rive del Tebro, ed erasi colà addormentato. Caco di notte
rna, e dal muggito d’uno di quegli animali rubati venne in cognizione del luogo, in cui gli stessi erano stati trasferiti.
lla clava lo uccise(b). Altri pretendono, che sia stata Caca, sorella del medesimo Caco, quella che scoperse ad Ercole il f
ecolui il premio della Corsa a cavallo. Marte, per vendicare la morte del figlio, s’accinse a battersi col di lui uccisore 
lei una freccia, e la lasciò ferita nel seno. Molestato dagli ardori del Sole, tese pure contro, di lui il suo arco. Il So
cole è stato detto Tirintio, perchè spesso dimorava in Tirinta, città del Peloponneso, vicina a quella d’Argo (c). Cicerone
colpiti nelle faccie di figure, dalle quali si rilevavano le risposte del Nume (d). Era stata rubata una pesantissima tazza
no la statua d’Ercole, nè permisero, che alle donne Tracie l’ingresso del di lui tempio (d). Qualsivoglia Deità, la quale
Colui, fattosi capo de’ ribelli, privò di vita Creonte, s’impossessò del trono, e voleva anche distruggere tutta la famigl
i Micene. Uccise i figli, che aveva avuto da Megara, credendoli figli del predetto Euristeo. Avrebbe privato di vita anche
e con Acheloo, figlio dell’ Oceano e di Teti, o, come altri vogliono, del Sole della Terra, perchè anche quegli aspirava al
mpirono di frutta e fiori odorosi (a). Dejanira poi aivenne il premio del vincitore, e questi seco lei s’avviò alla volta d
Eroe tese tosto l’arco, scaricò contro il Centauro una freccia, tinta del veleno dell’ Idra di Lerna, e gli trafisse il pet
morire, macchinò di vendicarsene. Toltasi di dosso la veste, intrisa del proprio sangue, ne fece dono a Dejanira, dicendol
ole dopo d’aver pregato inutilmente Neleo, re di Pilo, di purificarlo del commesso omicidio, si rerò appresso Deifobo, figl
enza figli, la lasciò erede della corona. Colei si valse superbanente del potere, acquistato sopia di Ercole, gli tolse la
unse finalmente al letto d’Onfale, e appenachè toccò, il pello irsuto del leone, ritirò la mano tremante. Continuò a cercar
sussuro si svegliò anch’ella ; e acceso il lume, Pane, che si lagnava del dolore, cui soffriva, divenne soggetto delle comu
Giove, venerato in Geneo, quando al cuoprirsene gli omeri s’imbevette del veleno dell’Idra. Sofferì, finchè potè, l’ardore
meri s’imbevette del veleno dell’Idra. Sofferì, finchè potè, l’ardore del fuoco venefico, da cui internamente veniva crucia
onunziò orribili imprecazioni contro Dejanira, tagliò parecchie legna del bosco, ene formò un rogo. Indi chiamato a se Filo
rbavano all’esterminio de’ Trojani. Cuoprì poi la catasta colla pelle del Leone Nemeo, vi si adagiò sopra, cemandò a Filott
ve moltitudine di belve. Una gaza dall’ udire continuamente i gemiti. del bambino apprese ad imitarli sì bene, ch’ Ercole,
mondo un serpente, di cui ne concepì sounno orrore ; e temendo l’ira del padre, si ritirò sulle vicine campagne, dove rest
j, e fra gli altri uno vicino al Circo Flaminio, e chiamato il tempio del Gran d’Ercole, custode del Circo ; ed uno presso
no al Circo Flaminio, e chiamato il tempio del Gran d’Ercole, custode del Circo ; ed uno presso il Foro Bovino, in cui non
ari (b). Gli Ateniesi lo onorarono coll’ Enisterie, ossia colle Feste del vino. Esse si solennizzavano da’ giovani prossimi
Ercole sono famosi Pinazio e Potizio, due vecchi servi di Evandro, re del Lazio. Allorchè questo Principe ricevette Ercole
a nel fargli due sacrifizj, l’uno al nascere, e l’altro al tramontare del Sole. Pinario e Potizio fecero insieme il sacrifi
oppo, perchè viaggiando pel regno di Plutone, avea trovato sulle rive del frume Acheronte quell’ albero, e delle frondi del
trovato sulle rive del frume Acheronte quell’ albero, e delle frondi del medesimo erasi inghirlandato la fronte. Dicesi in
alla volta d’Atene, nè stette molto a trovare occasioni di far prova del suo valore. Sulle vie d’Epidauro s’abbattè in Per
ell’ Istmo di Corinto un altro gigante, assai più forte e formidabile del primo, chiamato Scini(d), o Sini(e), o Sinni(f),
a curvati, affinchè al raddcizzarsi di essi, traessero seco una parte del corpo, squarciato in due. Teseo fece soggiacere c
pena stessa, cui egli aveva sottomesso gli altti(a). Perigona, figlia del predetto Scini, dopo la morte di suo padre ando a
a Dejoneo, figlio d’Eurito, re d’Ecalia(b). Teseo poscia fece strage del Toro, che, portato da Ercole ad Euristeo, da ques
la parte che sopravanzava ; se più corti, ve li riduceva alla misura del medesimo colle più crudeli stirature. Teseo lo fe
misura del medesimo colle più crudeli stirature. Teseo lo fece morire del medesimo supplizio(a). Egli poi ando appresso i d
sacrificando nel tempio delle Grazie in Paro, quando intese la morte del suo figliuolo(b). Egli, per vendicarla con numero
della sua felice fuga, consecrò a quel Nume le sue ali, e sulla porta del di lui tempio vi scolpì la descrizione di tutto c
ro la stessa morte a Minos (c). e avessero ad essere infelici vittime del Minotauto(12). Era questo un mostro, nato da Pasi
uesto un mostro, nato da Pasifae, moglie dello stesso Minos, e figlia del Sole e della Ninfa Perseide. Aveva la testa di to
Sole e della Ninfa Perseide. Aveva la testa di toro, e nel cimanente del corpo rassomigliava alla figura d’uomo(13), nè si
omo(13), nè si cibava che di carne umana(d). All’avvicinarsi il tempo del terzo tributo gli Ateniesi altamente si agitavano
rciò Teseo eresse un tempio in Trozene(f). L’Eroe condusse seco fuori del Labirinto anche gli altri, che erano stati spedit
ntre dormiva(15), e si trasferì in Delo, dove per eternare la memoria del suo trionfo sopra il Minotauro, in stituì la Fest
ad Apollo in Delo. Questa spedizione chiamavasi Teoria, ossia visita del Nume. I cittadini inviati si appellavano Teori o
ntorno all’altare una danza, in cui rappresentavano gl’intricati giri del Labirinto. Ritornando gli stessi Deliasti in Aten
suo ritorno, se mai poteva riuscirvi, una vela bianca, mentri le vele del naviglio, su cui si spedivano in tribato i fanciu
eva condotto, stava osservando, se la nave di Teseo ritornava fornita del concertato contrassegno. Vide la nave senza di qu
detto da’Greci Boedromione (c) (20). Egli concorse anche alla caccia del Cinghiale di Calidone(d). La fama delle di lui im
Demoleonte, che Teseo progredisse più oltre negli avvenimenti felici del suo combattere ; e però adoperò tutta la forza pe
na Orzia(b). Fu allora, che l’ Eroe presso Ermione, città dell’ Istmo del Peloponneso, alzò anche un tempio a Venere sotto
coloro, che da’ più potenti venivano perseguitati : e ciò in memoria del soccorso, prestato da Teseo agl’ infelici (c). Ne
di coraggio, e fornito di marziale valore. Posto da Ercole sul trono del predetto Laomedonte, suo padre, ne ampliò lo Stat
almente al dire d’Apollodoro prese in matrimonio anche Merope, figlia del fiume Sangario (a). L’anzidetto Paride, di cui di
invaghitosi della di lui moglie, Elena, figlia di Tindaro, approfittò del momento, in cui Menelao ebbe a trasferirsi in Cre
eco, come colui, che spietato avea fatto perire un figlio sugli occhi del padre ; e così dicendo, vibrò contro Pirro un dar
reci a recidergli il capo, e ne strascinarono il corpo sulla spiaggia del mare, ove restò confuso tralla moltitudine degli
sostegno de’ Trojani ; e gli Oracoli aveano predetto, che l’ Imperio del di lui padre non si sarebbe potuto distruggere, f
so di tutti i suoi concittadini (b) (1). Questo Eroe trovò alla porta del Greco campo una pietra sì grande, che due de’ più
di Tebe nella Cilicia, la quale era bella, coraggiosa, e molto amante del suo marito(g) (6). Stava Ettore dinanzi alla Port
te di venire alle mani con lui. Priamo ed Ecuba, tremanti per la vita del loro figlio, lo scongiuravano di rientrare in cit
precipitosamente alla fugà(a). Il Greco lo insegui sino alle sorgenti del fiume Scamandro. Allora Giove pesò il destino del
ro. Allora Giove pesò il destino dell’uno e dell’altro. Piombò quello del Trojano, e da quel momento tutti i colpi di lui r
che volesse rendergli il morto figlio ; e Achille, tocco dale lagrime del dolente vecchio, ed eccitàto da’ di lui generosi
eleo, figlio d’ Eaco, re degli Egineti, e della Ninfa Endeide, figlia del Centauro Chirone(a), o della Ninfa Egina(b) (2),
aride, mentre soggiornava sul monte Ida, prese ad amare Enone, figlia del fiume Cebreno, e pastorella di straordinaria bell
lla volta di Creta, poichè Anchise allora ricordò, che Teucro, figlio del Cretese Scamandro, aveva dato l’origine a’ Trojan
ono un’altra volta in Drepani(14). Acesse, re di quel paese, e figlio del fiume Criniso, e di Egesta, donna Trojana, con tu
o, passati i perigliosi lidi della Maga Circe, entrò nell’imboccatura del Tevere, donde finalmente si trasferì in Laurento,
boccatura del Tevere, donde finalmente si trasferì in Laurento, paese del Lazio. Latino, figlio di Fauno, e della Ninfa Mar
li. Ciò bramava anche Amata, sorella dell’anzidetta Venilia, e moglie del predetto Latino ; ma gli augurj degli Dei non v’a
o, in cui non soleasi entrare, se non in tempo di guerra(a). Il Genio del Tevere non ostante comparve in sogno ad Enea, e l
possente tra’Greci Principi, stabilì la città di Micene per Capitale del suo Impero. Egli fu altresì nominato per supremo
idaso durante il tempo delle sua assenza la cura della sua famiglia e del suo Regno(23). Colei, mal comportando il ritorno
a sua famiglia e del suo Regno(23). Colei, mal comportando il ritorno del marito, gli presentò una veste nel momento, in cu
ritorno del marito, gli presentò una veste nel momento, in cui usciva del bagno. Le di lui braccia si trovarono intricate n
resso i Greci. Elettra, figlia dello stesso Agamenonne, dopo la morte del padre lo avea nascosto sotterra con molto oro nel
presiedesse al culto, e lo tenesse in propria casa per tutto il tempo del suo ministero. Questo durava un anno ; compito il
re(1). Oreste, cresciuto negli anni, e risoluto di vendicare la morte del genitore, si trasferì in Argo insieme con Pilade,
delitto lo aveano condannato a morte ; ed egli, per evitare l’infamia del supplizio, a grande stento avea ottenuto di poter
. Erasi proposto da Antenoré, che Elena e le ricchezze di lei fossero del vincitore. Paride da prima ri cusava di stare a s
endo da Troja, avea trascurato di sacrificare a Giove e alle Divinità del mare per ottenerne una prospera navigazione. Per
Stigia, affinchè egli divenisse invulnerabile. Tutte quindi le parti del di lui corpo furono tali, trattone il calcagno, p
l giovane nell’età, Chirone lo addestrò agli esercizj i più laboriosi del corpo, e lo erudì nella medicina e nella musica(d
fratello, e re dell’Isola di Sciro. Il naturale aspetto e la bellezza del giovine talmente favorirono la finzione, che niun
seppe ravvisarlo. Dìmorando in quell’Isola, ebbe da Deidamia, figlia del predetto Licomede, un figliuolo, chiamato primier
prova per riconoscere, in lui il figliuolo di Tetide ; e informatolo del motivo, per cui erasi colà recato, lo condusse se
con esso, ed ora col manico della spada ammaccò la faccia e le tempie del nemico, che già cedeva e vacillava. Il vederlo av
molto dopo gli aprirono lo porte della loro città(a). Una cosa quasi del pari gli avvenne, mentre assediava Metimne nell’I
e ne fece la promessa ; ma poi lungi dal mantenerla, ebbe tale orrore del tradimento di lei, che dopo d’aver conquistato Me
o Metimne, comandò a’suoi soldati, che lapidassero la giovine in pena del suo delitto(b) (12). Ad Achille, per essere nato
ena v’entrarono, che Paride, il quale erasi nascosto dietro la statua del Nume, scoccò uno strale contro di Achille, e mort
ò uno strale contro di Achille, e mortalmente lo ferì in quella parte del piede, la quale non era stata bagnata dallo Stige
a dallo Stige(a). Ovidio poi dice, che Nettuno, sdegnato per la morte del suo figliuolo, Cicno, concepì implacabile odio co
u annoverato Achille tra’Semidei, ed ebbe tempio anche nella Penisola del Ponto Eusino, detta dal nome di lui Achillea (c),
e nacque da Anticlea, e da Laerte(a), e fu re delle due piccole Isole del mare Ionio, Itaca, e Dulichio(b) (1). Ebbe per nu
re Ionio, Itaca, e Dulichio(b) (1). Ebbe per nutrice Euriclea, figlia del Greco Ope, comperata da Laerte per venti buoi(2),
anze, le quali fece allora, dicesi che abbia preso a lavorare l’arena del mare con aratro, tirato da due animali di diversa
mali di diversa spezie, e che in vece di grano sia andato seminandovi del sale. Palamede però, figlio di Nauplio, re dell’I
predetto danaro nella tenda di Palamede. Ciò servì di prova manifesta del tradimento ; e Palamede per sentenza di tutto il
e Diomede annegarono Palamede, il quale stava pescando lungo le rive del mare(c). Ulisse giovò moltissimo a’ Greci nel tem
ano per entrare di notte in Troja, quando Ulisse e Diomede, avvertiti del loro arrivo da Dolone, si recarono ov’eransi acca
compagni di lui, da che si cibarono dell’anzidetto frutto, perdettero del tutto il desiderio di rivedere la loro citta ; e
ere da venti carri, tirati da robusti buoi. Il Ciclope allo splendore del fuoco, che v’accese, s’avvide di que’forestieri,
ese, s’avvide di que’forestieri, e due subito ne divorò. All’apparire del nuovo giorno ne mangiò altrettanti, indi uscì col
appuntitolo, lo avea indurito al fuoco. Tostochè il sonno s’impadronì del Ciclope, il Greco Eroe piantò l’anzidetta stanga,
quando Ulisse, sorpreso dal sonno, lasciò a’ suoi compagni il governo del naviglio. Queglino, credendo che nell’anzidetto o
andava ad attignere acqua alla fontana d’Artacia. Ella era la figlia del re, il quale chiamavasi Antifate. Colei additò lo
usa dell’odio implacabile, che Nettuno contro di lui nutriva a motivo del male, che avea fatto a Polifemo, suo figlio(b). R
lla e Cariddi, e arrivò in Sicilia. Ivi Lampezia e Faetusa, figliuole del Sole, pascevano i sacri armenti del loro genitore
Ivi Lampezia e Faetusa, figliuole del Sole, pascevano i sacri armenti del loro genitore. I compagni d’Ulisse, cruciati dall
o molto soprendente. Leucotea, figlia di Cadmo, e ch’era divenuta Dea del mare, non potè, senza impietosirsi, rimirare lo s
ifico banchetto, in cui Demodoco tratteneva i convitati colla soavità del canto, il quale avea ottenuto in dono dalle Muse
inoo eccitò i Feaci a provarsi in diversi giuochi. Laodamante, figlio del predetto re, volle che vi fosse ammesso anche Uli
nato finalmente, narrò al padre lo stato deplorobile, in cui i Nobili del paese aveano ridotto la sua casa. Ulisse commise
se con una lancia(e). Ditti Cretese disse, che ciò avvenne alla porta del palagio d’Ulisse, le di cui guardie aveano negato
(d). Ajace oileo e Telamonio. AJace Oileo, così detto dal nome del di lui padre, era re di Locri. Egli alla testa di
iuto a quella pena, se non avesse promesso con giuramento di purgarsi del commesso delitto. Minerva tuttavia non lasciò inv
esso delitto. Minerva tuttavia non lasciò invendicata la profanazione del suo tempio, e sì colpì con fulmine tutta la di lu
el suo tempio, eretto in Troja(c). Que’ di Locri ebbero sì alta stima del valore d’ Ajace Oileo, che nel combattimento, il
ne riportò una ferita, per cui poco dopo morì(c). La terra, imbevuta del di lui sangue, produsse un fiore simile a quello,
lui sangue, produsse un fiore simile a quello, ch’era nato dal sangue del giovine Giacinto, e marcato delle due prime lette
to dal sangue del giovine Giacinto, e marcato delle due prime lettere del di lui nome A I(d). I Greci alzarono ad Ajace una
. Colui obbligava gli stranieri a sostenere con esso il combattimento del Cesto, li vinceva tutti, e mettevali a cruda mort
uccise. I due fratelli, de’ quali parliamo, ritornati dalla conquista del Vello d’oro ; si trasferirono nell’ Attica per ri
Mnesibo, ed altri Asineo(4). Corsero gli sposi alle armie alle falde del monte Taigeto fortemente si batterono co’ rapitor
oli di Giove (g). I due mentovati fratelli si annoverarono tra’ Segni del Zodiaco, ove formano la Costellazione, detta i Ge
bronzo, le quali, benchè fossero piccole, e sempre battute da’ flutti del mare, si conservavano immobili : lo che risguarda
ecavano colle statue di Castore e Polluce dal Campidoglio alla piazza del gran Circo. La pompa di tori Giuochi durava otto
di Tantalo, re della Lidia Come gli Antichi vanno d’accordo sul nome del di lui padre, così variano tra loro sopra quello
cavalli ; e nello stesso tempo dichiarò, che la morte sarebbe la pena del vinto(2). Lo spazio da corrersi cominciava dal fu
. In tale guisa Pelope conseguì Ippodamia in moglie, e salì sul trono del di lei padre. Enomao prima di morire espresse var
lle quali i giovani si flagellavano, finchè aspergevano quel sepolcro del loro sangue(e). Edipo. Edipo era figliuolo
e, che aliro pastore, di nome Forba, per là passando, odisse le grida del bambino, lo staccasse dall’albero, e veggendolo b
nel susseguente anno a Polinice. Questi, mal sofferendo la violazione del patto, ricorse al suo genero, Adrasto, figlio di
gli uomini come un empio, che avesse provocato contro di se lo sdegno del Cielo ; e fu abbruciato sopra un rogo, separatò d
lla rupe, a’ piedi della quale ardeva il corpo di Capaneo ; e a vista del di lei padre, e degli altri Greci si precipitò so
ìmo e indovino molto rinomato(a). Egli conosceva l’avvenire per mezzo del velo degli uccelli, o per mezzo de’ sogni, come a
ettavasi in essa de chi neoveniva risanato(b). Alcmeone dopo la morta del di lui padre, Anfiarao, uccise la madre. Indi, ag
to, dalle Furie, passò appresso il fiume Fegeo, ond’essere purificato del suo delitto. Ne sposò la figlia, che si chiamava
Temone e Azione(d). Calliroe desiderava di vedere vendicata la morte del suo marito ; e ottenne da Giove, che i di lei pic
bambino sull’erba. Un velenoso serpe intanto si attortigliò al collo del fanciulletto, e lo soffocò. Coloro, afflitti per
etti sette Capi dinanzi a ciascuna delle sette porte di Tebe. Eccocle del pari distribuì i suoi più valorosi guerrieri in g
re la stessa morte fu bastevole ad estinguere il loro odio. La fiamma del rogo, sopra cui vennero riposti, si divise, nè pi
di Numanzia, fu il primo ad ergerle un tempio. M. Marcello nel tempio del suo primo Consolato, trovandosi nella Gallia appr
a nella Via Nuova eravi un piccolo tempio, consecrato a Volupia ; Dea del piacere, La medesima veniva figurata in quello qu
dimostravasi, che le azioni di lei sono dirette dalla considerazione del passato, e dalla previsione del futuro. I serpent
lei sono dirette dalla considerazione del passato, e dalla previsione del futuro. I serpenti finalmente, che talvolta le st
genze si prende piuttosto questa, che quella deliberazione. L’aspetto del Consiglio è senile, perchè la veochiaja, ammaestr
pucchiano da quella il mele. Tale mostrasi anche il Diligente, mentre del lungo, e difficile lavoro sa trarne felico riusci
inutili grani ha scelto quelli, che gli servono di cibo. Il Diligente del pari va esaminando le cose, finchè trova quelle,
così la Parsimonia non eccede in alcun tempo i limiti dell’onesto, e del ragionevole. Fortezza. La Fortezza è virtù,
a, che vorrebbe offendere, è quindi atto ad esprimere l’animo invitto del forte, che respinge i danni, i quali potrebbono e
coltiva, e lo incita a procurarsi il bene, che negli altri ravvisa : del che n’è viva espressione sì lo sprone, che il fas
teme di cimentarsi a qualsivoglia malagevole impresa ; e il Magnanimo del pari opera ciò, che agli altri non sembra possibi
leratezze, ella fece ritorno al Cielo, e fu collocata in quella parte del Zodiaco, che si chiama la Vergine(a). Augusto le
tracciandone la cagione, finalmente scuoprì, che la figlia alimentava del proprio latte la madre. Si raccontò il fatto al P
a Virginia, figlia di Aulo, era dedicato alla Pudicizia Plebea, ossia del Popolo. Diede occasione a tale distinzione di nom
Pudicizia sotto il nome di Plebea ; eccitò le donne più considerabili del popolo a concorrervi ; e le esortò, ond’elleno ta
mmettevasi alcun straniero(a). Questa Dea aveva un tempio alla salita del Campidoglio. Lo fabbricò Furio Camillo Dittatore
r mezzo di due mani, congiunte insieme. E quì si noti, che ogni parte del corpo umano, separatamente presa, e le mani spezi
anche un tempio dopo la disfatta degli Spartani, ripottata col mezzo del loro Generale, Timoteo ; ovvero dopo la vittoria
Imperatore vi trasportò i più preziosi vasi, e i più belli ornamenti del tempio di Gerusalemme(a). Questo era pure il temp
veste. Nella destra tiene un ramo d’ulivo, o un caduceo. La dolcezza del frutto di quell’albero caratterizza la dolcezza,
tra un oriuolo, con cui si dà ad intendere, che la verità col decorso del tempo si manifesta. Democrito diceva, che questa
omba, e colla sinistra porge in atto grazioso un cuore. La candidezza del predetto augello indica quella di tale virtù, e i
empio, e a stabilirle dei sacrifizj, che doveano essere fatti a spese del pubblico, e senza spargimento di sangue. I Sacerd
e perfino la rovina delle più potenti città : questo è il significato del maltello, con cui il Lusso atterra magnifici pala
offeso, s’accende di furore, e tenta ogni mezzo di prendere vendetta del suo offensore. Gelosia. La Gelosia è intern
ro vita. L’Aurora s’invaghì di Cefalo, mentre questi sul primo albore del giorno trovavasi applicato a tendere le reti a’ c
del giorno trovavasi applicato a tendere le reti a’ cervi alle falde del sempre florido Imeto. Ella, comparsa più serena o
falde del sempre florido Imeto. Ella, comparsa più serena o colorita del solito, lo rapì, e fece ogni sforzo per induslo a
amava anch’egli moltissimo la caccia, si portò un giorno sul nascere del Sole nella foresta coll’ asta solamente, che avea
cride. Costei, sopraffatta ben presto dalla gelosia, volle accertarsi del vero. La mattina seguente ripigliò Cefalo il cons
fatto rumore. Un lagrimevole gemito gli fece intendere, che bersaglio del colpo era stata la sua Procride Precipitoso, e fu
ngue. La alzò di terra, la abbracciò, ne impedì alla meglio lo sgorgo del sangue ; e proruppe in dirottissime lagrime. Alle
fascio di spine. Il predetto colore della veste rassomiglia a quello del mare, che non è mai tranquillo. Tal’è il caratter
iglia a quello del mare, che non è mai tranquillo. Tal’è il carattere del Gelòto : per quanto egli sia certo della fede alt
gia, ma poi in breve spazio di tempo s’innaridisce ; così l’alterigia del Vanaglorioso presto langue e si annienta. La Vana
il Vanaglorioso, che colle sue parole di vanto fa molto strepito, ma del resto è affatto inutile, vuoto di senno, e privo
uesto è animale voracissimo, nè cessa mai di rapire i greggi. L’Avaro del pari è facile ad appropriarsi le cose altrui, sen
ratti di crudeltà. Il volto di questo Vizio è ilare, perchè è proprio del medesimo di tripudiare a vista de’ danni altrui.
. Il colore cangiante, le maschere, e le lingue Indicano l’incostanza del Bugiardo, che nel suo favellare dà diverso aspett
collo lungo, e con veste di colore simile alla ruggine. La lunghezza del collo allude a Filostene Ercinio. Costui era tant
oloso, che desiderava d’avere il collo di gru, per godere più a lungo del cibo, mentre questo gli discendeva nel ventre. Il
ionsi usare dagli Adulatori. Il Cervo è tale, che allettaro dal suono del flauto, facilmente si lascia prendere dal cacciat
o loquace. Le lingue indicano anch’esse il continuo ciarlare. In cima del capo ha una Rondine, la quale, come la Cicala, st
e con lingua infetta di veleno e dì schiuma. Esso non mai ride se non del male, nè piange che del bene altrui. L’Invidia è
veleno e dì schiuma. Esso non mai ride se non del male, nè piange che del bene altrui. L’Invidia è di faccia pallida, perch
di questo Vizio. Tiene la bocca aperta, per significare la prontezza del Detrattore nel dire male di tutti. Ha sul capo un
etrazione l’offuscare le onorate azioni. La sua veste è logora, tinta del colore della ruggine, e aspersa di lingue simili
, tinta del colore della ruggine, e aspersa di lingue simili a quelle del serpente. Quella veste fa intendere, che questo V
opresi l’ Incostanza, è di colore turchino, che rassomiglia alle onde del mare, le quali pure talora sono in calma, e tal’
l’ingegno, o il caso, oppure l’uno e l’altro decidono della perdita e del guadagno tra due o più persone. Si figura coronat
In capo ha una mezza luna e un oriuolo. Quella risveglia l’incostanza del Giuoco ; questo indica il mal uso, che si fa da’
anza del Giuoco ; questo indica il mal uso, che si fa da’ Giuocatori, del tempo. Il Giuoco è di faccia torbida e agitata, p
co Lazio da cui la Fortuna fu soprannominata Prenestina (c). La forma del medesimo era simile a quella d’un teatro. Il Sena
osi, e supplicavano la Fortuna d’occultare a’ novelli sposi i difetti del loro corpo : dal che ne avvenne, che la Fortuna v
avvenne, che la Fortuna venne chiamata Viriplaca, ossia pacificatrice del marito. V’ è però chi sotto questo nome riconosce
detta Forte Fortuna, cui Servio Tullo fabbricò un tempio sulla sponda del Tevere fuori di Roma. Que’ Romani, che non eserci
tenebre indica i varj pensieri, intorno a’ quali ravvolgesi la mente del Dubbioso. Il bastone e la face significano l’espe
dalla conosciuta probabilità d’incorrere in qualche male, unita alla del pari conosciuta probabilità di non poterlo fuggir
iù necessario in un Governo, quanto lo inspirare a’ cattivi il timore del castigo. In un combattimento, che sosteneva Tullo
340. Acide I. 165. Acmone I. 130. Aconzio I. 311. Acoro I. 121. Acqua del Sole I. 93. Acqua lustrale I. 24. Acquilicio I. 9
I. 301. Canefore I. 396. Caneforie I. 321. 336. Canente I. 288. Cani del Cocito I. 223. Cani di Giove I. 223. Canifore I.
ali I. 186. Dedalione I. 328. Dedalo II. 107. Dee candide I. 222. Dee del Cefiso I. 359. Dee madri II. 12. Dee Palestine I.
121. Re I. 88. Rea I. 12. 27. 272. 274. Reca II. 265. Reco I. 55. Re del bosco I. 316. Re del convito I. 21. Redicolo I. 2
. 12. 27. 272. 274. Reca II. 265. Reco I. 55. Re del bosco I. 316. Re del convito I. 21. Redicolo I. 229. Reggia I. 412. Re
lea II. 69. Sentino I. 208. Senvio I. 125. Sepolcri I. 334. Sepoltura del dito II. 202. Septerio I. 171. 247. Serapide I. 4
Taurica I. 324. Tempio di Delfo I. 249. Tempio d’Efeso I. 323. Tempio del monte Aventino I. 323. Tempo I. 14. Tenaro I. 371
lio d’Agenore(d). (3). Europa, mentre staversi in diporto sulle rive del mare con altre giovani, osservò tra l’armenmento
esso ; e il toro corse tosto al mare(e), la trasportò in quella porte del mondo, che dal nome di loi fu chiamata Europa(f),
di Minos, e di Radamanto(g). Altri pretendono, che l’anzidetta parte del mondo siasi così denominata da Europa ; figlio di
e ne fece ua Astro, chiamato Toro, il quale forma uno de’dodici Segni del Zodiaco(b). L’opinione poi di altri è, che tale C
ante ma Ino cerco ogni mezzo per farli perire, e corruppe i Sacerdoti del tempio d’ Apollo Delfico per averne un oracolo fa
etti, si mandò il primo a scegliere la più bella pecora tralle gteggi del re col pretesto d’ offerirla in sacrifizio a Giov
Fixio, ossia che favorisce a chi fugge ; e vi sposò Calciope, figlia del re Eeta(c), detta da Ferecide Evenia(d), da altri
stati formati ad Eeta da Vulcano, onde mostrarsi grato al Sole, padre del medesimo Eeta, perchè lo aveva accolto nel suo co
at. Com. Mythol. l. 6. (7). Apollonio narra, che il Dragone, custòde del Vello d’oro, era stato generato dalle gocce di sa
il quale, ritornato da Colco, regnò nella Ionia, dove sposò la figlia del fiume Meandro(h). (11). Linceo aveva una vista s
ndro(h). (11). Linceo aveva una vista sì acuta, che vedeva nel fondo del mare, e perfino nell’ Inferno. Era assai utile, p
da alcuni creduto, che l’Orfeo Argonauta fosse lo stesso che l’Autore del Poema sull’ Argonautica, che corresotto il nome d
co, mori per un morso di serpe. Giasone gli alzò una tomba sulle rive del mare, e poi gli Africani gli dedicarono un tempio
sarebbe perito, tuttavia volle intervenire anch’ egli alla conquista del Vello d’oro. Essendosi gli Argonauti fermati nell
cadde al giovane l’urna di mano. Si avanzò per ripigliarla, e il peso del corpo lo trasse nel fiume, dove si annegò. Fingon
rapito dalle Ninfe di quel fiume. Ercole inconsolabile per la perdita del caro suo amico andò a cercarlo per le foreste e m
ue figlie. Leucippe ; e Teonoe. Stava costei sollazzandosi sulle rive del mare, quando venne rapita da alcuni pirati, e ven
ltra figliuola, Leucippe Ansiosa la medesima di avere qualche notizia del padre e della sorella, consultò l’Oracolo, e ne i
a nella Caria, volle recarsi alla Corte. Teonoe, presa dalla bellezza del giovine straniero, ne divenne amante, e non veden
patria, varia anche da esso nel dire, che nulla sofferì dopo la morte del marito, ma che se n’ è anzi ritornata a casa. (a
iò non si potè effettuare, perchè Medea li rendette tosto consapevoli del paterno divisamento(b). (a). Joh. Jacob. Hofman
loro nelle circostanze. Onomacrito dice, ch’essa si eseguì alla bocca del Fasi ; Euripide non individua la località, e solo
omo. Strabone dice, che la predetta strage avvenne in una delle Isole del mare Adriatico, dette poi Absirtidi (c). Lo Scoli
viddero ingannate da quella Maga ; tale vergogna concepirono e orrore del loro delitto, che si ritirarono nell’ Arcadia, ov
e Giove per renderla madre d’Ercole le sia apparso sotto le sembianze del predetto suo marito (a). (d). Joh. Jacoh. Hofma
tte, che sparse Rea sulla pietra, ch’ella presentò a Saturno in luogo del fanciullo, che avea partorito (g). (d). Joh. Ja
acia, i quali infestavano particolamente la pianura, situata a’ piedi del monte Olimpo. Là Polidamante inerme uccise uno di
ne ebbe una Cappella nella città d’Atene(h). Non si sa, se egli parli del predetto Cal odone, o di quello, che fu padre di
da una serpe, e morì. I di lui compagni lo trasportarono in un’Isola del mare Ionio, ove dopo d’avergli fatti magnifici fu
però la forza. Colse Oritia, mentr’ella stava sollazzandosi alle rive del fiume Ilisso ; e copertala di nube, la sollevò co
. Mythol. l. 7. (23). Alcuni dicono, che anche Megara cadde vittima del furore di Ercole(d). Apollodoro però soggiunge ch
a loro armata, finchè Candaulo, giudicandola poco comoda, o non degna del suo rango, la regalò ad eno de’suoi Cortigiani. N
inato ad abbruciare il corpo di Ercole, e che l’Eroe perciò lo regalò del suo arco e delle sue frecce(d) (b). Nat. Com.
ritiratsi nel tempio della Misericordia, erecto in Atene, sul modello del quale anche i Romani ne inalzarono un altro alla
Giuochi, detti Tlepolemj. Uomini e donne vi concorrevano, e il premio del vincitore era una corona di pioppo(b). (a). Pot
(39). Iria, non potendo reggere al dolore, concepito per la perdita del figlio, si precipitò da una rupe, e delle lagrime
(7). Apollodoro dice, che Scini, di cui abbiamo parlato, era figlio del mentovato Polipemone, e di Silea, figlia di Corin
l’ uscita(d). Ivi Dedalo stesso col suo figliuolo, Icaro, per ordine del re in pena di un certo delitto venne rinchiuso. E
aggravasse soverchiamente le penne ; e col troppo alzarsi, l’ ardore del Sole non avesse ad incenerirle. Dopo tale avverti
ssate varie Isole, quando Icaro, trasportato dal genio d’una carriera del tutto nuova, abbandonò il padre, e sollevossi ard
(e). Hymmn. in Del. (f). l. 2. (14). I fanciulli, condotti fuori del Labirinto da Teseo secondo il Meursio si chiamava
e, Andromaca, Pimedusa, Europa, Melitta, e Peribea. (15). Al nascere del Sole Arianna si destò, nè vide più Teseo. Corse q
Suto, allorchè Eumolpo, figlio di Nettuno, mosse loro guerra al tempo del re Eretteo(f). (d). Nat. Com. Mythol. l. 7. (2
i scagliarla addosso al nemico. Il peso non glielo permise, e in vece del Centauro privò di vita con essa Conete, suo colle
o avrebbono mosso due paja di buoi. Volèva Feocomete anche spogliarlo del tutto, ma raggiunto da Nestore, sotto i colpi del
un tronco a due punte, e questo di strale. Perifante riuscì vincirore del Centauro Pireto, e Ampico trionfò d’Ideo. Fu pure
bra di Ceneo, quando l’arma di questo uccise bensì colui. Nella morte del compagno accorsero a truppa i rabbiosi Centauri,
rispondenza, Demofoonte, obbligato a ritornarsene in Atene per affari del Regno di suo padre, promise a Fillide di ritornat
quell’istante, come se Fillide fosse stata ancor sensibile al ritorno del suo amanre. Tzetze vuole, che il fatto testè desc
d’ Esaco, e fa il medesimo giovine amante della Ninfa Esperia, figlia del fiume Cebreno, per cui anche il Poeta dice, che E
li amici e compagni d’Ulisse, mentre egli stava strascinando il corpo del Trojano Simoisio, figlio d’Antemione, ucciso da A
campo Antifo, il di lui fratello, Iso, i quali custodivano le greggi del loro padre sul monte Ida. Tutti due finalmente ri
tria. Professava l’arte d’indovinare in molte maniere : ora pet mezzo del tripode, su cui sedeva ; ora con un ramo d’allero
li Astri ; ed ora coll’intelligenza degli linguaggio degli uccelli, e del loro volo(a). Predisse l’eccidio di Troja per mez
adronirsi de’di lui tesori(a). Igino racconta diversamente l’ Istoria del mentovato figlio di Priamo. Spedito Polidoro, dic
rso la medesima(d). (9). Polissena fu immolata da Pirro sul sepolcro del di lui padre, Achille, perchè l’ombra di questo E
accolta da Agamennone ; e ch’ella poi di notte sia andata sulla tomba del suo sposo, ed ivi s’abbia trapassato il seno(g).
dava quel Nume con dispregio. Ei se ne sdegnò ; nè potendo spogliarla del dono concessole, fece sì che niuno prestasse fede
oja, fu da una procella gettata sulla costa d’Egitto, all’imboccatura del Nilo, detta Canopo ; e che il Governatore di quel
re di corpo, ma spirito ancora, ed ali le somministrava la leggerezza del fuoco. Divenuta realmente un uccello, cominciò a
re, quasi rattristandosi della partenza di sua madre, e rallegrandosi del suo ritorno(a). Cambise, sospettando che fosse op
opera di magia, fece rompere quella Statua dalla testa sino alla metà del corpo. Il rimanente sussistette lungo tempo dopo,
(20). Protoo armò quaranta vascelli di gente, che abitava sulle rive del Peneo, e sul monte Pelio(e). (21). Apisaone era
ifo. Questi condussero seco un numeroso esercito di Meoni, nati appiè del monte Tmolo(f). (24). Astinoo fu ucciso da Diome
morte da Merione(b). (29). Astipilo fu ucciso da Achille sulle rive del fiume Xanto(c). (30). Adrasto ed Anfio erano fig
e la condusse nella Tracia. Una delle di lei seguaci trovò sulle rive del mare il corpo di Polidoro, pochi giorni prima mes
corse a recarne la trista nuova alla sfortunata Regina. Ecuba a vista del morto figlio, si risovvenne del funesto sogno, ch
alla sfortunata Regina. Ecuba a vista del morto figlio, si risovvenne del funesto sogno, che avea avuto la notte precedente
la Reggia di Polinnestore, finse di essere affatto ignata della morte del figlio, invitò quel re a secreto colloquio per is
oglie, senza averne avuto mai prole. Egli consultò l’Indovino Melampo del mezzo, con cui avrebbe potuto rendere la moglie s
iclo, e Pergamo(f). Pausania dite, che essendo Molosso divenuto erede del tegno d’Epiro, Pergamo andò in Asia ; e ch’ ossen
so il re Eurito, da cui ne venne espiato. Concorso poscin alla caccia del Cinghiale di Calidone, vibrò inavvertentemente un
lla caccia lo trasse sul monte Pelio, e quivi come lo, vide aggravato del sonno, gli nascose la spada, e lo abbandonò. Eran
avvertì, che chiunque fosse nato da colei, sarebbe divenuto maggiore del padre suo. La stessa giovine mal acconsentiva all
ortale ; e il suo ordinario soggiorno era in una grotta lungo le rive del mate, che bagna la Tessaglia. Là Peleo andava a t
tume di seppellire nelle case i trapassati. E perchè essi col decorso del tempo si tumulavano lungo le pubbliche vie ; però
n suo nipore, e portando coll’altra i suoi Dei Penati, e i vasi sacri del tempio d’Apollo, di cui egli n’era il sacerdote (
, e nel mezzo della stessa vi formò una Cittadella, a cui dalla pelle del bue diede il nome di Birsa, voce Greca, che signi
’anniversario di suo padre, Entello, famoso Atleta, disputò il premio del Cesto a Darete ; e lo avrebbe anche ucciso, se En
l. 6. (a). Virg. Aeneid. l. 7. (18). Evandro nacque da una figlia del fiume Ladone (f), o dalla Ninfa, chiamata da Dion
to di spighe, senza farle piegare sotto i suoi piedi, o sopra le onde del mare, senza restarne bagnata. La sua veste era un
Frigj. Rimase uccisa da Arunte, soldato Trojano, il quale approfittò del momento, in cui ella stava per ispogliare delle a
enerata come una Dea, e che a di lei onore si celebrava lungo le rive del Tevere una festa assai giuliva (a). (e). Virg.
nti di ritornarsene alle loro città, malgrado la minacciosa apparenza del Cielo. Molti di essi periròno per nautragio, e gl
one, figlia di Laromedonte, e sorella di Priamo. Omero ne parla, come del miglior tiratore d’arco, che vi fosse nella Greca
cchiera di Polidamante (d), Privò di vita un Imbrio guerriero, figlio del ricco Mentore, e marito di Medesicasta, figlia di
sotto le di lui mani. Animato da sì feliciosuccessi, nè ancor satollo del sangue nemico, insistette nel combattimento. Apol
eva ; tre volte straseinò intorno il sepoloro di Patroclo e le triora del Troja il corpo di Ettore, legato a’suoi cavalli ;
rtavano da per tutto il terrore e lo spavento di Marte(d). Nel giuoco del disco allora moltiscimo si segnalò anche Polipete
. Epeo fabbricò il cavallo, e dentro vi si rinchiusero i più valorosi del Greco esercito(a). Tra quelli si norminano l’anzi
, e pieno d’estro fatidico, si fece a dire, che non conveniva fidarsi del mentito cavallo ; che si dovea temere de’ Greci ;
l dire, che intanto per espiare la fatale colpa aveano eretto in vece del rapito simulacro quel Cavallo ; e che sì grande l
oppa alzò una fiamma. Sinone al noto segno quietamente aprì il fianco del Cavallo, e ne uscirono i rinchiusivi guertieri. Q
tinuamente vilipesa (d). (a). Iliad. l. 9. (26). Aleso, spaventato del tristo fine di suo padre, e temendo d’incontrare
cino allo stesso tempio eravi una spezie di tomba, detta la sepoltura del dito, perchè sopra di essa stava scolpita la figu
ita, altri dicono, dal popolo, altri, da Peleo. Temendo poi lo sdegno del marito, voleva uccidersi, quando Oreste la trasfe
suoi capegli nel tempio dell’anzidetta Dea, eretto in Arsinoe, città del suo regno. Il di seguente non si trovò più quella
à venne allattato da una cerva. Aleo, padre d’Auge, intesa la mascita del predetto fanciullo, mancò la figlia a Nauplio, re
, tradì il genitore, recidendogli il crine fatale. Ella rimase punita del suo parricidio dallo stesso Anfitrione, poichè qu
tto Filottete a manifestare, ov’era la tomba d’Ercole. Quegli, memore del giuramento, dato all’amico, e desioso nel tempo s
’Isola di Lenno(b). Altri dicono, che la predetta piaga fu un effetto del morso di un serpente, mandato da Giunone, la qual
Eolo, cui Ulisse aveva preso ad amare, fu sì sensibile alla partenza del suo amante, che non cessava dal bagnare di calde
doni, che ne avea ricevuto. Eolo a vista di quelli riconobbe la causa del di lei dolore, e talmente se ne sdegnò, che la av
ze d’uomo, ma avendo poi eccessivamente bevuto, cadde giù dalle scale del palagio di Circe, si ruppe la testa, e morì(a).
(b). Id. Odyss. l. 11. (13). Le Sirene erano Ninfe marine, figlie del fiume Acheloo, e di una Musa, che alcuni dicono e
eloro, cinta da scoscesi scogli. Da di là traevano a se colla soavità del loro canto i passeggieri, i quali poi vi naufraga
ltro custode delle pecore di Ulisse. Quegli pure sospirava il ritorno del suo padrone. Ulisse, assicurato della di lui fede
(d). Id. Odyss. l. 14. (19). Appenachè Telemaco ritornò alla Reggia del padre, gli amanti diPenelope cospirarono contro l
dare tale apparizione, come un indizio certo dell’arrivo d’ Ulisse, e del trionfo, ch’egli avrebbe riportato sopra gli aman
il nome di Leonimo(e). (3). Telamone ebbe per madre Endeide, figlia del Centauro Chirone, e per padre Eaco, re degli Egin
ontano da quelle spiaggie, spedì un araldo al padre per giustificarsi del commesso omicidio. Eaco nuovamente gl’intimò di n
i fece vela verso l’isola di Salamina(f). Quivi si conciliò il favore del re Cicreo, figlio di Nettuno e della Ninfa Salami
ciliano chiama Glauce ; ed essendo morto senza figli, lo lasciò erede del trono, perchè col mezzo di lui eransi liberate qu
a suburbana d’Atene, denominata perciò Academia. Gli Spartani, memori del favore, ricevuto da Academo, rispettarono quel lu
Clito, e se n’era già estremamente invaghita. Ella temeva della vita del suo amante, ma non osava di manifestare l’interna
o avendosi lasciato sortire dagli occhi qualche lagrima alla presenza del suo balio, non potè celare al medesimo il suo tim
corruppe il cocchiere di Driante per modo, che questi adattò le ruote del carro del suo padrone in guisa, che avessero a ca
l cocchiere di Driante per modo, che questi adattò le ruote del carro del suo padrone in guisa, che avessero a cadere facil
(d). Nat. Com. Myth. l. 7. (3). Epimenide numera tredici Principi del vicinato di Pisa, che, superati da Enomao, ne rim
el mare abbia presa l’anzidetta denominazione da Mirto, piccola isola del mare Egeo, poco distante da Caristo, città dell’
a se, fingendo di voler riconciliarsi con lui, ed ammetterlo a parte del Regno. Ritornato Tieste appresso il frarello, que
dì un convito, in cui gli diede a mangiare i proprj figli, e sul fine del pranzo gli, presentò le teste de’ medesimi, ond’e
e liberato da quell’animale. Alcatoo uccise il leone, sposò la figlia del re, e divenne possessore del trono(b). Dopo morte
Alcatoo uccise il leone, sposò la figlia del re, e divenne possessore del trono(b). Dopo morte ebbe a suo onore delle annue
iato dal dolore di vedersi diviso dal figlio, volle andare in traccia del medesimo, e si recò all’isola di Rodi. Quegli abi
o, perchè i Tebani lo aveano disprezzato. Tutta la più forte gioventù del paese concorse a sterminare quel nuovo mostro. Po
gli prima di morite pregò alcuni de’ suoi, che gli recassero la testa del predetto Menalippo, la qua le lacerò co’ denti, e
e Arpie, e dal vento Zefiro. I medesimi erano immortali, e più rapidi del vento. Il terzo ; quantunque fosse mortale, era d
corpo d’una pelle di lupo. Quando fu vicino a’ Greci imitò la maniera del camminare di quell’animale per non essère scopert
in Trezene un tempio, ad Apollo sotto il titolo di Epibaterio, ossia del buon ritoruo, perchò questo Dio lo avea salvato d
gli uomini come un empio, che avesse provocato contro di se lo sdegno del Cielo ; e fu abbruciato sopra un rogo, separatò d
lla rupe, a’ piedi della quale ardeva il corpo di Capaneo ; e a vista del di lei padre, e degli altri Greci si precipitò so
ìmo e indovino molto rinomato(a). Egli conosceva l’avvenire per mezzo del velo degli uccelli, o per mezzo de’ sogni, come a
ettavasi in essa de chi neoveniva risanato(b). Alcmeone dopo la morta del di lui padre, Anfiarao, uccise la madre. Indi, ag
to, dalle Furie, passò appresso il fiume Fegeo, ond’essere purificato del suo delitto. Ne sposò la figlia, che si chiamava
Temone e Azione(d). Calliroe desiderava di vedere vendicata la morte del suo marito ; e ottenne da Giove, che i di lei pic
a scacciarono dalla loro isola. Ella andò a nascondersi lungo le rive del mare, e da di là fù presa da certi pirati, e vend
ochi da prima consisistevano in combattimenti equestri. Col progresso del tempo vi fu introdetto ogni altro esercizio ginna
di colei, non avendo potuto salvarla dall’ira paterna, corse al luogo del supplizio, e disperato si trafisse il petto, ed e
15 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XVII. Apollo considerato come Dio del Sole, degli Arcieri e della Medicina » pp. 92-103
XVII Apollo considerato come Dio del Sole, degli Arcieri e della Medicina Due erano
mi appellano evidentemente e principalmente alle proprietà distintive del sole, di essere egli nel nostro sistema planetari
pi, riunendo tra loro quegli uffici che sono più affini ; e fo centro del 1° gruppo il Dio del Sole, e del 2° il Dio della
quegli uffici che sono più affini ; e fo centro del 1° gruppo il Dio del Sole, e del 2° il Dio della Poesia. Considerato A
ci che sono più affini ; e fo centro del 1° gruppo il Dio del Sole, e del 2° il Dio della Poesia. Considerato Apollo come i
el Sole, e del 2° il Dio della Poesia. Considerato Apollo come il Dio del Sole, chi è che non l’abbia veduto dipinto da più
i guidare con mano ferma e sicura quattro focosi destrieri per le vie del firmamento, e circondato da dodici avvenenti ninf
poeti han fatto a gara a rappresentare splendidamente questi simboli del Dio della luce ; ed ognuno li intende facilmente
dente, fiammante, qualità caratteristiche, bene attribuite ai cavalli del Sole108). Le dodici Ninfe poi che danzano intorno
Le dodici Ninfe poi che danzano intorno al carro rappresentano le Ore del giorno ; le quali sebbene soltanto per gli equino
che avevano di dividere il giorno vero, ossia il tempo della presenza del sole sull’orizzonte, in dodici ore soltanto. Perc
esenza del sole sull’orizzonte, in dodici ore soltanto. Perciò le ore del giorno e della notte essendo sempre uguali di num
e diverse stagioni. I poeti non di rado rammentano i nomi dei cavalli del Sole, e le ancelle del dì, ossia le Ore. Così, pe
oeti non di rado rammentano i nomi dei cavalli del Sole, e le ancelle del dì, ossia le Ore. Così, per citarne qualche esemp
troppo. » (Orl. Fur., xxxii, 11.) Troviamo ancora nella Basvilliana del Monti : « Era il tempo che sotto al procelloso «
70.) E pochi versi più sotto lo stesso poeta aggiunge : « E compito del dì la nona ancella « L’officio suo, il governo ab
ropriamente eclittica), la quale resta nel mezzo ad una fascia o zona del cielo di 16 in 17 gradi, ed ove scorgonsi le 12 c
mente va il Sole a tramontare nei diversi mesi dell’anno. Questa zona del cielo fu detta con greco nome Zodiaco, cioè zona
conoscono ancora in astronomia sotto la denominazione comune di segni del zodiaco ; e i loro nomi particolari sono i seguen
agittario, il capricorno, l’aquario, e i pesci 110). I nomi dei segni del zodiaco appellano a fatti mitologici, dei quali s
quali, che è una maraviglia dell’ arte greca, ammirasi nella galleria del Vaticano in Roma, ed è chiamata l’Apollo di Belve
tali dimensioni che i due piedi posavano sulla estremità dei due moli del porto, e le navi passavano a piena vela fra le su
vano a piena vela fra le sue gambe. Era questa una delle 7 maraviglie del mondo, ma fu atterrata da un terremoto ; e poi i
de il giorno, come dice Dante, inventarono i mitologi che tra i figli del Sole vi era una bellissima figlia chiamata l’Auro
e di Aurora. Anche il Tasso esprime la stessa idea nella prima ottava del Canto iii della Gerusalemme liberata : « Già l’a
pollo e chiese al padre una grazia, prègandolo a giurare per le acque del fiume Stige che non glie l’avrebbe negata. Apollo
ò ; ma tosto si pentì di aver giurato quando seppe il folle desiderio del figlio. Nè valsero le ammonizioni e le preghiere
impresa troppo superiore alle forze di lui. Infatti i focosi cavalli del Sole ben presto si accorsero della inesperta ed i
iti degli uomini, e i lamenti degli Dei ; e Giove conosciuta la causa del male, e non sapendo come altrimenti rimediarvi, c
etro alle loro stalle. Fetonte fulminato cadde nel Po113), sulle rive del quale fu pianto e sepolto dalle sorelle dette Eli
del quale fu pianto e sepolto dalle sorelle dette Eliadi, cioè figlie del Sole ; le quali vinte dal dolore e dall’ afflizio
bisso infernale, a quella di Fetonte trasportato in balìa dei cavalli del Sole : « Maggior paura non credo che fosse, « Qu
Ciel, come pare ancor, si cosse115. » Rammenta ancora nel Canto xxix del Purgatorio il lamento della Dea Tellure per gli s
aventevoli effetti cagionati ne’suoi tre regni dalle infiammate vampe del Sole, o come egli dice, l’orazion della Terra dev
da queste parole trassero tanto i Greci quanto i Latini l’etimologia del nome di Pœan dato ad Apollo ; e Pœan chiamano anc
secondarii l’esistenza preistorica di certi immani e terribili mostri del genere dei rettili, e perciò chiamati Plesiosauri
li erano lunghi otto o nove metri. Gli zoologi poi adottarono il nome del favoleggiato serpente Pitone per darlo a un gener
Oracoli si verrà a rammentare e descrivere l’ufficio della Pitonessa del Tempio di Delfo. Dopo che i mitologi ebbero consi
mpio di Delfo. Dopo che i mitologi ebbero considerato Apollo come Dio del Sole, furono indotti a credere che esser dovesse
ne logica di principii scientifici, che esamineremo dopo aver parlato del figlio e della nipote di Apollo secondo la Mitolo
da Ovidio, che da quella città fu trasportata solennemente la statua del Nume a Roma, e gli fu eretto un Tempio nell’isola
dopo aver descritto il carro di Beatrice, alferma che neppure quello del Sole era si bello e ricco ; e che anzi al confron
n carro così bello « Rallegrasse Africano, ovvero Augusto ; « Ma quel del sol saria pover con ello. » (Purg., xxix, 113.)
formato Eoo che vorrebbe dire orientale, per indicare uno dei cavalli del sole ; e di più si son serviti di questo stesso v
son serviti di questo stesso vocabolo come aggettivo poetico, invece del più comune, cioè orientale. Così il Tasso ha scri
ita di essere imparata a mente la bellissima descrizione della reggia del Sole nel 2° lib. delle Metamorfosi, che comincia
tupenda opra, o Dedalo architetto ! » 110. I nomi di questi segni del zodiaco furono riuniti, per comodo di memoria di
ivan rance. » (Purg., ii, 7.) 112. Bene osserva Dante nel C. xvi del Paradiso : « O poca nostra nobiltà di sangue ……
e milioni di lontanissime stelle) fosse prodotta nel cielo dal calore del Sole, « Quando Fetonte abbandonò li freni. » Al
a chiunque ha studiato Geografia, che Tolomeo ammetteva il movimento del Sole intorno alla terra, e Copernico dimostrò che
imostrò che in natura accade l’opposto. 118. Dante, nel Canto xiii del Paradiso, ha detto : « Li si cantò non Bacco, no
16 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXIV. Vulcano e i Ciclopi » pp. 152-160
una Divinità più potente di Giove, il Fato, agli inesorabili decreti del quale eran sottoposti tutti gli Dei, attribuivans
intero « Rovinai per l’immenso, e rifinito « In Lenno caddi col cader del Sole, « Dalli Sintii raccolto a me pietosi. » (I
ribuivansi i più mirabili lavori in metallo, dal carro e dalla reggia del Sole al cinto di Venere ; e Omero aggiunge che tu
delle care « Arti insegnate dai Celesti il senno. « Queste al fianco del Dio spedite e snelle « Camminavano. » (Iliade, x
aravigliosi, dalla colomba volante di Archita al giuocator di scacchi del barone di Kempelen. E Omero narrandoci che quelle
lanti dell’abate Mical, il suonator di flauto di Vaucanson e l’anitra del medesimo, la quale nuotava, mangiava e digeriva ;
eti dissero più spropositi che parole, perchè non avevano veruna idea del fluido elettrico, di questa misteriosa e tremenda
oncetti e i desiderii degli uomini anche agli antipodi colla velocità del lampo. Sentiamo dunque su questo proposito ciò ch
E di fiamme e di furia e di spavento « Un cotal misto190. » (Traduz. del Caro.) Si vede bene che Virgilio enumera poeticam
io enumera poeticamente i fenomeni fisici che accompagnano lo scoppio del fulmine ; ma non spiega in che consista il fulmin
ine stesso, perchè nè egli, nè Dante, nè alcun dotto dell’antichità o del medio evo poteva saperlo. Avevano sì gli antichi
o Dio e de’suoi attributi. Di che era simbolo Vulcano ? Evidentemente del fuoco, senza del quale sarebbe impossibile esegui
ttributi. Di che era simbolo Vulcano ? Evidentemente del fuoco, senza del quale sarebbe impossibile eseguire i lavori di me
iamma. Infatti è generalmente dagli Antichi venerato Vulcano come Dio del fuoco193 e del fabbrile ingegno. Il nome di Efest
è generalmente dagli Antichi venerato Vulcano come Dio del fuoco193 e del fabbrile ingegno. Il nome di Efesto che gli davan
della scuola di Hutton194, che spiegavano, coll’ammettere l’esistenza del fuoco centrale, la formazione della maggior parte
za del fuoco centrale, la formazione della maggior parte delle roccie del nostro globo, furon chiamati Vulcanisti ; e Vulca
nze ! Chi si ricorda che anche Vesta giovane era considerata come Dea del fuoco, non si dovrà maravigliare che due Divinità
che nel Sole si trovano in ignizione la maggior parte delle sostanze del nostro globo ; e che le stelle non sono che altre
le stelle non sono che altrettanti Soli generalmente molto più grandi del nostro, ma composte presso a poco degli stessi el
li stessi elementi. Quanto poi a quel che gli Antichi chiamavan fuoco del fulmine (ignea vis), chi non sa che si forma nell
uesta ? e che noi possiamo riprodurre a nostro beneplacito i fenomeni del lampo e del fulmine, benchè in piccole proporzion
e noi possiamo riprodurre a nostro beneplacito i fenomeni del lampo e del fulmine, benchè in piccole proporzioni, colla mac
a fabbricare i fulmini a Giove, noteremo prima di tutto l’etimologia del loro nome, che è composto di due parole greche ci
irpe era quella stessa dei Titani, poichè credevasi che fossero figli del Cielo e della Terra, ossia di Urano e di Vesta Pr
gli automi rappresentano esseri della specie umana e particolarmente del sesso maschile diconsi androidi (simili all’uomo)
una nè potere la volontà, quali sono la respirazione, la circolazione del sangue, il batter dei polsi, ecc. 190. L’origi
ginale latino, mirabile sempre per l’eleganza dello stile e l’armonia del verso, dice così : « Ferrum exercebant vasto Cyc
bert, medico della regina Elisabetta d’Inghilterra, che sullo scorcio del secolo xvi richiamò di nuovo l’attenzione dei fis
enzione dei fisici sulle proprietà dell’ ambra gialla, facendo notare del pari che anche altre sostanze potevano acquistare
fondamentale che condusse alla scoperta dell’elettricità dinamica, o del galvanismo, nuovo ramo della fisica, tanto import
izia istorica nei seguenti termini : « Volta, fondandosi sulla teoria del contatto, fu condotto ad inventare il maraviglios
17 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XII. La Titanomachia e la Gigantomachia » pp. 60-68
essi Titani che tentano colla forza di ricuperare il perduto possesso del celeste regno. Veramente le guerre contro Giove,
dall’esilio non potè eseguire quel poema che aveva ideato. Claudiano, del quale esiste un frammento di 127 versi della Giga
127 versi della Gigantomachia, non ci fa molto rimpiangere la perdita del rimanente di questo suo mitico poema ; ma il tito
el profondo dell’ Inferno da lui immaginato e descritto ; e l’esempio del gran padre Alighier, come lo chiama l’ Alfieri, d
a Titanomachia. Il diritto, che ora chiamerebbesi legittimo, al trono del Cielo apparteneva veramente ai Titani come figli
appresso fu soltanto un invasore fortunato che fece valere il diritto del più forte (jus datum sceleri) come vera e propria
sceleri) come vera e propria ragione. La famiglia dei Titani privata del trono, prima per frode, e poi per forza 69, esili
figli della Terra71, e li istigò a vendicare i Titani, a impadronirsi del Cielo e cacciarne gli usurpatori tiranni. Ed ecco
tti i Titani di origine divina, non che di regia stirpe e della linea del primogenito di Urano ; e invece i Giganti, esseri
ma la seconda era stimata, come direbbesi modernamente, una irruzione del Comunismo a distruzione del Gius Costituito, ossi
ome direbbesi modernamente, una irruzione del Comunismo a distruzione del Gius Costituito, ossia dell’ordine sociale di fat
dine sociale di fatto ; e gli antichi la considerarono come una lotta del principio del male contro quello del bene, e perc
i fatto ; e gli antichi la considerarono come una lotta del principio del male contro quello del bene, e perciò celebrarono
la considerarono come una lotta del principio del male contro quello del bene, e perciò celebrarono la vittoria di questo7
uti, invece di travestirsi da plebei come fanno i principi fuggiaschi del nostro globo, si trasformarono in bestie ed alcun
i altri due promontori Pachino e Peloro. Ne riporto qui la traduzione del Caro, e in nota l’originale : « È fama che dal f
i fumo77). » Ed è questo uno dei più evidenti esempi a dimostrazione del modo con cui gli Antichi trasformavano in raccont
le fa precedere una dottissima e splendida descrizione delle eruzioni del monte Etna, così egregiamente tradotta dal Caro :
zione della causa de’ vapori sulfurei dell’Etna, dicendo nel Canto iv del Paradiso, che la bella Trinacria, cioè la Sicilia
a dei vulcani. I chimici poi che riconoscono coll’analisi l’esistenza del solfo nativo nei terreni vulcanici, specialmente
i Titani coi Saturnii, che fu tradotto in versi da quel sommo ingegno del Leopardi. Il traduttore lo intitolò Titanomachia,
o la venerazione dell’ Alfieri per Dante, riporterò qui i primi versi del suo sonetto che egli fece a Ravenna nel visitare
ersi del suo sonetto che egli fece a Ravenna nel visitare il sepolero del divino poeta, da lui invocato come una divinità :
« Progenuit. » (Æneid., iv, 178.) 72. Lo stesso Orazio nell’ Ode i del libro iii appella Giove illustre pel trionfo sui
lla Solfatara fra Pozzuoli e Napoli. 75. Perciò Giovenale parlando del feticismo degli Egiziani, dice di loro ironicamen
tto, quntunque egli sia nuovo alle scienze, pure facendo uso soltanto del lume naturale della ragione, dirà a sè stesso o a
l più comune fra i mineralizzatori di diversi metalli, e segnatamente del ferro, col quale combinato forma il solfuro di fe
18 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXV. Bacco » pp. 161-172
diò la reggia Tebana e uccise e incenerì Semele195 ; e sarebbe perito del pari il non ancor nato figlio, se Giove non lo sa
distintivi ed emblemi di Bacco lo manifestano chiaramente come il Dio del vino e della intemperanza. Il volto giovanile e r
reschezza era stimata dagli Antichi un. sedativo ai calori ed ai fumi del vino ; e gli animali feroci significavano il furo
oduce l’abuso di questo liquore. Anzi per indicare non tanto la forza del vino che dà alla testa, quanto ancora l’impudenza
cono che le corna son simbolo della potenza di lui, ossia della forza del vino. Il nome stesso di Bacco, o che si faccia de
continuamente ubriaco non reggevasi in equilibrio neppur sulla groppa del suo asinello. Ma qui cederò la parola al Polizian
) quanto ancora dagl’italiani, come troviamo, per esempio, nell’Orfeo del Poliziano, e nel Ditirambo202) del Redi, intitola
troviamo, per esempio, nell’Orfeo del Poliziano, e nel Ditirambo202) del Redi, intitolato Bacco in Toscana. Anche le Bacca
E il Redi nel Ditirambo di Bacco fa dire a questo Nume : « Al suon del cembalo, « Al suon del crotalo, « Cinte di nebrid
bo di Bacco fa dire a questo Nume : « Al suon del cembalo, « Al suon del crotalo, « Cinte di nebridi, « Snelle Bassaridi,
ono cangiate in vipistrelli 205) e i loro telai in ellera per castigo del disprezzo mostrato pel culto di Bacco. Fu poi gen
erra. Questa favola di Mida fu raccontata dall’Alighieri nel Canto xx del Purgatorio, in quel cerchio ove son puniti gli av
l’apollinea cetra fosse preferibile il suono della rusticana sampogna del Dio dei pastori. Come si usa poeticamente per met
di Bacco ad indicare il vino. E Bacco in origine era simbolo soltanto del vino ; ma dopo tutte le favole che si raccontaron
. Imperocchè poco vale il piantare e il coltivar le viti dove i raggi del Sole non conducono le uve a maturità e non ne can
al nord, e generalmente in nessuna posizione ed esposizione al di là del grado 50 di latitudine207). Tutti hanno riconosci
e207). Tutti hanno riconosciuto e riconoscono indispensabile l’azione del Sole sulle uve per renderle atte a produrre il vi
re come questa azione si esercita e compiesi. Egli dice nel Canto xxv del Purgatorio : « Guarda il calor del Sol che si fa
compiesi. Egli dice nel Canto xxv del Purgatorio : « Guarda il calor del Sol che si fa vino, « Misto all’umor che dalla vi
luce. Il celebre Magalotti, relatore delle esperienze dell’Accademia del Cimento, in una delle sue lettere scientifiche (l
una ipotesi, alla quale allude il Redi nel Bacco in Toscana, parlando del vino : « Sì bel sangue è un raggio acceso « Di q
mica soltanto colla teoria delle trasformazioni per mezzo della luce, del calorico e della elettricità può darne la più raz
facoltà intellettuali e morali. 195. Dante assomigliò la potenza del riso di Beatrice su di lui all’effetto dei fulmin
 » (Orl. Fur., xxxvii.) « ………..al tumido Gernando « Fiaccò le corna del superbo orgoglio. » (Gerus. Lib.) 199. Son cel
nent a vespere nomen. » 206. È coerente al carattere di Bacco Dio del vino che egli disprezzi e biasimi la birra, il si
nque altra bevanda che non si estragga dall’uva. Perciò nel ditirambo del Redi ne parla in questi termini : « Chi la squal
r presto sotterra ; « Chi vuol gir presto alla morte « Le bevande usi del Norte. « Fanno i pazzi beveroni « Quei Norvegi e
rii veleni. 207. Si noti però che la vite non ama neppure l’eccesso del caldo ; e i limiti naturali fra cui prospera sono
19 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXXI. Il Genio e i Genii » pp. 232-241
e della creazione. Ma essendo carattere proprio della falsa religione del Politeismo il moltiplicare gli Dei, come nei fals
diffuse più che altrove tra gli antichi Germani ; e che non si fosse del tutto dileguata a tempo del Goethe ce ne dà prova
gli antichi Germani ; e che non si fosse del tutto dileguata a tempo del Goethe ce ne dà prova egli stesso colla sua quant
li stesso colla sua quanto mirabile altrettanto fantastica invenzione del Fausto. E il nostro volgo, specialmente nelle cam
osso, discepolo e fido seguace di Rosmini, il Pestalozza. Nel parlare del dualismo egli fa le seguenti osservazioni storich
a e la materia. « Questa dottrina che ammette due principii coeterni, del bene e del male, insegnata antichissimamente da M
ria. « Questa dottrina che ammette due principii coeterni, del bene e del male, insegnata antichissimamente da Manete, pres
fi della natura, le guerre dei giganti, la corruzione ognor crescente del genere umano, il diluvio, i tremuoti, le eru zion
egli Orientali, o dei Greci e dei Romani, che non ammetta il dualismo del principio benefico e del principio maligno. » Vi
ci e dei Romani, che non ammetta il dualismo del principio benefico e del principio maligno. » Vien poi a concludere giust
e stesse conclusioni io giunsi per altra via, quando nel N° IV parlai del Fato e del Fatalismo. Passando ora alla Mitologia
nclusioni io giunsi per altra via, quando nel N° IV parlai del Fato e del Fatalismo. Passando ora alla Mitologia classica p
e in cattivi spiriti. Anche i più celebri filosofi della Grecia, anzi del mondo, cioè Socrate, Platone e Aristotele, espres
vede alato il Genio della luce e con una fiaccola in mano al di sopra del carro di Diana ; e perciò non è possibile crederl
uistando nuovi significati. Io citerò qui, come esempii, alcuni versi del Cecchi, del Parini, del Monti, del Manzoni, e del
vi significati. Io citerò qui, come esempii, alcuni versi del Cecchi, del Parini, del Monti, del Manzoni, e del Giusti, in
ti. Io citerò qui, come esempii, alcuni versi del Cecchi, del Parini, del Monti, del Manzoni, e del Giusti, in cui trovasi
rò qui, come esempii, alcuni versi del Cecchi, del Parini, del Monti, del Manzoni, e del Giusti, in cui trovasi usato il vo
empii, alcuni versi del Cecchi, del Parini, del Monti, del Manzoni, e del Giusti, in cui trovasi usato il vocabolo Genio in
i e i Giochi, « E come ambrosia le Lusinghe scorrongli « Dalle fraghe del labbro. » Il Monti, nel Canto intitolato : La Be
aseo nel suo celebre Dizionario dei Sinonimi determina il significato del vocabolo Genio con queste parole : « Genio, nel s
uentio, chiamando geniali i letti nuziali, come nella seguente ottava del Canto v. « Che abominevol peste, che Megera « È
e gli ha bagnati l’ira stolta. » 280. Il Vocabolario della Crusca del passato secolo (non posso citar quello in corso d
re, aggradire. IIIª Dar nel genio che vale compiacere. Nel Dizionario del Manuzzi, oltre le eccezioni approvate dalla Crusc
lingua, espressione che il Manuzzi ammette, citando due esempii, uno del Salvini, e l’altro del Magalotti ; ma il Fanfani
e il Manuzzi ammette, citando due esempii, uno del Salvini, e l’altro del Magalotti ; ma il Fanfani riportando nel suo Dizi
20 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXX. Stato delle anime dopo la morte, secondo la Mitologia » pp. 216-231
co per mercede, a cui « Più scarso il cibo difendesse i giorni, « Che del Mondo defunto aver l’impero. « Su via, ciò lascia
orni, « Che del Mondo defunto aver l’impero. « Su via, ciò lascia ; e del mio figlio illustre « Parlami invece. » (Odiss.,
rtale e preferire la più meschina condizione di questa. La prescienza del futuro non li allettava quanto la reminiscenza de
sta. La prescienza del futuro non li allettava quanto la reminiscenza del passato, e principalmente di quei luoghi e di que
Per tal credenza, presso alcuni popoli, gettavansi ad ardere nel rogo del defunto o seppellivansi nella stessa tomba, gli s
mondo ; e per la stessa ragione anche oggidì tra gl’Indiani adoratori del Dio Brama spontaneamente si ardono vive le predil
riporterò qui la traduzione di Annibal Caro, e in nota i versi stessi del poeta latino : « Primieramente il ciel, la terra
d oltre a ciò, morendo, « Perchè sien fuor della terrena vesta, « Non del tutto si spoglian le meschine « Delle sue macchie
Metempsicòsi, e ne deriva necessariamente la conseguenza che le pene del Tartaro e le beatitudini dell’Elisio non erano et
iaramente espresso il principio, o vogliam dir la credenza dell’anima del Mondo 256, che fu considerata come la base del Pa
la credenza dell’anima del Mondo 256, che fu considerata come la base del Panteismo 257. Appunto perciò la religione dei Pa
e gabelle. Quindi in appresso si cessò dall’insistere sulla necessità del pagamento di quest’obolo, ma si confermò indispen
pagamento di quest’obolo, ma si confermò indispensabile la sepoltura del cadavere, affinchè l’anima potesse esser traghett
alla santità dei tempii e delle are260. Nella descrizione delle pene del Tartaro l’immaginazione degli Antichi era stata u
aro era quella di esser tormentati dalle Furie e gettati nelle flamme del Flegetonte ; e le pene speciali si riferiscono so
mi avessero l’onniscenza, li invitò a pranzo e imbandì loro le membra del suo figlio Pelope da lui stesso ucciso. Tutti gli
a, « Che imitar non si ponno. E ben fu degno « Ch’ei provasse per man del padre eterno « D’altro fulmine il colpo e d’altro
0, tutte figlie di Danao re di Argo e nipoti di Belo ; dai quali nomi del padre e dell’avo derivarono i loro appellativi o
ato, un fratello di Danao, chiamato Egitto, aveva 50 figli ; e perchè del regno di suo fratello non andassero in possesso g
lie eseguirono, qual fu quello di uccidere i loro sposi la prima sera del loro matrimonio. La sola Ipermestra salvò la vita
nte Ovidio nelle Metamorfosi e nelle epistole ; come pure altri poeti del secolo di Augusto270. È notabile che nell’Infern
dispute non adducevano altra ragione che l’Ipse dixit, cioè le parole del loro maestro : ipse autem erat Pythagoras, come d
a velle reverti. » (Æneid., vi, 724.) 256. « L’ipotesi dell’ anima del mondo, dice il Pestalozza, non è erronea per sè s
in appresso come la sesta parte della dramma, greca moneta d’argento del peso di 4 grammi e 363 milligrammi, e del valore
mma, greca moneta d’argento del peso di 4 grammi e 363 milligrammi, e del valore di 92 in 93 centesimi. Il nome di questa p
nte dall’obolo di Caronte all’obolo di San Pietro. 259. Nel libro ix del Codice Giustinianeo vi è il titolo De Sepulchro v
i, come può vedersi nell’ Ateneo di Firenze (fascicoli dell’ agosto e del settembre 1874). 266. « Tantalus a labris sitie
uies datur ulla renatis. » E più brevemente Tibullo nell’ Elegia iii del lib. i : « Porrectusque novem Tytius per jugera
delle Metamorfosi riassume brevemente le pene dei più celebri dannati del Paganesimo in questi versi : « Nec Tantalus unda
21 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXIII. Venère, Cupido e le Grazie » pp. 144-151
e da Teti. Esiodo poi lasciò scritto che Venere nacque dalla schiuma del mare. Questa più strana e prodigiosa origine, cre
. Alcuni dei più fantastici mitologi e poeti aggiungono, che le acque del mare furono fecondate dal sangue di Urano mutilat
. Con questo strano mito voleva significarsi che la Bellezza è figlia del Cielo, e che nel globo terraqueo manifestasi più
e delle onde spumanti, fu detto figuratamente che era nata dalle onde del mare per dire che era uscita da quelle. Quindi al
in una conchiglia marina spinta a gara dagli zeffiri sulla superficie del mare182. I poeti aggiungono che andò a fermarsi i
, in Pafo, in Idalio, in Àmatunta, in Gnido, ed ebbe da questi luoghi del suo culto i titoli di Citerèa, Pafia, Idalia ecc.
della madre per quello della figlia, volendo indicare nel Canto xxii del Paradiso il pianeta di Venere. Venere era conside
ggiunsero che le Grazie dovevano intervenire in tutte le consuetudini del civile consorzio ; ed uno di loro disse concisame
ssici antichi. Perciò Ugo Foscolo nel suo Carme sui Sepolcri parlando del Petrarca, che nelle sue poesie per Madonna Laura
enustà, o almeno nasconde in parte i danni dell’età. Servivasi Venere del cèsto per le solenni occasioni ; e non mancò di a
tissima favola, una specie di romanzetto all’uso di quelli delle Fate del medio evo, o delle Mille e una notti, e concluser
’amore è un sentimento dell’anima : ecco in due parole la spiegazione del mito. E quella graziosissima particolarità del mi
parole la spiegazione del mito. E quella graziosissima particolarità del mitologico racconto, che Cupido si rendeva invisi
badigli, ecc., ma soltanto modificazioni più o meno morbose o moleste del nostro corpo. Psiche è rappresentata come una gi
eneo, l’altro figlio di Venere era il Dio delle Nozze, o vogliam dire del Matrimonio ; ed anche in italiano si usa elegante
ente il nome di imeneo per significar le nozze, ossia la celebrazione del matrimonio. Rappresentavasi come un giovane maggi
matrimonio. Rappresentavasi come un giovane maggiore di qualche anno del suo fratello Cupido, con volto serio e riflessivo
riflessivo, perchè non v’è cosa più seria, e che dia più da pensare, del matrimonio ; con una face ardente nella destra, s
pensare, del matrimonio ; con una face ardente nella destra, simbolo del mutuo affetto degli sposi ; e nella sinistra le a
nella sinistra le auree catene a significare i vincoli e gli obblighi del matrimonio, catene, d’oro ma catene per sempre. S
uerra dei Greci contro la città di Troia, e nelle origini mitologiche del popolo romano. Venere giovanetta uscita appena da
logiche del popolo romano. Venere giovanetta uscita appena dalle onde del mare era rappresentata nuda e in una conchiglia m
e anche in Firenze nella Galleria degli Uffizi una vaghissima pittura del Botticelli rappresentante Venere nel modo qui sop
e nel modo qui sopra descritto. 183. Infatti Dante, nel Canto xxvii del Purgatorio, assomiglia la bellezza di Lia (che ne
armi una ghirlanda. » 184. I vocabolarii italiani fra le accezioni del verbo avvenirsi pongono anche quella che signific
22 (1861) Corso di mitologia, o, Storia delle divinità e degli eroi del paganesimo: Per la spiegazione dei classici e dei monumenti di belle arti (3e éd.) « Indice alfabettico. » pp. -424
ffrica, 390. Acalo, meccanico, nipote di Dedalo, 424. Acheloo, figlio del Sole e della Terra, 393. Acheronte, fiume dell’In
pitano nella guerra di Tebe, 506. Aello, Arpia, 191. Aeta, possessore del Vello d’oro, 450. Agamede, fratello di Trofonio,
dre di Cadmo e d’Europa, 482. Agesandro (di Rodi), uno degli scultori del Laocoonte, 607. Agesilaos, V. Plutone. Aglaia, un
Troja, 106 ; — si vendica della mala fede di Laomedonte, ivi ; — fine del suo esilio, 110 ; — suoi figli, 111 ; — suoi orac
ndovino, 660 (nota). Arpie, figliuole di Nettuno, 191. Arpocrate, dio del silenzio, 336. Artemisia, moglie di Mausolo, 135,
be, 449. Atea, divinità allegorica, 335. Atene, città greca ; origine del suo nome, 264. Atenea o Minerva, 263. Atenee, fes
ele, 49 ; — sua metamorfosi, 50. Atlante, re in Affrica, e possessore del giardino delle Esperidi, 359, 382. Atreo, figliuo
one, fratello di Cleobi : esempio di pietà filiale, 624. Borea, vento del Nord, 651-654. Brama, divinità indiana, 717. Bria
o gastigo, 413. Cerere, sua nascita, 51 ; — suoi figli, 52 ; — ratto del [ILLISIBLE]ua figlia Proserpina, 53 ; — percorre l
i Danao, 252. Danao, re d’Argo, ivi. Dardano, 517. Dattili, abitanti del monte Ida, 48. Dauno, 552. Dedalo, inventore del
. Dattili, abitanti del monte Ida, 48. Dauno, 552. Dedalo, inventore del Laberinto ; sue sventure, 421 ; — sua abilità, 42
no, 212. Enotria, Italia, 610. Eolo, Dio dei venti, 199. Eoo, cavallo del Sole, 110. Epafo, figlio di Giove e di Io, 90. Ep
di (le tre sorelle). Ercole uccide il mostro che custodiva l’ingresso del loro giardino, 382. Espero. Vedi Vespero. Età (le
o, 382. Espero. Vedi Vespero. Età (le) dell’Oro ; — dell’ Argento ; —  del Rame ; — del Ferro, 34. Eteocle, figlio di Edipo,
o. Vedi Vespero. Età (le) dell’Oro ; — dell’ Argento ; — del Rame ; —  del Ferro, 34. Eteocle, figlio di Edipo, usurpa il tr
505 ; — guerra di Tebe, 506 ; — morte d’Eteocle, 508. Etone, cavallo del Sole, 110. Etra, madre di Teseo, 402. Ettore, ero
dell’Inferno, 220. Flegia, punito nel Tartaro, 247. Flegone, cavallo del Sole, 110. Flora, Dea dei fiori, 312. Fobetore, u
obetore, uno de’ Sogni, 241. Foco, figlio d’Eaco, 229. Forba, pastore del re di Corinto, 492. Forco, deità marina, 204. For
Gerione, mostro, 358, 379. Giacinto, sua metamorfosi, 104. Giano, re del Lazio, 32 ; — protetto da Saturno, 33 ; — suo reg
asone, figlio di Esone. Sua nascita, 448 ; — intraprende la conquista del Vello d’oro, 449 e seg. ; — sua morte, 460. Gigau
, 187, 517. Lapiti, popoli, 429. Lari, Dei domestici, 325. Latino, re del Lazio, 614. Latona, perseguitata dal serpente Pit
lia di Preto ; gastigo della sua vanità, 92. Loke, 743. Lucifero, Dio del mattino, 239. Lucina o Illitia, 83, 95. Luna, nom
e in onor di Giunone, 95 ; — in onor di Pane, 296. Luperci, sacerdoti del Dio Pane, 296. M Macaone, figlio di Esculap
Melicerta, figliuola di Ino, 449. Melissa, Ninfa Oreade, ritrovatrice del miele, 319. Melpomene, una delle nove Muse, 275.
ufficj, 160 ; — considerato come Dio dell’eloquenza, 163 ; — come Dio del commercio, 164 ; — come protettore dei ladri, 165
3 ; — come è rappresentato, 284. Mopso, indovino, 664. Morfeo, figlio del Sonno, 240, 241. Morte, divinità inesorabile, 242
rato qual simbolo dell’universo, ossia il gran Tutto, 297 ; — origine del cosi detto timor panico, 298 ; inventore della si
e le Gorgoni, 355-357 ; — cangia Atlante in montagna, e coglie i pomi del giardino delle Esperidi, 359 ; — libera Andromeda
avventure, 432, 433 ; — ucciso dal cane Cerbero, 434. Piroo, cavallo del Sole, 110. Pirra, moglie di Deucalione, 647. Pir
a, sacerdotessa d’Apollo, 99, 122. Pittaco, filosofo, 122. Pitteo, re del Peloponneso, 402. Plisteno, 526. Pluto, Dio delle
Vedi Osiride. Sette Savi (i) della Grecia, 722. Sette meraviglie (le) del Mondo, 135. Sfinge, mostro, 497. Sibille, 665 ; —
delitto e suo gastigo, 245. Siva, divinità indiana, 721. Sogni, figli del Sonno, 241. Sole. Vedi Apollo. Solone, filosofo,
, feste in onor di Cerere, 60. Testio, re dell’ Etolia, 74. Teti, Dea del Mare, 192, 193. Teti, madre d’ Achille, 320. Teuc
Vittoria, divinità allegorica, 348. Vitzliputzli, 744. Vulcano, Dio del fuoco, 270 ; — sposa Venere, 271 ; — ha per compa
23 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XX. Mercurio » pp. 123-131
a verga a cui stanno attortigliati due serpenti ? È quella l’immagine del Dio Mercurio, il più affaccendato di tutti gli De
parola Erme fu poi usata in greco e in latino a significare il busto del dio Mercurio posto sopra una colonnetta ; e in qu
aliano, con mercatura e con merce, e vien quindi a significare il Dio del Commercio. Da questi due principali nomi Erme e M
n un esimio ambasciatore : e dall’esser egli il Dio della mercatura e del commercio, nelle quali occupazioni si commettevan
la velocità, si metteva il petaso e i talari, e volava celere al pari del vento153. In mano aveva o la sola verga, o la ver
che i Pagani davano ai loro ambasciatori : ora è divenuto il simbolo del Commercio, che è arte di pace, e prospera utilmen
e degli animali. Siccome la perfetta eloquenza non trascura l’armonia del linguaggio, ma sì la coltiva e l’adopra per iscen
alla vita privata di questo Dio. Son due trasformazioni, cioè quella del pastor Batto in pietra di paragone e di Aglauro i
per levar di mezzo quest’impaccio, la cangiò in livido sasso, simbolo del livore, ossia dell’invidia. Dante a cui nulla sfu
que stenda la mano o colorisce o scolpisce, nel descrivere il cerchio del Purgatorio ove son puniti gl’invidiosi, ci narra
così valersi incomparabilmente della pagana Mitologia, per ornamento del linguaggio poetico anche nel Purgatorio cristiano
dato pensatamente il nome di Mercurio al pianeta più vicino al centro del nostro sistema planetario, perchè compie con magg
gelo. È conosciuto volgarmente sotto il nome di argento vivo a causa del suo color bianco argenteo e della sua mobilità ;
te. La più comune dicesi volgarmente Marcorella, che è una corruzione del termine mercuriale. Mercuriali si chiamavano dai
ttributi di questo Dio. 147. Le ali di Mercurio non formavano parte del suo corpo come quelle degli uccelli, ma due eran
iò che poi restituiva ai proprietarii gli oggetti rubati. Ma i devoti del furto anzichè di Mercurio, non rubano per celia,
ituzione ; anzi se ne tengono e se ne vantano dicendo come il Girella del Giusti : « Non resi mai — Quel che rubai. » A p
l volgarissimo, ma non meno espressivo proverbio italiano : la farina del Diavolo se ne va in crusca. 150. « Te boves
chè sta in atto di prendere il volo e riposa soltanto con l’estremità del piede sinistro in un piccolissimo punto d’appoggi
di incoronarsi d’olivo, come accenna Dante stesso in una similitudine del Canto ii del Purgatorio. « E come a messaggier c
i d’olivo, come accenna Dante stesso in una similitudine del Canto ii del Purgatorio. « E come a messaggier che porta oliv
sta moderno l’ha chiamata Quarzo lidio. 163. Dante, nel Canto xxii del Paradiso, volendo indicare il pianeta di Mercurio
so nelle regole di quel traslato che chiamasi metonimia. « L’aspetto del tuo nato, Iperione, « Quivi sostenni, e vidi com’
sè stesso tra gli uomini mercuriali, ossia tra i dotti, nell’Ode 17ª del libro iii : « Me truncus illapsus cerebro « Sust
24 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXVI. Nettuno re del mare e gli altri Dei marini » pp. 173-183
XXVI Nettuno re del mare e gli altri Dei marini Gli Antichi non con
Gli Antichi non conoscevano neppure la decima parte della estensione del mare e neppur la parte millesima delle maraviglie
dre di Achille. Secondo Omero, l’Oceano ha il suo palazzo nelle acque del mare agli estremi confini delle Terra, e questo p
rato come il più antico Dio marino, non ha peraltro l’impero assoluto del mare, che toccò in sorte a Nettuno fratello di Gi
ti, alla quale l’Oceano non prese parte. Il nome di Nettuno, dio e re del mare deriva, come dice Varrone, da un verbo latin
ti la prima guerra punica poco lo consideravano ed adoravano come Dio del mare, ma più generalmente, a tempo di Romolo, com
o come Dio del mare, ma più generalmente, a tempo di Romolo, come Dio del consiglio sotto il nome di Conso, e in appresso a
dall’alto della nave una pubblica preghiera a tutti gli Dei e le Dee del mare, come lo stesso Tito Livio riferisce nella s
i trasformò nella costellazione dei Pesci, che è uno dei dodici segni del Zodiaco. Da questo matrimonio nacque il Dio Trito
itto. Gli astronomi diedero il nome di Nettuno al più lontano pianeta del nostro sistema solare, preconizzato da Leverrier
logico che attribuisce la formazione della maggior parte delle roccie del nostro globo all’azione dell’acqua ; Nettuniani g
o pesci. La loro occupazione era quella di tenere allegre le Divinità del mare (come i Satiri le terrestri Divinità) e di s
nferiori popolavano ed abbellivano, nella fantasia dei poeti, le onde del mare ; e ce le dipingono come vaghe e snelle giov
famiglia ; e poi poche altre parole basteranno a compir la narrazione del mito. « Nel tempo che Giunone era crucciata « Pe
ero presiedere Leucotoe (chiamata dai Romani anche Matuta) alla calma del mare, e Palemone ai porti (e perciò fu chiamato a
one dei naviganti e le due cose più da loro desiderate, cioè la calma del mare ed il ritorno in porto, a due Divinità che a
rde-azzurro, bene adatto ad indicare il colore che riflettono le onde del mare. Dante volendo raccontare che egli nell’asce
citar l’esempio di Glauco per offrirci qualche immagine più sensibile del suo concetto : « Nel suo aspetto (di Beatrice) t
e si l’un volgo che l’altro tien bene a memoria ed usa spesso il nome del Dio del vino, poco si cura di rammentarsi o di ra
n volgo che l’altro tien bene a memoria ed usa spesso il nome del Dio del vino, poco si cura di rammentarsi o di rammentare
del Dio del vino, poco si cura di rammentarsi o di rammentare quello del Dio dell’acqua. 216. Considerato Nettuno come c
r verba « Non si potria. » (Parad., i, 70.) 221. Vedi il principio del Canto xxx dell’Inferno. 222. L’aver provato i m
si della mitologica trasformazione ; e gli bastava soltanto l’esempio del furore di Atamante per preludio alla descrizione
furibonde anime dannate di cui allora voleva parlare. Ma nel i Canto del Paradiso, gli fece molto comodo di citare l’esemp
he accortamente può farsi della Mitologia in servigio e per ornamento del inguaggio e dello stile poetico.
25 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXXII. Gli Oracoli » pp. 242-252
e, cioè interpretazione della volontà degli Dei. Lo stesso è da dirsi del vocabolo responsi, latinismo che è divenuto in it
che sia ad essi comune. Fra tutti quanti gli Oracoli, il più celebre del mondo pagano era senza dubbio quello di Delfo ; e
co 283) ; e troviamo anche in Dante la perifrasi Delfica deità invece del nome di Apollo284). Delfo (oggi Kastri), città d
i come responsi di Apollo. Gli Oracoli si rendevano in un sotterraneo del tempio, inaccessibile a tutti i profani, ed ove a
mozzare il fiato. Un tripode, che alcuni dissero coperto della pelle del serpente Pitone, serviva di sedile alla Pitonessa
e i Latini cortina, dentro la quale si conservavano i denti e le ossa del serpente Pitone. — In appresso la parola cortina
ammessi a queste fantasmagorie era la paura prodotta dalla tetraggine del luogo e dalla alterazione della loro fantasia285)
a responsi in un modo più solenne e soddisfacente. Quanto all’origine del tempio e dell’Oracolo di Giove Ammone nella Libia
smeraldi e delle altre pietre preziose, di cui era formata l’immagine del Nume, come asseriscono Diodoro Siculo e Q. Curzio
i modi di divinazione preindicati erano altrettante solenni imposture del Politeismo, e sì abilmente organizzate da allucin
lippeggiava, vale a dire che l’Oracolo di Delfo era corrotto dall’oro del re Filippo padre di Alessandro Magno. Cicerone co
e il discredito andò sempre crescendo molto prima della introduzione del Cristianesimo, come sappiamo dal sommo Orator rom
no, e registrò nelle sue opere tutti i più strani ed assurdi miracoli del Politeismo, non seppe conoscere la vera causa del
una contradizione, la negazione della loro stessa divinità, e perciò del culto religioso che ne dipendeva. I primi Cristia
emònii, ed asserivano che la potenza di questi era cessata col sorger del Cristianesimo ; e così assegnavano gratuitamente
to anche dai filosofi che i primi civilizzatori dei popoli si valsero del principio teocratico, facendosi credere o figli d
queste poche parole : conosci te stesso, leggevasi scritta sul pronao del tempio di Apollo in Delfo. Cicerone che l’analizz
i e amarono la libertà e il pubblico bene, anche i dotti e i sapienti del mondo ammirarono ed encomiarono la loro santa imp
i i responsi « De’ domestici Lari ….. » 283. Orazio nell’Ode vii del lib. i, notando i pregi per cui distinguevansi di
la fronda « Peneia, quando alcun di sè asseta. » Nella qual terzina del Canto I del Paradiso, Dante adopra due perifrasi
 Peneia, quando alcun di sè asseta. » Nella qual terzina del Canto I del Paradiso, Dante adopra due perifrasi mitologiche 
giudizio che darebbe de’suoi versi il principe dotto e poeta a quello del Dio stesso della poesia : « Pagina judicium doct
impostura « La buccia un po’ dura « Del popol di Marte. » (Apologia del Lotto). 292. Sta scritto nei libri sacri del Cr
di Marte. » (Apologia del Lotto). 292. Sta scritto nei libri sacri del Cristianesimo : Fides sine operibus mortua est ;
26 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — VII. Saturno esule dal Cielo è accolto ospitalmente in Italia da Giano re del Lazio » pp. 31-38
Saturno esule dal Cielo è accolto ospitalmente in Italia da Giano re del Lazio Poichè i mitologi, e specialmente i poeti
esiliato dal Cielo era già la specie umana sparsa in diverse regioni del mondo, e che nel territorio ove ora è Roma esiste
questa l’opinione non solo dei commentatori della Bibbia, ma pur anco del sommo Alighieri, il quale nel Canto xxviii del Pu
la Bibbia, ma pur anco del sommo Alighieri, il quale nel Canto xxviii del Purgatorio, descrivendo le bellezze del Paradiso
ri, il quale nel Canto xxviii del Purgatorio, descrivendo le bellezze del Paradiso terrestre, fa dire alla celeste Matelda 
ciascun dice ! » All’età dell’oro successe quella dell’argento e poi del bronzo e del ferro, di mano in mano che gli uomin
! » All’età dell’oro successe quella dell’argento e poi del bronzo e del ferro, di mano in mano che gli uomini peggioraron
nche in Grecia e nell’ Oriente ; e aveva un tempio in Roma alle falde del Campidoglio, ove conservavasi il tesoro della Rep
e i medici colica saturnina una nevralgia cagionata dall’assorbimento del piombo o delle sue emanazioni : la luce pallida o
bimento del piombo o delle sue emanazioni : la luce pallida o plumbea del pianeta Saturno può aver suggerito quelle scienti
atissimo al suo ospite Giano, poichè prima di tutto insegnò ai popoli del Lazio l’agricoltra, e li rese così più sicuri del
o insegnò ai popoli del Lazio l’agricoltra, e li rese così più sicuri del loro nutrimento al cessare dell’età dell’oro ; e
quello cioè di prevedere il futuro, e l’altro di non dimenticarsi mai del passato. Giano in tutto questo racconto dell’esil
o della celeste reggia, e come il Dio che fa girare le sfere e l’asse del mondo38, cioè il Dio del moto ; e finalmente come
come il Dio che fa girare le sfere e l’asse del mondo38, cioè il Dio del moto ; e finalmente come il mediatore dei mortali
accordategli da Saturno, di prevedere il futuro e di non dimenticarsi del passato, ed anche come portinaio del cielo, affin
il futuro e di non dimenticarsi del passato, ed anche come portinaio del cielo, affinchè potesse vedere e invigilare da pe
etto gennaio dal nome e in onore di Giano, considerato come portinaio del Cielo e dell’anno. Chiamavansi Giani anche certe
ta la Giudea conquistata da Pompeo conoscessero i dotti, specialmente del secolo d’Augusto, i racconti biblici ; e sebbene
oro arti in Roma ; e che si mantenevano sempre scrupolosi osservatori del giorno di sabato. È Orazio stesso che lo dice nel
ori del giorno di sabato. È Orazio stesso che lo dice nella ix Satira del lib. i : Hodie tricesima sabbata : vin’ tu curtis
egi dell’ Italia, che dichiara superiori a quelli delle altre regioni del mondo, conchiudendo la saluta con questa apostrof
27 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXIX. Plutone re dell’ Inferno e i suoi Ministri » pp. 203-215
ramente che quelle infernali regioni, oltre ad esser prive della luce del Sole, erano orrende anche al guardo del Cielo (Il
tre ad esser prive della luce del Sole, erano orrende anche al guardo del Cielo (Iliade, xx), cioè facevano orrore anche ag
che vi soggiornavano ; e sui malvagi aveva un ufficio simile a quello del soprastante delle carceri o delle galere ; nè pot
più potente fratello Giove. Si accorsero i mitologi di questo difetto del loro mito infernale, e pretesero di supplirvi ass
e l’avvenente e delicata Ninfa che sceglieva fior da flore alle falde del monte Etna, e a cui Dante assomigliò la bella e c
l monte Etna, e a cui Dante assomigliò la bella e cortese giardiniera del Paradiso terrestre ; ma come una matrona molto se
come una matrona molto seria, in regie vesti, ma tutt’altro che lieta del grado di regina : allora confondevasi invece con
nferno) ; e di più credevasi che anch’essa si fosse adattata ai gusti del marito, e li secondasse attirando nei regni infer
ola Dite come sinonimo di Plutone, denominando città di Dite la città del fuoco (di cui abbiam detto nel Cap. precedente) :
e raccontano ai putti le bisavole243. » Tutta la guardia pretoriana del re e della regina dell’Inferno consisteva nel Can
endenti da Plutone ; e perciò dovrebbero chiamarsi piuttosto ministre del Fato che del re dell’Inferno. Ma gli Antichi cons
utone ; e perciò dovrebbero chiamarsi piuttosto ministre del Fato che del re dell’Inferno. Ma gli Antichi considerando che
endersi in descrizioni247, tranne qualche rara eccezione, come quella del Petrarca nel Trionfo della Morte. Ma di Caronte,
ca nel Trionfo della Morte. Ma di Caronte, dei Giudici dell’Inferno e del Sonno, non solo i poeti greci e i latini, ma anch
io dell’Erebo e della Notte, e dimorante in una caverna lungo le rive del fiume Lete, e perciò posto tra le Divinità infern
l’Ariosto tra i moderni hanno fatto bellissime descrizioni della Casa del Sonno, ma quasi tutti i poeti parlano del Sonno e
sime descrizioni della Casa del Sonno, ma quasi tutti i poeti parlano del Sonno e dei Sogni ; ed anche Dante racconta diver
uno dei nomi di Plutone, di quello cioè di Dite, per darlo alla città del fuoco ed allo stesso Lucifero. Altri Dei e mostri
da Plutone Dio infernale che aveva maggiore affinità con Vulcano, Dio del fuoco. Gli astronomi diedero il nome di Proserpin
catenò il can Cerbero nell’Inferno e lo trascinò seco sino alla vista del Cielo. I naturalisti danno il nome di Cerbero a u
signor nostro, « Vedemo l’ Orco a noi venir correndo « Lungo il lito del mar, terribil mostro. — « Dio vi guardi, Signor,
pastor, dal fianco. » E per intender poi che questa è una imitazione del gigante Polifemo descritto da Omero nell’ Odissea
nvenzione dantesca sia da ammirarsi principalmente la facoltà poetica del quidlibet audendi e la potenza del Genio di rende
principalmente la facoltà poetica del quidlibet audendi e la potenza del Genio di rendere accette e gradite a tutta la pos
28 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXIX. Di alcune Divinità più proprie del culto romano » pp. 500-505
LXIX Di alcune Divinità più proprie del culto romano A render più completa la spiegazio
i, almeno di nome, anche sotto gl’Imperatori e sino agli ultimi tempi del romano impero, le stesse cerimonie descritte da O
soltanto, ma per tutta Europa e presso molti popoli delle altre parti del mondo. Era giorno solenne e lieto, come lo chiama
ciascuno attendeva al proprio ufficio, o professione nelle altre ore del giorno. Credevasi di cattivo augurio che il primo
si lasciasse trascorrere inerte senza adempiere pur anco gli obblighi del proprio stato. Il dì 11 dello stesso mese celebr
Giunone Argiva, nè la Giunone Romana. La Dea Fornace fu un’invenzione del re Numa Pompilio. Era veramente una Dea da quelle
questo giorno alla stessa mensa, non solo in attestazione e conferma del loro reciproco affetto, ma principalmente per ave
n molta cura, e solo una volta all’anno nel mese di marzo i sacerdoti del Dio Marte li portavano per le vie della città can
aggiunsero il titolo di Perenna perchè era considerata come una Ninfa del fiume Numicio. Ovidio ne dà l’etimologia latina c
osse nata un giorno prima di Apollo. Le feste Robigali, cioè in onore del Dio Robìgo, facevansi per implorare da questo Dio
che di molti Dei si conoscono le attribuzioni dal significato stesso del loro nome ; e tra gli altri abbiamo rammentato il
a la festa della Dea Bona. Questa è la stessa che la Dea Fauna moglie del Dio Fauno, di cui abbiamo parlato nel Cap. XXXV.
emmeno sospetti. Nel mese di Giugno trovasi rammentata la dedicazione del tempio a Giunone Monèta. Questo titolo di Monèta
ta romana, derivando da bellum cioè dalla guerra, era creduta sorella del Dio Marte ed auriga del medesimo nelle battaglie,
bellum cioè dalla guerra, era creduta sorella del Dio Marte ed auriga del medesimo nelle battaglie, quando egli combatteva
lungo tempo quale ufficio egli avesse. Marziano Capella, poeta latino del quinto secolo dell’ E. V. asserisce nel suo libro
l Glossarium Labronicum, concludono col Preller che Summanus è un Dio del cielo notturno, a cui si attribuivano i temporali
rof. B. Zandonella in un suo articolo inserito nell’Ateneo di Firenze del 15 febbraio 1874, esaminando il nome Monsummano «
Pistoia e suo territorio, » e invece riconosce giusta la conclusione del Preller, non nasconde per altro che le notizie da
dal dotto autore tedesco non discordano punto da quelle, più erudite del Giornale Arcadico stampato in Roma nel 1820, cioè
dico stampato in Roma nel 1820, cioè mezzo secolo prima degli scritti del Preller. — Avvertimento agli ammiratori di tutto
29 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLV. La spedizione degli Argonauti alla conquista del Vello d’oro » pp. 331-341
XLV La spedizione degli Argonauti alla conquista del Vello d’oro Su questo argomento furon composti
vi presero parte, alcuni dei quali eran prima intervenuti alla caccia del cinghiale di Calidonia ; e tra questi Giasone che
lle nella guerra di Troia. Lo scopo della spedizione era la conquista del Vello d’oro ; e perciò di questo convien prima di
di Marmara, lo stretto di Costantinopoli e tutta la maggior lunghezza del Mar Nero, e giunger salvo a Colco. Frisso fu beni
coll’ incominciar dal 1° grado di esso l’annuo suo corso tra i segni del Zodiaco. Quindi i poeti alludendo a tal fatto mit
resa per far lo stesso viaggio marittimo che fece Frisso sulla groppa del suo impareggiabile montone, furon costretti a cos
rti della Grecia, alcuni dei quali eran già stati con lui alla caccia del cinghiale di Calidonia, cioè Teseo, Piritoo, Cast
n quella impresa. Fu costruita la nave per questa spedizione coi pini del monte Pelio e colle quercie della selva di Dodona
chio di frangersi o arrenare la nave. Orfeo interrompeva la monotonia del viaggio rallegrando i compagni col canto e col su
vere a mano a mano opportune notizie riferibili al luogo e allo scopo del loro viaggio, ed anche per rinnovare le loro prov
tti per costituirsi in repubblica femminile. La sola Issipile, figlia del re Toante, con pietosa frode salvò la vita a suo
sto, e rammentato più d’una volta dall’Alighieri, cioè la liberazione del re Fineo dalle Arpie. Le Arpie eran mostri che Da
unto l’Ariosto lascia l’imitazione degli Antichi, e con le invenzioni del Medio Evo, di cui si era valso in altri luoghi de
con le invenzioni del Medio Evo, di cui si era valso in altri luoghi del suo poema, narra la liberazione del Senàpo dalle
cui si era valso in altri luoghi del suo poema, narra la liberazione del Senàpo dalle Arpie in modo più maraviglioso di qu
r come lo sente. « Rumor di vento e di tremuoto, e ‘l tuono, « Al par del suon di questo, era nïente. » (Or. Fur., xv, 14.
do l’Ariosto li fa porre in opera dal duca Astolfo per la liberazione del Senàpo dalle Arpie : « Avuto avea quel re ferma
erar gli avanza, « Sospira e geme e disperato stassi. « Viene al duca del corno rimembranza, « Che suole aitarlo ai perigli
’acqua. Gli Argonauti non furon troppo dolenti di perder la compagnia del loro carissimo Panfago, perchè poteron procedere
portanza in confronto dei già narrati e dell’azione principale, scopo del loro viaggio ; quindi ci affretteremo a parlare d
Dante in un sol verso accenna questo fatto, anzi ne fa una perifrasi del nome di Issipile, o Issifile, dicendo nel Canto x
na perifrasi del nome di Issipile, o Issifile, dicendo nel Canto xxii del Purgatorio : « Vedesi quella che mostrò Langia, 
ue manus, et pallida semper « Ora fame. » 70. Anche i poeti latini del secolo di Augusto rammentano con maraviglia e con
30 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XI. Giove re del Cielo » pp. 55-59
XI Giove re del Cielo Che Giove fosse adorato come il supremo d
Giove, per dire che giova a tutti ; e Dante nel celeberrimo canto VI del Purgatorio, ove rimprovera la serva Italia di dol
e la protezione della ospitalità ; Tonante perchè era creduto signore del fulmine. In Roma gli furono eretti diversi tempii
o che sale dove ’l freddo il coglie. » Considerato Giove come il re del Cielo, aveva lassù la sua reggia, il suo trono, i
tatua della dea Vittoria nella sinistra, e ai piedi l’aquila ministra del fulmine, vale a dire che gli portava i fulmini da
portava i fulmini dalla fucina di Vulcano. Omero aggiunge che ai lati del suo trono teneva Giove due coppe, l’una del bene
mero aggiunge che ai lati del suo trono teneva Giove due coppe, l’una del bene e l’altra del male, per versarle a suo benep
i lati del suo trono teneva Giove due coppe, l’una del bene e l’altra del male, per versarle a suo beneplacito sopra i mort
ma statua di Giove Olimpico 63, considerata come una delle maraviglie del mondo ; la quale rimase sempre per tutti i seguen
egio modello dei lineamenti caratteristici di questa suprema divinità del paganesimo64. Nell’Affrica questo Dio era adorato
e gli eresse in quell’oasi fu perciò detto di Giove Ammone, e l’idolo del Nume ebbe perciò la forma di ariete65. Dell’ Orac
vince de’ Numi « Le forze e dei mortali. » (Iliade, lib. viii, trad. del Monti.) Questa invenzione dell’aurea catena che l
te dai filosofi, e tra questi da quel potente e straordinario ingegno del nostro Giovan Battista Vico66. Si unirono anche g
null’altro si sapesse di Giove, avremmo in esso una nobilissima idea del Dio filosofico, riconosciuto e affermato da Socra
voce padre è termine di affettuosa venerazione. Dante nel primo Canto del Paradiso invocando Apollo dio della poesia, lo ch
che parlano di pioggie troppo continuate. 61. Vedendosi l’alta cima del monte Olimpo spesso cinta di nubi, dicevano gli A
di maestoso o imperioso ; e l’ ha usato anche il Giusti nella satira del Ballo in questa espressione : « Con un olimpico
ittà (alla distanza di un miglio e mezzo) sorgeva il magnifico tempio del Nume, e facevansi ogni 4 anni i celebri giuochi d
iennale solennità della Grecia ebbero il nome le Olimpiadi, divisione del tempo tutta particolare ai Greci e significante l
iglio di Saturno i neri « Sopraccigli inchinò : sull’immortale « Capo del Sire le divine chiome « Ondeggiaro, e tremonne il
31 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — V. Urano e Vesta Prisca avi di Giove  » pp. 25-27
V Urano e Vesta Prisca avi di Giove Dal prospetto genealogico del N° III sappiamo che Urano sposò Vesta Prisca, e c
te dell’ Universo egli rappresenti ; e inoltre l’esser creduto figlio del Giorno e dell’Aria indica l’opinione degli antich
fosse composto di questi due più leggieri e più puri fra i 4 elementi del Caos. Erravano dunque meno del famoso astronomo T
ù leggieri e più puri fra i 4 elementi del Caos. Erravano dunque meno del famoso astronomo Tolomeo (vivente nel secondo sec
ientifica l’esistenza di tante sfere di solido cristallo negli spazii del cielo. Anzi potrebbe dirsi che avessero gli Antic
nque subito a cercar moglie ad Urano. Qual mai poteva esser la moglie del Cielo ? La Terra : non v’era da sceglier molto fr
elementi, poichè avevan considerato il Giorno e l’ Aria come genitori del Cielo, e volevano serbar l’Acqua per farne la mog
l Cielo, e volevano serbar l’Acqua per farne la moglie di Nettuno Dio del mare. Ma siccome fu dato il nome di Urano al Ciel
gettivo di Prisca, per distinguerla da un’altra Vesta sua nipote, Dea del fuoco del culto delle Vestali in Roma. Ebbe anche
Prisca, per distinguerla da un’altra Vesta sua nipote, Dea del fuoco del culto delle Vestali in Roma. Ebbe anche i nomi di
un suo figlio chiamato Iperione ebbero l’ufficio di guidare il carro del Sole per distribuire la luce al mondo ; perciò i
nomi di Titano e di Iperione si trovano usati in poesia come sinonimi del Sole. Quando poi fu nato e cresciuto. Apollo, que
tando così gli antichi astronomi, che ai pianeti più vicini al centro del loro sistema planetario avevano dato il nome dei
o dato il nome dei principali figli di Giove, e al più lontano quello del padre di esso, cioè di Saturno ; perciò al pianet
 ; perciò al pianeta che è più lontano di Saturno assegnarono il nome del padre di questo, cioè di Urano. Anche il nome di
ibuito al 4° piccolo pianeta o asteroide scoperto da Olbers nel marzo del 1807 : ma poichè il segno simbolico che nelle car
e che gli astronomi abbiano inteso di rappresentar Vesta giovane, Dea del fuoco, anzi che Vesta Prisca moglie di Urano. 1
nel 2° De Nat. Deor. aveva dato prima d’ Ovidio la stessa derivazione del nome di Vesta dal greco Estia : Nam Vestæ nomen a
la luce « Ove fra me ed aquilone entrava. » 20. Il Giusti parlando del cosi detto diritto di primogenitura lo chiama iro
32 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXVII. I Mostri marini Mitologici e Poetici » pp. 184-194
lgarmente alle diverse specie delle balene. Le Sirene, credute figlie del fiume Acheloo e della ninfa Calliope, erano rappr
erano rappresentate dalla testa ai fianchi come donne e nel rimanente del corpo come mostruosi pesci con doppia coda224. Ol
i parlarne anche nel poema sacro della Divina Commedia. Nel Canto xix del Purgatorio immagina di aver fatto un sogno, nel q
questi detti della Sirena, il poeta ce la rappresenta come l’immagine del vizio che alletta « Col venen dolce che piacendo
irtù, che stracciando le pompose vesti che cuoprivano quella immagine del vizio, ne mostrò a Dante la turpitudine, « E lo
ope ; ed aggiungono che la sirena Partenope andò a morire sulla costa del Tirreno dove fu poi fabbricata una città che in m
n uno di quei momenti in cui indossava la ruvida veste dello stoico e del moralista, lasciando quella effeminata, e per lui
zione fra le balene e le foche, e la cui forma, nelle parti superiori del corpo, si discosta meno di quella degli altri cet
n straordinarie invenzioni favolose le fantastiche ed esagerate paure del volgo. E poichè stimavasi difficile schivare l’un
vortice, qual è veramente, prodotto da due opposte correnti di acqua del mare : « Come fa l’onda là sovra Cariddi, « Che
n bambino appena nato : di fatti suo cibo prediletto sono i molluschi del genere Clio Borealis, non più grossi di un dito,
rimbomba il suono per le solitudini dell’artico Oceano come il romor del cannone, pur tuttavia ben lungi dall’avere spirit
greci e latini, ma non le avevano neppure i poeti classici e i dotti del secolo di Augusto232, e neppure lo stesso Plinio
e morì l’anno 79 dell’era cristiana il 2° giorno della prima eruzione del Vesuvio. E quantunque i poeti che scrissero dopo
n dall’altro estremo. » Mirabile è poi sovra le altre la descrizione del modo con cui Orlando libera Olimpia dall’ Orca ch
intorno, « Si colca e lieva, e non può uscir d’impaccio ; « Così fuor del suo antico almo soggiorno « L’Orca tratta per for
taggi234. Infatti l’uomo ha saputo ridurre l’elefante alla condizione del più umil somiero, e uccider balene di più di 20 m
ene di più di 20 metri di lunghezza, di dieci o undici di larghezza e del peso di più di 100 mila chilogrammi ; e così dimo
osa superne. » (Hor., De art. poet.) 225. Orazio nell’ Epist. 4ª del lib. i, ad Albio Tibullo, chiama sè stesso : Epic
; ed è la Balena detta della Groenlandia, perchè si trova nelle acque del mare che circonda quell’isola. 232. Orazio fac
è noto che si scaglia e s’infigge il rampone o la fiocina nella pelle del cetaceo, che è grossa circa un pollice, e si fa p
tiene fissata alla nave, e se è possibile anche alla spiaggia. E vero del pari che la Balena : « Dal dolor vinta, or sopra
33 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XVIII. Apollo considerato come Dio della Poesia e della Musica e maestro delle nove Muse » pp. 104-114
zione intellettuale. Ecco il carattere distintivo della vera poesia e del Nume che ad essa presiede. Apollo è dunque il sim
ra poesia e del Nume che ad essa presiede. Apollo è dunque il simbolo del poetico ingegno, che non si compra coll’oro, nè s
ia all’ astronomia127. Quindi si rappresentano con emblemi distintivi del loro speciale ufficio : Calliope con volto maest
la poesia o l’ispirazione poetica. Così Dante ha detto nel Canto xxix del Purgatorio : « Or convien ch’Elicona per me vers
ensar, mettere in versi. » E con maggior licenza poetica nel Canto i del Paradiso ; « Insino a qui l’un giogo di Parnaso
uopo entrar nell’arringo rimaso128. Anche il Tasso ha usato il nome del monte Parnaso figuratamente per la poesia nel Can
anco la necessità dell’armonia imitativa o espressiva nella compagine del verso. Fra i titoli dati alle Muse v’è quello di
che per loro, dice egli stesso, soffrì la fame e la sete, e si privò del sonno : « O sacrosante vergini, se fami, « Seti
è in alloro, poichè Dafne in greco significa lauro. Dalla somiglianza del nome ebbe origine questa trasformazione. Il lauro
fale, « Onor d’imperatori e di poeti. » Dante stesso parla più volte del legno diletto ad Apollo, della fronda Peneia e de
llo per farvi tanti giuochetti di parole col nome di Laura, l’ Eroina del suo Canzoniere. Su tale argomento basti l’ aver c
pallidetta al Sole. » Un’altra metamorfosi basata sulla somiglianza del nome fu opera di Apollo. Egli cangiò in cipresso
già distese e bionde. » Più tristi effetti ebbe per Apollo la morte del giovinetto Giacinto. Era anche questo un di quei
e questo un di quei pastorelli amici o dipendenti di Apollo nel tempo del suo esilio e della sua condizion di pastore ; i q
evo della sua afflizione lo cangiò nel fiore che porta lo stesso nome del giovinetto134. Invenzione anche questa dello stes
camente diconsi gioghi : e cosi il poeta affermando che nella Cantica del Paradiso ha d’uopo d’ ambedue i gioghi di Parnaso
utte le forze della più sublime poesia. 129. Neppure i poeti latini del secol d’oro usaron mai la parola estro per l’ispi
spirazione poetica : solo nel secolo d’argento, trovasi nella Tebaide del poeta Stazio in quello stesso significato che tal
am. » (Theb., i, 32.) 130. E da notarsi che Dante nel Canto xviii del Paradiso, invocando la Musa, la chiama diva Pegas
è lo stesso che fata canere, frase usata anche da Orazio nell’ Ode 15 del lib. i, ut caneret fera Nereus fata. Da questa fr
quando alcun di sè asseta. 134. Nelle parti interne della corolla del giacinto si vedono alcune fibre cosi disposte da
34 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXVIII. Le regioni infernali » pp. 195-202
Tenaro (ora capo Matapan al sud della Morea) ; e l’altra sulle sponde del lago Averno in Italia. Cinque fiumi scorrevano ne
te da dannati, perchè le acque dell’Acheronte erano corrosive, quelle del Cocìto erano formate dalle lagrime dei malvagi, e
arvi i dannati. Il Lete poi aveva il suo corso fra i due dipartimenti del Tartaro e degli Elisii, e le sue acque piacevoli
degli Elisii, e le sue acque piacevoli a beversi producevano l’oblio del passato e perfino della propria esistenza ; e que
dovevano ritornare nel mondo a dar vita a nuovi corpi. Il territorio del Tartaro era orrido e sterile come il paese della
rte : di straordinario e soprannaturale avevan soltanto la prescienza del futuro. È celebre la descrizione che ne fa Virgil
Cimmerii, popoli antichi i quali abitavano sulle rive settentrionali del Ponto Eusino (ora Mar Nero) e della Palude Meotid
pennello. Dante pur conservando le credenze e i principii teologici del Cristianesimo, e introducendo i diavoli a torment
iche dei Pagani, che potevan meglio servire alla immaginata allegorìa del suo poema. Ma quanto alla fabbrica dell’Inferno l
tti gli altri, i quali, vanno gradatamente decrescendo fino al centro del nostro globo, nel qual punto termina l’Inferno st
almente, tralasciando ogni altra singolarità, la città di Dite, ossia del fuoco con mura ferruginose, e dentro, invece di c
evole curiosità di conoscere che vi sia veramente sotto la superficie del nostro globo. Lo spazio è abbastanza grande da en
a curiosità d’investigare l’interna struttura e material composizione del globo terrestre, divenuta potente sull’animo degl
vale a dire la scienza della struttura interiore della solida crosta del nostro globo238. Ben presto vi si aggiunse compag
te ad ottenere lo stesso fine ed effetto, di scuoprire cioè l’origine del nostro pianeta e la fisica costituzione di esso a
ignea componente il globo solare, e poi distaccati da quello in forza del movimento di rotazione. Inoltre colle analisi spe
ti. Orazio ne fa poeticamente una splendida descrizione nell’ Ode 16ª del lib. v ; e asserisce che la terra di quelle isole
a descrizione di Orazio potrebbe considerarsi come una amplificazione del passo di Esiodo nelle Opere : « Eroi felici, che
errigno, « Come la cerchia che d’intorno il volge. « Nel dritto mezzo del campo maligno « Vaneggia un pozzo assai largo e p
35 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLI. Perseo » pp. 309-316
chiuso, « Chè se ‘l Gorgon si mostra e tu ‘l vedessi, « Nulla sarebbe del tornar mai suso. » Quanto poi alle belle arti sa
na bellissima testa anguicrinita di Medusa, distaccandola dalle porte del tempio di Minerva in Siracusa49. Tra i lavori mod
he fu poi sacra alle Muse e fu chiamata Ippocrene, che vuol dir fonte del cavallo. La produzione dei serpenti dal sangue de
testa anguicrinita di Medusa è meno difficile a spiegarsi che quella del caval Pegaso nato dal corpo di essa. E Pindaro, a
zzi di distruzione delle umane esistenze. Ma per non perdere il vanto del valor personale e per non nuocere agl’innocenti,
di maggior bisogno ed estremi. Su questi dati mitologici i romanzieri del Medio Evo e i poeti romanzeschi fantasticarono l’
schi fantasticarono l’ippogrifo e l’abbagliante e stupefaciente scudo del mago Atlante50. Tra le diverse imprese di Perseo
si per ingoiarla, passò per aria Perseo sul caval Pegaso, e accortosi del pericolo di Andromeda volò tosto in soccorso di l
nvenuto Cellini nel bassorilievo di bronzo fuso che vedesi nella base del Perseo ; ma l’eroe vi è rappresentato volante col
rosso di un granchio. Si crede opera degli scolari di Giovan Bologna, del quale è di certo la statua colossale del Grande O
i scolari di Giovan Bologna, del quale è di certo la statua colossale del Grande Oceano, che ivi si ammira. Le feste per le
sturbate negli ultimi giorni da una improvvisa invasione delle truppe del re Fineo, a cui Andromeda era stata promessa in i
o temere da un figlio di Giove. Ma la sua stessa precauzione fu causa del suo male, poichè Perseo, irritato di tale scortes
rasformò in quel monte della Mauritania che tuttora chiamasi Atlante, del quale gli antichi favoleggiavano che sostenesse i
di un altro eroe, come vedremo. Si attribuisce a Perseo la fondazione del regno di Micene ; e si narra che ivi Perseo fu uc
no luogo fiammeggianti pioggie ordinarie circa la metà dell’ agosto e del novembre tutti gli anni, si osserva partirsi di v
ngua che chiami mamma e babbo. » 48. Vedasi la bellissima Ode 16ª del lib. iii di Orazio ; della quale qui cito soltant
æstuque duci. » (Cic. in C. Verrem, iv, 56.) 50. Il viaggio aereo del mago Atlante sull’Ippogrifo, è così splendidament
un gran romor lor viene. « Disse la donna : o glorïosa Madre, « O re del Ciel, che cosa sarà questa ? « E dove era il rumo
36 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXII. Marte » pp. 138-143
decidere le liti anche dagli stranieri. Come poi in questo nome tanto del borgo di Atene quanto del tribunale vi entrasse M
li stranieri. Come poi in questo nome tanto del borgo di Atene quanto del tribunale vi entrasse Marte, lo dice la Mitologia
oll’asta nella destra. I Greci fecero poche immagini sculte o dipinte del Dio Marte, prima perchè non era il Dio per cui av
ato popolo maligno « Che discese di Fiesole ab antico « E tiene ancor del monte e del macigno, » ma vi fu mista ancora « 
aligno « Che discese di Fiesole ab antico « E tiene ancor del monte e del macigno, » ma vi fu mista ancora « …….la sement
va ancora a quel tempo sul ponte vecchio l’antica statua un po’guasta del Dio Marte : « E se non fosse che sul passo d’Arn
a sacro il gallo, animale vigile e pugnace, emblema della vigilanza e del coraggio necessario nelle battaglie. I mitologi a
co perchè (dicon sul serio i poeti) il gallo canta prima dell’apparir del Sole, per avvertir Marte che si guardi dall’esser
tra in composizione il ferro181. Al Dio Marte fu dedicato il martedì, del qual giorno conservasi ancora lo stesso nome nell
visibile ad occhio nudo, che resta più della Terra lontano dal centro del nostro sistema planetario, vale a dire del Sole.
a Terra lontano dal centro del nostro sistema planetario, vale a dire del Sole. Dalla luce rossastra e quasi sanguigna che
rossastra e quasi sanguigna che riflette questo pianeta ebbe il nome del Dio che si diletta del sangue e delle stragi. I m
uigna che riflette questo pianeta ebbe il nome del Dio che si diletta del sangue e delle stragi. I moderni astronomi attrib
azioni, se ne valse per fare una bellissima similitudine nel Canto ii del Purgatorio : « Ed ecco, qual sul presso del matt
imilitudine nel Canto ii del Purgatorio : « Ed ecco, qual sul presso del mattino, « Per li grossi vapor Marte rosseggia «
a quella, come tant’altre volte, s’attiene il Poeta. » (Dal Commento del Can. Bianchi.) 179. Circa all’origine di Romol
uto dai Romani figlio di Marte, Dante dice apertamente nel Canto viii del Paradiso : « …….e vien Quirino « Da sì vil padr
olo per indicar la presenza di questo elemento, ma pur anco l’effetto del medesimo di rinforzar la fibra, e il sangue. In C
37 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — IV. Una Divinità più potente di Giove » pp. 20-24
ve, che pure è conosciuto comunemente come il supremo dei Numi, il re del Cielo, il padre degli uomini e degli Dei. E quest
iove era il Fato. Il Fato 14, detto altrimenti il Destino, era figlio del Caos e della Notte, e rappresentava, secondo la C
i questo di Fato o Destino sia comune e frequente sulle labbra stesse del volgo ; e tutti l’usano nello stesso senso di leg
se estendersi la sua potenza o il suo arbitrio. Da queste idee pagane del Fato e della predestinazione derivò in filosofia
stra libera volontà, ma da legge irrevocabile e da forza insuperabile del destino, come i fenomeni fisici. Onde che con que
primer bene nella mente dei suoi lettori questa fondamentale dottrina del libero arbitrio, da cui dipende la moralità delle
zioni, e quindi il merito o il demerito delle persone, e la giustizia del conferimento dei premii e della irrogazione delle
l conferimento dei premii e della irrogazione delle pene ! A compagne del Fato e ministre esecutrici dei suoi decreti aggiu
Virgilio poeta pagano, e perciò quella dipintura ha tinte più proprie del paganesimo che del cristianesimo. Ma se non è acc
no, e perciò quella dipintura ha tinte più proprie del paganesimo che del cristianesimo. Ma se non è accettabile il concett
e la Fortuna sia un essere soprannaturale esistente sin dalla origine del mondo o degli angeli (tra le altre prime creature
. Finalmente la Morte, secondo il Paganesimo, era anche essa ministra del Fato e l’ultima esecutrice de’ suoi decreti sull’
spesso nei poeti pagani si lamentano pietosamente della inesorabilità del Destino come qualunque più misero mortale. 14.
a stessa latina etimologia). Dunque Fato (in latino fatum, participio del verbo fari) significa ciò che fu pronunziato ossi
e al Logos dei Greci. Nella Mitologia greca per altro si dà il potere del Fato alle Mire, cioè alle Parche. 15. « Te se
, 29.) 16. Nei moderni ritratti della Fortuna ai frutti ed ai fiori del cornucopia son sostituite le monete d’oro e d’arg
ad allettamento dei devoti cultori della medesima ; seno i Botteghini del Lotto, ove per altro, se l’aritmetica non falla,
38 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXIV. Il Dio Pane » pp. 264-269
XXXIV Il Dio Pane Prima di parlar dell’etimologia del nome di questo Dio e degli ufficii di lui, credo
pientia Veterum spiegò anche troppo minutamente e sottilmente il mito del Dio Pane, dichiara che gli Antichi lasciarono in
. Ma la spiegazione che soglion dare delle diverse parti della figura del Dio Pane, e più specialmente delle corna, dei vel
rpretazione, poichè dicono sul serio che le corna significano i raggi del Sole e la Luna crescente, i velli gli alberi e i
i raggi del Sole e la Luna crescente, i velli gli alberi e i virgulti del nostro suolo, e i solidi zoccoli caprini la stabi
lettore altre simili spiegazioni ; e aggiungerò soltanto al ritratto del Dio Pane, che ho delineato in principio, i distin
sampogna 11. Siccome Siringa in greco significa canna, la somiglianza del nome potè aver dato origine a questa favola, come
dee di Pitagora. Dante rammenta la favola di Siringa nel Canto xxxii del Purgatorio ; e, com’è suo stile di esser concisis
dirigeva il discorso : favola ricavata evidentemente dai noti effetti del fenomeno acustico dell’Eco. Il matrimonio del Dio
emente dai noti effetti del fenomeno acustico dell’Eco. Il matrimonio del Dio Pane con questa Ninfa sembra significare che
e si celebravano le feste Lupercali, in onore cioè di Luperco, ossia del Dio Pane, nel mese di febbraio. Son celebri nella
specialmente nelle filippiche contro lo stesso Marc’Antonio. Dal nome del Dio Pane è derivata l’espressione di timor pànico
non preveduti avviene spesso che si alteri la fantasia, specialmente del volgo, e si tema ove nessuna ragion v’è di temere
ersiani ; che la voce di questo Dio, uscita dalle sotterranee caverne del tempio di Delfo, atterrisse e mettesse in fuga i
c. È però da notarsi che gli aneddoti riferibili alle voci miracolose del Dio Pane, raccontati da Erodoto, da quel miracola
lettere greche, perchè greca è l’origine di questo aggettivo al pari del nome Pan da cui deriva, e perchè quel celeberrimo
filologiche, terminerò esponendo una solenne osservazione filosofica del celebre Bacone da Verulamio sul timor pànico. Egl
39 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — VI. Il regno, la prigionia e l’eŚilio di Saturno » pp. 28-30
Convien sapere prima di tutto che Saturno era considerato come il Dio del Tempo, e perciò in greco chiamavasi Cronos 21 che
he a lui si riferiscono per tale attributo ed ufficio. Saturno memore del patto di famiglia convenuto col fratello maggiore
d amano la loro prole. Ma questo racconto è un mito, ossia un simbolo del Tempo che produce e distrugge tutte le cose ; e p
e distrugge tutte le cose ; e politicamente significa che l’ambizione del regno fa porre in non cale e violare anche i più
del regno fa porre in non cale e violare anche i più stretti vincoli del sangue22. Cibele dipoi, per salvare gli altri fig
ranezza potrebbe spiegarsi come un simbolo della forza distruggitrice del tempo, che logora, come dice Ovidio, pur anco le
Titani ; liberò di carcere i suoi genitori, ma prese per sè il regno del Cielo e diede ai fratelli i regni del Mare e dell
itori, ma prese per sè il regno del Cielo e diede ai fratelli i regni del Mare e dell’ Inferno. Saturno invece di esser gra
ll’ Inferno. Saturno invece di esser grato al figlio e di contentarsi del secondo rango nel Cielo, quello di ex-re padre de
o e di contentarsi del secondo rango nel Cielo, quello di ex-re padre del regnante, s’indispettì perchè il figlio non lo ri
estese la condanna a Cibele sua madre, perchè questa, dopo la perdita del trono e il carcere sofferto, aveva prudentemente
delle vicende politiche di un regno, cioè successione per abdicazione del padre, patti di famiglia, violazione dei medesimi
arla di stragi e di morti, perchè gli Dei degli Antichi, come le Fate del medio evo25) non potevano morire. Vi manca soltan
o è uom crudele. « Tra le sue mire di grandezza e lui « Metti il capo del padre e del fratello « Calcherà l’uno e l’altro ;
ele. « Tra le sue mire di grandezza e lui « Metti il capo del padre e del fratello « Calcherà l’uno e l’altro ; e farà d’am
40 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXV. I Satiri ed altre Divinità campestri » pp. 270-278
olta una figura « Si vede giunger le ginocchia al petto, « La qual fa del non ver vera rancura « Nascere a chi la vede ; co
hi pastori mitologici. Tra queste sono meritamente celebrate l’Aminta del Tasso e il Pastor fido del Guarini, in ciascuna d
queste sono meritamente celebrate l’Aminta del Tasso e il Pastor fido del Guarini, in ciascuna delle quali Favole trovasi u
n sua legge. » I Naturalisti danno il nome di Satiri a certi insetti del genere dei Lepidotteri diurni ; e i Retori o Lett
come fannullone e maldicente ; e molto a proposito fu creduto figlio del Sonno e della Notte. Da prima era stato ricevuto
ice, ed inoltre poco dignitosa per una divinità, qual fu l’invenzione del Dio Priapo. I Greci lo dissero figlio di Venere e
o nell’alto della testa gli piantarono una canna con stracci in balìa del vento. Molti poeti latini, tra i quali Orazio e M
ettangolo, come direbbesi in geometria, il quale ponevasi per confine del territorio dello Stato e dei campi dei cittadini.
maggiore, v’era la pena della deportazione in un’isola e la confisca del bestiame e di una terza parte dei beni del condan
in un’isola e la confisca del bestiame e di una terza parte dei beni del condannato. Il Dio Termine aveva in Roma una capp
i re24. Così solennizzavano contemporaneamente i più preziosi diritti del cittadino, la proprietà e la libertà. 13. Il V
. 13. Il Varchi nella sua elaboratissima Orazione funebre in morte del Buonarroti, la quale egli recitò nella Chiesa di
quale egli recitò nella Chiesa di S. Lorenzo, così descrive il gruppo del Bacco e del Satirino : « Rarissimo e maravigliosi
ecitò nella Chiesa di S. Lorenzo, così descrive il gruppo del Bacco e del Satirino : « Rarissimo e maravigliosissimo fu un
a. Ma il verbo piluccare fu anche usato dall’Alighieri nel Canto xxiv del Purgatorio nella seguente terzina : « Ei mormora
di maggio, che significava, secondo l’uso latino di contare i giorni del mese, il 21 di aprile. 2ª Palilia, vale a dire Fe
rata Deo. » (Ovid., Fast., i.) 23. Orazio, in tutta la Satira 8ª del i libro fa raccontare alla statua stessa di Priap
41 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XIV. Il Diluvio di Deucalione » pp. 73-78
ellerati e crudeli. Giove, avuta notizia di questa general corruzione del genere umano, volle assicurarsene personalmente s
ione del genere umano, volle assicurarsene personalmente sulla faccia del luogo : il che dimostra che egli non aveva l’onni
ivenuta macello e cucina di carne umana. Trovò che la fama era minore del vero, poichè alla crudeltà ed alla barbarie univa
o. Questa trasformazione è fondata sopra due somiglianze, quella cioè del nome di Licaone che deriva dal greco licos che si
zza bestiale più che umana. Mise in discussione soltanto se per mezzo del fuoco o dell’acqua ; e fu deliberato il diluvio.
lemento di un piede che vedesi ancora di rozza pietra. La tradizione del diluvio universale è dunque non soltanto biblica,
i dubitatori. La geologia, in fatti, nel trattare della crosta solida del nostro globo e degli strati che la compongono, ne
e per conoscere come la scienza ammette e dimostra il gran cataclisma del diluvio. In geologia si parla di più d’uno di que
rra per forza di successivi cataclismi. Trovansi infatti nell’interno del nostro globo strati di arena, di creta e di marmo
o meno veridiche cronache o istorie, ma studiando i materiali stessi del nostro globo travolti e seppelliti da migliaia e
E particolarmente in questo senso filosofico l’usa Dante nel Canto xi del Purgatorio, facendo così parlare Omberto Aldobran
si applica a tutti i materiali, solidi o molli, componenti la crosta del nostro globo, poichè vi si comprendono la creta e
lcaniche s’intende che debbono esser quelle che hanno subito l’azione del fuoco o del calore sotterraneo, in quanto che Vul
ntende che debbono esser quelle che hanno subito l’azione del fuoco o del calore sotterraneo, in quanto che Vulcano era il
del fuoco o del calore sotterraneo, in quanto che Vulcano era il Dio del fuoco e aveva le sue fucine sotto i monti ignivom
ma furono poi alterati e quasi cristallizzati dal calore sotterranco del sottoposto strato vulcanico. 90. Vedi la lezion
42 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XVI. La dea Latona » pp. 86-91
XVI La dea Latona Parlando del Caos, dissero i mitologi che i 4 elementi di cui
una e le Stelle. Nè sanno assicurarci se ciò fu per opera di un Dio o del caso : le loro opinioni sono divise, e il dubbio
oprie stimaron che fossero incastonate e quasi inchiodate nella volta del Cielo, e perciò le chiamarono fisse ; e diedero l
a allusione per indicare l’ eccelso Sole, cioè Dio, quando nel C. xiv del Paradiso, dopo aver descritto i variopinti splend
però nel mare. Tra le più celebri tuttora esistenti si citano quelle del Mississipì e del lago Chelco nel Messico ; le qua
ra le più celebri tuttora esistenti si citano quelle del Mississipì e del lago Chelco nel Messico ; le quali son coltivate
l raccontare che egli sentì uno spaventevole terremoto nella montagna del Purgatorio. « Quand’io senti’ come cosa che cada
o « Pria che Latona in lei facesse il nido « A parturir li due occhi del Cielo ; » ove è da notarsi tra le altre belle es
amare Apollo e Diana, considerati come il Sole e la Luna, i due occhi del Cielo. Altri mitologi invece raccontano che l’iso
la di Delo fu sollevata da Nettuno con un colpo di tridente dal fondo del mare ; e questo racconto pure si può spiegare con
to pure si può spiegare con un fatto geologico, che cioè per la forza del fuoco centrale del nostro globo si sollevano le m
gare con un fatto geologico, che cioè per la forza del fuoco centrale del nostro globo si sollevano le montagne sulla terra
ostro globo si sollevano le montagne sulla terra e le isole dal fondo del mare. In quasi tutte le Geografie trovasi ramment
parve nuovamente sott’acqua. I geologi poi, collo studio degli strati del nostro globo e delle materie componenti i diversi
ibili arcieri (derivandosi questa invenzione dal dardeggiar dei raggi del Sole e della luce riflessa della Luna), e si unir
43 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXI. Minerva » pp. 132-137
ella e sapiente allegoria, significando essa che la sapienza è figlia del supremo dei Numi e che uscì dalla divina mente di
venzione o una teoria uscì adulta e armata di tutto punto dalla mente del suo autore, come Minerva dal cervello di Giove. P
monere (ammonire) ; e che perciò verrebbe invece a significare la Dea del consiglio, ossia della sapienza. Dante rammenta P
sapienza. Dante rammenta Pallade come Dea della guerra nel Canto xii del Purgatorio : « Vedea Timbreo, vedea Pallade e Ma
al padre loro « Mirar le membra de’giganti sparte. » E nel Canto ii del Paradiso nomina Minerva come Dea della sapienza :
e questa l’olivo ; e fu stimato più utile l’uso dell’olio che quello del cavallo. Minerva dunque che in greco chiamasi Ate
ide forme. Anche Dante ha trovato il modo di rammentarla nel Canto xv del Purgatorio, facendo dire a Pisistrato dalla mogli
e di quelle braccia ardite, ecc. » Dante inoltre volge ad ornamento del suo divino linguaggio poetico l’origine mitologic
concetto apparisca manifesto, prima descrive Beatrice (nel Canto xxv del Purgatorio) : « Sovra candido vel cinta d’olivo,
o, animale a lei sacro. Secondo alcuni poeti l’egida era un’armatura del petto con la figura della mostruosa testa anguicr
ena, vale a dire Minerva. La statua, opera di Fidia, più non esiste ; del Partenone vi restarono tali avanzi da poter fare
e o incisioni. Anzi a Parigi fu costruita sul disegno e le dimensioni del Partenone la chiesa della Maddalena, guasta recen
a una delle tante metamorfosi che furono inventate per la somiglianza del nome. Infatti Suida, lessicografo greco, scrive n
pure rozzo, ottuso, tardo o restìo171. Il nome di Pallade poi trovasi del pari figuratamente usato nella poesia latina a si
intori e degli smacchiatori. 170. Palladio in greco è un diminutivo del nome Pallade, e perciò verrebbe a significare pic
44 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — X. Cerere dea delle biade e Proserpina sua figlia » pp. 48-54
ntichi politeisti ebbero personificato e deificato i quattro elementi del Caos, cominciarono ad inventar divinità che presi
lla natura stessa. E in ciò appunto distinguesi la classica Mitologia del grossolano feticismo, e ne differisce immensament
ione. Cerere figlia di Saturno e di Cibele (che è lo stesso che dire del Tempo e della Terra), era considerata come la Dea
e sue compagne od ancelle ; che mentre essa coglieva fiori alle falde del monte Etna fu rapita da Plutone Dio dell’inferno,
e alla madre che fosse avvenuto della perduta Proserpina. Questo mito del ratto di Proserpina è tanto amplificato ed abbell
allora ricorse a Giove, che per questo caso strano consultò il libro del Fato, nel quale trovò il decreto irrevocabile, ch
potè negarlo. Cerere indispettita gettò a costui sulla faccia l’acqua del fiume Flegetonte, e lo cangiò in gufo o barbagian
la falce da grano, parve anche necessario l’aggiungere il distintivo del mazzo di papaveri all’immagine della dea Cerere.
rta per punirlo dell’essersi fatto beffa di lei. Forse la somiglianza del nome, che in latino è omonimo con quello di quest
(Cererem corruptam undis), per indicare il grano avariato dall’acqua del mare. Ma in italiano in questo senso figurato è p
pici situati fra Marte e Giove), scoperto dal Piazzi nel primo giorno del primo anno di questo secolo. 50. Altri autori l
e specialmente in quella dei nomi proprii, usavano spesso il G invece del C. Per questa stessa ragione è asserito dagli eru
Per questa stessa ragione è asserito dagli eruditi legali che il nome del giureconsulto Caio deve pronunziarsi Gaio. 51. R
samente i nostri sommi poeti si servano della Mitologia per ornamento del linguaggio poetico. 54. Anche i pittori hanno t
ri hanno trattato questo soggetto : basti il rammentare il bel quadro del Ratto di Proserpina, dipinto dal Turchi soprannom
45 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XIII. Difetti e vizii del Dio Giove » pp. 69-72
XIII Difetti e vizii del Dio Giove Anche sulle labbra degli analfabeti,
lsi e bugiardi, doveva cadere in dispregio e dileguarsi col progresso del buon senso e del raziocìnio, come avvenne difatti
oveva cadere in dispregio e dileguarsi col progresso del buon senso e del raziocìnio, come avvenne difatti. Giove, il supre
’ingegno e delle arti, rapì dal Cielo, o come altri dicono, dal carro del Sole, una divina scintilla di fuoco, e con essa a
ini, punì crudelmente Prometeo col farlo legar da Vulcano ad una rupe del monte Caucaso, e di più col mandare ogni giorno u
eranza82). In tutto questo racconto mitico Giove non fa più la figura del Dio che giova, del Dio benefico, ma quella d’invi
questo racconto mitico Giove non fa più la figura del Dio che giova, del Dio benefico, ma quella d’invidioso, maligno e ma
la vita (il quale ingegno perciò può dirsi poeticamente una scintilla del fuoco celeste) ; e inoltre la punizione di esso s
oni immeritate che per lo più si ricevono dai grandi inventori invece del meritato premiò. Aggiungono però che la pena di P
Un uguale effetto deriva ancora talvolta per la prolungata agitazione del vento, che confricando tra loro in una selva selv
Anzi nella modernissima scienza detta Termodinamica, ossia meccanica del calore, si dimostra che questo stesso elemento, (
amente e con prospero successo a far mirabili conquiste nelle regioni del vero, posson chiamarsi invidiabilmente felici i s
e zoppo, e di esser perciò il ludibrio di quelle stravaganti Divinità del Paganesimo, come vedremo a suo luogo. 81. « 
tragedie, che facevan seguito l’una all’altra, cioè Prometeo portator del fuoco, Prometeo incatenato e Prometeo liberato. —
46 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — III. Classazione generale delle Divinità pagane e Genealogia degli Dei superiori » pp. 15-19
formavano il supremo consiglio celeste a cui presiedeva Giove come re del Cielo ; e questi erano Giove, Giunone, Vesta Pris
rapporti di causa e di effetto considerati dagli antichi nei fenomeni del mondo, e poi perchè frequentemente i poeti, invec
tare una divinità col suo nome principale e più conosciuto, fanno uso del patronimico, ossia di un vocabolo derivato o comp
so del patronimico, ossia di un vocabolo derivato o composto dal nome del padre di quella data divinità. Il Dio Urano è lo
inferno. Il suo greco nome significa Cielo, e perciò credevasi figlio del Giorno e dell’ Aria, ossia di due dei quattro ele
asi figlio del Giorno e dell’ Aria, ossia di due dei quattro elementi del Caos. Sposò Vesta Prisca e generò Titano, Saturno
Nettuno e Plutone. Giove sposò Giunone elevandola al grado di regina del Cielo, ed ebbe da essa Marte, Vulcano ed Ebe ; e
e, ma pur anco nelle scienze morali, come per esempio, dove si tratta del diritto naturale. I giureconsulti romani nel parl
nguaggio delle nostre leggi, forse ad imitazione e per copia conforme del Codice Napoleone13. Il notare questi diversi usi
sciuti ancora dagli antichi, diedero questi il nome di sette divinità del primo ordine, cioè la Luna, Mercurio, Venere, il
narono ancora ai giorni della settimana. I moderni, dopo l’invenzione del telescopio, scoprirono molti altri pianeti, e ai
atti troviamo negli antichi mitologi e nella stessa Genealogia Deorum del Boccaccio (che raccolse tutte le diverse e più di
fusa della classica Mitologia. 10. La 1ª esamina e dichiara le leggi del movimento delle molecole, e perciò delle forze na
uram expellas furca, tamen usque recurret. » 13. Nel Codice civile del Regno d’Italia, promulgato nel 1865, si trova usa
47 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XV. Giunone regina degli Dei e Iride sua messaggiera » pp. 79-85
come si rappresenta nelle pitture e nelle sculture. Siccome è regina del Cielo e degli Dei ha in capo il diadema ; il suo
. Figli di essa e di Giove furono Ebe dea della gioventù, Vulcano dio del fuoco e della metallurgia e Marte dio della guerr
. Aggiungono alcuni mitologi, che un giorno questa Dea nell’esercizio del suo ministero cadde sconciamente e destò l’ilarit
o e nullo chieggo, « E tu tranquillo adempi ogni tuo senno. » (Trad. del Monti.) Malcontenta era sì, ma non rassegnata, co
tissimo ed a cui nulla sfugga. Anche Dante descrivendo nel Canto xxix del Purgatorio il carro in cui era trionfalmente port
assomiglia ancora i molti occhi dei quattro mistici animali a quelli del mitologico Argo : « Ognuno era pennuto di sei al
sta a significare l’arco celeste prodotto dalla refrazione dei raggi del sole. I nomi stessi di Iride e del padre di essa
rodotto dalla refrazione dei raggi del sole. I nomi stessi di Iride e del padre di essa accennano colla loro etimologia le
la mirabile parvenza dell’arco celeste. Perciò la dea Iride dal nome del padre è detta poeticamente Taumanzia ; e lo stess
i di vista, si legge nella seguente ottava della Gerusalemme Liberata del Tasso : « Come piuma talor che di gentile « Amor
escrittane la bellezza e chiamatala, come Virgilio96, fregio ed onore del cielo, eran per altro ben lungi dal conoscere le
per ombra ad analizzare col prisma di cristallo il settemplice raggio del sole e dedurne che l’aria ancor umida dopo la pio
ccia da prisma e rifranga i 7 colori della luce. Newton sullo scorcio del secolo xvii fu il primo a distinguere che la luce
48 (1861) Corso di mitologia, o, Storia delle divinità e degli eroi del paganesimo: Per la spiegazione dei classici e dei monumenti di belle arti (3e éd.) « Cenni Preliminari » pp. 9-
ervitù concesse l’apoteosi a indegni monarchi ; ed essi, prevalendosi del potere, divinizzarono uomini stolti o scellerati
erano cattivi prognostici ; e se il sangue sgorgava in maggior copia del so[ILLISIBLE]o, era indizio di prossimi e inevita
o tempo siffatte puerili e dannose superstizioni, che non sono ancora del tutto distrutte, benchè non sussista più la relig
tini a tener Roma in conto di città più ragguardevole e di capo luogo del Lazio, sì rispetto alla religione che alla politi
llo di Quirino ; poi arrivarono a quindici. Grandi furono i privilegi del Flamine di Giove : andava fuori preceduto da un l
acri dei Romani in tempi di pubbliche calamità, per placare lo sdegno del cielo. Nel tempo di questa cerimonia toglievano d
sta cerimonia e questi divertimenti miravano a distrarre l’attenzione del popolo dallo spettacolo delle pubbliche calamità,
a, possiamo tener per fermo che il rimedio deve essere stato peggiore del male. IX. Libazione, cerimonia religiosa nei sacr
lle libazioni anche il latte, il miele, l’olio, l’acqua delle fonti o del mare ed il sangue degli animali. X. Lustrazioni,
intorno una vittima scelta, e nel bruciare i profumi sul luogo stesso del sacrifizio. Per quella di un esercito, alcuni sol
a, sortilegio, incanti, evocazione di morti, divinazione o predizione del futuro, scoperta di tesori nascosti, guarigione d
gli Dei, per espiare i delitti o per allontanare una calamità. Prima del saerifizio il sacerdote tuffava un ramo d’alloro
mpagnate da azioni erudeli. Un omicida non si poteva purificare da sè del suo delitto, e rieorreva a un saeerdote ehe lo ba
49 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXVII. Gli Dei Dei Fiumi » pp. 285-289
posero che questi Dei abitassero negli antri donde usciva la sorgente del fiume, la quale chiamavasi poeticamente il capo.
27. Virgilio inoltre si dà premura di presentarci ancora il ritratto del Dio Tevere, « ….. che già vecchio al volto « Sem
un terreno alquanto declive e colle gambe stese per indicare il corso del fiume e la pendenza dell’ alveo : ha ciascuno di
la sorgente ; e se il fiume è navigabile, si pone in mano alla figura del Dio un remo : se poi il suo corso si dirama in du
il suo corso si dirama in due o più alvei, si aggiungono sulla fronte del Nume due corna. Inoltre la corona o ghirlanda del
ungono sulla fronte del Nume due corna. Inoltre la corona o ghirlanda del fiume è composta di canne, come del Tevere ha det
na. Inoltre la corona o ghirlanda del fiume è composta di canne, come del Tevere ha detto Virgilio, o ancora delle fronde d
nistra, uno scudetto coll’arme o stemma di quel popolo pel territorio del quale scorrono le sue acque. Tra i Fiumi della Gr
mandava agli Dei che lo salvassero. Nel libro xxi dell’ Iliade (trad. del Monti) così parla il Xanto al Simoenta : « Caro
in terris occuluisse caput ? » (Eleg., I, 7ª, v. 23.) 27. Parlata del Tevere ad Enea, quando gli comparve in sogno : «
ilometri esce nuovamente dalla terra gorgogliando ; e quelle aperture del terreno son chiamate gli occhi della Guadiana. 3
r fenomeni geologici che abbiano alterato la superficie e la pendenza del terreno.
50 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXIX. Eolo e i Venti » pp. 295-
mani politeisti, dopo aver considerata l’Aria come uno dei 4 elementi del Caos, il farne anche una Dea, che, sposato il Gio
rsi « Con essi andrian per lo gran vano a volo. « Ma la possa maggior del padre eterno « Provvide a tanto mal ; serragli e
attribuire ai Venti distinte personalità e porle in azione. Soltanto del più impetuoso e del più mite fra loro, cioè di Bo
distinte personalità e porle in azione. Soltanto del più impetuoso e del più mite fra loro, cioè di Borea e di Zeffiro, na
pedizione degli Argonauti. La spiegazione più semplice e più naturale del ratto di Orizia è, secondo Platone, che questa in
oco si azzardavano in alto mare. Non immaginavano neppure l’esistenza del Grande Oceano ; non avevan mai passata la linea n
atti colle indicazioni astronomiche ci fa conoscere non solo i giorni del suo viaggio allegorico, ma pur anco le ore divers
cenna con precisione astronomica che eran due ore prima dello spuntar del Sole in quel giorno del mese di marzo che aveva p
ronomica che eran due ore prima dello spuntar del Sole in quel giorno del mese di marzo che aveva prima indicato, poichè ap
a la costellazione dei Pesci sulorizzonte, e inoltre la costellazione del Carro, ossia dell’Orsa maggiore giaceva tutta sov
te-maestro o nord-ovest, come ora direbbesi. E quando nel Canto xxxii del Purgatorio vuole affermare che i 7 celesti candel
42. Perciò i poeti latini usano il patronimico Hippotades, invece del nome di Eolo, come per es. Ovidio nel lib. iv del
51 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXVI. Le Ninfe » pp. 279-284
a contradizione in termini teologici. Erano meno assurdi i romanzieri del Medio Evo, che avendo inventato le Fate con poten
a fu poi da Giove trasportata in Cielo e cangiata nella costellazione del Capricorno, segno dello Zodiaco, corrispondente a
cenno. La Ninfa Eco figlia dell’ Aere e della Terra si era invaghita del giovane Narciso figlio della Ninfa Liriope e del
rra si era invaghita del giovane Narciso figlio della Ninfa Liriope e del fiume Cefiso ; il qual Narciso era così vano dell
a le ultime parole altrui. A questa favola allude Dante nel Canto xii del Paradiso coi seguenti versi : « A guisa del parl
lude Dante nel Canto xii del Paradiso coi seguenti versi : « A guisa del parlar di quella vaga (la Ninfa Eco) « Ch’amor c
ssione dei raggi della luce, come il parlar dell’ Eco per riflessione del suon della voce. Quanto poi all’orgoglioso amor p
oè l’acqua) « Non vorresti a invitar molte parole. » E nel Canto III del Paradiso, descrivendo le anime beate che egli vid
nile accompagnavano Beatrice ; e fa dire alle medesime nel canto xxxi del Purgatorio : « Noi sem qui Ninfe e nel Ciel semo
ni. Infatti, anche gli Scienziati trovarono da far nuove applicazioni del significato di questo nome e da formarne vocaboli
di Lepidotteri diurni della tribù dei Papilionidi ; e poi al Ninfale del pioppo (N. populea) assegnarono anche un altro no
52 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXVI. Osservazioni generali sulle Apoteosi » pp. 490-492
ia, e confessarono implicitamente che la massima parte delle Divinità del paganesimo erano personificazioni degli affetti d
i filosofi, e tra questi il Pestalozza, discepolo e seguace fidissimo del Rosmini, danno alla religione pagana il titolo di
separatamente delle Apoteosi è un riassunto della parte fondamentale del mio lavoro, è una conferma di quanto ho dichiarat
Il culto più antico di cui si trovi memoria negli scrittori fu quello del Sole e della Luna e quindi degli altri Astri ; e
ita, per ordine di Mosè, a tante migliaia di quegli stupidi imitatori del culto Egiziano. Il Sabeismo sarebbe stato anch’es
e di repulsione. Fu questo il ponte di passaggio dal culto materiale del feticismo al Panteismo mitologico, in cui si fece
si fece l’apoteosi di tutte le forze e leggi della creazione non solo del mondo fisico, ma pur anco del mondo morale. Furon
forze e leggi della creazione non solo del mondo fisico, ma pur anco del mondo morale. Furono allora immaginati e splendid
po la loro morte, ma pur anco in vita, si cadde allora nell’abiezione del feticismo, si tolse tutto il prestigio al culto d
« Di Stenterello. » (Il Mementomo.) 167. Chi conosce la Filosofia del Gioberti sa bene che quel sistema filosofico è fo
53 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXXI. Decadenza e fine del Politeismo greco e romano. Primordii e progressi del Cristianesimo. » pp. 511-
LXXI Decadenza e fine del Politeismo greco e romano. Primordii e progressi
Decadenza e fine del Politeismo greco e romano. Primordii e progressi del Cristianesimo. Nei tempi eroici della romana Re
orrotta ; questo richiamò l’attenzione di tutti sulla nuova religione del Cristianesimo, perchè dagli ottimi effetti morali
che essa insegnava. Perciò Dante fa dire al poeta Stazio nel C. xxii del Purgatorio, relativamente a questi primi Cristian
dispregiare a me tutt’altre sette. » Un ragionamento simile a quello del poeta Stazio condusse alla stessa conseguenza di
di farsi Cristiani tutti quei politeisti che non erano affatto privi del lume della ragione ; e se alcuni furon trattenuti
stianesimo si diffuse pur anco fra i popoli barbari, fuor dei confini del romano impero. Ai primi del secolo IV dell’era cr
co fra i popoli barbari, fuor dei confini del romano impero. Ai primi del secolo IV dell’era cristiana, Costantino Magno fu
officialmente aboliti da Teodosio il Grande quasi tutti i sacerdozii del Politeismo, incluso quello delle Vestali. I più o
evano) quando egli disse all’ Imperatore Alberto Tedesco nel Canto vi del Purgatorio : « Vien, crudel, vieni, e vedi la pr
54 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLIV. La caccia del cinghiale di Calidonia » pp. 326-330
XLIV La caccia del cinghiale di Calidonia È questa la prima impres
sero parte. Calidone o Calidonia era la capitale dell’Etolia a tempo del re Oeneo, circa un secolo prima della guerra di T
mprese, come Giasone che fu poi duce degli Argonauti, Teseo vincitore del Minotauro, Piritoo suo fidissimo amico, Castore e
quanto è necessario a sapersi. I più notabili erano : Meleagro figlio del re Oeneo e duce di quella eletta schiera, i suoi
 ; e il diritto che egli avea di prender per sè il teschio e la pelle del cinghiale lo cedè ad Atalanta. Ciò dispiacque ai
vera storia, toltane l’esagerazione della prodigiosa forza e ferocia del mostruoso cinghiale. Ma la scena termina con una
revalere la pietà dei fratelli uccisi e l’orrore per la scelleraggine del figlio ; e dopo molti e strazianti contrasti vins
estavano i suoi affettuosi compagni furono affatto inutili, e la vita del misero Meleagro si estinse allo spengersi dell’ u
del misero Meleagro si estinse allo spengersi dell’ ultima scintilla del tizzo fatale. Quando lo seppe la madre, agitata d
ono per molti secoli come una preziosa reliquia il teschio e la pelle del cinghiale di Calidonia. 63. « Tempora, dixeru
55 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XL. Osservazioni generali » pp. 304-308
ata senza alterazione ortografica nella lingua italiana, è traduzione del greco vocabolo Emitei ; e in tutte e tre le lingu
in quest’ultimo significato tanto nell’Iliade quanto nell’Odissea ; e del pari si adopra comunemente nella lingua italiana
iù questa la causa delle antiche guerre. Nel Medio Evo dopo la caduta del romano Impero e le irruzioni dei Barbari, se non
civiltà, come dice il Romagnosi (e si può aggiungere anche di quella del Cristianesimo), che aiutarono e sollecitarono il
ell’età eroica ; ed io l’accennerò prima di tutto colle parole stesse del nostro Giovan Battista Vico : « Tutti gliStorici,
ologi ed i Poeti si son dati cura di rammentare : tali sono la caccia del cinghiale di Caledonia, la spedizione degli Argon
ologi, dobbiamo ragionevolmente indurne che fossero anche più antichi del tempo in cui avvennero quelle, e già divenuti Ind
essi, e poi li metterò in azione tutti insieme ; parlando più a lungo del capo o protagonista di quella impresa nel narrare
tavole di Statistica ; e basta soltanto il sapere quel che dice Omero del Pilio Nestore, il più vecchio dei Duci che andaro
verrebbero ad esser sinonimi Eroi e Semidei. 46. Vedasi l’epigramma del Giusti, che ha per titolo : Il Poeta e gli Eroi d
56 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XIX. La Dea Triforme cioè Luna in Cielo, Diana in Terra ed Ecate nell’Inferno » pp. 115-122
essa sotto la forma di una avvenente e giovane Dea percorresse le vie del Cielo in un carro d’argento o d’avorio tirato da
po ; che anche i selvaggi dell’America nei primi tempi della scoperta del nuovo Mondo credettero che Colombo colle sue preg
a, il dormitore di Latmo. E tra i filosofi Platone e Cicerone parlano del sonno di Endimione, paragonando a quello il sonno
ammentò la ninfa Callisto col nome greco e latino di Elice nel C. xxv del Purgatorio : « …………………al bosco « Si tenne Diana,
» E nominò anche Elice la stessa costellazione dell’Orsa nel C. xxxi del Paradiso : « Se i Barbari venendo da tal plaga,
o ond’ella è vaga ; » ecc. E al nome di Orsa maggiore preferì quello del Carro nel C. xi dell’ Inferno : « E ’l Carro tut
Carro tutto sopra il Coro giace. » Rammentò ancora le Orse nel C. II del Paradiso ; ma ivi parlò con figura poetica, e pre
streghe e le stregonerie non rammenta mai Ecate, e solo nella Sat. 8 del lib. I dice delle due famose streghe Canidia e Sa
va in Efeso un famoso tempio, considerato come una delle 7 maraviglie del mondo, che fu arso, pur d’acquistar fama ancorchè
« L’alta bellezza tua sotto più forme. » 136. Orazio nell’ Ode 5 del lib. v, parla di una maga, « Quæ sidera excantat
57 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — II. Il Caos e i quattro elementi » pp. 11-14
dotte il leggere nei poeti greci e latini le fantastiche descrizioni del contrasto continuo dei quattro elementi di così d
gini quei pochi eletti che hanno intelletto a poetare4. La confusione del Caos immaginato dagli antichi ingenerò confusione
li antichi ingenerò confusione anche nelle loro menti circa l’origine del mondo e l’esistenza degli Dei. Dopo che Esiodo av
li fossero. Ma intanto è notabile la spiritosa invenzione della sposa del Caos, la quale ora chiamerebbesi con termine dant
tesco la Tenebra anzichè la Notte5, poichè questa suppone l’esistenza del giorno, e giorno vero e proprio, ossia presenza d
ppone l’esistenza del giorno, e giorno vero e proprio, ossia presenza del sole sull’orizzonte, esser non vi poteva, finchè
etti ed altri animaluzzi ; e che i mitologi andassero anche più oltre del Darwin e compagni antropologi ; poichè mentre que
ia perfezionata), quelli facevano nascere ad un tratto dagli elementi del Caos gli stessi Dei, come nascono da un giorno al
per nave. » 2. Dimostrano di sentir poco l’armonia delle parole e del verso italiano quei poeti che invece di caos usan
58 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — IX. Vesta Dea del fuoco e le Vestali » pp. 44-47
IX Vesta Dea del fuoco e le Vestali Ad una delle figlie di Satur
ficio fu inventato che presiedesse al fuoco, il quarto degli elementi del Caos ; e siccome il fuoco nulla produce, fu detto
col fuoco perpetuamente acceso, come simbolo della creduta perpetuità del romano impero47. Il tempio era piccolo e di figur
uesta Dea, molto ci hanno narrato gli storici romani sulla importanza del culto di Vesta e dell’ufficio delle Vergini Vesta
tica. I due punti principali erano : primo, la conservazione perpetua del fuoco sacro, che simboleggiava, come abbiam detto
o, che simboleggiava, come abbiam detto, la perpetua durata di Roma e del suo impero ; e secondo, la più scrupolosa illibat
i senatori nell’orchestra, che era il primo gradino dell’anfiteatro e del circo : la loro parola valeva come un giuramento,
a di cui godevano era tanto grande, e talmente sicura l’inviolabilità del loro soggiorno, che nelle loro mani si depositava
nziato. Il che non conferiva di certo alla loro felicità, nè a quella del marito e dei parenti. Il culto di Vesta, fu aboli
59 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXVII. L’Apoteosi delle Virtù e dei Vizii » pp. 493-496
Mente, ossia al Senno, fu eretto un tempio dopo la infelice battaglia del Trasimeno. Perciò queste Divinità non erano solta
ofiche o personificazioni poetiche, ma facevano parte della religione del popolo, e stavano a dimostrare che quando si stab
ii e prestato culto pubblico a divinità viziose o credute protettrici del vizio. Gli stessi Baccanali introdotti in Roma da
contentava di rimanere impunito, ma voleva anche apparire agli occhi del mondo uomo santo e pio per ingannare più facilmen
muni leggi umane : riferivasi dunque piuttosto alla pubblica vendetta del Popolo Romano per mezzo della guerra, che alle ve
, nei poeti moderni trovansi ancora descritti e personificati i Vizii del loro secolo ; e basterà per tutti citare il Giust
ci rappresentò quelli predominanti a tempo suo (cioè nella prima metà del presente secolo) facendone poeticamente l’apoteos
ria « E la Trappoleria, « Appartenenti a una Mitologia « Che a conto del Governo a stare in briglia « Doma educando i figl
bambino, « Di nome Gingillino, « La ninna nanna in coro, « Degnissime del secolo e di loro. »
60 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXVIII. Gli Dei Penati e gli Dei Lari » pp. 290-294
neide ha eternato co’suoi impareggiabili versi le origini mitologiche del popolo romano secondo le più comuni credenze anti
vevano special culto anche nella reggia di Priamo : « Era nel mezzo del palagio all’aura « Scoperto un grande altare, a c
ato onorava di un culto speciale gli Dei protettori della sua città e del suo regno, questo fatto non toglie agli Dei Penat
o nemmeno nella religion cristiana l’eriger private cappelle in onore del santo patrono della città o dello Stato. Con tal
qualunque Nume dei più noti e celebri. Riguardo poi all’ etimologia del titolo di questi Dei, che furon portati in Italia
lla voce Lari 38. La questione per altro verte intorno all’etimologia del nome ed alla origine di questi Dei, poichè v’è ch
ne, nel lib. v della Repubblica, ov’egli parla, per dirlo colla frase del Romagnosi, dei fattori dell’ Incivilimento. Tra q
à, viene ancora a significare che i primi eran protettori dei diritti del cittadino, ed i secondi di quelli del padre di fa
imi eran protettori dei diritti del cittadino, ed i secondi di quelli del padre di famiglia ; senza dei quali, come egli sa
61 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXVIII. Apoteosi degl’Imperatori Romani » pp. 497-499
ra divenuto un vile atto di adulazione al potere assoluto e dispotico del supremo imperante o dei suoi eredi e successori,
ella di Cesare, nel qual tempo il popolo romano divenne conquistatore del mondo, senza che pensasse mai a deificare alcuno
, il desiderio di sì cara esistenza, a cui era dovuta la prostrazione del partito aristocratico e inoltre tanti vantaggi a
strazione del partito aristocratico e inoltre tanti vantaggi a favore del popolo, fece nascere ed accoglier con entusiasmo
questa finzione ponevasi in un gran letto di avorio la statua di cera del defunto invece del suo cadavere, il quale era sep
evasi in un gran letto di avorio la statua di cera del defunto invece del suo cadavere, il quale era seppellito o arso segr
ponevasi un carro dorato con la statua dell’Imperatore. Nell’interno del rogo eravi una stanza riccamente ornata di tappet
nsi ed aromi preziosi in gran quantità. Vi appiccava il fuoco l’erede del trono tenendo altrove volta la faccia. Quando le
62 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXX. Delle Divinità straniere adorate dai Romani » pp. 506-510
ti che per ordine di tempo comparvero gli ultimi nella scena politica del mondo antico e costituirono l’ultima e al tempo i
e, esisteva nel monte Palatino l’antro consacrato da Evandro al culto del Dio Luperco, vale a dire del Dio Pane. Si continu
o l’antro consacrato da Evandro al culto del Dio Luperco, vale a dire del Dio Pane. Si continuarono inoltre in Roma sino ag
ntino « Di sangue fece spesse volte laco. » Della qual liberazione e del qual culto non solo ragionano a lungo Virgilio ne
piramidi, gli obelischi, l’istmo, le oasi, il delta, le bocche o foci del Nilo e la stessa sorgente di questo fiume. L’Egiz
Tibullo la sua Delia, che passò ancora qualche notte avanti le porte del tempio d’Iside a pregar la Dea per la salute di T
scrittori latini. Nel tempio d’Iside e di Seràpide ponevasi la statua del Dio Arpòcrate che era considerato come Dio del si
ide ponevasi la statua del Dio Arpòcrate che era considerato come Dio del silenzio, e perciò rappresentavasi in atto di pre
63 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — VIII. Tre Divinità rappresentanti la Terra, cioè Vesta Prisca, Cibele e Tellùre » pp. 39-43
i secoli, a poco a poco raffreddandosi aveva formato la solida crosta del globo terrestre con tutti i diversi suoi strati ;
ante nel Canto xiv dell’ Inferno, ov’egli parla dell’isola di Creta e del monte Ida : « Rhea la scelse già per cuna fida «
n latino (magna mater,) perchè oltre ad esser la madre di Nettuno Dio del Mare, di Plutone Dio dell’Inferno, di Giunone reg
Nettuno Dio del Mare, di Plutone Dio dell’Inferno, di Giunone regina del Cielo, era anche la madre di Giove re supremo, de
di Giunone regina del Cielo, era anche la madre di Giove re supremo, del quale eran figli la maggior parte degli altri Dei
uentamente usati. Eran detti Galli, perchè in Frigia bevevano l’acqua del fiume Gallo 44, che li faceva divenire furibondi 
Deor., lib. iii.) 41. Infatti questo vocabolo tellùre è l’ablativo del nome latino tellus, telluris, che significa la Te
mente giusto. » (Purg., xxix, 119.) 43. L’ Ariosto nella 1ª ott. del C.xii chiama Cibele la Madre Idèa, cioè adorata s
64 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLIII. Cadmo » pp. 321-325
lita in groppa per giovanile trastullo ; ma il toro giunto sulla riva del mare, si gettò in mezzo alle onde, e nuotando tra
lorarli favorevoli alla nuova città che dovea fabbricare. Per gli usi del sacrifizio avea mandato alcuni dei suoi compagni
arlare a lungo in appresso. In quanto poi ai guerrieri nati dai denti del serpente ucciso da Cadmo, gli Antichi ci hanno tr
che significava seminati, alludendosi appunto alla sementa dei denti del serpente ucciso da Cadmo58. Anche la trasformazi
questione si collega l’altra sull’ origine dell’ Alfabeto in Europa, del quale si attribuisce a Cadmo che portasse in Grec
dire dall’Oriente in Occidente. 57. Dante rammenta questa favola del ratto di Europa nel Canto xxvii del Paradiso, dic
57. Dante rammenta questa favola del ratto di Europa nel Canto xxvii del Paradiso, dicendo : « Si ch’ io vedea di là da G
ano trovasi anche chiamato l’abbiccì dal nome delle prime tre lettere del nostro alfabeto. Ma che diremo di quegli eruditi
65 (1861) Corso di mitologia, o, Storia delle divinità e degli eroi del paganesimo: Per la spiegazione dei classici e dei monumenti di belle arti (3e éd.) « Cronologia Mitologica. » pp. 387-393
che questo diluvio fosse un’inondazione prodotta dallo straripamento del lago Copaide. Anche ai tempi di Silla era celebra
e che Teseo riuni in una sola città, col nome d’Atene. — Instituzione del Senato e dell’Areopago. 1549. Cadmo, figlio d
350. Gli Argonauti nella Colchide, condotti da Giasone alla conquista del Vello d’oro, ec. (Vedi la favola.) — Ercole o
), quella dei Giganti contro Giove, indicanti i grandi sconvolgimenti del suolo per opera di terremoti o di vulcani, il Ves
opidi. — Pelope, figlio di Tantalo re di Frigia, invade una parte del Peloponneso. Atreo e Tieste, discendenti di Pelop
i ; di Metone, di Melibea, ec. da Filottete con 7 navi ; i Magnesiani del Peneo, da Protoo, con 40 navi ; di Zacinto, Nerit
Secondo altri 1560. 162. Altri assegna alla caduta di Troia l’epoca del 1210-1209 ; e quindi al 1207 l’arrivo d’Enea in I
66 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — Epilogo » pp. 253-254
dole dalle fantasmagorie della immaginazione e dalle assurde credenze del volgo ; e così insegnarono a noi come doveva inte
onsiderati dai più scrupolosi Pagani siccome contrarii alla religione del Politeismo, mentre all’opposto i Santi Padri dei
del Politeismo, mentre all’opposto i Santi Padri dei primitivi tempi del Cristianesimo citarono i detti di Cicerone forse
zione dei miti abbiamo veduto esser quella di considerare le Divinità del Gentilesimo come altrettante personificazioni o d
egazione della causa fisica delle medesime ; alla formazione favolosa del fulmine la causa vera di questo fenomeno ; e così
ermina con l’apoteosi degl’Imperatori romani, che fu l’ultimo anelito del Paganesimo. fine della prima parte della mitolog
67 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXIII. Osservazioni generali » pp. 260-263
I Osservazioni generali Nella classazione generale delle Divinità del Paganesimo (vedi il N. III) fu accennato che gli
olto limitata credevano la loro potenza. Abbiamo notato nel principio del N. IV che, ammessi più Dei, nessuno di loro potev
nfusorii. Sappiamo poi dagli scrittori ecclesiastici dei primi secoli del Cristianesimo (i quali studiavano con gran premur
agani erano giunti ad assegnare quattordici Divinità alla vegetazione del grano. Anzi vi aggiunsero anche un altro Dio, che
i tali divinità il cui ufficio si conosce e s’intende dal significato del loro stesso nome ve n’era un bel numero nel Polit
, contemporaneo ed amico di Cicerone, abbia annoverati trentamila Dei del Paganesimo, come dicemmo nel N. III ; e deve pare
68 (1861) Corso di mitologia, o, Storia delle divinità e degli eroi del paganesimo: Per la spiegazione dei classici e dei monumenti di belle arti (3e éd.) «  Avviso. per questa terza edizione.  » pp. -
favorevole accoglienza ottenuta dalle nostre due antecedenti edizioni del Corso di Mitologia dei Signori Nöel e Chapsal, ci
contiene varj ragionamenti d’illustri scrittori concernenti la caduta del Paganesimo e la fondazione del Cristianesimo. E q
lustri scrittori concernenti la caduta del Paganesimo e la fondazione del Cristianesimo. E qui giovi spiegare l’oggetto di
erte dei giovani, è mestieri che la ce[ILLISIBLE]ità dell’idolatria e del politeismo sia posta a confronto della Verità Div
’idolatria e del politeismo sia posta a confronto della Verità Divina del Cristianesimo, e che sia fatto conoscere il passa
69 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLII. Bellerofonte » pp. 317-320
e un mostro fosse un monte ignivomo della Licia, nella parte più alta del quale soggiornassero i leoni, a mezza costa le ca
54. Su queste stesse idee di Iobate eran fondati nei secoli barbari del Medio Evo i così detti Giudizi di Dio, pretendend
t’ uso barbaro ed empio si estese anche ad altre prove, come a quella del fuoco, la cui sola proposta fanaticamente fattane
del fuoco, la cui sola proposta fanaticamente fattane dagli avversari del Savonarola ed imprudentemente accettata dai suoi
di ogni genere di animali ; ma ne deriva, invece dell’ ammirazione e del diletto, il disgusto e il ridicolo, come dice Ora
70 (1861) Corso di mitologia, o, Storia delle divinità e degli eroi del paganesimo: Per la spiegazione dei classici e dei monumenti di belle arti (3e éd.) « Avvertimento. » pp. 1-2
licata nel 1854. « Nel 1838 fu pubblicata a Parigi la quinta edizione del Corso di Mitologia dei signori Noël e Chapsal, ch
detti Dizionarj della Favola, nè gl’ inconvenienti ormai a tutti noti del metodo per dimande e per risposte. » — Il raccont
er preferire questo a molti altri, in grazia della sperimentata bontà del metodo. Ma supponendo che la pura traduzione di e
ristampiamo il Corso di Mitologia, riveduto e migliorato con aggiunte del traduttore, ed ornato di stampe fatte da valenti
71 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — I. La Cosmogonia mitologica » p. 10
logica La parola Cosmogonia significa generazione, ossia formazione del mondo. Gli uomini di tutti i tempi, dai più antic
altra, furono censurati, od anche perseguitati, a guisa degli eretici del Medio Evo, coloro che osassero spiegare al popolo
iori, e per la degenerazione degli uomini contraffatte. (Osservazione del Tommasèo, a me comunicata per lettera, e da lui r
72 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Avvertenza » pp. -
dar conto di quest’opera ai cortesi lettori, si riporta il preambolo del Manifesto di associazione pubblicato nel giugno d
orta il preambolo del Manifesto di associazione pubblicato nel giugno del corrente anno. La Mitologia Greca e Romana a di
o fiorentino L’Educazione, e ne fu parlato dal Tommasèo nel fascicolo del dicembre 1873 della Nuova Antologia. Anzi fu il T
73 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — Introduzione » pp. 6-9
ntroduzione La Mitologia è la Teologia dei Pagani. Avanti l’origine del Cristianesimo tutti i popoli conosciuti, tranne g
molte delle loro denominazioni, la cui etimologia, o vera spiegazione del termine, può solo dedursi dalla cognizione della
74 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Indice alfabetico » pp. 516-
0 Egina 408 Egioco 280 Egisto 447 Egitto (re) 228 e seg. Elementi del Caos 11 Elena 372, 449 e seg. Elettra 414 Elett
75 (1810) Arabesques mythologiques, ou les Attributs de toutes les divinités de la fable. Tome II
l’Amour de la patrie. Métastase a dit : E istinto di natura L’amor del patrio nido57. L’Expérience. Une vieille
76 (1838) The Mythology of Ancient Greece and Italy (2e éd.) pp. -516
dre il Sole ;» and in his note on it he says, «È detto ad imitazione del Pontano.» In a work named ‘Tales of an Indian Cam
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